la bambina coi capelli rossi e le lentiggini

Non diedi poi troppo peso, di certo non volevo farmi rovinare la serata per i sorrisetti pregiudizievoli di qualche idiota.
Io e Matteo ridemmo, ridemmo davvero tanto. In quel frangete fu come se non ci fossi mai stata in Iraq, si cancellò tutto dalla mia mente e non vedevo altro che quel momento.
Il sapore delizioso dei peperoni soffritti e l'amarognolo delle birre. Furono quattro in totale.
Infatti sentii la testa leggera, ridevo anche nei momenti in cui non c'era niente da ridere e quando giravo la testa era come se quello che vedevo seguisse i miei occhi con qualche istante di ritardo.
Non ero completamente ubriaca, ricordo ancora i dettagli.
Con i freni inibitori un po ridotti, mostrai a Matteo la mia Cicatrice sulla spalla, in quei frangenti lo dissi ridacchiando, quasi vantandomi, fui una deficiente visto che lui non rideva affatto.
Fui in grado però di comprendere che quanto mostrato, lo stava rattristando così gli afferrai il polso con entrambe le mani.
"mi dispiace, non dovevo mostrartelo così... solo per favore, non mi diventare tutto triste e cupo, voglio divertirmi stasera e voglio farlo con te" feci un pausa. "cioè, intendo divertirmi" Aggiunsi ridacchiando e lui diventò rosso.
"e io che speravo in una sfrenata notte di sesso con il mio soldato preferito".
La mia risposta fu semplicemente il terzo dito, però mi fece piacere che cercò di cambiare argomento, portando la conversazioni in "zone" più divertenti.
Tornammo a casa verso l'una di notte e il ricordo in macchina fu altrettanto bello, calmo e pacato.
La voce di Matteo così come tutti i suoni, sembravano quasi essere distanti. Con l'alcol in circolo restavo poggiata con la testa contro il finestrino, questo traballava di tanto in tanto.
Braccia incrociate e cintura sul busto.
Tolsi le scarpe usando i talloni.
Attorno c'era pace, sentivo il rumore dell'auto che andava ma a parte la musica a basso volume, i colpi della contraerea non facevano tremare il pavimento. Nessun colpo di kalashnikov scoppiettava nella notte e pure, se mi concentravo a pieno, mi sembrava quasi di poterli sentire ancora, come se la guerra fosse rimasta all'interno della mia testa così come quella la sabbia catturata nella boccetta poco prima di partire
"a casa ci guardiamo un film?" mi domandò.
La strada da percorrere non era molta, mi imbambolai qualche attimo nel vedere i catarifrangenti illuminati che sembravano percorrere l'aria attorno a noi nella direzione opposta.

Stavamo percorrendo una tangenziale visto che il Pub in cui eravamo andati si trovava fuori Firenze.
"perchè no? Sicuro non dormo" esalai.
Arrivati in casa il tipico profumo di vaniglia e cocco invase le mie narici, sulla destra si estendeva la sala e sulla sinistra la cucina. Un enorme spazio aperto senza mura a suddividerlo se non per un muretto alto poco più di un metro che dalla destra della porta si estendeva per non oltre due metri.
Un divisore tra entrata e sala.
I muri erano caffèlatte mentre l'arrendamento andava dal legno al biancastro.
Il divano invece era nero, di pelle. Uno nuovo, prima non c'era.
Andai Verso il frigorifero e aprendolo afferrai una bottiglia di aranciata, la bevvi direttamente dalla bottiglia passando poi la bottiglia a Matteo che fece la stessa cosa.
Se mia madre ci avrebbe visti ero convinta che non importava fossi tornata dalla guerra, mi avrebbe sgridata perché non voleva si bevesse a boccia.

"cerco qualcosa in streaming, che ti va di guardare?" mi disse lui che intanto andò verso i divano. Matteo poteva considerarsi a casa sua tra le mie mura, era davvero come un fratello.
Senza fare troppo rumore cercai delle patatine o comunque qualcosa da sgranocchiare finché la mia mano destra non afferrò dei taralli al peperoncino, portai con me la bottiglia di aranciata e lo raggiunsi sul divano.
Mi inclinai poggiandomi su di lui mentre stesi le gambe. Lo sentii carezzarmi i capelli.
Le sue dita lentamente li pettinavano massaggiandomi la testa, di tanto in tanto mi dava un un bacio sopra la fronte mentre partì il Film.
"spero ti piaccia, non ho fatto in tempo a vederlo al cinema" disse lui.
Django unchained, un film western di cui però non arrivai a vedere nemmeno la metà, inizialmente la voce degli attori era come se mi cullasse, capivo cosa dicevano ma dei loro discorsi facevo poi dei collegamenti tutti miei di cose che non centravano niente e di cui nemmeno ricordo.
Quando mi svegliò mi guardai attorno, controllai l'orario notando fossero le tre di notte.
"eh?... mh scusa mi sono addormentata".
Lui ridacchiò.
"si, e russavi anche!" rispose così aggrottando la fronte gli diedi una sberla sulla spalla.
"vado a dormire Matteo, scusa". Mi alzai e dopo aver fatto un enorme sorso di aranciata mi chinai per dargli un bacio sulla guancia e salii sulle scaleche si trovava dalla parte opposta della porta d'ingresso.
Feci solo due Gradini poi li percorsi a ritroso.
"vieni" gli dissi, mi dispiaceva farlo dormire sul divano e lui titubante s'alzò.
Il mio letto era ad una pizza e mezzo, mi stesi su di un fianco e lui mi abbracciò da dietro. Mi riaddormentai così.
Il giorno dopo mi svegliai con i capelli in faccia e un po in bocca che sputai infastidita, girandomi di scatto notai che Matteo non era più sul letto ma la porta s'apri e lui rientrò in camera.
"buon giorno" mi disse lui sorridendo.
"buon giorno a te! che ore sono?" domandai con la voce arroccata.
Lui fece spallucce prima di rispondere.
"le sette e un quarto".
Feci un verso, come fossi offesa e mi rigirai dall'altra parte addormentandomi poco dopo.
Dormii fino le undici del mattino.
Erano forse anni che non dormivo così tanto e quando mi alzai, in casa si sentiva già odore di sugo.
Dovetti correre al bagno e quando uscii scesi al piano di sotto insieme a Matteo.
"Oh matteo! Ma dove hai dormito te?" Domandò mia madre vedendoci.
"su da me" spiegai e lei s'imbronciò un po.
"non sta bene però!".
Spalancai gli occhi incredulo e indicai il mio amico muovendo gli avambracci verso la sua posizione.
"mamma ma i che dici?! Abbiamo dormito insieme perché non mi andava di stare sola".
Capì la situazione ma comunque avrebbe voluto continuare la sua ramanzina, esattamente come sempre, del resto. Non importava che avessi vent'anni, era semplicemente fatta così.
A tavola mangiai un grosso piatto di pasta che divorai come se non avessi mangiato da giorni, mi ero quasi dimenticata quanto buona fosse la cucina di mia madre e poi, dopo le razioni da campo, qualsiasi cosa sarebbe stata buonissima.
Raccontai un po di cose dell'iraq, evitando le cose più crude e magari concentrandomi sulle cose di routine, facendo sembrare che alla fin dei conti non mi era andata tanto male ma mentre lo facevo, la cicatrice sulla spalla iniziò a prudermi. Mi grattai due tre volte e quando mia madre chiese spiegazioni inventai che la spallina del reggiseno mi dava fastidio, lei si stava per alzare. Capii che voleva andare a prendermene un altro così che poi sarei potuta andare a cambiarmi ma allungai una mano per fermala.
"mamma mangia, non c'è bisogno!" esalai sorridente.
Nonostante facessi di tutto per rendere il clima quanto più sereno e normale, sentivo che nel fondo dei loro cuori c'era qualcosa che li rendeva tristi. Lo percepivo nei loro sguardi e le espressioni.
Un ombra che silente contornava quella tavola rendendo impossibile una normale chiacchierata.
Non c'era normalità nelle parole scambiate, sembrava più un farsi andare bene quello che era, lo sguardo di mia madre lo diceva chiaro e tondo, esprimeva qualcosa come "poteva essere diverso".
Probabilmente da ragazzina mi sarei alzata dal tavolo e sarei andata in camera mia dopo una sfuriata, questo pensiero mi fece sorridere parecchio e mentre bevi dell'acqua frizzante.
"vi ricordate quando d'estate mettevate la piscina nel giardino e Matteo veniva qui?" Sorrisi malinconia guardando il mio amico che diventò rosso come un peperone. Volevo assolutamente cambiare discorso quindi provai la strada dei ricordi.
"eravate proprio due bischeri!"commentò mio padre abbozzando o almeno tentando di fare un sorriso.
"perchè ora che siamo?" aggiunse quindi Matteo, fece ridere i miei. Ero felice di vederli ridere ma fu triste essere consapevole che era stato lui e non io. Come se non fossi più capace di farlo.
"Elisa c'è un'altra novità oltre il nuovo arrivo in famiglia, io e tuo padre stiamo comprando un'altra casa, presto ci trasferiremo".
Quella fu una doccia fredda, mi guardai attorno per osservare il posto in cui ero cresciuta. Mi dispiaceva che i miei volessero cambiarlo.
"ah si?" Aggrottai la fronte cercando di nascondere un evidente dispiacere. "e dove vi trasferirete?" Domandai.
"abbiamo trovato una bella villetta a Iolo, vicino Prato. Molto più grande è con un giardino più ampio, sarà ancor di più da Firenze ma ne vale la pena".
Annuii con la testa e dopo aver finito l'acqua risposi.
"beh, mi fa piacere, sarà sicuramente una bellissima casa". Fu una risposta rapida atta a cambiare ancora argomento.
Notai Matteo fissarmi, sembrava dispiaciuto per me.
Mi alzai di scatto, presi il mio piatto con le posate ed il bicchiere e mi avviai verso la cucina per metterli nella lavastoviglie.
Mentre sistemavo il tutto, Matteo che fece la stessa cosa mi fiancheggiò.
"tutto ok?" domandò lui, annuii facendo segno di si con la testa per poi sollevarmi, mi girai poggiando la zona lombare contro il piano della cucina. Lui era ancora piegato a sistemare le stoviglie.
"senti, ci sei cresciuta qui, lo capisco che possa dispiacerti ma che hai intenzione di fare? Stare qui per sempre?" domandò ridacchiando. Aveva ragione ma mi sentivo comunque strana.
Nel pomeriggio preparai le valige, il giorno dopo avrei preso un aereo e sarei andata in Sardegna per fare visita alla famiglia di Enrico e Matteo si era offerto di accompagnarmi stando per un piccolo periodo lontano dall'università.
Fu inutile dirgli che non era il caso ma lui era testardo come te, quindi alla fine non ci fu verso.
Quando partimmo sentii una stretta al cuore, come se tutto il peso dell'iraq mi fosse piombato addosso nuovamente.
Non sapevo esattamente cosa mi sarei aspettata, magari i genitori potevano mandarmi al diavolo, era un salto nel vuoto che però dovevo assolutamente fare. Male che andava sarei tornata nel posto che più degli altri portavo nel cuore. Mi avrebbe fatto comunque bene.
Nei giorni in cui ero tornata non avevo guardato il telefono mezza volta, nemmeno mi ero connessa a nessun social network che erano ormai abbandonati forse da anni. Mi domai quante notifiche avessi accumulato e la cosa mi fece sorridere.
Andò tutto bene fin quando l'aereo non partì, pensai forse che avevo avuto troppa fretta di partire, sentendo il tremolio dell'aereo, pagato anche un po essendo last minute, sentii un senso di ansia crescermi nel petto, fu come tornare per un istante in Somalia, la sensazione di precipitare e dei detriti che volavano minacciando di colpirmi.

Il cuore aumentò il battito a dismisura, sembrava come se l'aero poco a poco si stringesse facendomi mancare il fiato.

Non respiravo, ci provavo a riempirmi i polmoni fino scoppiare ma ogni respiro era a metà.

Tutto era offuscato e strinsi i pugni abbassando la testa.

"Oh! Elisa! Tutto bene?!" Matteo mi domandò parecchio preoccupato.

Intanto il tremolio diventava sempre più forte e con esse, potevo sentire le urla dei miei compagni, degli allarmi sonori e della lamiera che si spezzava.

Ansimavo senza respiro senza riuscire a togliermi dalla testa quei momenti che forse il mio cervello non aveva avuto il tempo di elaborare quando ero lì ma adesso li stava rielaborando e le conseguenze per me furono catastrofiche.

Matteo urlò chiedendo aiuto, che non respiravo.

Dovevo calmarmi, strinsi il suo braccio come una disperata richiesta d'aiuto.

Lui iniziò a lamentare dolore mente cercavo di prendere più fiato possibile.

Alla fine una hostess ci raggiunse quando l'aereo si stabilizzò, mi aiutò ad indossare la maschera dell'ossigeno e lentamente mi calmai, respiro dopo respiro tutto il casino cessò, ero semplicemente in un aeroplano di linea, ero sopravvissuta alla guerra, non dovevo pensarci.

Questo mi dissi mentre la stessa signorina; bionda e parecchio alta, mi portò un bicchiere d'acqua.

Mi aiutò ancor di più e alla fine riuscii a calmarmi.

Tolta la maschera e svuotato il bicchiere restai con la nuca poggiata sullo schienale e la girai verso Matteo che ancora mi guardava atterrito, la mano sinistra poggiata sul suo braccio destro.

"tutto ok!" cercai di rassicurarlo e nel mentre spostati la sua mani notando I segni delle unghie nella sue palle, tutto attorno era poi rossiccio.

"mi dispiace..." sussurra dispiaciuta.

Lui fece cenno di no con la testa con un sorriso accondiscendente.

"non preoccuparti Eli, piuttosto, che ti è successo?".

Presi fiato, ora che riuscivo

"una crisi di panico, suppongo" risposi in maniera vaga alla sua domanda perché non potevo essere davvero certa.

Durante il viaggio, raccontai a Matteo perché stavo tornando in Sardegna, era l'unica persona con cui sentivo di poter svuotare il sacco.

La sua faccia atterrita mi rimase impressa quando raccontai il tragico destino di Enrico.

Quello che poi mi disse mi bloccò, non tanto perché mi mancavano le parole.

"non andare più in guerra".

Come potevo dirgli che invece sarei tornata se si sarebbe presentata l'occasione?

Lui era una persona che mi voleva bene e che in quel momento mi stava chiedendo di non rischiare più la mia vita è io dovevo dire no.

Come potevo spiegargli che dovevo andare avanti e farlo per i miei compagni? Come potevo dire che qualcuno stava sperimentando un nuovo tipo di bomba e che dovevo fare qualcosa per contrastarlo? Non avrebbe capito e non potevo nemmeno biasimarlo.

"Matteo..." lo chiamai soltanto e già dal mio tono capì quella che sarebbe stata la mia risposta.

"sei diplomata in lingue, posso aiutarti a trovare un lavoro, vieni a Roma coi miei coinquilini! Trova lavoro lì, ti prego!".

Faceva male a me quanto a lui, era orribile e non riuscivo a dirgli direttamente un no. Non me la sentivo.

"godiamoci questi giorni di vacanza, voglio non pensare a niente, per favore" risposi infatti. Si rassegnò
Il volo non durò molto ma poi fummo costretti a muoverci coi treni quindi il viaggio in generale si allungò.
Quando finalmente arrivammo a costa rei, mi guardai attorno come una bambina in un parco giochi, felice di vedere un posto a me così tanto caro e ricolmo di bei ricordi, ogni volta che me ne veniva in mente uno lo raccontavo a Matteo ed erano tanti visto che in ogni strada riconoscevo uno o due posti dove magari avevo fatto qualcosa di divertente.
Raggiungemmo il lungo mare, vedere sotto di noi la spiaggia completamente deserta fu strano.
C'era soltanto un gruppo di ragazzi giovani accompagnati da un uomo.
Il vento alzava grosse onde che si frangevano sugli scogli ai lati della spiaggia, l'odore di salsedine poi inebriò i miei sensi.
Chiusi gli occhi non curandomi di alcune ciocche finite sulla mia faccia, ogni volta che avevo un brutto momento pensavo a quella spiaggia e adesso ero veramente lì. Il vento sembrava portare alle mie orecchie vecchi suoni. Come se potessi sentire le mie risate da ragazzina, io che inseguivo Pedro o tutto il gruppo che giocava a pallavolo.
Mi sedetti sulla sabbia mentre Matteo mi restò accanto, in piedi.
Volevo solo del tempo per me in quel momento, carezzare la sabbia fresca con le dita, sollevarla per poi sentirla scivolare verso il basso.
Penso che tutte le persone che soffrono si aggrappano disperate ai ricordi belli della loro vita, non tanto per voler restare nel passato ma quanto più per avere una bolla di ossigeno in un mondo che non permetteva di respirare. Alla fine Matteo sedette al mio fianco e io poggiai la mia testa sulla sua spalla.
"quindi è questa la spiaggia con cui mi rompevi sempre" disse rompendo un silenzio fin troppo bello.
Io mossi la mano verso di lui e gli posizionai l'indice sulla bocca per farlo stare zitto.
Aprii lievemente gli occhi guardando gli scogli, non erano gli stessi ma mi ricordò il punto in cui raccontai ad Enrico il mio sogno di voler diventare una soldatessa. Praticamente la sua vita fu segnata esattamente da quel momento, lo avevo condotto io verso la strada che poi lo avrebbe ucciso.
"se non lo avessi motivato a quest'ora sarebbe vivo" sussurrai prendendogli la mano, intrecciai le mie dita con le sue.
"non puoi fartene una colpa, non lo hai costretto ad arruolarsi". Cercava di pulirmi dai sensi di colpa che però sentivo sporcarmi fin dentro l'anima.
"si ma se non gli avessi detto quelle cose, se non..." mi interrompette.
"si ma non si può vivere di se" fu la sua frase. "ha fatto la sua scelta, come chiunque altro come te, no?".
Anche lui aveva ragione, stavo per prendere fiato, continuare a parlare ma mi accorsi che non ebbe finito, così lo lasciai parlare.
"e questo dovrebbe farti capire che forse è davvero il caso di fermarti, non voglio che torni a casa in una bara, i tuoi genitori non se ne fanno niente di una medaglia e nemmeno io voglio vivere col ricordo di essere stato l'amico di una caduta di guerra, voglio essere amico di elisa". Mentre parlava afferrava della sabbia che lanciava più avanti.
" io non voglio smettere Matteo..." fu la mia breve risposta. Lui irrigidì i muscoli della mascella, la sua espressione era innervosita, quasi arrabbiata.
"sono sempre stato da solo, nessuno mi ha mai dato una minima attenzione e a scuola erano tutti de pezzi di merda, poi un giorno è arrivata una ragazza; aveva questi lunghi capelli rossi e le lentiggini sul viso. Lei era bellissima e quando l'ho vista ho pensato...".
Matteo era parecchio nervoso, la voce rotta e sembrava quasi sul punto di piangere mentre sbracciava in continuazione.
"... ecco, lei sarà un'altra delle tante che non mi considererà, è troppo bella per uno come me. Poi però ho visto che era sola come me e mi sono avvicinato, ogni dannata notte ringrazio il cielo di essermi avvicinato perché quella bambina coi capelli rossi è la persona più bella che ho mai conosciuto in vita mia".
Furono parole forti, mi commossero. Non al punto di piangere ma restai destabilizzata, sorpresa dall'intensità con la quale mi raccontò certe cose.
"ho amato quella bambina fin dal primo giorno, ho continuato a farlo per tutto il tempo, nonostante lei si gettasse tra le braccia di ragazzi che non la meritavano, che non vedevano quanto lei fosse speciale, io amo ancora quella bambina anche se ora è diventata una donna e non voglio...".
A quel punto lo bloccai io.
"hai appena detto di amarmi?" domandai, sapevo che aveva una cotta per me da ragazzini ma pensavo fosse stata una cosa passeggera, del resto lui aveva anche una fidanzata.
"si, ti amo, non ho mai amato così tanto una persona in tutta la mia vita e se mi sono dichiarato è perché spero tu non vada più in guerra".
Si avvicinò alle mie labbra, tentando di baciarmi, spostai appena il viso e le sue labbra si poggiarono in alto a destra rispetto le mie.
Potevo sentire il calore del suo viso mentre per qualche attimo restammo fermi in quel modo.
"no Matteo... per favore".
Lui restò lì fermo, provò una seconda volta ma portai indietro la testa evitandolo ancora, a quel punto mi venne voglia di dargli una sberla ma non lo feci.
"ti voglio bene con tutto il cuore ma per me sei veramente come un fratello, non posso" esalai.
Lui aveva gli occhi viola e gonfi, mise le mani sul viso, nascondendo il naso e poi s'alzò.
"ok..." disse soltanto "torno tra poco". La sua voce era rotta e quando s'alzò lo guardai allontanarsi per un po.

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