Il primo giorno in Iraq

Fu in quel momento che mi resi conto quanto i miei ricordi alle volte erano confusi, raccontando le mie cose a cheese, non riuscivo a ricordare i nomi dei miei commilitoni ad esempio o alcuni dettagli.
La cosa mi disturbava parecchio visto che fino quel punto ero convinta di poter ricordare tutto e chi sa quante altre cose mi ero dimenticata fino quel punto.
Più ci pensavo e più mi sentivo confusa, mi sforzavo di ricordare cose che magari avevo omesso, alcuni nomi o volti... situazioni vissute. Insomma tutto anche se ero convinta delle mie memorie, quel timore mi stava destabilizzando ma dovevo pensare ad altro.
"se saltassi un po di questo assurdo racconto?" domandai non appena la situazione si stabilizzò.
Ormai i nuovi uomini erano entrati e avevamo aggiunto le posizioni di quelli rimasti fuori, quindi per quello che ci riguardava era tutto esattamente come pochi attimi prima.
"e fin dove?" domandò lui dopo un po di pausa.
"non so, una parte più divertente di me che semplicemente vivo in una base a fare ogni giorno sempre le stesse cose" esalai e lui assunse un'aria stranita.
"beh... non mi sembra che essere travolti da una valanga e strisciare nelle macerie sia così ordinario" fu la sua quanto più ovvia risposta.
"touche, ma credimi per il resto non era accaduto davvero niente, una volta fatto il giuramento ogni giorno è uguale a l'altro tra marce infinite e cose che sai perfettamente, se devo raccontarti una storia almeno non farmela rendere noiosa".
Ero sicura di avergli fatto cambiare idea e se ci fossi riuscita mi sarei evitata monologhi di cose inutili e noiose, sicuramente avevo cose più belle da raccontare.
"stupiscimi, allora" controbatté lui.

Compiuti i miei vent'anni, ormai col grado di caporale, sorpresi un po tutti.
Una delle poche donne, se non l'unica a superare le prove di ingresso per i col moschin. Quello era l'unico "tier1" dell'esercito italiano, se vogliamo fare un paragone era come essere arruolate nei navy seal americani, a grandi linee.
Fui addestrata nelle incursioni anfibie e presi il brevetto da paracadutista, il primo salto fu l'emozione più bella che provai in vita mia, il paracadute si sarebbe aperto non appena avrei compiuto il balzo ma correre verso il portellone aperto, sapere che sotto di me c'era il vuoto e trovarmici di colpo. Feci il balzo senza riflettere, nonostante il mio cuore batteva come un tamburo impazzito.
Trovarmi improvvisamente coi piedi nel vuoto mi fece singhiozzare menre uno schiaffo di vento sferò il mio corpo quando il paracadute mi tirò violentemente verso l'alto,
Guardavo i miei piedi a penzoloni e oltre loro, la terra era così distante. Ne potevo vedere la sfericità e le case in lontananza sembravano giocattoli per le bambole. Campi e paesi erano ben visibili mentre il cielo splendeva privo di nuvole. Provai ad emanare un urlo ma questo mi si strozzò in gola e guardando in alto, il mio paracadute veniva sferzato da vento mentre poco a poco scendevo circondata da tanti altri miei compagni.
Già essere arrivata dov'ero era un traguardo enorme, eppure non mi bastava affatto. Una Donna in un simile corpo fu una notizia che fece rapidamente il giro ma in quel momento ancora non mi rendevo conto davvero di che fama mi stavo ricoprendo.
Solo il vento sulla mia faccia e il suolo che m raggiungeva lentamente erano importanti, quel senso di libertà indescrivibile. Non provai paura e non ebbi nemmeno il tempo di metabolizzare cosa effettivamente avevo appena fatto, di quanto unica potesse essere quel tipo di esperienza e che avevo compiuto senza pensarci troppo, magari per assaporarne il momento.
Quando tutti raggiungemmo il terreno sani e salvi ci radunammo in un enorme e festoso abbraccio che si interrompette all'arrivo del sergente.
Fu con i col Moschin che impugnai per la prima volta il mio primo fucile di precisione, un buon vecchio
"AWM-F" calibro sette, sessantadue millimetri.
Le prime volte faticavo anche semplicemente a guardare all'interno dell'ottica, non ero in grado di mettere a fuoco la vista e il mo istruttore mi prendeva in giro per le facce da idiota che facevo mentre miravo ma poco a poco iniziai a farci l'occhio.
L'idea di farmi diventare una sniper diventò sempre più costante vista la mia innata mira ed effettivamente, eccezion fatta per il periodo iniziale, i miei colpi si mostravano davvero precisi.
Non ero brava come lo so ora ma mi rendevo conto che sparare sulle lunghe faceva per me. Aggiungendo il fatto che non me la cavavo male anche in fisica e matematica anche se i calcoli da seguire mettevano alla dura prova la mia mente. Tutte cose che poi, in un certo, servivano come non servivano ma che era fondamentali allora per permettermi di diventare una sniper a tutti gli effetti.
Compiuti i miei ventuno anni la mia vita ebbe un'altra svolta, una di quelle che ti segnano per sempre, quando mi fu data la notizia non sapevo cosa dire e tanto meno come reagire. Le braccia diventarono bollenti e rigide al punto che non potevo nemmeno chiudere le dita.
"s-signor si signore" esalai soltanto e chiedendo licenza camminai a passo svelto verso la mia camerata, tutto in ordine come sempre, perfettamente pulito.
Saltai sul letto e presi il telefono, avevo una grossa scheggiatura sul vetro ma poco mi importava.
Lo portai all'orecchio e aspettai.
"matteo... si sono io, come stai? M-mi fa piacere senti, senza giri di parole, dovrò andare in Iraq".
Inutile dire che Matteo che non vedevo da anni, era sconvolto ancor più di me, non parlò molto e balbettò tutto il tempo, io lo ascoltavo mentre strofinavo i polpastrelli sul materasso.
Fu ancor più difficile doverlo dire ai miei genitori, quando diedi la notizia a mia madre la conversazione si interrompette bruscamente e dopo mezz'ora fui richiamata, mia madre era svenuta e mio padre dovette prendersi cura di lei.
Quando si riprese mi richiamò continuando a ripetermi di lasciare tutto e tornare a casa, non importava cosa le dicevo, lei continuava a ripetermi, in un disperato lamento, di tornare a casa. Non voleva sentire ragione e lo sentivo quanto stava male. Mi si spezzava il cuore e alcune lacrime colarono lungo il mio viso ma quella era la vita che io stessa avevo cercato e di certo non mi sarei tirata indietro proprio in quel momento.
Dovetti inventarmi una scusa me chiudere la chiamata mentre ancora mi madre mi pregava in lacrime di mollare tutto e tornamene a casa.
Una settimana più tardi avevo orma lasciato l'Italia da diverse ore e con la mia compagnia feci il mio ingresso nella base di Kabul che per sei mesi sarebbe stata la mia nuova casa.
Nel cortile interno erano affisse le bandiere Nato e italiane, sotto alcuni capannoni riposavano una serie di furgoni, carri e blindati mentre un via vai di uomini e donne andavano in ogni direnzione.
Alcuni di loro ci guardarono sorridendo mentre camminavamo all'interno della base ognuno con i propri zaini ed equipaggiamenti.
Dovetti sistemare tutte le mie cose in fretta e furia e chiusi l'armadio con un grosso lucchetto, all'ora non fidavo di lasciarlo aperto con persone che non conoscevo, eccezione fatta per i nove della mia squadra.
Ci avevano messi tutti quanti in una grossa stanza con cinque letti a castello con dei materassi tanto sottili che ne sentivo e reti a di sotto.
La stanza non era poi all'insegna dell'igiene e c'era una sola finestrella da cui filtrava la luce, un colonnello del posto ci intimò di chiudere le persiane e di spegnere la luce nelle ore di buio per evitare che un cecchino provasse a spararci contro.
Di certo non un inizio rassicurante.
In serata eravamo in un piccolo stanzino con un proiettore che mostrava la mappa della città; questa aveva diversi cerchi e croci che visti così non avevano alcun significato.
Indossavo una semplice t-shirt verde militare, un pantalone mimetico e dei quanti senza dita, i miei capelli erano raccolti in una treccia e questa fuoriusciva dalla fibbia de cappello.
Le dita della destra tamburellavano sul piano del tavolino su cui ero seduta, sembrava di essere tornati a scuola, soprattutto quando un un sergente maggiore entrò all'interno e come prima cosa ci guardò uno ad uno.
Il mio sergente Giacomo Marti, s'alzò presentandoci e come unica risposta ricevette un infastidito segno di sedersi.
Poi guardò me e la sua fronte s'aggrottò mentre, ancora con la stessa mano mi fece cenno di sedermi composta, infatti ero lievemente piegata rispetto il tavolo.
Non dissi niente e facendo stridere la sedia aggiustai la mia postura.
"Domani devo alzarmi alle sei de mattino e scrivere un sacco di scartoffie, quindi facciamo in fretta".
La voce dell'uomo era rocca, simile a quella di un uomo che parlava col fumo di una sigaretta in bocca.
Prese un'antenna proveniente da una vecchia radio che usò come bacchetta per indicarci i vari cerchi.
"questo che vedete in verde è la green zone, ovvero i terreno messo in sicurezza dalla nato, da noi e gli alleati".
Sostò poi la punta verso il cerchio rosso ancor più ampio, questo inglobava praticamente tutta la città e parte del deserto.
"tutto il resto invece è territorio di guerriglia, vari clan talebani, ancora affezionati al fantasma di osama, creano diversi problemi, questi clan, sono raggruppati nei cerchi che vedete in nero, questi sono tutti i loro territori" Fece un'altra pausa per tossire in modo quasi disgustoso, cercai però di restare impassibile.
"è gente senza scrupoli, infami islamici estremisti de cazzo, se vi catturano, vi decapiteranno davanti una telecamera, mentre per la principessina rossa, beh dio solo sa che ti farebbero se solo mettono le loro mani su di te"
"mettessero..." ribadì rapidamente mentre il mio sergente mi fulminò col lo sguardo.
Lui invece ridacchiò e passò oltre.
"siete qui per colpire direttamente i vari luogotenenti di questi maledetti clan, sarà una cosa congiunta con quei montati americani quindi cercate di farvi valere anche perché starete qui finché non eliminerete dalla città tutti questi stronzi o finché una pallottola non vi rimanderà a casa in una bara"
Fu decisamente esaustivo ma almeno potemmo tornare subito nella nostra camera.
"certo che era proprio uno stronzo" Esclamò Fabrizio, era lui il cecchino della nostra squadra, io allora non ero abbastanza formata per poter agire come tale, quindi facevo parte del team incursori insieme e Leonardo, che dormiva sotto di me. Mario e Il sergente Marti. Gli altri cinque erano di supporto alla squadra, ad esempio Glauco, nome decisamente pessimo, era il nostro breaker.
"fanculo quel vecchio, piuttosto, sapete con che team dobbiamo collaborare?" domandò proprio lui.
Giacomo fece spallucce e poi guardò l'orario.
"fate la ninna bravi bambini, domani lo scopriremo" commentò ridacchiando e così, una volta chiusa la finestra e spenta la luce restai supina a fissare il soffitto.
C'era uno strano silenzio interrotto solo dai motori di qualche veicolo, non riuscivo a prendere sonno perché il mio cervello pensava e ripensava ciò che avrei iniziato a fare il giorno dopo.
Tutti i miei addestramenti messi davvero alla prova, la mia prima missione vera e propria, l'idea mi faceva venir freddo per l'ansia.
Poi all'improvviso sentii dei colpi fortissimi in lontananza e scattai seduta.
"dormi mazzoli... sono cannoni di contraerea" bisbigliò Il sergente Marti.
"non riesco a dormire" ammisi stendendomi lentamente.
"devi, te lo ordino, non ti voglio stanca domani mattina".
Sognai una cosa strana, non ricordo bene ma mi lasciò parecchio a disagio anche dopo essermi svegliata ma non c'era assolutamente tempo per rimuginarci su.
Dopo essermi lavata e aver sistemato tutto il necessario scesi a piano terra lungo il corridoio che portava all'esterno e proprio a quel punto qualcuno mi bloccò per il polso, mi diede parecchio fastidio e guardando chi mi aveva fermato, questo aveva una faccia stupita e meravigliata.
"e-elisa?!" mi domandò incredulo, non riconoscevo il tipo ma lui evidentemente si.
"chi se..."
"Elisa sbrigati" mi rimproverò il sergente, così altalenando lo sguardo tra lui e il tipo che mi aveva riconosciuta uscii verso l'esterno e l'altro sembrò rattristarsi ma continuò a camminare.
Nel cortile c'erano quattro blindati pronti a partire. Due Iveco Lince e due Humvee. e su questi due, dei Delta force ci guardarono arrivare.
Guardai il loro stemma rosso e poi lo sguardo che ci rivolsero, alcuni di loro mi guardarono e ridacchiarono, poi chiamarono una certa Alyssa e quando questa uscì da dietro un blindato, teneva sulle spalle un grosso Barret m82.
Notai immediatamente i suoi capelli rossi ed il suo viso, come il mio era costellato di lentiggini.
Ci somigliavamo davvero molto, come fossimo sorelle separate dalla nascita e quando mi fece un occhiolino io la salutai con un cenno della mano.
Il resto dei Delta ridacchiarono mentre mi sentii parecchio agitata, come presa di mira dagli scherni degli americani. Cercai di non pensarci e salii sull'elicottero con gli altri Col Moschin.
Non avremmo dovuto ingaggiare quel giorno se non per difenderci, con la scusa di una ronda avremmo dato un occhio alla prima base da ripulire.
Il sergente Marti stava guidando il blindato, io gli ero affianco, Glauco restava in piedi alla mia sinistra con mezzo busto allo scoperto mentre teneva le mani sulla Beretta mg 42/59.
Leonardo e fabrizio invece restavano dietro.
nell'altro blindato vi erano quelli che prima non avevo elencato per non farti la lista della spesa, quindi; Andrea alla guida, Giuseppe affianco, Davide alla Beretta e come ultimi, dietro. Cristian e Giovanni.
Tutti loro facevano parte della mia squadra. Piccola e compatta.
Eravamo terzi in quel corteo, gli americani andarono per primi e noi li seguivamo a ruota.
Kabul era un mondo a parte, restai tutto il tempo a fissare le case che ci circondavano sia per controllare la presenza di cecchini o RPG sia per guardare quel paese che fino ad allora avevo visto soltanto in televisione.
L'idea di esserci mi spaventava ovviamente ma non potevo permettere che le emozioni mi deconcentrassero.
Le case erano fatiscenti, sporche come le strade piene di immondizia e macerie. Sulla destra dei bambini fissarono i nostri furgoni passare, uno di loro imbracciava una palla grigia sotto il braccio e lo vidi lanciarla contro la lince.
"cosa è stato?!" domandò Davide abbastanza irrequieto e fu mia premura calmarlo.
"rilassati, un bambino ci ha tirato un pallone contro". Lo dissi mentre guardai quel gruppo di bambini farsi sempre più lontani.
Non erano gli unici che ci guardavano effettivamente, molti residenti guardavano il corteo dalle finestre o agli usci della loro casa. Inutile dire che mi sentii parecchio a disagio, tutti quegli occhi addosso non erano affatto piacevoli in più temevo che uno di loro potesse essere armato.
"il primo avamposto è di un clan con un nome così impronunciabile che sinceramente me ne sono dimenticato, non importa, ciò che conta è che il loro capo si chiama Haamid Almahmoud, estremista del cazzo che gestisce un grosso territorio della città. Sapete com'è, si taglia la testa del serpente e il resto si disperde. Almeno per il tempo che serve agli alleati di occupare la zona e metterla in sicurezza".
Mentre Marti parlava raggiungemmo una piazza, questa era circondata di palazzi e negozi. Nel centro vi era un grosso obelisco di roccia chiara, notai delle scritte arabe.
Tutta la zona era piena di persone, queste vedendo i mezzi blindati si allargavano fornendoci una strada dove procedere cautamente.
Con il mio AR 70/90 davanti al petto guardavo stringendo gli occhi verso i tetti dei vari palazzi, prestando attenzione anche a terra, non mi sembrava una delle idee più intelligenti, passare in un posto simile, troppo esposti.
Nonostante la mappa indicasse fossimo ancora all'interno della green zone, non mi sentivo affatto sicura e a giudicare da come Glauco ruotava su se stesso, non ero l'unica.
Il caldo oltretutto era davvero opprimente, sentivo la testa bollire e l'aria opprimere la mia pelle.
Avrei impiegato un po prima di abituarmi a tale caldo e sopratutto a gestire situazioni come quelle in cui mi trovavo.
La tensioni mi stava uccidendo lentamente e solo quando i blindati raggiunsero un vicolo più stretto mi calmai un po anche se durò davvero poco visto che stavamo lasciando la green zone.
A quel punto avremmo dovuto prestare molta più attenzione.
Raggiunta l'autostrada salendo lungo un grosso ponte dal quale non si vedeva altro che deserto oltre Kabul.
I delta ci dissero che saremmo dovuti scendere, così dopo aver controllato di poterlo fare in sicurezza uscimmo ponendo i blindati lateralmente rispetto la strada.
I nostri lince qualche metro prima dei loro hummer così da avere un perimetro di relativa sicurezza da gli ingaggi di possibili nemici.
Controllammo anche sotto il ponte e quando fummo certi che non era pericoloso convertimmo nello stesso punto mischiandoci con gli americani, alcuni tentarono di parlare tra di loro. I delta scimmiottarono un po l'italiano con parole cliché tipo "pasta, mamma mia" le solite cazzate. Io invece guardavo Alyssa, lei sembava più rigida di tutta la sua squadra.
"chi di voi parla meglio inglese?" domandò guardandoci uno ad uno.
Dopo aver avuto il permesso dal Sergente Marti sollevai una mano facendo un passo in avanti e nel vedermi lei accennò un piccolo sorriso con l'angolo della bocca per poi farmi cenno di seguirla.
Mi affrettai ad affiancarla mentre raggiungemmo il parapetto del ponte dove lei poggiò il piede sulla base in cemento e tirò fuori una cartina satellitare della zona.
Mi guardò facendomi capire di prestare attenzione e poi prese a spiegare indicando i punti cui faceva riferimento a voce.
"a quattro chilometri da qui c'è un vecchio forte, non è molto grande infatti conterrà un massimo di quaranta uomini circa, hanno comunque il vantaggio di essere dietro muri alti una decina di metri e soltanto due entrate facilmente controllabili, una a nord est e l'altra a sud ovest" poi mi indicò un punto all'orizzonte e nel deserto, assottigliando gli occhi notai il forte di cui stava parlando.
"io e il mio scouter ci apposteremo su questo crinale ad est mentre i vostri su questo a nord. Ci sbarazziamo delle vedette sulle mura, scusa un'attimo..."
La donna poi smise di parlare, sembrava così tanto sicura di se, quasi provava un senso di invidia nei suoi confronti. Afferrò il suo fucile e puntandolo verso il forte scrutò attraverso il mirino telescopico.
Restai quindi in attesa fin quando lei non lo abbassò.
"hanno due uomini per lato, questo vuol dire che noi cecchini dovremmo abbattere due uomini a testa rapidamente e nel mentre i nostri breaker piazzeranno del plastico sul lato nord e ovest. Questo servirà da diversivo. Sarà sicuramente un entrata tutt'altro che tranquilla ma punteremo proprio su questo, attaccando di notte li colpiremo forte e rapidamente, se tutti si muovono bene verrà un lavoro rapido".
Se poco prima pensavo fosse una tosta, a quel punto ne avevo la certezza, Alyssa era una che sapeva il fatto suo.
Tradussi tutto quanto al Sergente Marti e lui riferì al resto della squadra, fecero cenni positivi nei confronti dei Delta che risposero altrettanto.
Due squadre che unite insieme avevano un potenziale davvero devastante, sicuramente per quei talebani sarebbe stata una brutta nottata ma ciò che albergava nella mia mente era quello che io avrei dovuto fare.
C'era un'altissima probabilità che quella notte avrei ucciso qualcuno e allo stesso tempo avrei rischiato che qualcuno potesse uccidere me. Quei pensieri molto pesante mi resero taciturna, chiesi a Glauco di fare cambio posto con lui e così mi misi dietro, non mi interessava nemmeno vedere la città o quello che ne restava.
Sapevo di essere pronta per ciò che stavo andando ad affrontare, tutti gli addestramenti, le ore interminabili di esercitazioni sarebbero stati messi alla prova quella stessa notte.
Non ci fu concesso nemmeno il tempo di ambientarci, saremmo stati operativi immediatamente.
Il viaggio continuò lungo tutto il perimetro della green zone tra palazzi diroccati e strade polverose, anche se vedevo poco da dietro potevo notare che tutti i residenti fissavano i nostri blindati, alcune donne urlavano richiamando a loro i bambini altri invece si chiudevano all'interno delle loro abitazioni o negozi.
Tornammo alla base quando ormai il sole stava tramontando.
Avevamo il tempo di mangiare e riposare prima delle due di notte, anche se ero sicura che non sarei mai riuscita a chiudere occhio.
Inutile dire che il cibo fece parecchio schifo ma con la quadra scherzammo tutto il tempo per sdrammatizzare anche se di tanto in tanto Marti si raccomandava di non dimenticare niente di utile alla base.
Fu proprio durante una delle sue raccomandazioni che mi sentii poggiare una mano sulla spalla destra, alzai lo sguardo e vidi lo stesso ragazzo che mi fermò qualche ora prima.
"è assurdo quanto il mondo sia piccolo! Elisa non mi riconosci?".
Fu una di quelle famose figuracce nelle quali un vecchio amico si accorge di te e tu invece non hai la più pallida idea di chi sia.
"amico, è il modo più brutto e patetico per approcciare una ragazza". Ridacchiò Davide, tutti al tavolo ridacchiarono ma io lo guardai un po stranita e curiosa.
"no... dovrei?" replicai quindi.
"cioè, sono diverso da come mi ricordi, insomma la pubertà fa miracoli ma, io e te siamo uguali, ricordi?!".
Quelle parole mi fecero strabuzzare gli occhi, come poteva essere Enrico l'uomo che avevo difronte?
Mi aveva superato in altezza, il bambino rotondo e buffo era ora un uomo di grossa stazza, larghe braccia e petto ampio con una mascella piuttosto pronunciata e della lieve barba che la incorniciava.
"cristo santo, ma che cazzo ci fai qui?!" esclami quasi commuovendomi e senza controllarmi lo abbracciai stringendolo forte.
"è tutto merito o colpa tua, dopo quella famosa estate ho pensato e ripensato quello che mi avevi detto e prendendoti come modello non mi sono mai arreso, stavo per partecipare al corso per cecchini ma sono stato chiamato  qui e beh... eccomi!". Disse ridacchiando. ".

Quelle parole mi gonfiarono il petto d'orgoglio e mentre i miei lo presero un po in giro arrivò una ragazza, ella portava il grado di caporale, i capelli biondi erano tenuti all'indietro legati da uno chignon.
"hey ragazzi! Come va?". Domando con tono piuttosto confuso mentre guardava me e poi Enrico, quest'ultimo ridacchiò un po, indicò me e poi lei presentandoci.
"Elisa, lei è Marina la mia ragazza, Marina lei è Elisa, la ragazza di cui ti raccontavo".
Capii quindi perché la bionda mi squadrò stranita ma di certo non avevo intenzione di immischiarmi nella loro storia, oltretutto avere relazioni in un contesto simile, non la vedevo una mossa intelligente.
"oh, wow allora sono famosa" ridacchiai nel dirlo mentre mi guardai attorno nervosamente, notai i miei compagni che stavano guardando male tutta la scena mentre Marina sembrava piuttosto infastidita da tutta la situazione.
"senti Enrico, mi fa davvero piacere rivederti ma io ho poco tempo per mangiare e dormire stanotte, ricorderemo i vecchi tempi un'altra volta ok?" mi dispiacette interrompere la conversazione in quel modo ma gli regalia un sorriso che ricambio e una pacca sulla spalla per poi tornare a sedermi con gli altri quando loro due andarono verso un altro tavolo, sembrava stessero discutendo a bassa voce, probabilmente la biondina era una di quelle iperprotettive e gelose. Odiavo la gente così.
"chi cazzo era quell'idiota?" Domandò Giuseppe ridacchiando, io sorrisi sotto i baffi e feci cenno di no con la testa mentre ripresi a mangiare.
"vecchie amicizie" risposi facendo spallucce mentre con lo sguardo lo cercai trovandolo seduto a mangiare, incrociai lo sguardo con lui e sorrise.
Finito di mangiare ci alzammo tutti insieme, si creò un silenzio davvero disarmante che ci accompagnò fin quando non raggiungemmo la nostra camera.
Dopo aver messo qualcosa di comodo iniziai a sistemare l'equipaggio per quella notte:
Un Beretta ARX 160 con calcio pieghevole, mirino ACOG e un lanciagranate GLX calibro 40x46mm nel sottocanna. Una Beretta92 calibro 9x19mm parabellum, un coltello Extrema Ratio Col moschin. Ci diedero perfino quattro OD 82/Se. Quante di quelle bombe avevo lanciato durante gli addestramenti.
Era tutto pronto. Stavo soltanto riempiendo ogni mio caricatore e proprio in quel momento Il sergente Marti mi si avvicinò alle spalle poggiando su esse le sue mani, le sentii tentare una sorta di massaggio.
"Mazzoli, hai tutto vero?" domanda piuttosto inutile, ero già allora molto ordinata e premurosa quindi si, avevo tutto e il mio visore notturno era stato già attaccato alla placca frontale del mio elmetto.
"Affermativo" risposi soltanto mentre finii di riempire l'ultimo caricatore per il mio ARX 160.
"con permesso ora mi stendo, anche se non penso di riuscire a dormire". Quando lui mugugnò positivamente io mi alzai e salendo le scale mi adagiai sotto le coperte, pochi attimi dopo chiusero la tapparella e spensero la luce.
Ancora al buio, in un inquietante silenzio interrotto soltanto da lontani colpi, riconobbi alcuni fucili d'assalto. La base fu anche sorvolata da alcuni velivoli, sembrava impossibile dormire con tutti quei rumori e suoni, entravano nel cervello e lo costringevano a restare vigile, mi trovavo in una zona relativamente sicura eppure il morfeo sembrava si fosse dimenticato di me.
Iniziai a vagare con la mente, chiedendomi cosa stessero facendo in quel momento i miei genitori o Matteo, rivolsi i miei pensieri perfino a quel cretino di Riccardo, mi domandi che faccia avesse potuto fare nel vedermi in quel momento.
Poi mi ritrovai con la mente in quella spiaggia rosa, con Pedro Enrico e gli altri.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top