come la guerra ti cambia

E il mio viaggio effettivamente continuò, anche se in quel periodo non stavo realmente viaggiando, ero ferma a casa mia ma dopo tutto il trambusto, meritavo un po di pace no?
La vita da "civile" aveva alti e bassi, nonostante fossi contenta di stare a casa coi miei genitori alle volte mi annoiavo parecchio.
Scoprii un lato molto pigro del mio carattere visto che inizia a passare molto tempo davanti al pc o alla ricerca di qualche film da guardare in streaming.
Mi resi conto che chattando su facebook potevo fare diverse conoscenze, non li chiamavo amici ma quanto meno erano persone con cui mi divertivo a chattare, spesso si estendevano lungo tutto l'arco della giornata salvo quando ero troppo impegnata per stare al pc o al cellulare.
Comunque non trascuravo l'allenamento fisico. Un giorno si e uno no andavo a correre nei campi cercando di impiegare sempre meno tempo a percorrere lo stesso tragitto. Ero in grado di correre anche per una trentina di chilometri adeguando il ritmo.
La casa che i miei genitori comprarono oltretutto aveva un vasto cortile sul retro e abitando in una zona piuttosto appartata spesso mi allenavo al tiro con una Beretta 92 comprata poco dopo il mio rientro dalla Sardegna. Era un ottimo modo per sfogare la tensione quando sentivo l'incubo dell'iraq assalirmi.
Infatti capitava spesso che per banalità mi trovavo a disagio, in eccessiva allerta o magari, per quanto mi odiassi... Sfuriavo contro i miei genitori durante le discussioni. Era più forte di me, non riuscivo a controllarlo e quando capitava loro mi guardavano spaventati e rattristati.
Quando accadeva ne parlavo con lo psicologo che supervisionava il mio caso, sarebbe stato lui a decidere quando e se fossi stata pronta a tornare tra i ranghi. Io ero divisa in due; da una parte non vedevo l'ora di indossare l'uniforme. dall'altra, quella vita mi piaceva anche se sapevo non sarebbe stato possibile oziare tutto il tempo.
Uscivo poco di casa, solo di venerdì e di sabato quando Matteo o Pedro potevano, esatto. Recuperai anche il rapporto con Pedro e ad essere del tutto onesta, feci sesso con lui diverse volte anche se lui era ancora fidanzato. In quel periodo sembrava non mi fregasse di niente e soprattutto di nessuno. Ogni persona che vedevo, senza nemmeno conoscerla davvero appariva ai miei occhi come una persona vuota, miserabile che viveva una vita triste e monotona. Erano gli stessi che magari sui social facevano post come "mai un gioia" per ragioni così talmente inutili che avrei voluto prendere questi soggetti e portarli con me in iraq a fargli vedere cosa significasse non avere davvero nessuna gioia nella vita.
Una sera io e Matteo eravamo andati ai Gigli, un grosso centro commerciale a Firenze. Optammo per una serata cinema dopo la quale andammo in una pizzeria lì vicino con un nome simile a qualcosa come "ciack si mangia". Nome quanto meno azzeccato visto che si trovava praticamente alla sinistra della biglietteria del cinema stesso.
Comunque sia, nomi a parte, quello che vale la pena di esser raccontato fu che dentro, mentre trovammo posto a sedere. Guardai un po scettica le pareti gialle di quel locale e mentre mi ambientavo incrociai gli occhi con l'ultima persona che pensavo di rivedere. Riccardo, lo riconobbi subito nonostante avesse una folta e curata barba bionda e i dilatato sui lobi delle orecchie. Quanto i capelli erano rasati sui lati e tenuti lunghi al centro, tenuti in un codino che cadeva sulla nuca. Le braccia completamente tatuate.
Ci guardammo per qualche secondo nel quale mi bloccai.
"che hai?" domandò Matteo guardandosi alle sue spalle per poi voltarsi ancora verso di me, faccia incredula che cercava di non ridere.
"hai visto chi c'è? Il tuo amore" disse lui prendendomi in giro, così gli diedi un calcio sullo stinco.
"ma falla finita! come cazzo si è conciato?" domandai retoricamente.
Ci guardammo mentre sghignazzavamo sotto i denti e a quel punto arrivò un cameriere che ci guardò stranito.
Ordinammo dopo esserci scusati in modo imbarazzato, avevamo appena fatto quella che veniva chiamata figura di m...
A rendere la situazione più imbarazzante ci si mise lo stesso Riccardo che squadrandomi più di una volta mi fece capire che m'aveva riconosciuta. Abbozzò perfino un sorriso e con un movimento lento ed insospettabile, si carezzò il punto in cui lo ferii al braccio anni prima. Non mi scomposi ma dentro di me provai una profonda soddisfazione anche se ricordare quei tempi mi dava solo fastidio.
Però mi bastò semplicemente aspettare un po, mangiare la pizza che avevo ordinato per capire che lui era rimasto lo stesso idiota che conoscevo. Sicuramente cresciuto fisicamente era però rimasto un idiota che parlava di cazzate e che fumava erba, ne stava rollando proprio una sul tavolo dove sedeva, senza pudore alcuno.
Mi concentrai sul mangiare la mia pizza, non di certo una delle migliori ma divoravo davvero qualsiasi cosa, bastava fosse commestibile.
Così mentre cenavo discutevo con Matteo del film che avevamo appena visto, trovandoci d'accordo che non fosse poi tanto bello come ci aspettavamo. Non ricordo bene che film andammo a vedere, doveva essere un action o simili perché ricordo che nelle scene delle sparatorie io ridevo per come tenevano le armi. Sentire i colpi di arma da fuoco stranamente non i aveva disturbato così tanto come temevo prima di entrare in sala.
Poche ore prima infatti ero convinta che nelle scene d'azione sarei scappata o mi sarei sentita male nel ascoltare simili suoni per davvero... la verità? Dalle casse di un cinema, per quanto forti fossero state, il suono dei proiettili non era mai simile a quando fischiavano vicino le orecchie minacciando di ucciderti.
Senza rendermi conto Riccardo si era avvicinato a noi, mi accorsi della sua presenza quando poggiò i palmi sugli angoli del tavolo.
"hey Elisa! Quanto tempo" esclamò sorridendomi, poi si voltò verso Matteo e fece cenno di si.
"e tu sei... Matteo! Ancora in giro voi due eh?" aggiunse voltandosi verso di lui.
Stavo per rispondergli di andarsene ma prese una sedia e si sedette a capo tavola, con il petto poggiato allo schienale della sedia.
"davvero? Ti siedi come un bad boy delle serie tv anni cinquanta?" domandai ironica ed acida.
Lui mi guardò divertito con quella sua faccia da schiaffi.
"icché c'hai da ridere?" domandai incalzandolo. Parve sorpreso dal mio modo freddo di reagire. Che si aspettava? Un accoglienza da grande amicone d'infanzia? Così restai in attesa, creando quel tipico ed imbarazzante silenzio.
Matteo tentava di nascondere un sorriso imbarazzato mentre io tamburellai le dita sul piano del tavolo, l'altra mano stretta nella bottiglia di birra che stava accompagnando la mia cena.

"è così che accogli un vecchio amico?" domandò lui valorizzando quindi la mia ipotesi.
Presi ancora del tempo ridacchiandogli in faccia, bisognava davvero essere stupidi o avere una faccia tosta per presentarsi in quella maniera ad una ragazza a cui si è fatto passare momenti orribili.

"noi non siamo amici" esalai mente nell'altro tavolo i loro amici ridacchiavano, probabilmente ancor più stupidi di lui.

"oh bischero! Non te la da!" esclamò uno dei due a cui mostrai un sorriso decisamente sarcastico e ed un terzo dito ben sollevato.

"sei arrabbiata per cose successe a scuola? Eravamo ragazzi!" si scusò lui.

Io presi tempo afferrando la mia pizza a cui diedi un lento morso.

"abbiamo finito? Sto mangiando" fui glaciale così lui sollevandosi colpì leggermente il tavolo due volte con la mano e finalmente si tolse di mezzo.

Guardai ancora Matteo che libero di ridere sghignazzò ed io con lui.

"è così che tratti un vecchio amico?" scimmiottò lui facendomi ridere ancor di più.

"che coglione" aggiunsi facendo cenno di no morendo ancora una volta quella pizza ormai semifredda.

Usciti dal centro commerciale avevamo iniziato a parlare dell'iraq, non quello che avevo fatto ma quello che avevo visto; se non fosse stato per la guerra quel paese era veramente bello. Era capitato che alcune volte, dopo lunghe marce di guardia nella greenzone mi ero stesa a guardare il tramonto.
Le sue sfumature che andavano dal giallo al viola rendevano il deserto un posto strano, quasi romantico oserei dire. Poteva offrire viste mozzafiato da guardare comunque con un occhio sempre vigile. Stesa sulla sabbia, poggiata contro la ruota di un blindato riempivo i polmoni quasi fino scoppiare rilasciando poi tutto. I piedi formicolavano urlando libertà da quei grossi anfibia, le spalle erano pesanti e gli occhi tentavano di chiudersi. Nonostante tutto ero felice, perché stavo facendo quello che avevo sempre voluto fare, potevo dare il mio contributo alla difesa di persone che da sole non avrebbero potuto. Nonostante la consapevolezza di aver ucciso degli esseri umani mi sentivo in pace con me stessa. Quello che non sapevo, seduta a guardare il deserto era che quando si uccide una persona e nessuno ti dice che sia sbagliato, nella mente umana possono avvenire meccanismi che nel mondo civile diventano problematici. Involontariamente vedevo chiunque inferiore a me, era sbagliato ma non potevo farci niente. Tutti quanti mi davano sui nervi per le ragioni più stupide, per questo quando vidi due ragazzi poggiati sulla volkswagen Scirocco di mio padre, sentii il sangue ribollire. Uno di loro era abbastanza robusto, capelli corti castani e un viso da porcellino. l'altro invece più magro come un chiodo da i tratti molto squadrati che riconobbi immediatamente del nord Africa.
"oh!" urlai piuttosto innervosita avanzando verso di loro a gran passo, il ragazzo cicciottello spaventandosi diventò paonazzo e subito si staccò dall'auto.
"scusa" biascicò frettoloso ma nello stesso tempo, il suo amico non sembrava altrettanto remissivo.
"che cazzo vuoi".
Ridacchiai divertita e quando Matteo cercò di afferrarmi per un braccio ricordandomi cosa io fossi scrollai la spalla e mi avvicinai al ragazzo allargando le mani mentre le braccia stavano lungo i fianchi. Un chiaro invito che lui accolse subito.
Mi abbassai per schivare il suo gancio e placcandolo lo scaraventai per terra mentre i nostri rispettivi amici chi chiedevano di smetterla.
Non capii nemmeno perché ma mi sentivo infuriata, iniziando a dargli del "negro di merda" iniziai a colpirlo ripetute volte sul viso, al secondo pugno sentii il suo naso rompersi e il suo viso si riempì di sangue così come la mia mano destra ma non riuscii a fermarmi, continuai a colpirlo anche quando le sue braccia caddero sull'asfalto. In quel momento non sentivo niente e le mani di Matteo e dell'altro ragazzo non riuscivano a portarmi via. Lui gorgogliava qualcosa tentando di sollevare la mano per cercare di difendersi ma io portai le mani alla sua gola e strinsi... strinsi sempre di più inalando violentemente aria dal naso. Sentivo la sua gola contrarsi mentre tentava disperatamente di respirare.

 "no! No ti prego non lo fare!" Urlò disperato il suo amico "scusaci non volevamo, scusaci!"
"Elisa... lo stai uccidendo! Elisa lo ammazzi, fermati ti prego!".
In quella campana di vetro che mi ero appena creata, concentrata solo nel far fuori quel bastardo che però non mi aveva fatto niente di grave, riuscii a sentire la voce di Matteo e quando tolsi le mani riuscì a trascinarmi via.
Tutto Tornò alla normalità e guardai con terrore quello che avevo appena fatto; il ragazzo si lamentava tossendo mentre il suo amico in lacrime andò subito ad aiutarlo.
"ma perché lo hai fatto? Non c'era bisogno di picchiarlo in questa maniera, lo potevi ammazzare... ti prego facci andare via".
Mi sentii malissimo per come quel ragazzotto mi parlava, la voce rotta dal pianto e dalla paura mente aiutava il suo amico ad alzarsi.
Poco più in là notai alcune persone che si erano fermate a guardare il tutto atterrite, sentivo tutti gli occhi puntati addosso. Io dovevo difendere le persone, non aggredirle in quella maniera. Guardai le mie mani che sporche di sangue tremavano senza controllo.
"andiamo via..." esalai "dai Matteo andiamo via" alzai la voce mentre entrai di corsa in auto e scappai da quel parcheggio. Non ebbi più notizia di quei ragazzi, non ci furono ripercussioni ma quella sera non riuscii a dormire.
L'espressione del suo amico era la stessa di quella nel volto di chi vedeva un suo caro venir ucciso dai terroristi, era la stessa identica cosa. Solo che al posto di salvare lui e il suo amico, in quel caso il terrorista ero io.
Nonostante insistette di volermi restare accanto io cacciai Matteo dicendogli di voler restare sola e per tutta la notte continuai a ripetermi che non ero quello, tutta la violenza mi aveva trasformata in qualcosa che non riconoscevo. Il rimorso del mio gesto mi fece piangere, non volevo essere così.

Le giornate andarono avanti in fretta e quasi tutti uguali.
spesso mi piaceva annoiarmi, svegliarmi tardi il mattino e non fare niente ma mentre questo accadeva mi resi conto che vivere così non era affatto bello, mi mancava indossare l'uniforme e restare impegnata. Oltretutto nell'ozio i pensieri mi assalivano; era come un mal di denti, se si sta fermi a pensare al male questo distrugge, quindi volevo assolutamente tenermi impegnata per non stare male.
Anche perché nel mio stare male spesso mi sfogavo sui miei genitori con rabbia o maleducazione e quando accadeva, fuori dal mio controllo, poi mi sentivo in colpa e andavo da loro a chiedergli di scusarmi, che non lo facevo apposta. Mia madre ogni volta mi abbracciava spiegandomi che comunque andava lei mi voleva sempre bene e che ero la sua bambina, quindi non poteva arrabbiarsi con me.

Le inventava tutte per tenermi impegnata e io l'ascoltavo un po per non sentirla lamentarsi e un po perché comunque non avevo molto da fare.

Col duemila tredici alle porte, aspettavo gennaio per il mio rientro nel reggimento. Avevo così tanta voglia di tornare a lavoro che molte volte indossavo l'uniforme e guardandomi allo specchio sospiravo con sollievo.

Oltretutto, la consapevolezza che al mio rientro avrei iniziato il corpo per sniper rendeva l'attesa ancor più straziante.

Mi domandavo costantemente se sarei stata all'altezza e questo dubbio mi tormentava ogni istante facendo compagnia a tutti i problemi che già erano causa di stress.

Per questo la pelle ai lati delle mie unghie era tutta mangiucchiata e alle volte colpendo il sacco da boxe a mani nude finivo col farmi male il suono dei pugni riecheggiavano violenti in tutta la stanza.

Una mattina mi svegliai a fatica. La sera prima ero stata sveglia fino le quattro, i ricordi di Enrico e i rimorsi mi divorarono lasciandomi dormire solo quando fui troppo stanca per pensare ancora.

Potevo sentire dei lamenti che poco a poco si fecero sempre più vicini. Quando capii si trattasse di mia madre scattai in piedi come una molla avviandomi verso la porta che aprii. Dietro di essa trovai mia madre con uno sguardo dolorante, l'avevo anticipata perché il suo braccio era proteso nell'intenzione di afferrare la maniglia.

"mi si sono rotte le acque" bisbigliò.

Caos... Totale! Mi guardai attorno terrorizzata cercando di capire come comportarmi.

Mio padre era di turno in chi sa quale punto d'Italia.

"ma porca puttana!" esclamai mentre corsi verso le scarpe.

"le parole!" mi rimproverò lei con voce dolorante.

Indossate le scarpe presi il mio giubbotto e praticamente in un pigiama verde menta misi il collo sotto l'ascella di mia madre per aiutarla a camminare.

"non manca un mese?!" le domandai mente uscimmo di casa, ignorando il suo rimprovero per le parolacce, non era decisamente il momento.

In poco salimmo In macchina e percorsi le strade a tutto gas verso il pronto soccorso più vicino.

Conoscevo poco Prato quindi dovetti usare il navigatore nel telefono per raggiungerlo.

Ignorando semafori rossi e stop, speravo soltanto di non essere fermata proprio in quel momento.

Lei mi diceva di restare calma, doveva partorire ed era più tranquilla di me. Potevo restare calma sotto una pioggia di piombo ma con una donna incinta sul punto di partorire, non sapevo proprio come comportarmi. Specie se la donna in questione era mia madre e stava per dare alla luce mio fratello o mia sorella prematuramente. Speravo che il bambino non avesse avuto problemi di salute e soprattutto speravo fosse un maschio.

Rischiai di causare alcuni incidenti ricevendo colpi di clacson e probabilmente le maledizioni degli altri conducenti ma mente la strada si faceva sempre più breve mia madre continuava a lamentarsi.

"non mi partorire in auto mà!" esclamai facendola sorridere anche se in modo.
"tranquilla, resisto... adesso chiamo il babbo" mugugnò.
Qualche minuto più tardi, avevo il lato del pollice stretto tra gli incisivi, seduta in una sedia di plastica nella sala d'attesa e con una gamba accavallate che continuavano a muoversi nervosamente. Aspettavo che qualche dottore o infermiere mi chiamasse e nel mentre speravo che tutto sarebbe andato per il verso giusto.

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