bentornata a casa

Non fu lungo il viaggio che da Lamezia Terme ci portò a Roma, ci avevano avvisato, ancora una volta che al nostro arrivo molte persone importanti sarebbero state presenti e che i giornalisti avrebbero tentato di divorarci come pesci in una vasca di squali.
Onestamente? Non ero pronta per tutto questo, volevo solo poter andare a casa e rilassarmi una volta per tutte. Non mi interessava apparire in televisione o esser messa in una piazza come qualcosa da esibire.
La macchina in cui ci trovavamo era scortata dalla polizia e all'interno, attraverso i vetri oscurati, vedevo tutta la città in movimento.
Persone che passeggiavano o altre imbottigliate del costante traffico di quella eterna città.
La cosa che più mi fece strano fu vedere tante persone che bene o male erano tranquille, sicuramente ognuno con i loro problemi personali ma lontani da tutte quelle orribili cose che per mesi mi avevano accompagnata. Un po come se tutti, in un certo senso, facessero finta che dall'altra parte del mondo, la guerra non esistesse. Futili preoccupazioni date da una vita al sicuro li rendevano sordi e quanto più ciechi rispetto la verità dei fatti, verità che persone come me vedevano fin troppo chiaramente.
Alla fine L'auto terminò la sua corsa e quando scesi, guardandomi attorno mi accorsi di essere in piazza del Quirinale, gremita di persone sotto ombrelli che li coprivano da una leggera pioggia.
Un cielo grigio e fitto che non mostrava spiragli. La luce dei Flash iniziò ad abbagliarmi nell'esatto momento in cui uscii dall'auto.
Mi infastidivano, sembrava che qualcuno mi tenesse sotto tiro con delle luci stroboscopiche.
Dovetti restare rigida ma volevo mettere le mani d'avanti la faccia per evitare i fastidiosi abbagli.
Fu Preparata per l'occasione una specie di passerella isolata tramite delle barriere pedonali metalliche, queste formavano un lungo corridoio e isolavano una grossa porzione della piazza dove un piccolo palco ci stava attendendo. Ornato con le bandiere tricolore e dell'unione europea.
"manco fossimo delle star" sussurrò Glauco, io non risposi, piegai appena i lati della bocca mentre camminavamo.
Guardando in alto notai il premier Monti fissare noi due, dietro Il Colonnello.
Una volta saliti sul palco i flash aumentarono, soprattutto quando lui ci strinse la mano e poi iniziò a parlare.
Un discorso patriottico, di quelli che fanno fare bella figura ma che non restai ad ascoltare.
Si riempiva di parole che non gli appartenevano e in tutto quel che per me era solo una grossa farsa, cercavo le uniche persone che davvero volevo vedere; i miei genitori. Sapevo in cuor mio che erano tra tutte quelle persone ma coi continui flash mi era impossibile individuarli.
E intanto Il presidente del consiglio parlava, continuando a dire quanto importante fosse il nostro lavoro e quanto rispetto meritavamo, nessuno si domandò cosa mai ci facevamo in Somalia e cosa più importante quelle bombe dal fumo rosso non vennero nominate nemmeno per sbaglio.
Insomma, dicevano che eravamo eroi per quello che avevamo fatto senza dire effettivamente, cosa stavamo facendo.
Ecco perché, per quello che mi riguardava era tutta una gigantesca messa in scena.
Durò anche fin troppo quel teatrino, un discorso dietro l'altro nel quale noi, restammo semplicemente fermi e in piedi, rivolti verso la folla, protagonisti assenti di tutto quel comitato.
Erano gli altri a parlare per noi, quello che facevamo era stare sul posto e ogni tanto, almeno per quello che mi riguardava, fingere di sorridere.
Questo fin quando non fui chiamata, durante il giorno di riposo che precedette la nostra partenza, Glauco aveva testimoniato quanto io avevo fatto per lui nel deserto.
"Il caporale Mazzoli che già si è fatta rendere nota per essere stata una delle poche donne ad entrare nel nono reggimento arditi Col moschin, sopravvissuta ad un grave incidente aereo, ha trasportato in una zona desertica, un suo sottoposto ferito per una distanza pari a trenta chilometri con le sole sue forze, salvandolo quindi da morte certa. Nel prendere questa eroica decisione, Il caporale Mazzoli ha messo da parte se stessa, non curandosi di poter perire nell'aiutare un suo sottoposto e cittadino italiano, nel vero spirito delle nostre forze armate di cui sono orgoglioso, per questo è stato deciso di premiarla con la più alta onorificenza, la medaglia all'onore". Il discorso Di Giorgio Napolitano, fu lungo esattamente come tutti gli altri ma questo mi lasciò di sasso alla fine, non volevo crederci che stavano per darmi una medaglia all'onore e tanto meno non mi aspettavo di riceverne una.
Invece mossi qualche passo per affiancarlo, la teneva tra le mani, al sicuro in una cofanetto dalla superficie vitrea.
Lui stesso la lego al mio collo, lo salutai con la mano sulla fronte ma poi strinsi la sua, quando lo vidi porgermela.

Subito dopo guardai verso Glauco che in maniera impercettibile mi fece un occhiolino.
Capii al volo che la storia fu confermata da lui.
Dovevo sentirmi orgogliosa e felice, invece quella medaglia non cambiava niente, era bello aver ricevuto un riconoscimento ma anche se sorridevo, in realtà non mi importava niente.
Portavo enorme rispetto a quella medaglia ed il suo significato ma non ero diventata un soldato per ricevere onorificenze.
Capii che avrei dovuto dire qualcosa, sentii le gambe cedere al punto che temetti di cadere per terra, intanto attorno si era creato un inquietante silenzio che solo la pioggia, a quel punto aumentata, rompeva.
Il presidente della repubblica mi fissava, pochi metri alla mia destra, in realtà, tutti mi fissavano aspettando di sentirmi dire qualsiasi cosa.
Sentii la mia voce rimbombare ovunque quando la schiarii difronte al microfono.
"innanzitutto ringrazio chi ha organizzato questo ben tornato, avete fatto le cose in grande ho visto..." dissi e dalla folla scaturì qualche risatina che mi aiutò a sentirmi meglio.
" non posso che sentirmi orgogliosa di questa medaglia, rappresenta davvero molto. Vorrei dedicarla ai miei compagni e al mio sergente che oggi non sono qui con noi, vorrei dedicarla al fante Di Gennaro" Mi voltai qualche secondo verso di lui facendogli cenno di raggiungermi.
"eravamo tutti dei fratelli e lui è l'unico che mi è rimasto adesso, per questo vorrei chiedervi di smetterla almeno un minuto di fare fotografie e di raccoglierci in un minuto di silenzio per tutti i miei compagni". Immediatamente le foto cessarono e dopo un primo attimo di titubanza in tutta quella folla calò uno strano silenzio.
Io restai a testa alta, volto rigido ma occhi che saettavano tra la folla.
Quelle persone come potevano avere rispetto per qualcuno che nemmeno conoscevano, ognuna di loro sarebbe stata pronta a dire di rispettare il nostro operato ma nessuno lo avrebbe poi compreso a pieno, così come la perdita di un compagno. Fu piacevole fargli capire quanto irrispettoso fu il loro non aver rispetto dei caduti. O magari ero soltanto io che li vedevo in una luce diversa, contorta.
Sentivo di odiarli tutti quanti, senza un vero e proprio motivo.
Pensavo che fermando le fotografie almeno per un po, avrei potuto scorgere i miei genitori... non fu così.
Alla fine dell'evento ci venne detto che saremmo partiti il giorno stesso in direzione Livorno e che li, ci avrebbero assegnato un periodi di licenza nel quale comunque dovevamo sottostare a visite psicologiche. Ancora una volta dovevo rivedere degli psicologi ma quanto meno sarei stata a casa.
Ci fecero spostare con un comune treno civile ma alla stazione, ad aspettare me e Glauco c'erano le nostre famiglie, stavano parlando tra di loro quando ci videro da lontano.
Guardai negli occhi mia madre, ci fissammo da lontano mentre mi accordi da subito che stava piangendo.
Immaginai mille volte il nostro incontro e ogni volta, me la immaginavo correre verso di me.
In realtà non avrebbe potuto. Stava a braccetto con mio padre che la accompagnava in una lenta andatura. Quello fu uno dei pochi ricordi di mio padre sorridente. Io non volevo credere a ciò che vedevo, ne ero dannatamente felice, mia madre con questo enorme pancione. Per tutto il tempo non me lo avevano detto.
Quando li raggiunsi la abbracciai cercando di non premere contro di lei che però mi strinse fortissimo e tenendomi stretta scoppiò in un pianto disperato.
Continuava a dirmi che non credeva avrebbe potuto rivedermi, che non dormiva la notte e tante altre cose che mi rattristarono.
Però ero lì, dopo tanti casini ancora tra le sue braccia, quando finalmente si staccò mi carezzò il viso ripetendomi più di una volta quanto fossi bella e io ridacchiavo ogni volta.
Alla mia destra, Glauco era stato sommerso dai parenti, ci guardammo negli occhi e lui mi fece un occhiolino prima che la sua ragazza praticamente non tentasse di divorarlo con la bocca.
Io nel mentre abbracciai mio padre, mi strinse forte, commosso anche lui e per quanto gli volessi bene mi faceva strano vederlo in quello stato. Era sempre stato parecchio composto del resto.
"avete già deciso i nomi?" domandai io sorridente mentre poggiai la mano sulla panciona.
"Leonardo se è maschio, Alice se femmina".
Mi piacevano entrambi, davvero. Sarei diventata la sorella maggiore e questo era il regalo più bello che mi si potesse fare.
"devo chiedervi una cosa" dissi a loro che si mostrarono subito disponibili.
"certo, dicci pure" Ribadì mia madre.
"devo chiedervi di portare pazienza ancora un po, quando mi daranno licenza non posso tornare a casa, devo andare in Sardegna..." Presi fiato e poi parlai rapidamente come per scusarmi.
"ci sono delle cose che devo fare ma potreste venire anche voi insomma, come ai..." Fui bloccata da mia madre che sollevò la mano.
"non preoccuparti Eli, fai quello che devi fare, noi siamo a casa, mi basta sapere che sei al sicuro".
Tranquillizzata l'abbracciai ancora e la ringraziai.
Fu un incontro breve visto che dovevamo salire sul treno, quindi dopo altri saluti ci separammo da loro.
Entrambi con le lacrime agli occhi.
Salendo sul treno, un gruppo di ragazzini ci fissarono mentre noi prendemmo posto uno difronte all'altra in uno di quei spazi da quattro sedili, i nostri zaini poggiati difronte.

Mentre parlavo la capra belò l'ennesima volta, così mi bloccai per prendere la Beretta posta sulla destra del mio fianco anche se poi mi fermai, non potevo rischiare di far saltare la copertura sparando un colpo d'arma da fuoco, non importava che fosse silenziata, il rischio era troppo alto per una stupida capra.
"sei una persona orribile, sappilo" mi rimproverò Cheese.
"non è affatto vero" sussurrai riposizionando le mani sul fucile. "coraggio, raccontami del tuo addestramento per diventare uno sniper". Lo incalzai quindi.
Lui fece cenno di no con la testa e mi indicò.
"questo è il tuo turno di raccontare, dopo la missione sarà il mio!" rispose lui così, ancora una volta feci quella cosa che tanto odiava.
"è un ordine" tuonai con tono piatto e severo; come immaginai, sollevò gli occhi al cielo e sbuffò.
"allora ve..." si bloccò quando feci il verso di una capra. "vediamo, mi ricordo che...". Lo feci ancora e per qualche secondo restò zitto.
"inizialmente ci face..." Belai ancora e lui si stancò.
"ho capito ma è impossibile così!".
Fui soddisfatta nel vederlo arrabbiarsi e gli afferrai la spalla.
"esatto" risposi tutta contenta. "ecco perché vorrei ucciderla".
Anche in questo caso Cheese restò per poco in silenzio, inclinandosi come per allontanarsi da me o guardarmi meglio.
"stai veramente dando di matto per una capra?" affermò.
Non risposi, guardai avanti e lasciai cadere l'argomento.
All'orizzonte iniziava, poco per volta a schiarirsi, mancava ancora molto ma la notte stava finalmente terminando.
L'aria era ancora fredda e il vento, se pur più calmo di qualche ora fa, soffiava comunque molto forte.
"guarda, hanno fatto ancora il cambio della guardia" sussurrai a cheese, prima di rispondermi controllò anche lui.
"già, sembra che lo fanno ogni due ore" replicò lui.
Ormai l'orario d'attacco era stato selezionato, ma con un dato simile avremmo sicuramente aiutato i nostri compagni.
Così contattai Bighouse che rispose in tempi brevi, dopo aver ricevuto il permesso di parlare spiegai la situazione.
"Ricevuto Delta, sicuramente può tornarci utile, modificheremo l'orario d'attacco in base a questo dato, attaccando quindi durante un cambio della guardia, ottimo lavoro Delta, passo e chiudo".
Sospirai rilassandomi "e se ne va". Usai un tono giocoso che fece ridacchiare il mio Spotter.
Ennesimo momento di silenzio che nasceva quando le parole necessarie finivano, ancora una volta interrotto da Cheese che sembrava ostinato nell'avere una conversazione.
"come è stato tornare in Sardegna dopo tanto tempo?".
Sorrisi, perché con lui proprio non avevo scampo.

Molto bello ma prima accadde qualcos'altro di davvero bello.
Finalmente fu ufficiale il mio stato di licenza, per quattro mesi sarei rimasta a casa e nel rientrare, avrei dovuto superare un test psicologico che attestava la mia idoneità mentale.
Avrei quindi passato il capodanno a casa mia, magari con Matteo visto che ne parlammo mesi prima.
Tornai a casa in treno da Livorno verso Firenze. Dare il mio addio a Glauco fu altrettanto doloroso ma quanto meno sapevo che da quel giorno in poi sarebbe stato bene, a casa sua con una vita quanto più normale. Fu l'ultima volta che vidi quel biondino per il quale avevo rischiato di morire.
Durante il viaggio mi addormentai, stremata da tutti gli spostamenti continui nonostante fossero passati pochi giorni dal mio rientro in italia ancora non ero riuscita a riposarmi come si deve.
Dopo mesi ero tornata ad indossare abiti civili; un giubbotto nero con un grosso cappuccio imbottito di finta pelliccia e dei jeans scuri. AI piedi portavo ancora gli anfibi però le cui suole erano ormai diventate piatte. In quei mesi avrei sicuramente dovuto cambiarli.
Crollai con la valigia sulle ginocchia, non la lasciavo mai nel vano in alto, avevo sempre ansia di dimenticarmela lì.
Durante il sonno no sognai niente e fu parecchio tranquillo. Poter dormire in tranquillità era davvero bello anche se nel silenzio mi sembrava quasi poter sentire ancora i colpi di arma da fuoco riecheggiare, come se la mia mente fosse una grossa stanza vuota e il suono si potesse quindi propagare ovunque.
Quando aprii gli occhi, sbalzata da un sobbalzo del treno, ero ormai quasi giunta alla stazione di Firenze Santa Maria Novella.
Restai ferma impassibile ma dentro ero felice, lo ero davvero.
Ormai lontana dagli orrori cui l'Iraq mi aveva sottoposta. Lontana dalla sua terra arida e dalle morti.
Ci eravamo accordati per telefono, quindi una volta scesa avrei trovato Matteo ad aspettarmi con quella sua barbetta da intellettuale.
Avrebbe dormito a casa mia e poi sarebbe partito con me per la sardegna.
"casa..." sospirai toccando il finestrino alla mia destra con le nocche dell'indice e del medio.
"sono a casa".
Ed il treno si fermò lentamente facendo però aumentare i battiti del mio cuore.
Scesi dal treno, tenendo ben salda la borsa sulla spalla destra, questa era nera con lo stemma dell'esercito.
Mi guardai attorno; la stazione era esattamente come la ricordavo, col tetto spiovente in vetro e il pavimento in marmo a strisce bianco e marroncino.
Un viavai di gente che parlava tra loro o stava sotto i tabellone degli arrivi coi nasi all'insù.

Non dovetti aspettare molto prima di udire il primo "maremma maiala" lanciato da un signore che correva verso un treno ormai in partenza.
Quella imprecazione, più di ogni altra cosa fu praticamente la vera conferma di essere tornata nella mia bellissima firenze.
"elisa!" sentii urlare dietro di me, mi girai e vidi Matteo, aveva davvero quella maledetta barbetta.
Lasciai la valigia e corsi verso di lui.
Corsi così tanto che quando lo abbracciai lui perse l'equilibrio.
"ooh attenta tu mi fai boccare" si lamentò ma non ebbe il tempo perché finimmo entrambi per terra.
Lo tenevo tra le mia braccia e lui emise un gemito indolenzito.
"Elisa, così mi ammazzi" esalò lui lamentandosi anche se nel mentre ridacchiava.
"non importa, voglio stare qui..." sussurrai.
Sprofondai il viso nel suo petto, sentendone il profumo, non mi importava che qualcuno potesse guardarci male, del resto eravamo in mezzo una stazione.
Le mie braccia non volevano lasciarlo andare.

Ed era forse quella la vera essenza di felicità, fuori da ogni contesto materiale e di "valore" inteso come ricchezza.
Quando dopo anni lontana da casa e mesi passati all'estero, la faccia di una persona davvero cara allevia ogni dolore e senti tutte le forze abbandonarti, non per stanchezza ma per pura e semplice calma. Tra quelle braccia sapevo di non dover più lottare, stare attenta alla mia vita.
Quelle braccia, come quelle dei miei genitori, erano il benvenuto che consideravo vero.
"mi sei mancata" sussurrò mentre alla fine ci alzammo.
"anche tu, non vedevo l'ora di vedere quella tua brutta faccia!" ridacchiai e lui con me.
Preso il borsone quindi ci avviamo verso l'uscita e nel sapere che era venuto a prendermi con la sua auto, la cosa mi strappò dalla bocca un sorriso malinconico. Pensai a quando andavamo a scuola insieme, certo il nostro passato non fu tutto rose e fiori ma lo avevamo passato ed era davvero l'unica persona di cui mi importava di quella che era la mia vita prima.
"allora signor dentista, con quale macchina è giunto a scarrozzarmi?" usai un giocoso tono regale e lui stette al gioco.
"per dincibacco, la Ferrari e la Lamborghini hanno un sinistro ai loro motori, indi per cui la Yaris l'attende".
Lo spinsi appena facendo cenno di no con la testa.
"è una macchina orribile" lo presi in giro.
"ma la macchina orribile la porterà a casa".
Stavo per rispondere quando impattai contro qualcuno, non fu un colpo particolarmente brusco ma la figura che aveva una felpa con cappuccio nera mi poggiò una mano sulla spalla roteando davanti a me per evitarmi.
"mi scusi" esalai. "ero distratta" aggiunsi poi.
La sua risposta mi fu del tutto inaspettata, non riuscii a scorgerlo in volto ma notai una folta barba.
"non preoccuparti elisa, è tutto ok" disse semplicemente allontanandosi.
Restai a guardarlo cercando di capire chi fosse, magari un mio vecchio compagno di scuola o qualcosa di simile.
Girandomi verso Matteo notai che mi stava fissando stranito almeno quanto me.
"ma chi è?" Domandò. Io sollevai le spalle e quando mi girai verso la direzione dove stava camminando, questo era già sparito nella folla.
Lo cercai per un po fin quando non mi stancai.
"boh... non ne ho idea, non sono riuscita a vederlo in faccia" spiegai tornando a camminare.
"va beh, chi se ne frega" aggiunse quindi Matteo.
"già".

La stessa sera uscimmo a Firenze nonostante il freddo, dovevamo festeggiare e per farlo mi portò in un irish pub.
Pieno di gente che parlava creando quel tipico brusio presente in certi posti, difronte la porta d'ingresso, ad una quindicina di passi si trovava il bancone, poi il locale si estendeva su due ali.
Arredamento in legno scuro; tavoli composti da botti su cui era stato incollato un disco di vetro scuro.
Era pieno di foto e sculture in legno affisse che riguardavano le Harley davidson o il mondo della musica rock.
Non avevo badato molto al vestiario, lasciai perdere anche il trucco mentre i capelli erano liberi di scivolare verso il basso.
Prendemmo posto e tolsi il giubbotto restando con un maglioncino nero di lana; ordinai una qualsiasi birra bionda media e degli anelli di peperoni fritti.
Non vedendo l'ora di poter mangiare finalmente del cibo spazzatura.
Mentre parlavo con Matteo, i proprietari fecero partire la musica, questa iniziando ad altissimo volume fece rimbombare violentemente le casse e senza che me ne resi conto sobbalzai.
"hey.. è tutto ok?" domandò lui.
Avevo il cuore che batteva a mille e non ne capivo nemmeno il motivo.
Quando arrivò la birra mi ci fiondai bevendone un grosso sorso.
" si sto b..." smisi di parlare perché mentre muovevo le labbra mi scappò un sonoro rutto. Molto poco femminile.
Lui sollevò le sopracciglia e ridacchiò.
"bonjour finesse".
Quella mi fece ridere e in un momento di imbarazzo mi guardai attorno, notando che un gruppo di ragazzi ogni tanto guardava verso la nostra posizione, sorridevano tutti e la cosa mi provocò parecchio fastidio.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top