12/12/12

Sarei potuta resta accanto a mia madre ma decisi di non farlo, c'era qualcosa nell'idea del parto che mi terrorizzava. Probabilmente a lei sarebbe piaciuto avermi con se ma io preferii restare fuori, ad aspettare. Giocavo con dei giochini sul telefono per distrarmi ma con scarti risultati visto che mi faceva male lo stomaco dal nervoso.
"Elisa Mazzoli?" domandò un infermiera giunta sull'uscio della sala d'attesa.
Mi sollevai in piedi, stringendomi col giubbotto visto che in pigiama faceva parecchio freddo.
"si?" domandai avvicinandomi.
"venga, sua madre ha partorito" mi domandò sorridendo.
Così, il dodici dicembre duemiladodici, nel giorno della famosa "apocalisse". Arrivò al mondo il mio caro fratellino. La ragione più forte per la quale mi trovo ora in questo deserto.
Prima di andarmene notai delle signore che a loro volta sorrisero compiaciute, io mi mossi rapidamente anche se dovetti star dietro l'infermiera che camminava con tutta calma.
Il numero della stanza era il quindici e dentro notai vi fossero più lettini divisi da tende spesse che fungevano da separé.
Lei era sdraiata e coperta fin sotto il seno ma notai che il piccolo non era lì con lei, questa cosa mi spaventò parecchio dato che mi aspettavo di vederla stringerlo.
"come stai?" le domandai avvicinandomi e poi, anche se avevo paura di fare una simile domanda... "e come sta, lui o lei?".
La mia voce era sottile mentre sentii il sangue congelarmi nelle vene come avessi una brutta sensazione.
"sta bene, lo stanno tenendo d'occhio ma dicono che è tutto ok!" sibilò lei visibilmente stanca, poi sorrise dolcemente. "tuo fratello sta bene".
Era veramente un maschietto e l'unica cosa che volevo era vederlo, non stavo più nella pelle.
"ma dov'è? Lo posso vedere?".
Minuti dopo mi trovai nel reparto terapia intensiva neonatale, accompagnata da un'altra infermiera.
Non avrei potuto vederlo da vicino per il momento ne tanto meno prenderlo in braccio ma almeno era lì. Il suo piccolo corpicino si gonfiava e sgonfiava, le manine si muovevano di tanto in tanto.
Dovevo restare in quel corridoio a guardare mio fratello chiuso in una incubatrice, così tanto fragile che nel vederlo cambiai opinione sul prenderlo in braccio, spaventata all'idea di potergli fare del male.
Poggiai la testa contro il vetro mentre lo fissavo.
"sei un guerriero, come tua sorella" sussurrai delicatamente, il mio fiato appannò il vetro e con le dita disegnai uno smile sorridente prima di andarmene.
Tornata da mamma vidi che non si trovava più sola, bensì in compagnia delle ultime persone che volevo vedere in vita mia. I Miei zii.
Mostrai un sorriso piuttosto forzato quando loro si accorsero di me e mia zia, quasi in lacrime mi venne in corso.
"oh mio dio! Ma ci sei anche tu!" esclamò lei aprendo le braccia. Mi feci abbracciare ma cercai di ridurre il contatto fisico il meno possibile.
"eh si! È nato mio fratello, dove dovrei essere?" domandai cercando di sorridere ma mia madre guardandomi mi fece un cenno spalancando gli occhi, capii subito che volesse dirmi di "fare la brava".
Non sapevo perché, avevo una repulsione su quelle persone, mi davano il volta stomaco solo a vederle.
"oh cara! Sei diventata bella grande, mi ricordo quanto eri piccina che venivi a casa nostra e guardati ora!".
Classiche frasi dette dai parenti le quali però non sapevi mai che rispondere.
Fidati Cheese, sei fortunato nel non avere a che fare con zii odiosi.
"eh già" esalai senza saper che altro dire mentre anche lo zio, fratello di mio padre s'avvicinò. Ecco; se per mia zia trovavo solo odio ritenendola una vecchia impicciona, con mio zio le cose peggioravano. Lui per me era semplicemente ripugnante, mi sapeva di viscido. Vedevo qualcosa nei suoi occhi che non mi convinceva affatto.
Mi abbraccio, lo lasciai fare e mi diede un bacio sulla guancia mentre io gli diedi una pacca sulla spalla.
"eh si, la nostra Elisa è diventata una bellissima donna ma ora non sarà più al centro dell'attenzione eh?" disse dandomi una lieve gomitata come se quella frase dovesse in qualche modo farmi ridere.
Stupido, grasso e con la presunzione di essere un simpaticone quando era tutto... meno che simpatico.
Andai al fianco di mia madre mentre loro due restarono oltre i piedi del letto.
"abbiamo avvisato tuo padre, ci vorrà un po ma sta tornando a casa" Mi disse mentre prendendo l'unica sedia di legno mi sedetti al suo fianco, prendendole la mano, lei me la strinse dolcemente e io le carezzai il dorso con l'altra.
"hai già deciso un nome?".
Prima di rispondere fece cenno di si con la testa, un sorriso dipinse le sue labbra sottili e ai lati di esse le sue lievi rughe vennero marcate da un espressione facciale ricolma di felicità.
"Leonardo" esalò dicendolo lentamente, sembrava quasi volesse presentarmelo in quel modo.
"Leonardo!" ripetetti contenta, sorridevo come un ebete e mi guardai attorno per metabolizzare la cosa.
"Leonardo, vuoi che diventi un pittore?" dissi divertita e fu bello vederla ridere in quello stato di debolezza.
Sapevo che il mio lavoro mi avrebbe tenuta lontana parecchio ma volevo essere presente il più possibile per mio fratello; volevo insegnargli a camminare, essere presente alla sua prima parola, giocare con lui e aiutarlo coi compiti di scuola. Tutte quelle cose che una sorella dovrebbe fare per il suo fratellino. Dannazione, lo stronzetto era appena arrivato e da subito diventò la persona che avessi più amato in vita mia.
Il mio cuore era leggero, le mie labbra non riuscivano ad abbassarsi, sempre in un costante sorriso e sentivo caldo, un calore che si propagò lungo le mie braccia, mi avvolse facendomi sentire veramente felice dopo anni nei quali avevo dimenticato cosa significava esserlo.
Gli occhi gonfi, emozionati, La mano destra che cinse la vita e quella sinistra sulla spalla a grattare leggermente la cicatrice che celavo sotto i vestiti.

Scoprimmo dopo qualche settimana che il piccolo era albino, infatti i suoi pochi capelli sulla testa erano completamente bianchi, le sopracciglia quasi non si vedevano e i suoi occhietti erano chiari come il ghiaccio, grandi e splendenti. Gli occhi più belli mai visti.
Quando finalmente potetti in braccio lo strinsi a me dolcemente, cullandolo tra le mie braccia.
Volevi riempirlo di baci ma per una questione d'igiene evitai ma era la cosa più bella che avessi mai visto. Non esisteva altro in quel momento e in quei frangenti mi domandai se un giorno anche io avrei dato alla vita una creaturina così tanto bella.
"è una piccola mozzarellina eh?" dissi giocosa coi miei genitori ai fianchi. Tutti e tre seduti sul divano.

 Mio Padre ridacchiò mentre mamma protese le braccia perché io gli ridassi suo figlio.
"non chiamare così tuo fratello!". Esalò offesa.
"mozzarellina è divertente!" replicò Papà, così lo guardai sorridendo e subito dopo diedi Leonardo a mia mamma... Sai Cheese, mi sono resa conto che per tutto questo tempo ti ho parlato di loro ma senza mai dirti come si chiamo, insomma io non li chiamo mai per nome quindi non ci avevo fatto caso fino ad adesso; Mio Padre si chiamava Guido mentre mia madre Beatrice.
"non è divertente, povero il mio piccolo!" disse appunto mamma mentre lo cullò ed ecco che la famiglia tornò quella di sempre ma con uno in più. Mio Padre accese la televisione al notiziario, stavo per andarmene in camera ma tornai a sedere nel sentire la notizia della giornalista.

 Parlava di un attacco terroristico all'ambasciata americana irachena, secondo quanto dicevano il palazzo sarebbe collassato nella sua interezza e dalla struttura, attraverso le finestre sarebbe uscito un gas rosso che l'avrebbe corrosa insieme alle persone che in quel momento erano presenti nella struttura. Non sapevano niente di più e mentre i miei rimasero scioccati nell'apprendere quella notizia, io, loro figlia, sapevo che se qualche tempo prima avessi avuto una mira migliore quell'evento non sarebbe mai accaduto.

 Le immagini che il telegiornale riuscì a riportare erano qualcosa di famigliare purtroppo: tutto quel fumo rosso che avviluppava nel cielo, il terreno reso scarlatto e la distruzione che si portò dietro.
"devo andare in camera" esalai nervosamente alzandomi di corsa.
" che tu c'hai?" domandò mio padre, sorprendendomi del fatto che si accorse qualcosa.
"nulla babbo, vo a stendermi un po" risposi bisbetica.
" Guarda bellina che è le sei del pomeriggio!" continuò lui.
"oh babbo! Lasciami fare!".

 Lo sentii borbottare ma raggiunsi camera mia e acceso il portatile mi connessi su Skype, controllando che Alyssa fosse connessa.
Quando vidi il bollino verde la chiamai e dopo qualche squillo rispose. Dietro lo schermo però non c'era lei, bensì sua figlia Ginevra.
Una bimba di circa dieci anni con i capelli rossicci e le orecchie a sventola, mi intenerii nel guardarla anche se lei aveva uno sguardo fin troppo severo per gli anni che aveva.
"e tu chi sei?" mi domandò inclinando il viso di lato, sorrisi perché sembrava di vedere una piccola Alyssa.

 "ciao Ginevra, io sono Elisa, un amica della mamma, lei dove si trova ora?" domandai in inglese, cercando di avere un tono dolce anche se avevo molta fretta di parlare con la madre.
"che accento di merda!" disse lei. Sobbalzai sulla sedia nel sentire quelle parole.
Come poteva una bimba così piccola e dolce all'apparenza parlare così? Mi lasciò senza parole, non sapevo davvero cosa dire.
"è andata con il nonno al maneggio, mamma doveva ferrare i cavalli" mi spiegò poi, dandomi modo di riprendere la conversazione.
"potresti andare a chiamarla?" domandai ma lei mise giù, vidi letteralmente la tastiera avvicinarsi alla telecamera e poi la chiamata terminò.
Restai ancora una volta sorpresa, sorridendo incredula mentre mi feci dritta con la schiena.
"beh... gentile" esalai.

Restai qualche munito interdetta rivalutando l'idea di avere un figlio dopo aver ricevuto il "ben servito" da una pulce lentigginosa.

Tamburellai le dita afferrando con l'alta mano un modello in metallo del panzer V panther sulla mia mensola, fa attenzione a quello che dico e non fraintendere. Quello che la Germania nazista fece durante la seconda guerra mondiale non è per niente giustificabile, però di tutti erano quelli visibilmente più belli. A partire dalle divise fino agli armamenti e i mezzi corazzati. Secondo me, se al comando ci fosse stato uno meno pazzo e sprovveduto, la storia non sarebbe andata come la conosciamo. Come quando invece che marciare verso mosca spostò le truppe verso sud e quando era il momento di tornare verso mosca le truppe furono bloccare dal tempo avverso invernale. Ma hey! Sto parlando positivamente di persone che uccisero migliaia di persone, quindi sarà meglio che la smetto.

Mossi il carro armato sulla scrivania usando l'indice per far roteare il cannone e subito dopo, a bassa voce emise il suono onomatopeico dell'esplosione proveniente dallo sparo.

Smosso il modellino per simulare il rinculo e muovendo la mano buttai giù un bicchiere pieno di matite che rotolarono un po ovunque.

Dissi anche una frase mentre raccolsi le matite ma eviterò di dirti quale, era poco carina.

Mi annoiavo e dovevo quindi far passare del tempo nell'attesa che Alyssa si connettesse.

"stupida bambina" mormorai continuando a muovere il panzer sulla mia scrivania.

"arrivano quei bastardi russi, sono troppi e ci uccideranno ma il Führer non vuole che ci ritiriamo" detto questo con un sorrisetto idiota sulla bocca ribaltai il carro e guardai ancora lo stato di Alyssa, era tornata on line e ancor prima di chiamarla lei mi anticipò.

"ciao elisa! Che bello rivederti! Come stai?" mi domandò lei mostrandomi un dolce sorriso, capii che non aveva visto la notizia che sicuramente aveva fatto il giro mondiale, non poteva essere altrimenti.

"anche per me è bello vederti e sto bene, tu invece? Non hai sentito cosa è successo i Iraq?" le domandi con tono incerto.

Lei sembrò parecchio sorpresa, prima di rispondermi si girò, aveva già afferrato il telecomando col quale accende la televisione.

Dopo un rapido zapping si fermò al primo notiziario che trovò anche se non stavano dando la notizia. Così si girò verso di me.

"si, io sto bene! Che è successo?" proprio in quel momento il telegiornale che stava guardando lanciò la notizia. Così restai in silenzio mentre lei fissò tutto il tempo lo schermo.

Praticamente guardai con lei il notiziario attraverso il mio portatile.

Ad un certo punto però lei si voltò verso di me abbastanza scossa.

"quel bastardo di Chatov" esclamò.

"già... Qualcuno deve farlo fuori perché ho la sensazione che sarà solo il primo di tanti.

La cosa più straziante era non poter sapere aggiornamenti riguardo la task force di cui facevamo parte, da quando altri avevano preso il nostro posto ci trovammo isolati da tutta la faccenda.

Nessuno sarebbe andato a parlare con un sergente e un caporale. Non eravamo nessuno ma con quello stronzo avevamo un conto in sospeso, un conto che avrebbe pagato col sangue.

"beh, speriamo che gli altri siano più abili di noi nel farlo fuori " commentò lei sorridendo anche se in evidente stato nervoso. Come suo solito cercava di apparire serena, mi chiedevo come facesse.

Parlai con lei fin quando mia madre non mi chiamò per mangiare. Fu bello aggiornarsi con lei e soprattutto rivederla, quando chiusi il portatile ripensai a tutte le cose passate con lei e senza nemmeno rendermene conto mi trovai sul punto di piangere. Quando si pensa ad un sergente solitamente ci si aspetta un uomo con la mascella squadrata e perennemente nervoso, beh. Lei era decisamente tutt'altro, con quel suo sorriso ampio e gli occhi grandi e lucenti.

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