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Stessa routine, stesso risveglio negli stessi identici motel.

Stessi movimenti per rivestirmi e per raccattare la mia scarsa dignità.

Stesso numero di passi per abbandonare l'edificio, che ormai avevo cominciato a conoscere a memoria.

Stessi cambi, stesso pranzo da Mery, stessi visi.

Mancava poco per fortuna, tre settimane e sarei riuscita a raccogliere i soldi che mi servivano per poter abbandonare definitivamente quella Los Angeles che, a me risultava fin troppo chiassosa.

Stessa via, stessi sguardi, stesse macchine e così da capo.

Stesse giornate.

Ormai la routine stava spegnendo tutto ciò che di bello c'era in me, facendomi a stento desiderare di risvegliarmi la mattina.

Riusciva a mandarmi avanti soltanto la convinzione e la voglia che avevo di reincontrare mio padre.

"Cosa ti porto oggi?" chiese Mery, sedendosi di fronte a me.

"A meno che non ci sia nulla di nuovo, penso proprio che prenderò il solito." dissi io sospirando, mentre chiudevo il menù di scatto.

"Sinceramente William ieri sera si è cimentato nella cucina messicana per qualche ragione assurda e l'ho assaggiata anche io, posso confermare che sia commestibile" ammise lei sghignazzando.

"Va bene dai, per oggi farò da cavia, ma sappiate solo che, se mi dovessi sentire male mi dovrete ripagare offrendomi da mangiare per due settimane, colazione pranzo e cena" feci l'occhiolino.

Lei sembrò pensarci su un attimo e poi decise di accettare.

Non fu come mi aspettavo, non era stata una catastrofe, anzi potei dire che ciò a cui le mie papille gustative avevano assistito era stato affascinante e meraviglioso, forse uno dei piatti migliori che avessi mai mangiato.

Dopo essere rimasta stravaccata per circa un'ora senza muovermi, aspettando l'inizio del processo di digestione decisi che fosse arrivato il momento di alzarmi, per rendere il posto ai futuri clienti.

Camminai lentamente verso la cassa tenendo la mano sulla pancia, proprio come facevano le donne in gravidanza.

"Quanto ti devo?" Chiesi a Mery, che se ne stava dietro al bancone a pulire dei bicchieri e a preparare del caffè fumante.

"Assolutamente nulla, offre la casa" rispose lei velocemente, mentre versata del caffè in due tazze.

Forse per pietà o per altro ma mi faceva sempre pagare meno di quanto avessi dovuto in realtà fare, sospettava che io fossi sola al mondo.

"Fai sempre così Mery..." mi lamentai, mentre rimettevo il portafogli nella piccola borsa che portavo sempre con me.

Giurai che il mio non fosse stato un finto lamento, certo non pagare soldi non mi faceva sprecare denaro, ma in quel caso ero contenta di farlo.

"Facciamo che paghi domani" concluse lei mentre mi lasciò una breve occhiata.

Sorrisi in modo sbilenco, poi, la salutai.

Aprii la porta di scatto senza guardare di fronte a me, errore madornale.

"Oh scusami, io non ti..." la voce che mi sembrò vagamente familiare cominciò a scusarsi.

"Fa niente" alzai lo sguardo.

Non mi aspettavo assolutamente che mi riconoscesse, tra tutti i volti che vedeva ogni giorno di certo io non sarei spiccata nella sua memoria, non sarei stata l'eccellenza della situazione, non l'ero mai.

"Darcy?" Piccolo errore di calcolo, mi aveva fottutamente riconosciuta.

"Hey Harry..." sussurrai piano.

Ero in imbarazzo di fronte ai suoi occhioni scrutatori, mi soffermai sulla sua estrema bellezza e quasi mi prese un colpo nel pensare che avevo passato del tempo con un tale essere, un Dio.

Denti bianchissimi e perfetti, labbra carnose...oh le sue labbra, quanto avrei voluto assaporarle.

Ritornai in me, ricordandomi che non avevo il potere di congelare il tempo.

Gli sarò sembrata una pazza.

Alzando la testa potei notare con grande stupore che aveva tagliato i capelli, i quali non erano più così lunghi come l'ultima volta, ma gli stavano divinamente, anche meglio di quelli lunghi probabilmente.

"Ci sei?" Vidi una mano agghindata da molti anelli sventolarsi di fronte alla mia faccia.

"S-si..." sussurrai imbarazzata.

"Ti ho chiesto, come stai?" chiese, mentre mi guardava attentamente.

"Io, bene, mi dispiace devo andare..." non gli permisi di rispondere, difatti mi liberai in fretta della sua presenza superando l'entrata del locale.

Un vento gelido mi colpì la faccia, rimasi ammaliata da ciò perché a Los Angeles faceva quasi sempre caldo.

Non mi voltai indietro, da codarda quale ero.

La mia reazione era dovuta alle farfalle presenti nel mio stomaco inaspettatamente, ero attratta da lui ed era innegabile.

Era un bel ragazzo si, ma non potevo permettermi più alcun contatto con lui, poiché l'ultima volta che una sensazione del genere si era presentata a bussare alla porta del mio stomaco, non ha avuto belle ripercussioni dato che mi sono trovata spezzata a metà e apparentemente vuota all'interno.

"Hey, guarda dove metti i piedi" una voce squillante mi risvegliò dai miei pensieri.

"Io, scusa" sussurrai, guardando la ragazza bionda di fronte a me.

"Non me ne faccio niente delle tue scuse" squittì, per poi scomparire dalla mia vista.

Ecco perché non avevo amici, più passava il tempo e più mi convincevo del fatto che il problema fossero loro e non io.

Dopo l'accaduto con la bionda ossigenata decisi di consolarmi con un buonissimo gelato al gusto vaniglia.

Quando i miei sensi entrarono a contatto con quel sapore, non potei che sussultare al ricordo di una me bambina, senza apparentemente alcun problema ancora, che su una panchina, si sedeva con sua nonna e mangiava il gelato del medesimo gusto mentre chiacchierava di qualsiasi cosa, gustandone fino all'ultima cucchiaiata.

Guardai l'ora su quel catorcio del mio telefono, quasi mi vergognavo a tirarlo fuori in pubblico, ma la verità era che non avevo alcun minimo motivo per cambiarlo.

Non avevo più nessuno che si interessasse a me e quindi di conseguenza qualcuno che mi cercasse, in più trovavo uno spreco l'eventuale investimento in prodotti tecnologici nuovi solo perché considerati alla moda.

Quasi non avevo voglia di alzarmi dall'ennesima panchina di ferro, ma come sempre, la mia coscienza mi sussurrò che non fosse quello il momento per fare la svogliata, poiché avrei potuto benissimo farlo quando avrei reincontrato mio padre, e al momento l'unica cosa che dovevo fare era guadagnare soldi per poterlo raggiungere.

Mi incamminai verso la macchina, indossai gli stessi vestiti striminziti, misi i tacchi e mi avviai sulla strada principale sotto un tramonto dalle mille sfumature, viola, arancione e rosso si alternavano all'orizzonte ed io non potei che sorridere assistendo a tutto ciò, e per un istante mi sentii bene ed in pace con me stessa.

Ma come tutte le cose belle, anche quella finì, infatti mi accorsi solo quando provai a fare un passo in avanti che, il mio tacco si era intrappolato in una di quelle grate di ferro dei tombini.

Mi piegai cercando di liberare il mio piede, quando una voce roca mi fece sobbalzare.

"Belle mutande" sussurrò lui con tono scherzoso.



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