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"Io mi sto confidando con te e non so nemmeno il tuo nome, quindi donzella potreste gentilmente confessare?" chiese Harry, facendo spuntare quelle magnifiche fossette che gli contornavano il viso.

"Mmh, fammi pensare...No" urlai io ridendo.

"Come no?" chiese lui continuando a ridere con un cipiglio sul volto.

"Ho detto che non te lo dico" risposi io, provando a risultare seria.

"Allora penso proprio che ti dovrò punire" ghignò maliziosamente.

"Come?" chiesi, leggermente spaventata.

"Io ti consiglierei di cominciare a correre" disse lui velocemente, prima di cominciare a contare fino a tre.

Nella mia mente barcollava l'idea di ciò che mi stava per fare e non volendo subire ciò che pensavo, mi alzai dal letto e cominciai a correre attraversando tutta la suite, stranamente non sentivo alcun rumore il che mi fece insospettire, e non poco.

Improvvisamente mi voltai per cercarlo ma non vidi nessuno.

Girai la testa di nuovo per guardare di fronte a me quando ad un tratto spuntò qualcuno.

"Ti ho trovata" urlò lui ridendo, mi voltai pronta a correre ma non facendo in tempo mi prese e mi sollevò da terra, come se non fossi pesata nulla.

Mi aggrappai a lui per non cadere e infilzai le mie unghie nei muscoli delle sue braccia.

"Tranquilla, non ti lascio andare" sussurrò al mio orecchio, mentre le sue mani si spostarono sul retro delle mie cosce.

Un brivido percorse la mia schiena.

Mi buttò sul letto e cominciò a solleticarmi i fianchi, allorché scoppiai in una fragorosa risata e cominciai a dimenarmi consapevole di essere, molto probabilmente diventata rossa come un pomodoro in viso.

"Ha-Harry...ti prego" lo pregai, continuando a ridere.

"Non ho sentito, scusa" rispose lui con un ghigno, eccome se mi aveva sentita però.

"Harry...basta, mi arrendo" urlai, non potendo più sopportare quello strazio.

"Va bene dai, per questa volta sarò tollerante ma ti avverto che, la prossima volta la punizione non finirà così presto" disse lui, sollevandosi da sopra di me e ricomponendosi.

"Darcy" dissi velocemente, mentre provavo a regolarizzare il mio respiro.

"Comunque, tu che mi dici di te?" chiesi, ricordandomi subito dopo essermi ricomposta di quello che lui desiderava fare quella sera, e ciò raccontare, così gli detti la possibilità di parlare di lui, nuovamente.

"Direi niente di che, mi chiamo Harry Styles e mio padre è l'imprenditore più famoso di Los Angeles" sospirai chiudendo gli occhi e mantenendo la calma.

"Questo già lo sapevo, voglio sapere altre cose, cose che quasi nessuno sa... tipo parlami anche dell'ambiente in cui sei cresciuto, com'è stata la tua infanzia? O altre cose di questo genere"

"Insomma la mia infanzia non è stata niente male, ho sempre avuto tutto ciò che volevo, ho sempre frequentato scuole private in cui i ragazzi ricchi erano in prevalenza, sono sempre stato molto viziato però non ho mai avuto una spalla su cui piangere.
Non ho mai avuto due genitori a cui poter raccontare le mie cose o con i quali semplicemente conversare." disse lui per poi fermarsi e guardarmi attentamente, mentre provava ad analizzare l'espressione che si era creata sul mio viso.

"Ho imparato che alla fine determinate cose non si possono comprare, ho dovuto imparare a scrivere, a leggere, a suonare ogni strumento che so suonare da solo.
Ho imparato a cucinare da solo, a pulire camera mia da solo...in sostanza sono stato autonomo fin da piccolo." continuò lui, mentre nella mia mente cominciavano a farsi spazio tante domande.

I soldi portavano davvero la felicità? Perché quella sembrava proprio che fosse la mia di infanzia, eppure io non ero mai stata ricca, non ero mai nemmeno stata nella media.

"Non ho mai avuto qualcuno che mi potesse aiutare, anche se avevo così tante persone che mi giravano attorno. Per farti un esempio ho zie e zii che si sono fatti sentire dopo che mio padre è diventato famoso, cugini che nemmeno sapevo di avere ma nessuno mi soddisfa, nessuno è in grado di ascoltarmi e di sentire ciò che ho da dire, ed è una cosa che non mi so spiegare."

Sussurrò, incastrando i suoi occhi verdi nei miei.

"Pensa che io per essere come sono non ho avuto nessuno accanto, sono stata esattamente come te solo che mi sono mancate molte cose, molte cose materiali. Semplicemente lo puoi capire dal fatto che ora sto facendo questa sottospecie di lavoro, la mia famiglia non è mai stata ricca, non ha mai avuto proprietà, case o addirittura attività. Siamo sempre stati in una casa in affitto, gli spostamenti nella mia vita erano frequenti fin dall' infanzia" dissi frustrata io, mentre confessavo una parte del mio passato, e non capivo ancora se avessi fatto bene a parlare con lui di certe cose.

Ero terrorizzata all'idea che alla fine sarebbe riuscito ad aprirmi come un libro e a farmi svelare i segreti che non mi facevano dormire di notte.

Lui sospirò e mi guardò tristemente.

"Penso però che le persone come te siano anche quelle più vere, quelle a cui sono mancate determinate cose, perché capiscono il vero senso della vita. Hanno qualcosa per cui lottare e si sentono soddisfatti quando magari riescono ad ottenere ciò che desideravano, perché alla fine la cosa più bella nell'ottenere quello che volevi, sta nel percorso che fai per poterla ottenere e non alla fine, nella cosa che ti ritrovi tra le mani, con il percorso scopri te stesso, capisci chi sei realmente, incontri persone... penso sia questa la bellezza di non avere molto" rispose lui a tono alla mia frase precedente.

"Sembrerà strano, non lo so...ma io invidio la tua vita, vorrei essere al tuo posto, vorrei essere stato al tuo posto perché io ho sempre avuto tutto, quindi è sempre mancato tutto." concluse lui, mentre abbassava lo sguardo e si guardava le dita mentre giocava freneticamente con gli anelli sulla mano sinistra.

In realtà non so cosa mi spinse a compiere quel gesto ma di fronte ai suoi occhi tristi, quasi bagnati dalle lacrime, mi avvicinai di scatto verso di lui e lo abbracciai, fu uno di quegli abbracci che si, possono anche spezzare in due ma nel frattempo aggiustano tutto ciò che c'è di sbagliato nella vita.

Continuammo a parlare e a parlare, fino alle tre di mattina, io provando a non confidarmi più di tanto e lui togliendosi qualche peso di dosso.

Io mi ero stesa nella parte destra del letto e lui nella sinistra, mentre le nostre schiene quasi si sfioravano, mandando scariche elettriche lungo tutto il mio corpo, ogni volta che si scontravano.

Quando ad un tratto entrambi cademmo in un sonno profondissimo.

Ero quasi malinconica perché sapevo che non l'avrei mai più rivisto, ero consapevole di tutto ciò e quindi avevo deciso di vivere ogni istante e ogni parola che avevo scambiato con lui così non pensai al giorno successivo, non pensai alle conseguenze, non pensai a niente, semplicemente mi addormentai.

Il risveglio mi risultò traumatico, dovevo alzarmi ma in realtà non volevo, non volevo davvero perché non mi sentivo felice, non mi sentivo bene, non me ne volevo andare, non mi volevo alzare da quel letto, scomparire per sempre dalle sue braccia.

Perché anche se ci eravamo addormentati ognuno per conto suo, non sapevo ancora come, ma quando mi ero svegliata, ero rimasta sorpresa nel notare che durante la notte ci eravamo aggrovigliati l'uno nelle braccia dell'altro.

Spostai leggermente il suo braccio dal mio corpo, provando a non svegliarlo.

Mi spogliai della sua maglietta, quella che mi aveva prestato per poter stare più comoda, la piegai e la poggiai sul divano.

Scorsi su un tavolino di fronte al divano i soldi, erano tanti, non mi ero messa a contarli e non ne avevo bisogno, perché per la prima volta nella mia vita sentivo di star facendo la cosa giusta.

Non toccai nemmeno un centesimo, in cambio presi tutto ciò che avevo e semplicemente dopo averlo guardato per un paio di minuti sognare una prima e un'ultima volta, abbandonai la stanza.

Uscita dall' Hilton Hotel scendendo le scale che anche di giorno odiavo, mi avviai verso l'altra parte della città a piedi.

Mi ci vollero tanti minuti, minuti indefiniti fino a quando finalmente riuscii a scorgere la mia automobile, era intatta e senza nessun segno di scasso per fortuna.

Mi cambiai e feci la stessa cosa del giorno precedente, indossai vestiti comodi poi presi e mi avviai al solito locale.

Come sempre mi soffermai a chiacchierare con Mery ma la differenza quel giorno fu che, la bellissima coppia non era presente o meglio dire era presente soltanto lei.

Solamente la ragazza che, con aria triste e spenta guardava il proprio caffè dentro la tazzina, mentre con il cucchiaino mescolava assorta nei suoi pensieri.

Dopo aver pranzato, mi inoltrai nella città evitando di appartarmi nei luoghi più pericolosi o comunque nei quartieri dei malviventi.

Passai per qualche negozio a vedere di qualche saldo o cose del genere, ma non trovai nulla che mi piacque particolarmente difatti non presi niente, i vestiti che mi ero portata da casa erano anche abbastanza.

Passai il resto della giornata a gironzolare, vi sembrerà triste lo so, ma non avevo nessuno.

Nessuno con cui parlare, nessuna amica, nonostante fossero passati tanti mesi dal mio arrivo a Los Angeles, ma infondo non ero mai stata una persona che si rapportava facilmente con le altre, se non quando si trattava esclusivamente del proprio lavoro.

Non sapevo come, ma anche quel giorno il tempo riuscì a passare e si fece subito sera, decisi di non mangiare nulla e di prendere solamente un gelato in uno di quei banchetti disposti per strada e mi avviai come mio solito alla macchina per cambiarmi e mettermi i vestiti da lavoro.

Ritornai nello stesso posto della sera precedente e mi appoggiai al muretto a fumare una sigaretta, pensando a che altro mi avrebbe riservato il destino quella sera.

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