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Al contrario di come mi sarei aspettata, non si dimostrò essere uno di quei tipi molto sbrigativi, visto che stava perdendo molto tempo nello attraversare la città, dirigendosi lontano da dove mi aveva trovata.
Cominciammo a girare tutto il quartiere, fino a quando riuscii ad intravedere, anche se in lontananza l'Hilton Hotel.
Capii così in quel momento che, quella sarebbe stata la nostra destinazione.
Era il più lussuoso di tutta la città ed io non ci ero mai stata e mai avrei pensato di passarci almeno accanto.
La mia mente si perse tra gli immensi giardini pieni di fontane e le tantissime luci mentre il disagio si faceva spazio tra di noi, come a separarci.
Come se non bastasse la nostra differenza di classe sociale ad allontanarci.
Non potevo fargli domande o cose simili, non faceva parte del mio lavoro anche se ne avrei avute una quantità infinita.
Ma una sembrava voler uscire allo scoperto più di tutte: "Perché proprio io?".
Lo vidi cercare con lo sguardo un parcheggio che in poco tempo trovò.
Scese dall'auto e anche io feci lo stesso ricevendo però un segno di rimprovero.
"Volevo fare il gentiluomo..." disse lui ridendo, mentre le sue fossette ricomparivano sul suo volto.
"Oh, scusami tanto" non sapevo cosa dirgli, se non che la mia veloce reazione era dovuta al fatto che nessuno era stato così gentile o comunque premuroso nei miei confronti, fino a quel momento.
"Fa niente, adesso ti prego non andare in panico" mi prese la mano e la strinse leggermente, quasi come se avesse paura che potessi scivolargli tra le dita.
Cominciò a salire le interminabili scale non capendo il mio disagio a causa dei tacchi, tralasciando il fatto che aveva le gambe chilometriche e non sarei riuscita a stargli al passo nemmeno se fossi stata senza scarpe.
"Hey calma tigre, non è mica così facile con questi trampoli" sussurrai io divertita, ma allo stesso tempo si poté percepire un pochino del fastidio che stavo provando.
Non mi rispose però mi sentì, e ne ero certa perché rallentò la sua andatura.
Quando salimmo anche l'ultimo scalino entrammo dalla gigante porta girevole, sollevai il mio sguardo da terra e per poco non mi caddero gli occhi vicino alle suole delle scarpe.
C'erano piume ovunque e dove non c'erano era tutto ricoperto di brillantini, maestose poltrone ed altrettanto maestosi divani ricoperti da print animaliè o pois.
Piastrelle di vetro che ti permettevano di vedere al piano inferiore e una rete di lampadari da cui sgorgavano tantissimi cristalli Swarovski.
"Buona sera, avevo prenotato a nome Styles" mi strozzai con la mia stessa saliva, cominciando a tossire subito dopo.
"Stai bene?" si girò verso di me, sembrava quasi preoccupato.
"Io...S-Si" balbettai non credendo al cognome che avevo captato poco prima, non potevo davvero aver avuto una conversazione con il figlio del più grande stilista della città nonché anche il maggior imprenditore, non potevo avere la sua mano stretta alla mia e non meritavo di stargli accanto in quel modo.
Mi sentii uno schifo, una nullità a confronto con lui e non potevo davvero immaginare come eravamo visti dall'esterno.
Chissà cosa avrà pensato la ragazza della reception.
La guardai brevemente per capire che
Non mi aveva minimamente calcolata, poiché era chiaro avesse perso la testa per Harry, lo stava fissando da capo a piedi e viceversa.
Il mio sguardo si poggiò su di lui il quale sembrò non avere alcuna reazione nei confronti degli occhi puntati della ragazza, anzi, potei dire di aver percepito una leggera scocciatura di fronte alle manifestazioni di desiderio da parte di Stacy, avevo letto il nome dal cartellino posto appena sotto la spalla destra della sua uniforme.
"Vorrei la chiave, grazie" affermò lui severamente.
"Scusami, tieni e mi domandavo..." disse lei mentre gli consegnava la chiave della camera, che a quanto pareva aveva precedentemente prenotato.
"Ti domandavi cosa?" chiese lui sorridendo maliziosamente.
"Mi domandavo se avessi da fare, magari andiamo a prenderci qualcosa..."
Lui si girò e mi guardò.
"Se tu non avessi perso la testa per me e se non ti fossi incantata a guardarmi il pacco, avresti potuto benissimo osservare che sono entrato da quella porta..." si girò e puntò il dito verso l'entrata.
"Con lei, quindi se non ti dispiace arrivederci." continuò lui, per poi afferrare la mia mano e dirigersi verso l'ascensore che ci avrebbe portato alla nostra camera.
Quando fummo dentro, lo guardai premere il pulsante con su scritto il numero "317" e calcolando che eravamo al primo piano pensai che il viaggio sarebbe stato molto lungo ed imbarazzante.
Mi appoggiai dalla parte opposta a quella dove si era poggiato lui, così da averlo di fronte per poterlo osservare completamente.
Cominciai dai capelli, arrivai agli occhi che avevo già notato in precedenza, il suo naso dalla forma perfetta e le labbra sottili ed invitanti, le spalle larghe e le braccia lunghe, le dita magre e ricoperte da minuscoli tatuaggi alternati da tanti anelli dal design un po' fuori dal comune, il petto tonico e probabilmente la presenza di addominali sotto la camicia che stava indossando, le gambe anch'esse muscolose e lunghe come in precedenza avevo decretato.
Era bello.
Ma bello da togliere il fiato.
"Perché mi guardi così? chiese lui.
"Così come?" risposi io, non capendo a cosa si stesse riferendo.
"Come se fossi l'unica cosa qui dentro, che davvero meriti la tua attenzione " concluse lui, prima di passarsi una mano tra i capelli per aggiustarli.
Scrollai le spalle senza che dalle mie labbra uscisse alcuna sillaba, perché non ce l'avevo neanche io una spiegazione.
Non mise ulteriore pressione, probabilmente capì che non mi avrebbe tirato fuori alcuna risposta, perciò non insisté ulteriormente.
L'ascensore si fermò e le porte di esso si aprirono, possibile che avessimo fatto così in fretta e che il tempo fosse passato così velocemente?
Camminammo attraverso il lungo corridoio, stupendomi del fatto che non ci fossero altre stanze se non una di fronte a noi, facendomi notare che fossimo isolati da tutti gli altri clienti dell'Hilton Hotel.
Aprì la porta con la tessera magnetica e mi fece passare per prima.
"Te lo dovevo, dapprima" appuntò sorridendo.
Entrò anche lui subito dopo di me e chiuse la porta alle sue spalle, cominciò a levarsi le scarpe e la giacca che indossava sopra la camicia, poggiandola su un tavolo.
"Spogliati" suggerì.
Lo guardai e sospirai cominciando a spogliarmi lentamente.
"Ma a cosa hai pensato?" chiese lui ridendo di gusto.
"Cosa?" risposi io interrogativa, non capendo cosa ci fosse di sbagliato e divertente allo stesso tempo.
"Ti ho chiesto di spogliarti perché mi sembrano davvero scomodi i tuoi vestiti" e poi li indicò con un dito.
"Ti giuro che non ti sto capendo" chiarii.
"Pensavi che avremmo fatto sesso?" chiese lui, sedendosi a gambe incrociate sul letto.
"Anche se può sembrare brutto da dire, ma la verità è che vengo pagata per fare questo, quindi non riesco a capire il mio ruolo in questa situazione." cominciai ad agitare le mie mani in aria.
"Ho bisogno di qualcuno con cui parlare" confessò lui in un sussurro.
Strabuzzai gli occhi.
"Tra tutte quelle persone che ti gireranno attorno, mi vuoi dire che non hai nessuno con cui parlare?" chiesi, stupita di quello che mi stava accadendo.
"Prima di parlare di questo vai nella cabina armadio che è di là, e prendi pure una mia maglietta così non devi stare in intimo" spiegò lui velocemente, prima di buttarsi di schiena contro il materasso del letto.
Ancora con molte domande che mi scoppiavano in testa, mi diressi verso la direzione che lui mi aveva indicato e prontamente riuscii a trovare la cabina nella suite così grande.
Afferrai una semplice maglietta nera con una scritta bianca: "Dreamers never truly die".
Ritornai nella camera da letto e mi sedetti davanti a lui a gambe incrociate, imitandolo.
"Ora mi devi molte spiegazioni, lo sai vero?" presi uno degli elastici che portavo sempre ai polsi e mi legai i capelli in una coda alta.
"Abbiamo tutta la notte per parlare" rispose lui stiracchiandosi.
"Allora inizia dal raccontarmi perché sei arrivato a dover parlare con me?" cominciai con una domanda semplice, ma dal valore inestimato.
"Non era la prima volta che ti vedevo, infatti molte volte mi è capitato si scorgerti sul ciglio della strada appoggiata ai muretti della città, mentre fumavi una sigaretta o semplicemente ti guardavi i piedi, e ho pensato che tu fossi la persona più giusta per questa cosa perché sei..."
Si fermò un attimo a pensare alle parole giuste da dire.
Ed io in quell'istante mi persi del tutto, nei suoi occhi, nei movimenti delle sue labbra mentre parlava.
Era tutto così surreale, talmente da farmi dubitare della mia santità mentale, così senza essere vista da lui mi ero data un pizzicotto, per capire sé stessi sognando o se stesse succedendo realmente.
"Una persona umile, una persona che non si interessa della vita mondana, una persona che non ama essere giudicata e proprio per questo non si permette di giudicare lei stessa. Intrappolata in un mondo che non fa per lei, costretta a fare una cosa di cui non va fiera, una ragazza che per volere degli altri ha rinunciato ai suoi sogni." continuò lui.
Spalancai la bocca, dalla sorpresa.
Cominciai a boccheggiare in cerca d'aria, d' ispirazione e di parole.
Però lui mi facilitò il compito perché cominciò a parlare nuovamente.
"Avevo bisogno di una persona che non mi conoscesse, di qualcuno che non era interessato solo al mio nome, alla mia fama o soltanto ai miei soldi..."
Si fermò di nuovo per prendere fiato.
"Anche se in parte questo potrà sembrare una contraddizione, perché alla fine di tutto ciò ti pagherò, ma il fattore che contraddistingue questa situazione da altre è che sono io a sceglierlo. Sono circondato da persone di merda che amano solo le feste che organizzo e che ascoltano solo quello che ho da offrire loro, Amici che promettono di esserci ma che, quando provi a chiamarli risponde sempre la segreteria telefonica"
Pronunciò tutto quel mare di parole quasi in lacrime, facendomi benissimo capire che stava soffrendo e che il suo dolore era reale, vero e si poteva percepire.
Una qualsiasi persona vera lo avrebbe percepito.
Lo guardai di nuovo prima di cominciare ad esporre la mia idea sulla sua situazione.
"Vedi, io non saprei cosa dirti perché non mi sono mai trovata di fronte ad una situazione simile, come potrai aver ben capito. Però il mio consiglio è quello di cambiare, secondo me non dovresti accettare questo tipo di rapporto con le persone, non ti dovresti accontentare, guardati..."
Lo indicai.
"Sei giovane ed hai tutto il tempo del mondo per poter trovare persone che si affezionino davvero a te. Lo so che in questo momento ciò che ti dirò ti sembrerà difficile da credere, ma al mondo esistono ancora individui che non siano interessati solo al proprio bene ma anche a quello altrui, il problema sta nel trovarli. Non devi per forza restare in questo oblio, in questo mondo di mezzo che non ti rende felice, nessuno ti obbliga a restare dove non ti senti al tuo posto."
Lo vidi accennare un sorriso e per un attimo mi sembrò di averlo perso tra i suoi mille pensieri.
"Non sei così male come credi nel fare la psicologa" disse lui avvicinandosi a me.
"É sempre facile aiutare e capire gli altri, ma purtroppo è impossibile farlo con sé stessi. Ecco perché lo scopo principale della vita di tutti quanti in fin dei conti è quello di trovare qualcuno disposto a completarci e a sostenerci. In fondo senza qualcuno al nostro fianco non siamo nessuno, solo anime incomplete." risposi io, per poi chiudere gli occhi per un secondo e perdermi nell'oscurità per immaginare una possibile vita felice a fianco di qualcuno, chissà perché nella mia immaginazione, in quel preciso istante quel qualcuno aveva gli occhi verdi.
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