8
Una notte, mentre la lancetta delle ore sembrava immobile a metà tra il numero tre e il numero quattro, i due lasciarono cadere le proprie schiene sul materasso, sudati e stanchi, respirando affannosamente dopo ore di passione: «Rimani qui a dormire, stanotte.» suggerì Jimin poggiando il mento sulla sua spalla e guardando l'espressione stanca «Abbiamo fatto tardi, non hai nulla da fare domani, giusto?»
«Non abbiamo mai dormito assieme in questi sette giorni.» commentò Yoongi ancora con il fiatone, asciugandosi la fronte e spostandosi i capelli biondi all'indietro.
Jimin sospirò, allungò il braccio e gli cinse il corpo: «La prima notte sì.» gli ricordò, sebbene l'altro ricordasse già perfettamente «Non mi hai più dipinto.» aggiunse, cambiando argomento, il più giovane, con un tono nella voce che lasciasse ad intendere la cosa gli dispiacesse.
Yoongi si piegò sul fianco, rimase a fissarlo per qualche istante, serio, mentre studiava il suo volto e le misure della sua perfezione: «Sto dipingendoti nella mia mente, ormai».
La risata angelica del gigolò si sparse nella stanza, il sorriso di Yoongi non poté non allargarsi nel guardare i suoi occhi assottigliarsi, le labbra piene e morbide del moro muoversi per prenderlo in giro con un dolce: «Sei sempre così criptico». Le braccia muscolose di Jimin lo strinsero più forte ai fianchi, si attaccò più forte al suo petto: «Mi piace che sei così criptico».
«Lo so che ti piaccio.» continuò l'altro ridacchiando, sollevando la mano per accarezzargli la guancia e ridendogli addosso.
«Non ho detto che mi piaci, ho detto che mi piace il tuo lato criptico.» Jimin scoppiò a ridere, arricciò il naso e provò a nascondere il rossore sul volto poggiando la fronte sulla sua spalla, nascondendosi alla sua vista.
Rimasero in silenzio, continuarono a ridacchiare allegri, quasi del tutto felici – sebbene non fossero due persone con il cuore così leggero da poterlo riempire solo di cose belle – e continuarono a stringersi e ad accarezzarsi, lasciando che quel discorso non scemasse, non venisse coperto da altri discorsi meno pesanti ma meno importanti.
Yoongi, infine, decise di fare un passo indietro: «Però ti piaccio.» sussurrò seriamente, stringendolo dalle spalle e avvicinando il naso ai suoi capelli, respirando il suo odore.
Jimin aspettò, pensò, rifletté, si dannò l'animo, lasciò che le sue convinzioni crollassero, pianse internamente, tenne a bada il suo cuore, si compatì. «Forse». Jimin si odiò, e si volle bene. «Dormi qui.» sembrò un ordine.
«Va bene.» non ci pensò più di tanto, lasciò che le cose andassero come volevano andare, come se entrambi fossero su uno dei canali là fuori e la corrente fosse il fato, una corrente pronta a decidere lei stessa dove portarli e quale strada prendere al bivio, perché di certo Min Yoongi non avrebbe preso determinate scelte se non fosse stato obbligato dal fato.
O così gli piaceva vedere le cose.
Il bacio che seguì quella decisione, così senza importanza a occhio incauto, fu pieno di ogni sentimento che l'essere umano possa provare, in tutte le sue sfaccettature e in tutto il suo dolore; perché non vi è peggior male se non un amore finto e impossibile che cerca di divenir reale quando il mondo e gli stessi amanti sanno che è il riflesso di ciò che mai sarà. Quell'amore, senza il mondo esterno, sarebbe potuto diventare il più vero, ma entrambi sapevano che il mondo esterno era lì e mai sarebbe svanito, soprattutto la parte costruita da loro stessi.
Quel bacio portò al sonno, il sonno portò agli incubi, gli incubi portarono a bruschi risvegli e i risvegli portarono alla realtà del mattino inoltrato.
E così come finirono a svegliarsi dagli incubi, ma uno a fianco all'altro, così succedette pure la notte successiva e quella dopo ancora: «Buongiorno».
La voce di Yoongi si sparse nella stanza come musica, in un sussurro profondo ma leggero, appena incrociò lo sguardo di Jimin: «Buongiorno.» rispose quest'ultimo abbozzando un sorriso e portando una mano davanti alle labbra, coprendosi la bocca come al solito. L'artista ridacchiò al solito gesto, allungò una mano e il corpo verso quello dell'altro – ancora sotto le lenzuola bianche – e provò a impossessarsi della sua bocca giocosamente: «Me lo dai il bacio del buongiorno?»
Jimin rise di rimando, rise con gli occhi, con la voce e con il cuore, impossibilitato dal tener la pelle del viso del colore naturale, arrossendo vistosamente alle premure del più grande: «No, dai.» combatté, tenendo la mano sulla bocca e allontanandosi dall'altro, sebbene mai troppo così da non poter sfuggire effettivamente alla sua presa «Fammi andare prima a lavare i denti».
Yoongi lo cinse con le braccia dai fianchi, lo spinse sopra di sé, riappoggiando la schiena sul materasso, lo tenne fermo sul proprio petto; entrambi risero felici: «Voglio il mio bacio, non andrai via da qui fino a che-» sarebbe stato romantico, incredibilmente dolce e stupidamente incauto se la sua frase fosse stata interrotta proprio da quel bacio richiesto, ma non è ciò che avvenne.
Il cellulare di Yoongi cominciò a vibrare, una fastidiosa suoneria riempì la stanza insieme al sospiro del proprietario del telefono, girò il volto verso il comodino, guardò lo schermo illuminarsi e poi tornò a guardare l'amante, ancora su di lui. Jimin si mise a cavalcioni, sollevandosi con il corpo e poggiando le mani sul petto nudo dell'altro; sorrise: «Rispondi, vado in bagno».
Fu veloce, spezzò il momento, ma d'altronde i loro momenti erano l'attraversata di un'equilibrista su un filo teso: meno tirato avrebbe reso il percorso impossibile da compiere, troppo tirato e avrebbe rischiato di cadere allo spezzarsi di quest'ultimo. Erano loro a tenere i due capi opposti del filo e a decidere quando tirare e quando no, dovevano solo imparare a coordinarsi.
Jimin scese dal letto, buttò lo sguardo sullo schermo del telefono, lesse il nome e camminò oltre, entrando in bagno e chiudendo piano la porta dietro di lui. Rimase immobile a fissarsi allo specchio, qualche secondo, poi aprii l'acqua corrente, la fissò, spostò lo sguardo sul proprio spazzolino azzurro appoggiato nel bicchiere di ceramica, ma, alla fine, non lo prese. Tornò indietro, cauto, e appoggiò l'orecchio alla porta, provando a captare qualche parola o frase.
«Sì amore». «Hai preferenze?». «Tutto per la mia dolce metà». «Lo sai che mi manchi». «Ti amo, mia promessa».
Quando tornò il silenzio Jimin prese il suo spazzolino, ci mise sopra il dentifricio e si lavò i denti velocemente, si pulì il volto, si pettinò i capelli scompigliati con un gesto affrettato. Si guardò allo specchio: si guardò davvero. Lo fece per errore e abbassò subito lo sguardo.
«Ma cosa stai facendo...» parlò a sé stesso, sebbene non riuscisse ad alzare gli occhi e guardarsi.
Finì di lavarsi e si girò, fissò quella porta chiusa, quella maniglia; allungò la mano e la abbassò, ritrovandosi un'istante dopo in camera da letto: Yoongi sedeva ancora al bordo del materasso, il telefono tra le mani, lo sguardo basso e confuso, il piede che tamburellava a terra.
«Yoongi?» lo chiamò, il moro, e l'artista sollevò lo sguardo. Si guardarono, in silenzio, e poi, indecisi se tirare il filo o lasciarlo andare, si sorrisero e indossarono le proprie maschere.
«Véstiti, che facciamo colazione e andiamo a fare un giro per negozi.» si alzò anche Yoongi, avvicinandosi all'amante e cingendolo per i fianchi, lasciandogli un bacio leggero sulla fronte.
Jimin annuì, come doveva fare, sebbene non aveva voglia di farlo. I due fecero colazione, come dovevano fare, sebbene non avessero fame. Nessuno disse la realtà, come dovevano fare, sebbene i loro occhi parlassero costantemente.
Ma parlare non ha senso se non si usa la stessa lingua e non ci si capisce.
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