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Yoongi si stropicciò gli occhi ancora confuso, fece un profondo respiro e masticò a vuoto per togliersi il fastidioso senso di secchezza dalla bocca: «Che ore sono?» chiese in una domanda sbiascicata tra sé e sé, prendendo immediatamente dopo il telefono al suo fianco, poggiato sul comodino «Le otto.» arrotondò per eccesso.

Si alzò, si recò in bagno, si fece una doccia. Si vestì e si guardò allo specchio senza guardarsi davvero.

Perché fermarsi a guardare la propria immagine sarebbe stato devastante, e lui lo sapeva bene, così come lo sapeva il moro che lo stava aspettando.

Jimin si sfiorava le guance con piccoli moti circolari, in quel grande bagno della suite in cui soggiornava, applicando la crema per il viso, senza mai guardarsi direttamente negli occhi.

Erano uguali, loro due, e allo stesso tempo completamente opposti: Yoongi faceva finta di niente, da anni, come se stesse guardando qualcun altro nel suo riflesso; Jimin aveva paura di farlo, perché sapeva che non sarebbe riuscito ad ignorarsi, non da quando Yoongi era entrato nella sua vita, sebbene nessuno al mondo a parte lui e un'altra persona avrebbero mai potuto capire quando quell'incontro gli facesse male all'anima.

Due caffè portati in due camere d'albergo diverse per cominciare la giornata, un viaggio a piedi, un avvisarsi al telefono, il tempo che passa e le loro personalità reali che pian piano si nascondono, si mascherano per non venir ferite, inconsciamente, lasciando spazio a un loro sé stesso diverso, forse un po' più reale che con il resto del mondo, ma sempre fasullo. Si diedero tempo per nascondere le loro preoccupazioni, per prepararsi alla finzione di quel piccolo mondo duale che si erano creati e che avrebbero portato avanti in quelle settimane, o giorni che fossero stati.

Jimin sentì bussare alla porta e scese dal letto velocemente, correndo a piedi nudi sulla moquette fino a raggiungere l'ingresso; si alzò sulle punte per osservare dall'occhiello chi ci fosse nel corridoio e quando la figura di Yoongi distorta apparve si sentì sorridere, senza lasciare però che quella sensazione si espandesse modificando il suo volto.

Aprì la porta: «Buongiorno, Yoongi.» arrossì leggermente, dando un contrasto rosato al pallore nevoso del suo volto.

«Buongiorno.» rispose l'artista, accennando ad un sorriso, avvicinandosi all'altro e piegandosi quel poco per arrivare alle sue labbra, lasciandogli un bacio soffiato come saluto, senza approfondirlo, lasciando che aleggiasse in quell'istante solo il significato di esso, così sopravvalutato dal mondo «Sei pronto?» chiese, appena si staccò dal suo volto, ancora con le labbra a contatto.

Jimin annuì senza proferire parola, guardandolo negli occhi e sorridendo, finalmente, solo con essi.

Nei giorni successivi a quell'incontro tanti altri si susseguirono: incontri fasulli celati dalle bugie, pomeriggi in cui dietro un cappuccino rivelavano all'altro parti di loro, momenti in cui nel guardarsi negli occhi fecero cadere tutte le loro maschere, mostrando loro stessi almeno in parte.

Erano passati tre giorni e i due si erano sdraiati a terra a pancia in su, nell'erba, così come aveva deciso Jimin, sotto il sole tiepido, quando Yoongi si girò su un fianco, guardando l'altro, e disse: «Avrei voluto dipingere persino il vento, dare un volto all'amore o addirittura ritrarre la passione».

Jimin rimase in silenzio, il suo sorriso si allargò ad ogni parola e, solo quando lui terminò, girò il volto verso di lui, alzandosi gli occhiali da sole e collegando i loro sguardi: «È tua?» chiese.

Yoongi scosse il capo e si sollevò leggermente, poggiando a terra il gomito e sostenendo il volto per guardarlo meglio: «È di Dumitru Novac.» spiegò facendo un grosso respiro «È una frase che mi ha sempre caratterizzato, mi ha sempre dipinto, diciamo».

Il gigolò fece scoccare la lingua al palato e fece roteare gli occhi: «Sempre la solita storia che non sei abbastanza bravo?» ridacchiò appena, si riabbassò gli occhiali per coprirsi dal sole pomeridiano e continuò a parlare «Dovresti andare da uno psicologo a parlare un po' di questo tuo problema».

L'artista ridacchiò alle sue parole, sollevò la mano libera e gli accarezzò la guancia: «So già cosa mi direbbe, che devo accettarmi per come sono e altre stronzate.» dipinse il suo volto con l'indice, immaginandosi decorazioni invisibili sulla pelle «Ma non è quello che voglio dalla vita, voglio trovare quel qualcosa che mi ispiri e mi innalzi sopra gli altri, sopra l'uomo medio».

«Sei un'artista famoso, fai mostre, la gente paga per guardare le tue opere.» provò a far notare il moro, che in quei giorni passati lo aveva conosciuto meglio, chiudendo gli occhi per godersi quelle carezze sul volto, sebbene l'altro non potesse notarlo, coperti dalle lenti scure «Mi sembri già sopra l'uomo medio, non pensi?»

«Vorrei fosse così, ma non è per la mia arte che sono così famoso.» Yoongi sospirò, si morse il labbro inferiore «È grazie a Boojin.» proferì con voce seria e sincera. Vi erano stati tanti momenti in cui aveva aperto leggermente il telo, aveva mostrato le sue insicurezze a Jimin, ma mai aveva effettivamente spiegato il motivo del perché fossero così reali e pure.

«Boojin?» chiese il suo accompagnatore risollevando le lenti ancora, sollevando la mano per coprirsi dalla luce del sole «Non è la tua fidanzata?»

Yoongi annuì, si sollevò ancora e si mise seduto, incrociando le gambe e osservandolo dall'alto, in silenzio, facendo chiarezza nei suoi pensieri, provando a tenere a bada la lingua e non perché non fosse qualcosa da non far sapere – sebbene effettivamente lo fosse – ma per paura di perdere credibilità davanti a lui, paura di fare una semplice figuraccia.

«Non ero nessuno, la mia arte era nulla, non riuscivo a fare qualcosa di innovativo, di distruttivo e importante per la nostra società.» sospirò tornando ai quei momenti con i ricordi, alla povertà del suo garage, quello in cui creava arte, dormiva e mangiava «Sapevo di non essere abbastanza bravo e sapevo che avrei fatto meglio a sparire da quel mondo, a fare qualcosa di più ordinario...»

Seguì il silenzio, quello più puro di una storia a metà, interrotto solo dalla voce bassa di Jimin: «E poi? Boojin ti ha ispirato?» chiese, rimanendo in attesa del continuo, della fine di quella fiaba che non sembrava avere un lieto fine, o almeno non per Yoongi.

«No, lei mi ha solo spinto.» sorrise amareggiato, sorrise con tutta la brutale realtà della sua vita «Lei ha pagato per il mio amore».

Jimin crucciò la fronte, si sollevò anch'esso – solo in quel momento – per sedersi sul prato e guardarlo meglio, sentirlo con più cura: «In che senso?»

«Ero un povero artista squattrinato, lei mi vide per caso perché il mio studio era vicino al bar che frequentava, si innamorò di me, della mia figura artistica, dell'idea di amare qualcuno che ama l'arte a sua volta.» Yoongi abbassò lo sguardo, fece un sospiro profondo, sollevò il petto, poi tornò a guardare gli occhi azzurro finti dell'amante «Mi aiutò economicamente, mi fece pubblicità e io capii che grazie a lei potevo diventare qualcuno».

Jimin aprì le labbra, fissò in silenzio il suo cliente, osservò il suo sguardo nero farsi triste mentre i suoi capelli chiari si muovevano al vento: «Quindi sei con lei solo per i soldi?»

Yoongi annuì, sbuffò una risata leggera dalle narici, una risata triste: «Mi sono abbassato al puro sfizio di aver séguito per un'arte che non se lo merita, esattamente come io non mi merito l'arte dopo ciò che ho fatto».

Jimin sorrise alle sue parole, gli donò un sorriso dolce e rassicurante, si avvicinò al suo volto e posò la mano sul suo collo: «Non ne capisco molto di arte, ma penso sia di tutti, Yoongi.» si piegò verso di lui e appoggiò le labbra su quelle del ventottenne «Non ti fare tutti questi problemi, prima o poi farai qualcosa di grande, ne sono sicuro».

Yoongi sorrise sulle sue labbra, le arricciò per regalarsi un altro bacio: «Sarai tu ad ispirarmi?» chiese, in un sussurro leggero.

Jimin si morse il labbro, ridacchiò sul fiato dell'altro, respirò le sue parole: «Se ti ispirassi lasceresti tutto?» chiese in una domanda sussurrata, quasi avesse paura di pronunciare quelle parole e di sentirne la risposta.

«Indubbiamente.» ancor più piano, le sue parole si persero quasi nel vento, catturate solo da un altro bacio, più lungo, più passionale «Ti terrei al mio fianco e mi ispireresti per sempre, mia musa.» non lo disse ridendo, anzi, lo disse con estrema serietà, ma entrambi sapevano fossero parole vuote, bugie mascherate in un momento di dolcezza.

Jimin voleva trasformare quelle parole da una dolce bugia a un'amara realtà, ma quello non era il momento adatto.

«Quindi non sei bisessuale.» lo chiese, sebbene dal tono non sembrasse una domanda. Yoongi scosse il capo e sollevò le spalle, come se non fosse una cosa importante. Jimin piegò la testa e lo guardò per un solo istante tristemente, immaginandosi quando potesse essere frustante doversi sposare, passare la vita con una donna che non solo non ami, ma neanche trovi sessualmente appagante «Sai perché sono scappato da casa mia e ho viaggiato per l'Europa?»

Sorrise, il moro, e Yoongi scosse di nuovo il capo, senza più parole, ormai sprecate per mostrare la sua realtà alla sua musa, con dolore.

«Perché non sono riuscito a mascherare me stesso, non sono riuscito a rilegare il mio vero io, a far finta di essere qualcuno che non ero.» si martoriò il labbro, mordicchiandolo con i denti e passandoci la lingua subito dopo «All'ultimo anno di superiori era diventato talmente evidente agli altri che fossi gay...» si interruppe per ridacchiare, aggiungendo con tono divertito «Che, poi, non è neppure vero, sono stato anche con delle ragazze, ma non che a loro importasse.» scosse il capo e ridacchiò ancora, per poi tornare serio, seppur sorridente «Comunque, un giorno, durante l'ora di ginnastica, negli spogliatoi, mi obbligarono in gruppo...» e si bloccò.

Si interruppe e il sorriso pian piano scemò, perché sebbene ci ripensasse spesso, sebbene ne avesse parlato ad altre persone, sebbene avesse superato quei momenti, parlarne ad alta voce con lui, un suo cliente, qualcuno che non reputava un amico, rendeva tutto più straziante: «Cioè, loro...» spostò lo sguardo in lontananza, chiedendosi se dovesse davvero parlarne, se fosse così necessario.

Yoongi si sporse verso di lui, lasciò un bacio sulla sua guancia, a stampo e rumoroso, quasi bambinesco: «Non c'è bisogno che tu me lo dica».

Jimin scosse il capo: «Te lo voglio dire, dammi solo un istante».

Quell'istante durò un paio di minuti, durò il tempo necessario per ricreare quella facciata sorridente, quella finta maschera di cera che circondava anche il suo cuore, proteggendolo: «Loro mi obbligarono a vestirmi con la divisa scolastica femminile, mi misero una parrucca, mi misero delle imbottiture sul petto per... crearmi il seno, immagino?» sollevò le spalle e ridacchiò in modo amaro «E mi obbligarono a girare per i corridoi della scuola, davanti a tutti.» abbassò lo sguardo e deglutì «È stata la cosa più imbarazzante della mia vita».

Perché Jimin si sentiva un uomo a tutti gli effetti e il fatto che provasse amore anche verso altri ragazzi non lo faceva sentire meno uomo, meno virile, meno sé stesso: il solo fatto che lo reputassero una donna l'aveva ferito profondamente.

Yoongi lo osservò, osservò la sua mascella serrata, gli occhi induriti ai ricordi, le labbra trasformate in una linea, il sorriso spento. Si avvicinò, l'artista, posando nuovamente le labbra sulle sue, ricambiato subito senza vergogna dall'altro, per poi rimanere vicino al suo volto: «Sei l'uomo più bello di tutto il creato, Jimin».

Non esistono – o sono rare – relazioni, d'amore e non, in cui si è del tutto sinceri; i segreti, quelli, sono parte dell'io individuale, dei propri pensieri, della propria persona. Un uomo – inteso come essere vivente – che esprime tutto ciò che pensa, tutto ciò che prova e tutto ciò che ha vissuto perde quasi sé stesso, diventando un racconto, trasformandosi in parole. È pur vero che, però, non esiste relazione sana in cui ci siano tante bugie, in cui la menzogna è all'ordine del giorno, in cui due – o più – persone indossano sempre una maschera pesante, interpretano un ruolo ben preciso, mai intaccato da quell'io profondo.

In quella linea immaginaria tra assoluta menzogna e verità più pura qual è il punto medio? Quando è giusto mentire e quando è giusto dire la verità?

Jimin e Yoongi, sicuramente, non ne avevano idea perché a loro mai era servito capirlo.

Erano tanti i momenti in cui sembravano spostarsi verso l'oscurità, verso un muro fatto di parole inventate – anche inconsciamente – e molte erano anche le parole con le quali mostravano la loro interiorità, la loro nudità d'animo.

Indubbiamente, tutte le notti si spogliavano dei loro vestiti, e non delle loro menzogne, e donavano il loro più puro e reale sé stesso all'altro, fatto di istinti e voglie. In quel letto fecero sesso ogni imbrunire per i giorni seguenti, a volte sembrò quasi loro di fare l'amore, sebbene non si spogliassero mai delle loro pelli per davvero.

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