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Quel bacio portò ad altri baci, quei baci successivi portarono alla loro fuga dal locale per rifugiarsi in una suite d'albergo, a vari isolati di distanza dall'hotel nel quale l'artista soggiornava; Yoongi aprì la porta con la scheda elettrica e lo fece entrare per primo, Jimin ringraziò in un movimento delle labbra senza voce, fece qualche passo e cominciò a guardarsi intorno, sfiorando delicatamente le pareti, ondeggiando con i fianchi e dandogli le spalle.
L'artista chiuse la porta dietro di sé, poggiò la scheda nel dispositivo elettronico apposito, accese le luci della stanza che inondarono il piccolo corridoio bianco: «Vatti a fare una doccia.» gli ordinò gentilmente.
Jimin si girò verso di lui, crucciò la fronte confuso, sorrise in sua direzione: «Davvero?» chiese, leggermente curioso, fermandosi alla fine del corridoio, senza svoltare l'angolo per guardare la stanza «Vuoi che mi faccia una doccia? Ora?» sbuffò una risata dalle narici in un colpo d'aria calda.
Yoongi lo raggiunse con passo deciso ed elegante, si fermò ad un metro da lui e gli fece segno di continuare: «Sì, Jimin, fatti una doccia ma assicurati di asciugarti per bene e non metterti creme, per favore.» e sebbene le sue parole fossero poste come una richiesta Jimin sapeva che tutto ciò che gli diceva, da quando si erano incontrati nel retro del locale, erano solamente imposizioni. Era così che funzionava, Yoongi chiedeva e Jimin soddisfaceva le sue richieste; veniva pagato profumatamente per questo finto rapporto gentile.
Così Jimin non si oppose al suo volere, girò l'angolo e osservò la suite, sorrise in modo carino a Yoongi quando questo gli chiese se gli piacesse, non gli disse di esserci già stato più volte, di conoscere più che bene i ragazzi alla reception, di sapere benissimo dove fosse il bagno, gli asciugamani, di sapere a memoria il menù dei cibi che potevano essere ordinati di notte, di non sapere però minimamente quanto costassero.
Il ragazzo dai capelli neri entrò in bagno, si spogliò con tutta calma, piegò i propri vestiti di marca sulla tavoletta abbassata del water, sospirando debolmente nel vedere un piccolo buco su una cucitura della camicia, appuntandosi mentalmente di dover andare a farsela ricucire dal negozio cinese sotto casa; la mano del gigolò – perché quello era – andò ad aprire l'acqua della doccia, aspettò qualche secondo che questa diventasse tiepida poi si infilò sotto il getto, si lasciò immergere nel vapore appena accennato.
Si lavò i capelli, il giovane ventiquattrenne, e poi si passò il bagnoschiuma sul corpo, stando attento a non passare troppo prepotentemente sulla pelle con le mani e le unghie, così da evitare segni rossi che avrebbero potuto far dispiacere il suo cliente.
Quando dopo circa dieci minuti chiuse l'acqua fece appena in tempo a sentire la voce di Yoongi ringraziare al telefono. Jimin immaginò che quella chiamata fosse stata fatta alla reception e il suo cuore martellò un po' più veloce. Era abituato a tre tipi di clienti: gli anziani che dicevano di essere innamorati di lui - gente per lo più locale, che lo trattava con gentilezza e lo riempiva di regali; le donne che volevano provare l'emozione di una notte con una affascinante asiatico in un paese liberale; gli uomini belli e ricchi, come Yoongi, che solitamente portavano guai, portavano richieste perverse che ogni tanto non riusciva a portare a termine.
Non erano un problema manette e bende, non erano un problema fasce, frustini e scambi di ruoli, ma quando gli si chiedeva di utilizzare armi, fuoco e animali, Jimin si tirava sempre indietro, riuscendo in ogni caso a risultare gentile, passandogli numeri di conoscenti che, a differenza sua, non avevano limiti.
Jimin sperava con tutto il cuore che Yoongi non avesse richiesto nulla di assurdo perché sapeva che con lui non avrebbe potuto tirarsi indietro.
Uscì dalla doccia, si posizionò davanti allo specchio coperto dalla condensa, ne tolse una parte con il palmo della mano, accarezzando il vetro e si osservò superficialmente; prese uno degli accappatoi, ci si fasciò il corpo e si asciugò con cura, tamponandosi la pelle senza sfregarla, prese un asciugamano e cominciò a frizionarsi i capelli, togliendo l'acqua in eccesso.
Rimase in quel bagno caldo ad ascoltare in silenzio i rumori nella stanza a fianco, ma non sentì nulla finché un bussare alla porta non venne seguito dai passi del proprio cliente, da un vociare sommesso, da un richiudersi dell'ingresso.
Jimin aspettò che i propri capelli fossero quasi del tutto asciutti, riappese l'accappatoio e prese un grosso asciugamano, lo legò intorno alla vita e fece un respiro profondo; aprì la porta ed uscì dal bagno.
Yoongi lo aspettava seduto su una piccola poltrona a fianco alla scrivania, sopra di essa vi era un grosso sacchetto di carta senza scritte, così che non poté neppure immaginare cos'avesse ordinato. L'artista, che stava osservando la porta chiusa aspettandolo, respirò a pieni polmoni alla vista del suo corpo nudo, coperto solo da quell'asciugamano: andò a osservare le sue spalle, le sue braccia, i suoi addominali, il suo petto candido.
Jimin si incamminò verso di lui, piano, tanto lentamente da sembrare fermo, portò la mano al telo bianco e soffice e, con un gesto veloce, lo fece cadere a terra, mostrandosi in tutta la sua eterea bellezza. Il gigolò sorrise malizioso, continuò a camminare verso di lui ma Yoongi sollevò la mano, mostrandogli il palmo: «Fermo.» gli impose con tono gentile. Jimin si immobilizzò sul posto, tra lui e il letto, aspettando di ricevere un ordine o una richiesta.
Yoongi poggiò il gomito sul bracciolo della poltrona, si portò la mano alle labbra, si morse il pollice senza staccare lo sguardo dal suo corpo: «Balla per me.» lo chiese quasi senza voce, completamente assuefatto dalla sua vista.
Jimin intonò una risata accennata e chiese: «Senza musica?» immaginandosi che lui avesse preparato qualcosa o che gli chiedesse di scegliere una canzone a suo piacimento, ma Yoongi lo colpì nuovamente con una sola frase.
«Sei tu la musica».
Jimin deglutì, si bagnò le labbra e si sentì quasi arrossire, sentendosi davvero come un'opera d'arte, amando le sue parole, come lo trattasse, come lo guardasse, come se volesse assaporarlo solo alla vista; cominciò a muoversi sensuale nel silenzio, lasciando che i suoi occhi si legassero a quelli neri e profondi del suo strano e artistico cliente, facendo ondeggiare i fianchi, sfiorandosi da solo la pelle, le labbra, i capelli.
Yoongi osservava le sue movenze e provava a farsi ispirare, provava a rubare quei movimenti per dargli senso artistico, per creare qualcosa che gli ricordasse quell'erotica danza: aveva intenzione di rubare ogni cosa da lui, ogni sua opera lo avrebbe ritratto in ogni sua forma, avrebbe avuto una parte di lui, nella sua figura intera, in un solo dettaglio, nel solo concetto della sua esistenza.
Provava a rubare le oscillazioni dei suoi fianchi, i moti dei suoi muscoli, la vibrante essenza che emanava nel muoversi da solo, nudo, in mezzo alla stanza, ma Yoongi non riusciva più a resistere all'assoluta e semplice primordiale eccitazione che gli stava riempiendo il corpo: sollevò le mani al colletto della propria camicia e cominciò a sbottonarla lentamente, andando a tempo con i suoi affondi verso il basso, respirando leggermente in affanno, il volto caldo, il suo cavallo ancora di più.
Yoongi lasciò cadere la camicia a terra, al suo fianco, rimanendo a torso nudo e portando le mani immediatamente alla sua cintura, che venne fatta cadere insieme al primo indumento, e poi ai suoi pantaloni, che vennero fatti scivolare insieme ai boxer fino alle caviglie.
Min Yoongi, l'artista, si ritrovò in pochi istanti completamente nudo, seduto su quella poltrona davanti alla creatura più erotica e raffinata che era sicuro avrebbe mai potuto incontrare. Non ci pensò più di tanto ad abbassare la mano destra sulla propria erezione, cominciando a sfiorarla, già solida da quando era uscito dal bagno, intento a darsi piacere da solo, semplicemente guardandolo.
Jimin lo osservava e sentiva il calore pervaderlo, sentiva quella novità che mai aveva vissuto eccitarlo, perché sebbene fosse abituato ad avere rapporti carnali con i propri clienti aveva scelto quel lavoro in un paese in cui poteva essere tutelato e pagare le tasse perché gli piacesse profondamente e non perché obbligato: guardare gli altri impazzire alla sua figura, al suo tocco esperto, sentirli urlare il proprio nome, sentirli gemere sotto le sue premure era qualcosa che lo aveva sempre riempito di pura vanità e trovare qualcuno che non volesse neanche sfiorarlo, tanto amasse solo il suo corpo, lo stava facendo impazzire dopo tanto tempo.
Si morse le labbra, interruppe la sua danza, si girò verso di lui, cominciò ad incamminarsi verso la sua figura e, dopo qualche passo, si buttò in ginocchio, continuando il percorso in linea retta gattonando sul pavimento, arcuando la schiena e muovendo le spalle felino.
Yoongi lo osservava guardando verso il basso, muovendo il polso velocemente ma interrompendo il movimento di tanto in tanto, respirando a pieni polmoni; Jimin lo raggiunse, poggiò le mani sulle sue ginocchia nude, gli accarezzò la pelle con ardore, aprendogli le cosce e avvicinando le labbra al loro interno, soffiandoci sopra: «Ne hai uno a portata di mano?» chiese in un sussurro erotico, provando a non risultare troppo tecnico e a non smorzare il momento.
Yoongi staccò la mano libera dal bracciolo della poltrona, tastò sulla scrivania per non scollare gli occhi dalle sue labbra e dal suo sguardo, l'altra mano ancora intenta a toccarsi da solo; quando sfiorò l'involucro plastificato di un preservativo lo prese con vigore e entrambe le mani andarono a scartarlo per indossarlo in modo veloce, mordendosi il labbro e arricciando il naso infastidito quando sentì la propria voglia troppo fasciata.
Jimin lo lasciò fare, continuando a sfiorargli la pelle con le labbra, tirando fuori la punta della lingua e facendoci sopra dei piccoli cerchi, avvicinandosi sempre di più alla zona maggiormente erogena del cliente e, quando fu pronto, si sollevò con il corpo e non perse tempo: inglobò con le labbra la punta, assaporando il gusto plastico che conosceva bene, poi scese con capacità, arrivando fino alla base in una volta sola, succhiando e risollevando il capo passando con le labbra serrate su tutta la lunghezza.
Yoongi lasciò perdere l'arte, si lasciò sfuggire un gemito a voce alta, portò entrambe le mani ai suoi capelli neri, con la destra li strinse con foga, con la sinistra glieli tolse gentilmente dal volto per guardarlo meglio, per osservare con più facilità la sua lingua che ora giocava con la punta e ora spariva nella bocca insieme alla sua erezione.
Jimin continuò a succhiare e leccare, sfiorandosi da solo di tanto in tanto, eccitato dal momento, eccitato dall'aspetto del cliente, da come fosse terribilmente erotico quell'istante, deciso a non venire finché l'altro non fosse pienamente soddisfatto, a non chiedere troppo, a lasciar fare a lui.
Le sue convinzioni caddero quando sentì la sua voglia pulsare nella propria bocca e la sua voce roca pronunciare: «Tu sei meglio dell'arte». Estrasse la sua voglia portando indietro la testa, lasciando scoccare le labbra in un rumore sordo, si sollevò senza che gli fosse richiesto, si girò di schiena e si sedette su di lui, spalmandosi sul suo petto.
Le mani dell'artista andarono subito a toccarlo con possessione, accarezzandogli il petto, le gambe, le braccia, salirono sul collo, sul mento, poi si riabbassarono insieme per portarsi al suo inguine, prendendogli con la destra l'erezione e cominciando a toccarlo. Jimin piegò la testa di lato, portò le labbra al suo orecchio, gli sussurrò eccitato: «Fammi quello che vuoi.» mentre si strusciava su di lui sempre con più foga, sempre più selvaggio.
Le mani di Yoongi lasciarono la sua voglia per posarsi sui suoi fianchi, sollevarlo leggermente, rifarlo scendere sul proprio membro, possedendolo per la prima volta. Jimin si sentì riempire, sentì il leggero fastidio coperto subito dal piacere immenso di sentirsi così importante, quasi pericoloso; cominciò a muoversi in modo cadenzato, godendo dei colpi che si donava da solo quando arrivava fino in fondo, della mano lunga e forte dell'altro che toccavano la sua erezione, delle labbra sottili del cliente sul suo collo, della sinistra che gli accarezzava il petto.
Continuò a muoversi su di lui, andando a tempo con gli affondi di Yoongi, muovendosi all'unisono, piegandosi dopo vari minuti in avanti con le mani dell'altro sulla propria schiena, con la sua bocca sulla colonna vertebrale, poi col suo petto appoggiato su di lui, anch'esso piegato in avanti; Yoongi abbracciò con forza Jimin, gemette a voce alta, sempre più forte, fino ad urlare, fino a stringere la carne dei suoi fianchi e spingerlo l'ultima volta verso di sé e accasciarsi sulla poltrona dopo un'istante, riempiendo Jimin di calore e lasciando la sua voglia dura e bisognosa di essere stimolata.
Ma il gigolò non richiese nulla, rimase a respirare in affanno, cercando di calmare la voglia di implorarlo di avere di più: non si addiceva alla sua figura, non era professionale.
Jimin si alzò, leggermente affaticato, con le gambe che accennarono ad un tremolio finché non si sollevò del tutto in piedi, fece un passo in avanti, si girò verso di lui e sorrise mordendosi il labbro inferiore: «Abbiamo sprecato questo bel letto.» camminò all'indietro e ci si sedette, allargando le gambe provando ad eccitarlo ancora, quasi più per sé stesso che per altro.
Yoongi si asciugò gli occhi dal sudore con il palmo della mano, si portò indietro i capelli appiccicati alla fronte, scosse leggermente la testa: «Chi ti dice che non lo useremo?»
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