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Buio sporcato di luci che via via si legava all'alba; alba che cominciava a far brillare le pareti bianche della suite di Yoongi, attraverso le tende immacolate, senza tapparella che potesse interrompere il suo cammino.
Non fu la luce che colpì il volto pallido dell'uomo a svegliarlo, ma il rintocco delle nocche alla sua porta; Yoongi schiuse gli occhi e le labbra, fece un profondo respiro, deglutì a vuoto provando ad eliminare la secchezza in gola: «Vieni.» mugugnò assonnato senza muovere un muscolo, rimanendo nel torpore comodo sotto le coperte.
La porta si aprì lentamente, senza cigolare affatto, e l'imponenza di Jin si palesò agli occhi del ragazzo: il trentunenne era già vestito di tutto punto, la solita ed intramontabile camicia – sebbene avesse optato per un azzurro tiepido – e un paio di pantaloni stretti e tinta unita neri; solo le ciabatte bianche con lo stemma dell'hotel in rilievo dorato stonavano nell'insieme.
«Vogliamo fare colazione?» chiese abbottonandosi i polsi della camicia con fare abitudinario, sollevando il sopracciglio osservando la figura del biondo ancora a letto, i capelli scompigliati, il volto ancor segnato dal sonno.
Il promesso sposo osservò l'altro dal letto, sorridendo debolmente. «Sei peggio di tua sorella.» borbottò in maniera scherzosa, sebbene il tono rimase serio. Min Yoongi non era bravo a scherzare, non era mai stato un tipo simpatico, ma negli ultimi anni aveva dovuto sforzarsi e ci stava provando in tutti i modi. L'alta borghesia richiedeva un comportamento specifico e nessuno poteva sottrarsene o, almeno, non nei casi come il suo. L'artista aveva dovuto imparare a colloquiare più amabilmente del più e del meno, aveva dovuto imparare a ricordare nomi e volti, aveva dovuto imparare a vestirsi in modo decente, a prendersi cura del proprio aspetto e, purtroppo, anche a risultare simpatico. Era riuscito a fare tutto, ma sull'ultimo punto ci stava ancora lavorando.
«Boojin è molto peggio quando si tratta di orari, avrebbe già organizzato un piano per ogni giorno della nostra vacanza.» sbuffò una risata dalle narici scuotendo la testa «Anzi, ringraziami perché è proprio quello che ha provato a fare.» Jin tolse lo sguardo da Yoongi per portarlo sul grosso specchio a parete a fianco all'armadio, avvicinandosi ad esso e mettendosi a posto i capelli con piccoli gesti delle dita.
«Stava preparando delle slide?» chiese Yoongi abbozzando un sorriso che si ampliò fiero di se stesso quando Jin scoppiò a ridere e lo guardò attraverso il suo riflesso.
«Non ci scherzerei su, le hai ricevute quelle del matrimonio?» e, purtroppo, non stava scherzando. Nessuno dei due rise, Yoongi si sollevò dal materasso, spostò il lenzuolo scoprendo il corpo tonico ma snello coperto solo dai pantaloni, si mise seduto sul bordo del letto e sospirò al sol pensiero di dover aprire quel file in allegato alla mail con oggetto: Matrimonio – Calendar e Reminder.
Se Boojin avesse saputo che non le aveva ancora viste si sarebbe sicuramente infuriata e la vita di Yoongi girava intorno al renderla felice.
«Lo farò durante il viaggio di ritorno in aereo.» sembrò una promessa ed entrambi sapevano che era più fatta a sé stesso che a Jin. Il suo futuro cognato – sebbene ormai si chiamassero già così da quasi un anno – si girò finalmente in sua direzione e abbozzò un sorriso.
«Te la sei scelto tu, cos'è? Non ti sta più bene?» il sorriso del maggiore mutò leggermente in un ghigno e Yoongi distolse lo sguardo. Seokjin gli metteva agitazione per la sua imprevedibilità: gli aveva sempre dato una buona impressione, sembrava simpatico e alla mano, ma più era entrato a far parte della famiglia e più Jin si era mostrato a lui in maniera differente. Nella sua mente sembrava sempre più il malvagio dei film, quello che all'inizio sembra il più gentile e poi si scopre essere il killer psicopatico che si cercava dal primo omicidio.
Tra tutte le cose che aveva imparato a fare da quando era entrato nel giro dei ricchi, sulla lista non si trovava certo il rispondergli in modo spigliato e, come sempre, si limitò a non dire nulla. Yoongi si alzò dal letto e, in silenzio, entrò nel proprio bagno privato, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Mentre la routine mattutina nella toilette veniva portata a termine le voci fuori dalla stanza specchiata e adornata di ceramiche gli tenevano compagnia: Yoongi si lavava i denti e la voce di Jungkook che li cercava si palesò alle sue orecchie, si mise la crema idratante sul volto dopo esserselo lavato e il bisticciare dei due sul cosa visitare per prima cominciò a dargli sui nervi.
La quasi litigata venne interrotta dal suo uscire dalla stanza ancora in pantaloni del pigiama: «Ovviamente non cominceremo né dalla scritta I am-sterdam né dal Magna Plaza.» guardò prima Jungkook e poi Jin «Andremo al Van Gogh Museum».
E così come voleva il promesso sposo, fecero: il Van Gogh Museum era una struttura imponente divisa in due edifici connessi, con due stili di architettura diversi ma con dei punti di connessione ben visibili e precisi, come le vetrate trasparenti che mostravano l'interno.
Intorno all'edificio più moderno, circolare, alto e diviso in due esattamente a metà – contrapponendo la trasparenza del vetro con la immobilità del cemento – vi era un enorme prato verde brillante, illuminato dai raggi del sole e mosso dal vento autunnale di settembre. Jungkook aveva avuto la fortuna di dover passare proprio davanti alla famosa scritta "I amsterdam" bianca e rossa, così da obbligare gli altri due a scattarsi un selfie che, come aveva detto più volte, era obbligatorio.
I tre giovani uomini fecero la fila più rapida, avendo comprato online i biglietti d'ingresso, ma dovettero comunque aspettare una decina di minuti: Jin controllava il suo telefono cellulare rispondendo a email e messaggi di lavoro, Jungkook postava storie su instagram e scorreva la home, Yoongi fumava silenziosamente appoggiato alla parete, benedicendo quel paese e la libertà di poter aspirare fumo e nicotina ovunque volesse, diversamente da Seoul e la Corea in generale.
Quando arrivò il loro turno di entrare il cuore dell'artista fece qualche battito di troppo: si poteva pensare, conoscendolo superficialmente – e nessuno lo conosceva davvero sotto la superficie, nessuno al mondo – che data la sua passione per l'arte fosse eccitato di poter guardare dal vivo opere tanto belle quanto famose, ma per Min Yoongi, in quel momento, non vi era esaltazione alcuna.
Il ventottenne camminava a testa bassa cercando di dare un freno al suo cuore, facendosi trasportare dalla folla e dai suoi due amici per le scale e per il corridoio principale che lo avrebbe portato nella prima sala; solo allora, arrivato nella prima stanza, sollevò gli occhi: appesi alle pareti i quadri che aveva visto sempre e solo nei libri, più colorati e vivi che mai, così reali nella loro tridimensionalità.
Min Yoongi osservava il primo dipinto, osservava l'edificio giallo, la donna che teneva i figli per mano, il ponte in lontananza e il treno che ci passava sopra, la finestra chiusa: si immaginò l'artista dietro quella finestra, si chiese cosa avesse provato, cosa lo avesse ispirato.
Min Yoongi si chiese perché non provava nulla nel guardare quel quadro se non invidia, una bruciante e nervosa gelosia che gli attanagliava lo stomaco, che gli faceva battere il cuore di paura, che lo rendeva piccolo, davanti a quei quadri. Il ventottenne avrebbe potuto imitare quel quadro alla perfezione, avrebbe potuto simulare ogni pennellata, ma sapeva che non avrebbe lasciato nulla a chi avrebbe guardato la sua opera. Min Yoongi sapeva di non lasciar nulla con la propria arte.
«Faccio un giro da solo.» sentenziò deglutendo subito dopo, buttando giusto un'occhiata agli altri due che non sembrarono più di tanto sorpresi; Yoongi passava spesso il proprio tempo da solo o, almeno, provava a farlo se i suoi impegni sociali glielo permettevano.
Mentre Jin e Jungkook battibeccavano su una striscia nera nel cielo, uno intento a convincere l'altro fosse uno dei tanti corvi disegnati e l'altro a fargli notare come – per lui – fosse palese che fosse una striatura notturna, Yoongi si diresse nella stanza successiva; osservò i quadri e provò a rubarne qualcosa senza riuscirci, li fissava provando a portarsi via un po' di talento, un po' di ispirazione, ma il ragazzo non era mai stato un abile ladro.
Fu il primo ad uscire e il respiro che fece a pieni polmoni appena i suoi occhi si assottigliarono per la luce intensa del primo pomeriggio sembrò calmargli l'animo: osservò le persone intorno a lui, si rese conto di essere in mezzo a tanta altra gente mediocre, si sentì meno un fallimento.
Poi si accese un'altra sigaretta.
La giornata andò avanti così, alla ricerca di ispirazione, mangiando tipicità locali, buttandosi nei musei, facendo shopping, osservando la città, chiacchierando amabilmente del nulla, una sigaretta dietro l'altra.
Quando Yoongi uscì dalla tabaccheria con un nuovo pacchetto Jin sbuffò guardando l'orario sul proprio telefono: «Vogliamo arrivare lì a mezzanotte?» si lamentò passandosi una mano tra i folti capelli neri.
L'artista tolse subito l'involucro di plastica, portò l'ennesimo filtro alle labbra e ispirò quando la fiamma del suo accendino diede fuoco alla punta di carta: «Sono solo le nove di sera, Jin.» rispose con tutta calma facendogli poi segno di incamminarsi con un cenno del capo.
«Già, cerca di godertela questa vacanza.» commentò leggermente acido Jungkook senza osare portare lo sguardo sul maggiore dei tre che, comunque, non fece altro se non arricciare il naso infastidito, preferendo davvero godersi quella serata senza passarla a bisticciare.
I ragazzi si incamminarono, Yoongi al centro con a fianco i suoi compagni di viaggio, e pochi minuti dopo si ritrovarono davanti ad un sottopasso in un muro di mattoni rossi; sopra di esso la scritta Red Light District, in neon, annunciava l'inizio della passeggiata a luci rosse.
Se i tre fossero stati nelle strade di Seoul e se nella capitale coreana ci fosse stata una strada del genere in nessun caso avrebbero percorso sotto gli occhi di tutti il lungo marciapiede, ma, in quel paese, nessuno li conosceva e non c'era turista che, ad Amsterdam, non visitasse quella particolarità locale.
I giovani uomini coreani si erano cambiati e indossavano, in quel momento, abiti più adatti ad una serata di puro divertimento: pantaloni neri attillati, camice costose e scarpe lucide mostravano quanto fossero alti i loro standard normalmente. Erano gli unici, però a prima vista, ad essersi agghindati in quel modo per passeggiare semplicemente davanti alle vetrine, che non avevano ancora raggiunto: il resto del via vai di gente era costituito da uomini di mezza età in tuta – che dall'aspetto sembravano residenti locali – e turisti in jeans e t-shirt, che ridacchiavano tra loro o si facevano foto ricordo.
A differenza degli altri turisti nessuno dei tre aveva tirato fuori il telefono e nessuno di loro proferiva parola, camminando semplicemente uno a fianco all'altro e nulla cambiò quando le luci gialle e calde dei lampioni si fusero insieme a quelle fredde e rosse delle vetrine: le donne ballavano dietro i vetri, si muovevano sensuali guardando verso i passanti, mandavano baci e ammiccavano quando incrociavano occhi infuocati di puro desiderio. Alcuni uomini le guardavano senza scomporsi, leggevano i prezzi sui listini in esposizione e decidevano se farsi aprire la piccola porta a fianco al grosso vetro illuminato o passare oltre; altri – turisti in gruppo per lo più – si fermavano a scherzare, battendo le mani ad un movimento più sensuale regalatogli, provando a fare foto di nascosto quando al primo flash della telecamera venivano ripresi dalle prostitute.
Min Yoongi, Jeon Jungkook e Kim Seokjin lasciarono qualche sguardo ad un paio di signorine meno vestite delle altre, osservarono senza proferir parola e senza neanche fermarsi, diminuendo semplicemente la velocità dei loro passi: non sembravano più di tanto entusiasti del momento e, anzi, spesso i loro volti si crucciavano in disapprovazione a gruppi di ragazzini più rumorosi e volgari di altri.
Eppure, tutti e tre, erano lì.
La realtà è che ogni mondo è paese, ogni società democratica è simile alle altre, ogni aggregato d'uomo si somiglia perché sebbene l'essere umano decanti uguaglianza e libertà, la realtà è che si divide in gruppi senza volerlo, senza neanche farlo apposta e il miglior metodo di divisione da tempi immemori era uno solo: la ricchezza.
I tre non erano solo turisti, non erano solo asiatici, non erano soltanto amici: loro erano ricchi e, in quanto tali, si sentivano in dovere non solo di mostrarlo con i loro abiti, le loro parole e i loro comportamenti ma, indubbiamente, anche con i luoghi che frequentavano. Non vi era modo, per loro, dato il loro status sociale, di aggregarsi a squallidi commenti verso una vetrina ad occhi di tutti.
Per questo – e per non rischiare di essere fotografati da altri asiatici in vacanza – imboccarono una piccola stradina laterale del quartiere a luci rosse e, qualche istante dopo, lasciarono che Jeon Jungkook bussasse ad una porta di metallo: un uomo ben vestito, con camicia nera e cravatta bordeaux, gli aprì.
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