18
«Vuole farmi fuori...» lo sussurrò appena, appoggiando la foto sul piano in legno dell'armadio, sul quale era appoggiata la cassaforte «Vuole farci fuori.» si corresse, alzandosi in piedi e camminando fino al letto, sedendosi sopra pesantemente.
Jungkook si alzò anch'esso, ma rimanendo vicino all'armadio, entrambi rimasero zitti, il ragazzo dai capelli ciliegia pensando alla mossa successiva, l'altro senza pensare a nulla.
«Dovrei chiamare la polizia.» sussurrò Yoongi, rialzandosi pigramente dal letto. Jungkook lo raggiunse con due falcate, appoggiò le mani sulle sue spalle e scosse la testa nervoso.
«Yoongi, non dire idiozie! Lo sai che succederebbe!?» incrociarono i loro sguardi, entrambi sapevano la risposta ma l'assistente proseguì ricordandola ad alta voce «La Trestelle sarà colpita da una crisi incredibile, Boojin vedrà suo fratello in prigione, rovinerai ogni cosa! Anche il nostro lavoro alla galleria!» lo scosse dalle spalle e digrignò i denti «Non fare cose avventate!»
«Cosa dovrei fare?» chiese quasi senza emozioni l'artista, il volto rigato dal sudore, il panico provato fino a quel momento sparito dai suoi occhi ora vuoti.
«Tu non devi fare niente! Ci penserò io! Come sempre!» poggiò le mani sulle sue guance e gli tenne fermo il volto, obbligandolo a tenere gli occhi puntati nei suoi «Tu rimani qui, non fare nulla, va bene?»
Yoongi trattenne il respiro, deglutì, poi annuì semplicemente. Lasciar fare agli altri e liberarsi delle decisioni da prendere, in fondo, era la cosa che meglio gli riusciva.
Jungkook gli lasciò il volto e uscì di corsa dalla camera, i passi riecheggiarono nel resto della suite, Yoongi lo sentì prendere qualcosa e tornare da lui, ancora immobile e in piedi: «Ecco, tu...» il minore appoggiò un album bianco da disegno sul letto, la sua scatola di matite e colori a fianco «Tu... crea, Yoongi, per il resto ci sono io».
Yoongi non sapeva far altro, sapeva solo creare, sapeva solo dipingere, inventare, lasciarsi trasportare dall'arte che mai gli aveva donato una vera e propria opera. Non disse nient'altro, quell'artista da sempre spaventato dalla vita, e lasciò che il suo unico amico uscisse trafelato, lasciandolo solo con i suoi colori e tutto lo schifo che lo circondava in quell'esistenza. Le dita sottili dell'artista presero l'album, lo sfogliarono guardando tutto quel bianco che gli parve una bugia, poi lo buttò a terra e, insieme a matite nere e grigie, si buttò a terra anch'esso, in ginocchio.
Le linee cominciarono a crearsi su un unico rettangolo candido, sporcandolo di bugie, paure, maschere, tradimenti e finzione. Yoongi disegnò il proprio viso, dentro ci mise il suo odio verso sé stesso e l'odio verso l'arte stessa che lo aveva fatto innamorare, lo aveva preso in giro, lo aveva deluso e sporcato. Quell'uomo pieno di tristezza trasformò il finto candore del mondo nella sua più pura essenza.
Venne trasportato da ciò che mai l'aveva spinto, venne abbracciato dalla sua vera musa: non un uomo, non una donna, ma il suo più basso e trasandato essere imperfetto, com'era sempre stato e com'era ogni uomo. Dipinse il suo volto, o quello che ora gli sembrava tale, che piangeva e moriva nella sua bolla di nero. Creò un autoritratto – il suo primo da sempre – realistico e, allo stesso tempo, completamente astratto.
Dipinse e basta, senza pensare a nulla, lasciando che ogni emozione lo travolgesse e venisse vomitata su quella purezza che odiava. Dipinse e il tempo passò, dipinse e la stanza si fermò in esso, dipinse e le lacrime colarono sul foglio, rendendolo ancor più reale, ancor più iconico.
Finì quel disegnò e lasciò andare la matita che rotolò sul pavimento, lasciò che le spalle si curvassero e che la testa si chinasse, lasciò che il corpo tremasse nei singhiozzi che mai aveva lasciato liberi di uscire, non così, non liberatori e aguzzini insieme.
Non si rese neanche conto del tempo passato, di ciò che succedeva intorno a lui, finché una mano non gli toccò la spalla. Si girò di scatto con gli occhi sbarrati, si spostò spaventato, cadde all'indietro, seduto.
«Sono io!» Jungkook era in piedi, con le mani alzate, ma gli occhi puntati su quel disegno a terra «Lo hai fatto tu?» era una domanda stupida, tanto stupida che non lasciò all'altro di rispondere «È bellissimo, Yoongi...»
L'artista lo guardò a bocca aperta, dal basso, ora tornato nel loro mondo, ancora spento e senza emozioni: «Che è successo? Hai visto Jin?»
Jungkook annuì, ma i suoi occhi non si staccavano da quel foglio un tempo bianco: «Yoon, questo è...» deglutì «È qualcosa di mai visto! Ci sei riuscito!» finalmente gli occhi nocciola del suo unico amico tornarono al volto del pittore, sconvolto e felice assieme «Ci sei riuscito, Yoon, hai creato qualcosa di unico e perfetto!»
Ma quante altre cose aveva perso e avrebbe perso? Yoongi lasciò che le lacrime continuassero a rigargli il volto, lasciò che le labbra tremassero appena: «Kookie, hai visto Jin?»
Jungkook annuì di nuovo: «Non hai chiamato la polizia, vero?» e quando l'artista scosse il capo, solo allora, tornò a parlare «Ho chiamato il signor Kim, suo padre, e gli ho raccontato tutto.» sorrise «Ha mandato delle guardie private, lo hanno portato via».
Yoongi fece un respiro profondo, ma non si sentì meglio, non si sentì al sicuro: «Okay...» annuì, senza parole «Okay...» ormai aveva perso sé stesso.
Jungkook guardò di nuovo quel disegno, si portò le mani al volto, se lo stropicciò e rise al loro interno: «Ci hai salvato, Yoon, questo farà la storia, lo sai vero?» l'assistente rideva, contento, l'artista continuava a far scendere lacrime su un volto senza espressione, sapendo che era finalmente diventato quel che sempre aveva voluto, ma senza provare euforia nell'aver raggiunto il suo sogno.
«Dobbiamo festeggiare, Yoongi».
Festeggiare la sua trasformazione, la sua opera d'arte, la sua fine. Festeggiare la scoperta che l'unica cosa che potesse ispirare Min Yoongi non era un tramonto, non era un sorriso, non era un paesaggio o un concetto, ma solo e soltanto il suo toccare il fondo.
«Jimin sta bene?» chiese, in un sussurro, portando il pensiero ai suoi occhi azzurri, alla sua risata, al suo chiedergli di andare insieme a lui.
«Certo, certo!» l'amico sembrava quasi non ascoltarlo più, troppo felice e sorridente davanti a quel nero autoritratto strabiliante «Dobbiamo festeggiare!» sparendo dalla sua vista, uscendo dalla stanza e tornando un minuto dopo con in mano una bottiglia e due calici.
Yoongi non voleva bere, Yoongi non voleva festeggiare. Yoongi voleva solo piangere e annullarsi.
Jungkook riempì un bicchiere e glielo passò, l'artista si spostò trascinando il sedere sul pavimento, poggiando la schiena al bordo del letto, portò il bicchiere alle labbra e lo finì in un sol sorso. Bevve, si fece riempire ancora il bicchiere, bevve di nuovo, ancora il suo bicchiere venne colmato fino all'orlo, bevve di nuovo. Tutto cominciò a sfumare.
«Mi gira la testa.» poggiò il bicchiere vuoto a terra, portò le mani al volto e si massaggiò le tempie.
«Certo, è normale Yoon.» la voce di Jungkook parve più seria, più reale che mai «Stai morendo».
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top