17




I passi veloci di Min Yoongi lo portarono in meno di mezz'ora al suo albergo, lo fecero entrare con il fiatone nell'ascensore, lo fecero entrare trapelato nella sua stanza d'albergo: «Jungkook!?» lo chiamò con disperazione, sperando che fosse lì.

Una porta si aprì, ma fu quella sbagliata: Seokjin uscì dalla sua stanza a sinistra, lo guardò con sguardo serio e preoccupato, gli occhi assottigliati in due piccole fessure.

«Yoongi?» chiese sollevano il sopracciglio «Tutto okay?»

L'artista si bloccò sulla porta, fissando la figura alta e improvvisamente più minacciosa che mai: «I-io...» deglutì, abbassò gli occhi un'istante, poi li risollevò mimando un sorriso sghembo «Certo, mi serviva Jungkook p-per...» boccheggiò, senza sapere come continuare la frase «Ho visto una mostra e ho pensato a una cosa per Seoul e...»

Seokjin fece un profondo sospiro, lo guardò torvo e incuriosito, ma alzò una mano per interromperlo, abbassando subito dopo lo sguardo; prese il cellulare dalla sua tasca, guardò lo schermo che Yoongi non poté scorgere dall'altra parte del corridoio, poi lo nascose di nuovo: «Ho una chiamata di lavoro importante in arrivo, comunque Jungkook stava sul balcone a fumare».

Yoongi annuì silenzioso, non si mosse. I due si guardarono senza espressione, aspettando, finché il maggiore sospirò e si incamminò verso di lui: «Scendo al bar a prendere questa chiamata, torno tra una mezz'ora».

L'artista si spostò da davanti alla porta, lo lasciò passare e deviò lo sguardo quando il cognato lo osservò con cura; aspettò che uscisse e, quando la porta si richiuse dietro di lui, fece un profondo respiro, portando la mano al petto. Le parole di Jimin su quanto Jin gli fosse sembrato pericoloso si impossessarono della sua mente, il terrore e l'ansia furono l'unico sentimento che gli investì il corpo. Si sentì perso a quei sentimenti sconosciuti perché si era sempre sentito inutile, ma, nella sua inutilità e nullità, si era comunque sempre sentito al sicuro. Qualcosa aveva fatto scoppiare quella bolla che lo separava dai pericoli, il tempo sembrò cominciare a scorrere improvvisamente più veloce, le cose susseguirsi come in una cascata, una buttata addosso all'altra, senza possibilità di fermare gli eventi. Aveva bisogno di un amico, corse lungo il corridoio, arrivò alla porta dell'unico che gli sembrò essergli rimasto fedele.

Non bussò, aprì la porta; Jungkook era sul balcone, dava le spalle all'artista appoggiato alla ringhiera, un leggero fumo si propagava da una sigaretta che non riusciva a scorgere. Yoongi si avvicinò alla porta finestra e la fece scorrere con forza, il suo assistente si girò di scatto, preso alla sprovvista: «Oh! Yoongi...» abbozzò un sorrisetto, portò la mano al petto «Mi hai spaventato».

«Ti devo parlare.» rispose quasi senza fiato, visibilmente scosso. Jungkook spalancò la bocca, si staccò dalla ringhiera e annuì, aspettando altre parole. Yoongi fece un respiro profondo, boccheggiò nel fumo, cominciò a parlare a macchinetta: «Questi giorni sono stato con una persona...»

Il racconto fu breve, tralasciò come lui l'avesse fatto sentire, eliminò le sensazioni che aveva provato, le confessioni che si erano detti, i momenti magici a letto che avevano passato. Jungkook ascoltò tutto con espressione sbalordita, la cenere della sigaretta bruciava piano e cadeva, senza che questa venisse fumata.

«...mi ha detto che è stato Jin.» terminò così, il racconto, dopo qualche minuto che sentì essere di troppo, sapendo che il cognato sarebbe tornato a breve, spaventato da quello scorrere del tempo così veloce che mai aveva provato.

«Eviterò di farti notare che tu mi abbia appena rivelato di essere bisessuale, non che mi interessi più di tanto. Comunque, per caso, gli avevi detto come si chiamava Seokjin?» sollevò il sopracciglio, Jungkook, spegnendo la sigaretta con fare distratto nel posacenere sul piccolo tavolino in metallo.

«Sì, certo, ma cosa centra?» chiese l'artista ancora agitato, con il cuore vibrante di troppe sensazioni che mai aveva provato tutte assieme.

«Non pensi che possa esserselo solo inventato?» chiese l'amico sollevando lo sguardo al muro cementato sopra di loro, alzando di poco le spalle «Perché non ci beviamo un po' di whiskey? Ne ho comprato uno buonissimo, ci beviamo un bicchiere e facciamo mente locale».

Yoongi scosse il capo: «Non ne avrebbe motivo, Kookie, fidati di me!» non aveva tempo, doveva risolvere la questione «Se non vuoi aiutarmi chiamerò la polizia o qualcun altro i-io...»

Jungkook sollevò le mani per bloccarlo, sorridendogli in modo calmo: «Okay! Okay! Allora visto che credi a questo ragazzo... cerchiamo qualche prova nella sua camera, va bene?» era palese che Jungkook non stesse dando peso alle sue parole, ma comunque aspettò che l'alto annuisse prima di entrare nella propria stanza, seguito da Yoongi, e avviarsi in quella dell'ex capo, guardandosi intorno.

La stanza di Jin era esattamente come le altre stanze, in ordine, ben curata, semplicemente con altri oggetti personali e vestiti appoggiati sui comodini e sulla scrivania. Yoongi era agitato, scosso, si muoveva velocemente; Jungkook si prendeva il suo tempo, lo guardava preoccupato. Cominciarono a guardare insieme nei cassetti, stando attenti a non muovere nulla, poi aprirono l'armadio e si chinarono per trafficare con la cassetta di sicurezza; provarono un paio di volte ma questa continuava a rimanere chiusa.

«È impossibile, non possiamo inventarci la combinazione.» esclamò Yoongi esasperato, passandosi una mano tra i capelli.

Jungkook lo guardò torvo, nervoso: «Mi stai mettendo fretta! Ti assicuro che lo conosco abbastanza bene per sapere che non sceglie mai una combinazione che non abbia un significato, quindi...» gli regalò un sorrisetto benevolo «Controlla il resto mentre io penso a qualcosa».

Yoongi sbuffò, ma fece come gli venne chiesto: passò in rassegna la stanza senza trovare nulla, guardò in ogni angolo del bagno, poi prese i libri che aveva sul comodino, cominciando a sfogliarli. L'artista si bloccò quando a circa metà notò la foto che usava come segnalibro: Jin, Boojin e Jungkook abbracciati in università, forse al primo anno, quando ancora lui non conosceva nessuno dei tre, i volti felici, giovani e belli. Non li aveva mai visti sorridere così, i due ragazzi.

«Yoongi!» esclamò l'amico facendogli richiudere il libro di scatto, facendolo correre subito da lui, buttandosi in ginocchio: la cassaforte era aperta, dentro un paio di orologi, un blocchetto d'assegni, il passaporto e una busta gialla. Le mani sottili di Jungkook presero l'ultimo oggetto, se lo rigirarono tra le dita, poi lo aprirono e lo capovolsero, facendo scivolare fuori una foto, un biglietto scarabocchiato, una bustina di plastica contenente una polverina bianca. Jungkook prese la busta, la guardò stranito, ma poi la riappoggiò.

«Chi cazzo è?» esclamò il minore prendendo la foto tra le mani.

Yoongi gliela strappò quasi dalle dita, sbiancò, il corpo cominciò a tremare: «Jimin».

«Quindi avevi ragione...» l'amico lo sussurrò appena, come se si fosse appena reso conto della realtà della faccenda, per poi prendere il bigliettino caduto dalla busta, leggendolo ad alta voce «Park Jimin, Madrid, qui c'è un indirizzo che non so leggere, la data di oggi, una sigla... È un volo?» Yoongi continuò a guardare quella foto, ascoltando, senza osare guardare quel foglietto «Poi c'è un appunto scritto velocemente... N-non si capisce...» ci fu silenzio, per un paio di secondi «Dose per due?»

Gli occhi neri dell'artista si spostarono sulla piccola busta contenente quella polvere bianca a lui sconosciuta; la osservò qualche istante poi sollevò lo sguardo sul volto di Jungkook, trovando immediatamente i suoi occhi a guardarlo, allarmati: «I-io...» scosse il capo «Non lo farebbe mai, lui n-non è così...»

Tutto svanì. Le sue sicurezze non crollarono, semplicemente sembrarono non esserci mai state. I sentimenti che aveva provato durante tutta la sua vita diventarono vapore, perdendosi nell'etere. Yoongi sentì di non essere niente, non sentì neanche paura, non sentì più nulla. Il tempo continuò a scorrere veloce, ma a lui sembrò guardare quella cascata dall'esterno, come se nulla potesse toccarlo, come se gli eventi fossero semplicemente un film da guardare. Tanto, alla fine, lui non era mai stato nulla quindi, in quella grande realtà chiamata esistenza, che ne facesse parte o no, non era importante.

Jungkook scosse il capo ancora, poi ancora e ancora, ma Yoongi lo fissava con gli occhi sbarrati, sicuro di cosa stesse succedendo: «Vuole farmi fuori...»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top