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«Che cazzo di casino!» esclamò Jimin a pochi chilometri di distanza da Yoongi, nel suo appartamento, mentre arricciava il naso infastidito dai propri vestiti e le proprie cose accatastate qua e là nella propria stanza «Perché non ho pulito prima di andarmene?» si maledisse mentalmente, iniziando a prendere i vari vestiti sporchi a terra e sul letto mettendoli uno sopra l'altro sul braccio sinistro.

Jimin caricò la lavatrice, borbottò tra sé e sé: «Meno male che sono venuto oggi.» e prese il telefono dalla tasca dei pantaloni, sedendosi sulla tavoletta del water abbassata, riempiendosi del rumore cadenzato dell'elettrodomestico. Il ragazzo cercò un numero tra le chiamate ricevute e pigiò il tasto sull'ultimo segnato nella lista, portò il telefono all'orecchio e aspettò.

«Hola Jimin!» esclamò la voce di un uomo con accento spagnolo dall'altro capo della cornetta.

Jimin sorrise forzatamente, ma quando si ricordò che nessuno lo stava guardando smise di farlo, tornando serio, obbligandosi però ad usare un tono allegro: «Ehi Thiago, tutto okay lì a Madrid?»

«Muy bien mi amigo! Ieri ci siamo divertiti, dovevi esserci!» il moro sentì la punta di dispiacere nelle sue parole «Perché non sei partito prima?»

Un sospiro fu la prima risposta a quella domanda, susseguito subito dalla sua voce stanca: «Lo sai, dovevo finire delle faccende...»

«Faremo altre serate! Il tuo amico ci dà dentro?» chiese ridendo. Jimin non rise perché non era la situazione adatta e perché Thiago non sapeva la verità, non sapeva di chi stesse parlando e non aveva idea di ciò che in realtà stava accadendo.

«Senti, a proposito del mio amico...» si morse il labbro inferiore, sentì il cuore battere più forte «P-pensi sia un problema se rimanesse non solo per un paio di mesi, ma per tutto l'anno d'affitto?»

«Devo chiederlo a Lupe, ma non penso ci saranno problemi.» una pausa silenziosa, che entrambi stavano prendendo in modo differente «Avete deciso di fare le cose sul serio?» la risatina che seguì quella domanda sembrò spezzare in due Jimin.

«Già, beh, forse.» si sbrigò, mentendo spudoratamente «Magari, anzi, n-non dire mai che avevamo programmato solo per due mesi, anzi non dire proprio nulla sul fatto che ti avevo già parlato di lui».

Le richieste di bugie, le chiacchiere, i racconti si susseguirono senza che Jimin volesse davvero. Il ragazzo rimaneva seduto sul water di quel freddo bagno, spoglio, mentre il ruotare della lavatrice sembrava calmarlo. Salutò, dopo qualche minuto, ma non si sollevò: rimase seduto, portò le ginocchia al petto e poggiò i piedi sulla tavoletta.

Jimin rimase immobile, le gambe abbracciate e la fronte bassa, provando a non pensare a nulla, semplicemente ascoltando quel rumore che continuava e continuava, sempre uguale, come se gli assicurasse che nulla sarebbe cambiato, che aveva tempo.

Ma tempo non ne aveva e quando se ne rese conto si alzò velocemente e si diresse nella sua stanza: cominciò a tirar fuori le cose dai suoi cassetti e dagli armadi, poggiando i propri vestiti sul letto, attento a non rovinarli, a lasciarli piegati. Tirò fuori due valigie, di quelle grandi e rigide, e cominciò a riempirle. Fece tutto il necessario, così come aveva deciso ormai da tempo, e quando chiuse la prima valigia sentì una morsa alla bocca dello stomaco. Quasi non si accorse delle lacrime che gli colavano lungo le guance mentre stendeva i panni bagnati, quasi non si rese conto di quanto stava passando in fretta il tempo se non fosse stato per la chiamata di Yoongi. Saluti veloci, freddi, poi una domanda: «Dove sei? Sono in hotel».

«Sono passato da casa per controllarla, sai, è tanto che non torno.» bugie.

Bugie, bugie e altre bugie. «Sì, sono lì tra un'ora».

«Va bene, non farmi aspettare troppo».

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