L'eremita
«Oggi ti racconto due robe sul vecchio Sherman, che abitava in una baita nei boschi e non c'aveva simpatia per i cristiani. Se ne stava tutto solo lì nella sua baita, a leggere, o di fuori a spaccare la legna che poi ficcava in quel suo focolare con sopra i quadretti di uccelli, pesci e cervi. C'aveva una passione per quei quadretti come padre Cunningham per la Bibbia. E un po' come faceva padre Cunningham, che stava sempre a sfogliare la Bibbia, pure Sherman stava lì a sfogliare cogli occhi i suoi quadretti. E quando li guardava c'aveva l'aria di chi sta sognando da sveglio. Potevi pure stare con lui a chiacchierare, come faceva spesso Harry Tate, l'unico in paese che Sherman soffriva tanto da farlo accomodare in casa. Che poi lo buttava fuori dopo cinque minuti, però vabbè. Dicevo, potevi pure stare con lui a chiacchierare ma se gli scappava l'occhio su quei quadretti, tu sparivi assieme alle cose che gli stavi dicendo e lui non ti sentiva più né ti vedeva.
«Che? Boh, non lo so che c'avevano di speciale quei quadretti. Erano delle stampe piccole come la mano di un bambino e mostravano tipo un pesce che salta fuori dall'acqua e si lascia dietro gli schizzi che luccicano al Sole, oppure i cervi che corrono in un bosco o anche gli uccelli che volano tutti raggruppati, sai come fanno gli uccelli...
«Eh, esatto. E lui c'erano volte che proprio smetteva di esistere per concentrarsi su quei quadretti. E faceva finta che pure tu non esistevi. E lì potevano passare due secondi come due minuti. Potevi parlargli e mandarlo al diavolo, dirgli che stava bruciando casa o che c'era un orso fuori la porta o che un gerbillo gli stava entrando nel buco del culo e lui non batteva ciglio. Harry diceva che il motivo per cui fissava quei quadretti era che Sherman trovava in quegli animali qualcosa che a lui gli mancava, e cioè la libertà di andare per il mondo.
«Mo' che ci penso, quei quadretti non erano l'unica cosa cogli animali che c'aveva in casa. C'era pure un tappeto appeso alla parete...
«Che?
«Io lo chiamo tappeto, tu chiamalo come ti pare. Harry diceva che a Sherman glielo aveva regalato un indiano. Uno di quelli che vivono nelle riserve, eh, non di quelli che vivono dall'altra parte del pianeta e fanno gli inchini alle vacche.
«Esatto, un pellerossa. Devi sapere che non molto lontano da qui, oltre i boschi, ci abitano famiglie di pellerossa. Mo' non mi ricordo di che tribù sono. E pure che mi ricordavo, facile che non mi riusciva di dirtelo, perché c'hanno nomi che ti si attorcigliano sulla lingua. Comunque, quel pellerossa e Sherman si conoscevano e Sherman lo soffriva. Quindi diciamo che soffriva due cristiani: Harry e quel selvaggio. E a quel selvaggio lo soffriva perché era muto.
«Sì-sì, muto come un animale impagliato. Alle volte Harry arrivava, si affacciava alla finestra e vedeva Sherman e il pellerossa che guardavano i quadretti in silenzio. Il pellerossa stava con le mani piantate come ragni rossi sui braccioli della poltrona e Harry diceva che se c'era un pittore, quella scena l'avrebbe dipinta. Diceva che era ancora più bella da dipingere durante l'autunno, perché il caminetto era acceso e in autunno le foglie piovono e si ammucchiano tutt'intorno alla casa. Foglie gialle, arancioni e rosse che sembrano fiamme in posa per una foto.
«Sì, segnatela 'sta cosa, che capace la puoi usare per quelle tue storie da scribacchino. Io aspetto che hai fatto.
«Esatto, fiamme in posa. Così diceva Harry.
«Come?
«No, macché, Harry non era mica un imbrattacarte. A stento sapeva scrivere. Però era uno che leggeva. Andava alla baita e si metteva a leggere uno dei libri di Sherman, che pure Sherman leggeva un fracco quando non era impegnato a spaccare la legna o a fissare i suoi quadretti. Harry doveva faticare un po' per convincerlo a lasciargli pigliare uno di quei libri dallo scaffale che Sherman si era fabbricato con le sue mani. Era geloso dei libri come se c'aveva delle femmine in posa sugli scaffali invece che pagine ad ammuffire. Alcuni di quei libri erano vecchi come la Dichiarazione d'Indipendenza. Harry diceva che le pagine erano gialle come il tappeto di foglie intorno alla baita. Capace che certi di quei libri potevano pure valere qualcosa per quanto erano vecchi. Ho sentito che se sono vecchi e non sono troppo messi male ci puoi tirare su pure qualche migliaio di dollari. È vera 'sta cosa?
«Eh, vedi. Forse per quello Sherman era così geloso. Anche se, mo' che ci penso, se lo sapeva che valevano un fracco se li vendeva a qualcuno capace di scucire un bel po' di biglietti verdi.
«Che?
«Be', sarà pure come dici tu, ma io preferisco averci un bel rotolo di biglietti verdi sotto il materasso che un libro che piglia polvere sulla mensola. I cristiani che dici tu, che collezionano libri o se li tengono stretti come una foto della figlia o della moglie, devono avere qualche malattia al cervello. Una volta che hai finito di leggertelo a che ti serve conservarlo? Tanto vale farci un bel mucchio di quattrini.
«Comunque, Sherman e Harry leggevano un fracco. Harry aveva trovato come gancio quello della lettura per stare con Sherman e a volte se ne stavano in silenzio a leggere assieme. A Harry piaceva stare con Sherman. Diceva che quando era in giornata, vale a dire un giorno all'anno, quel brontolone era capace di farti discorsi che altri se li sognavano. Diceva che Sherman vedeva le cose in una maniera diversa. C'aveva una maniera anche di dirtele che era tutta sua, diversa da come le dicevano i libri che c'aveva in casa. Usava un modo più crudo e corto, che arrivava al cuore della cosa senza girarci intorno come una giostra che gira intorno a un perno. Io con Sherman non ci ho mai parlato, perciò non ti posso dire se è vero o no. Lo vedevo qualche volta che veniva in paese a comperare da bere o da mangiare quando non gli riusciva di cacciarsi da sé il pranzo o la cena. Veniva pure quando gli servivano i proiettili per quel suo fucile vecchio come le ossa di Lincoln. Comprava e se ne andava. Non diceva manco buongiorno, arrivederci o vaffanculo. Al massimo ti faceva un cenno con la testa quando lo salutavi, ma giusto per farti capire che ti sentiva, e spiccicava una parola per dirti che voleva i proiettili di un certo calibro o la marca della roba da bere. Che poi, più che parlare borbottava, come se quelle due parole in croce le doveva pagare di tasca sua. Penso che vivere da solo, con la sola compagnia di quei libri e della voce in testa che usava per leggerli, gli aveva fatto male come fa male a un animale quando lo metti in gabbia. Solo che Sherman nella sua gabbia ci si era ficcato da sé. E sai che penso? Penso che le persone come Sherman non sono cattive e non ce l'hanno con i cristiani per qualche motivo. Penso che ce l'hanno con loro stessi e che si devono punire per capire davvero delle cose su di loro e sul mondo.
«Sherman penso che si puniva in quel modo lì, ficcandosi in quella baita e restando lontano dal mondo. Solo così riusciva a capire qualcosa di più. Ecco perché riusciva a fare quei discorsi che andavano così a fondo nelle cose. Solo che poi, a forza di restare solo coi libri, i quadretti e il fucile, quel vecchio brontolone si è scordato come si faceva a stare coi cristiani. Riusciva a stare solo con quell'indiano muto.
«Che?
«L'indiano? E chi se lo ricorda come si chiamava. Mi ricordo solo che c'aveva un nome più impronunciabile di quello della sua cacchio di tribù. Era un nome che secondo Harry significava 'alce coraggioso' nella nostra lingua. Quei selvaggi si chiamano coi nomi degli animali perché per loro la natura e i cristiani sono una cosa sola e tutti quanti quelli che vivono sulla terra sono figli di un dio che loro chiamano Grande Spirito. Io quel loro dio me lo immagino come un grande tizio piumato, tutto luminoso, con una cascata di piume per capelli, una barba di piume, una coda di piume e due ali al posto delle braccia. Una specie di cristiano travestito da pollo, in pratica.
«Comunque, il selvaggio muto andava da Sherman ogni tanto, alle volte pure quando ci stava Harry. Secondo Harry era più vecchio di Sherman, ma c'aveva occhi scuri con una luce dentro al nero che era come quella di una lampada in una notte senza stelle.
«Sì, Harry diceva proprio così, parola per parola. Quell'indiano c'aveva occhi vivi e curiosi che pareva si stavano affacciando da poco alla finestra dell'esistenza. Una volta mi ha pure detto che secondo lui il Padreterno gli aveva tolto la voce per metterlo accanto a Sherman e per ripagarlo di avergli tolto la voce, sempre secondo Harry, gli aveva dato lo spirito di un marmocchio. Quell'indiano c'aveva un bell'entusiasmo per uno con quelle rughe intorno agli occhi e la bocca che per labbra c'aveva due petali avvizziti. Per Sherman era una fortuna che non parlava, perché dagli occhi sembrava un gran chiacchierone. Ah ma si faceva capire. Parlava con le mani. C'aveva quella sua lingua delle dita che era come un balletto. Ogni due per tre lo vedevi che si faceva ballare le dita davanti alla faccia. Harry diceva che Sherman lo capiva. Capiva se voleva un bicchiere d'acqua o le chiavi della latrina che stava di fuori. Mi pare che s'era imparato pure qualche parola in quella lingua delle dita che l'indiano parlava. Cose semplici, eh, niente di che. Che poi non gli serviva manco impararsele, perché l'indiano era muto ma ci sentiva benissimo. C'aveva un orecchio che spaventava ed era pure un campione a scovare le tracce di animali. Anche Sherman c'aveva la sua esperienza in quel campo lì, dal momento che si cacciava pranzo e cena, ma l'indiano era proprio un fenomeno. Alle volte Sherman lo incontrava mentre andava a caccia e l'indiano, che bazzicava spesso per i boschi, lo accompagnava e gli scovava delle tracce che Sherman ci impazziva per capire come faceva a notarle.
«Secondo Harry, ogni volta che l'indiano trovava una traccia impossibile, Sherman si metteva in faccia il suo muso imbronciato e gli lanciava un'occhiata. L'indiano capiva da quell'occhiata che Sherman gli stava chiedendo come diavolo aveva fatto a vedere la traccia e per risposta si toccava un occhio, come a dire: 'Basta che guardi, non è tanto complicato.' Stessa cosa coi rumori. Alle volte fermava Sherman con un gesto e si infilava un dito nell'orecchio, come per dirgli: 'Ascolta.' Sherman si imbronciava e ascoltava, ma spesso non sentiva finché l'animale non compariva da lontano, come una forma tra gli alberi. Solo allora sentiva il rumore che faceva mentre camminava sul tappeto di foglie. Era come se non riusciva a sentire senza prima vedere.
«Che?
«Vuoi sapere come so 'ste cose?
«Me le ha raccontate Harry, mi pare ovvio. E lui le sapeva perché una volta gli è capitato di andare con Sherman e l'indiano. Sherman non è che impazziva per le battute di caccia in compagnia. Faceva un'eccezione per l'indiano perché era muto e lo aiutava a scovare gli animali in fretta. Harry s'era riuscito a infrattare nella battuta di caccia solo perché l'indiano aveva messo una buona parola... cioè, ce l'aveva messa a gesti, la buona parola. E Sherman, che per quel muso rosso c'aveva un debole, anche se non lo trattava meglio di come trattava Harry, alla fine aveva detto okay.
«Che poi c'era anche un altro motivo per cui Sherman si portava appresso l'indiano. Non era solo perché quello c'aveva i sensi di un animale, ma anche perché conosceva i boschi meglio di qualsiasi cristiano di Red Creek e dintorni. Nei boschi di qui, devi sapere, ci abitavano i pellerossa che erano tipo i nonni o i bis-nonni di 'alce coraggioso.' Ci stavano da prima che una manica di buzzurri pallidi arrivava, tagliava gli alberi e tirava su la prima casa di Red Creek. Dove mo' sta il paese c'erano altri alberi. E il fiume, che mo' si chiama come il paese, c'aveva un altro nome, un nome indiano che nella nostra lingua significa 'serpente rosso', perché certi giorni l'acqua c'ha quel colore rossiccio come il rame.
«Comunque, il selvaggio di Sherman si muoveva per i boschi con la scioltezza che tu usi quando ti muovi dentro casa tua. Quando c'era lui, Sherman si allontanava più del necessario e mica si preoccupava di non trovare più la strada, perché quel diavolo rosso gliela mostrava come se tra gli alberi c'erano i segnali che ti indicavano come tornare alla baita. Diceva Harry che di solito stavano fuori a cacciare fino al tramonto e, appena il Sole diventava rosso fuoco e le prime ombre si stiracchiavano, l'indiano pigliava a fare la sua danza delle dita per dire a Sherman di rientrare. Non gli piaceva stare nei boschi di notte. E non perché potevi incontrare un orso o un alce con la luna storta, ma perché secondo lui, durante la notte si aggiravano cose peggiori.
«Vuoi sapere che tipo di cose, vero? Lo vedo da come mi guardi. Sembri un cane che ha sentito l'odore di carne sulla brace e gli è venuta l'acquolina in bocca. In pratica il vecchio pellerossa ha raccontato a Sherman che la sua gente crede a cose che noi chiamiamo con altri nomi, ma che sono più o meno le stesse. Glielo ha raccontato con la sua ginnastica delle dita e, secondo me, alla fine della storia era sudato come se aveva corso per i boschi tutto il pomeriggio. Gli ha detto che i boschi, prima che noi ci mettevamo a tagliarli, erano la casa dei lupi a due zampe. Io li chiamo così perché non mi ricordo il nome che usava Harry, però mi ricordo che diceva che erano come cani che camminano su due zampe.
«Eh, tipo, ma un po' diversi. Harry diceva che erano uomini, come me e te, cacciati dal loro capotribù perché avevano fatto qualcosa di brutto, tipo ammazzare uno o rubargli in casa. Il capotribù li cacciava a calci nei boschi e gli mandava appresso un bel malocchio che restava appiccicato fino alla morte, e quando il tizio moriva si trasformava in questo lupo su due zampe. E secondo il pellerossa di Sherman, i lupi su due zampe li trovi in giro per i boschi dopo il tramonto. Di giorno dormono sottoterra. Si scavano delle tane profonde come tombe e ci si ficcano dentro finché il Sole non va a dormire.
«Esatto, tipo vampiri, solo che i lupi su due zampe non ti ciucciano il sangue.
«Che?
«No, io non ho mai visto niente che somiglia a un lupo all'in piedi. Sei scemo se pensi che vado nei boschi dopo il tramonto. C'ho il senso dell'orientamento di un uccello ubriaco. Sono capace di perdermi dentro casa mia, figurati lì dentro. Harry manco l'ha mai visto un lupo di quelli, però Bill Wazel ha visto qualcosa e dopo che l'ha visto è diventato superstizioso come il selvaggio di Sherman. Ha cominciato pure a bere come un lavandino. C'ha sempre la sbronza o il doposbronza. E se non ce li ha è perché si sta sbronzando.
«Sì, se mi dai un attimo ti racconto quello che ha visto. C'hai 'sta fretta che non capisco da dove ti viene. Che per caso anche nei tuoi libri fai così? Vai diretto al punto senza manco prima girarci un poco attorno? Penso proprio di no, perciò aspetta e lasciamela raccontare. Dico la stessa cosa ogni volta che ti racconto una storia. Sto cominciando a rompermi io stesso di sentirmelo ripetere.
«Allora, Bill è l'unico che assieme a Sherman c'ha un minimo di orientamento.
«No, aspetta, sono un po' ingiusto con Bill, che c'ha più di un minimo di orientamento. Fa la guida per i turisti che vogliono guardare il fogliame. Li porta pure fino alla baita di Sherman e gli fa buttare un occhio dentro. Se sono fortunati, vedono Sherman che li manda a cagare mentre agita quel suo fucile vecchio come il cucco. A Bill piace sfruguliare. Un giorno o l'altro si becca una legnata. Sherman non c'ha una grande scorta di pazienza.
«Comunque, prima che cominciava a ciucciare alcol come un pupo ciuccia latte dalla poppa della mamma, Bill se ne andava per i boschi ci restava pure più in là del tramonto. Ci andava per cacciare come Sherman, ma più che altro gli piaceva esplorare. Era capace di arrivare fin dove stanno i pellerossa e fermarsi a bere qualcosa con loro. Certe volte si portava del liquore fatto in casa e glielo offriva. Però non dirla a nessuno 'sta cosa del liquore fatto in casa, che sennò lo sceriffo gli fa un culo così a Bill. Mi sa che ogni tanto se lo fabbrica nella vasca da bagno. Per l'odore che c'ha addosso, secondo me ci si fa proprio lui il bagno in quella roba, prima di bersela.
«Comunque, il giorno che Bill iniziò a bere faceva freschetto. S'era messo un giaccone pesante, aveva pigliato il fucile ed era andato nei boschi. Stava lì a gironzolare e a pensare di bere una cosuccia coi musi rossi, così si incamminò in quella direzione. Era il tramonto, il Sole stava andando a farsi il solito pisolino, ma Bill non si preoccupava. Pensava che uno di quei musi rossi gli poteva dare un passaggio fino a casa.
«Mo', Bill sta camminando nel silenzio della natura. Non vola una mosca e se ne accorge solo dopo che sta camminando da un po'. C'è un silenzio come se il mondo trattiene il fiato. Bill fa un paio di passi e sente le foglie morte che fanno crac e croc sotto i piedi, ed è l'unico rumore vivo che sente. Si ferma, sente il fischio vuoto del silenzio nelle orecchie e poi una serie di crac veloci. Si gira intorno e vede solo alberi. Qualcosa lo tocca dietro la testa e Bill urla come una femmina che ha visto un ragno, si gira e vede una foglia arancione che vola a terra. Dice 'Cristo' e sente di nuovo quei crac veloci. Al che si ricorda che c'ha un fucile, lo alza e gira in tondo, ma ancora non vede niente. Guarda pure in alto, verso le cime degli alberi, e pure lì non c'è nulla.
«A quel punto non capisce, pensa che forse si sta immaginando le cose. Magari è il suono che viaggia nell'aria e visto il silenzio fa quegli effetti strani e sembra molto più vicino di come è in realtà. Sta ad aspettare un po', nel caso che spunta un orso o un alce, o magari un cerbiatto che può impallinare e poi cucinarsi per cena, e quando non sente niente si tranquillizza. Abbassa il fucile, fa un paio di passi in direzione dell'accampamento di baracche dei musi rossi e lo vede. Sta affacciato da dietro un tronco massiccio, a tipo dieci metri, e lo spia. C'ha il muso lungo come quello di un cane e si vedono i denti davanti perché c'ha il labbro alzato come se sta ringhiando in silenzio. Ha il pelo nero come la notte e gli occhi come biglie con dentro degli spilli, come gli occhi dei serpenti. Si vede un orecchio appuntito che spunta e una zampa poggiata sul tronco, con le unghie lunghe che accarezzano la corteccia.
«Bill si ferma appena lo vede e non riesce a togliergli gli occhi da dosso. E non ci riesce perché quella specie di cane o lupo o quello che è sta all'in piedi come un cristiano. E Bill è tipo lì che si chiede come cazzo è possibile una cosa così e di colpo sente una voce bassa e rauca che mormora qualcosa che lui non capisce. Si gira e chi ti trova lì accanto? Il selvaggio di Sherman. Bill non l'ha manco sentito arrivare.
«Il selvaggio tiene in mano un sacchetto di tela con sopra disegnata un'aquila rossa e lo agita di fronte al naso come un sonaglio. Bill lo guarda come per dire che cazzo stai facendo, e sente di nuovo tutti quei crac di passi svelti che frantumano le foglie. Allora si gira e vede che il lupo è sparito. Si accorge pure che il selvaggio ha smesso di agitare il sacchetto di tela. Bill lo vede che si avvicina all'albero e si china un poco a esaminare la corteccia, come se ha visto qualcosa di interessante. Poi si mette dritto, si gira verso Bill e gli fa un sorriso.
«'Che cos'era?' chiede Bill e la sua stessa voce lo fa saltare, perché sembra quella di un marmocchio talmente è sottile. L'indiano tira su le mani e fa la sua danza delle dita. Bill rimane un po' così e si chiede perché quello strambo individuo gli agita le mani davanti alla faccia. Ci mette qualche secondo per capire che è muto. Al che chiede con una voce un po' più ferma: 'Cosa c'è lì dentro?' e indica il sacchetto che il selvaggio di Sherman agitava in faccia al lupo. Il selvaggio gli fa ancora quelle mosse e Bill dice che non ci capisce un cazzo e allora quello si abbassa su un ginocchio, raccoglie un pochino di terra e la mostra a Bill. 'Terra?' chiede Bill e il selvaggio di Sherman fa di sì con la testa. 'Quel grosso lupo è scappato perché gli hai agitato in faccia un po' di terra?' Il selvaggio fa un paio di mosse, capisce che Bill proprio non riesce a tradurre quella sua lingua delle dita e gli mostra la terra di nuovo, si punta un dito addosso, così, per indicarsi, poi punta lo stesso dito verso un punto lontano. Bill ci mette un secondo o due per capire. 'È terra che viene dal tuo accampamento?' chiede e l'indiano fa di sì con la testa. 'E che c'ha di speciale?' fa Bill e lì l'indiano ci mette un po' per farglielo capire. Si mette addirittura disteso a terra, con le mani a 'X' sul petto, come un morto, e lì Bill capisce che è terra di cimitero. Un cimitero indiano. Bill chiede perché il lupo c'ha paura della terra del cimitero indiano, ma anche con tutto il teatrino messo in scena non riesce a capire quello che l'altro gli dice. Allora lascia perdere e dice all'indiano che forse è meglio levarsi da lì, nel caso che a quel cazzo di lupo gli viene voglia di tornare per un saluto. L'indiano allora lo piglia e lo porta con lui all'accampamento. Passano vicino all'albero dove stava nascosto il lupo per spiare Bill e Bill vede dei segni sul tronco: graffi, ma profondi, come quelli che può lasciare un orso che ha sniffato cocaina e ha deciso di fare a botte con un albero. Arrivati all'accampamento l'indiano racconta a quelli che capiscono la sua lingua delle dita quello che è successo. Così quelli dicono a Bill che gli è andata di culo che 'alce coraggioso' stava in giro per i boschi col suo sacchetto con la terra del cimitero e le ceneri di sciamano.
«Sì, è quello che ho appena detto. Il sacchetto c'aveva dentro pure le ceneri di uno sciamano della loro tribù, uno che dicono una volta l'ha posseduto il Grande Spirito e gli ha insegnato un fracco di cose sugli spiriti dei morti e altre stronzate, tra cui pure come mettere paura ai lupi su due zampe.
«Comunque, i pellerossa offrono a Bill da bere mentre chiacchierano, gli danno del mescal che gli toglie tutti i brividi di dosso e poi uno di loro lo accompagna a casa col suo pick-up scassato. Dopo quella volta Bill ha comincia a fare brutti sogni. Tutte le notti sogna quel lupo all'in piedi che lo spia o che lo insegue per i boschi. E lui prova a svignarsela, ma c'ha le gambe pesanti un quintale e alla fine il lupo lo raggiunge, gli zompa sulla schiena e lo azzanna, ma Bill si sveglia sempre un secondo prima che quello lo azzanna. Una volta si fa pure un sogno da sveglio, nel senso che si sveglia nel buio pesto e vede qualcuno all'in piedi davanti alla finestra, che sembra un cristiano ma con le orecchie a punta. Allora si allunga per accendere la lampada e quando la accende non c'è nessuno nella stanza da letto a parte lui. Esce pure di casa col fucile, che magari quella cosa con le orecchie a punta stava lì fuori e a lui sembrava che stava dentro perché era rintronato dal sonno. Sotto la finestra c'ha dei fiori e se quella cosa stava di fuori li deve avere pestati per forza, ma non trova niente di strano, né un'impronta e nemmeno un fiore calpestato. Lì comincia veramente a darci dentro col bere, per stordirsi e non pensare più a quel lupo che lo va a trovare nei sogni e a casa. E continua ancora adesso a darci dentro anche se, secondo me, con tutto quell'alcol lo ha affogato da un pezzo il ricordo. Penso che ora beve più per abitudine che per cacciare dalla testa il lupo. L'alcol è un gran figlio di puttana. Una volta che ti aggancia è difficile levarselo di dosso. Non è un caso se quelli dell'alcolisti anonimi lo chiamano scimmia.
«Che?
«Ah, questo non lo so, ma penso che Harry me lo diceva se Sherman aveva visto un lupo che camminava come un cristiano e che lo sbirciava dalla finestra. Che poi, se ci pensi, era più facile che lo vedeva Sherman, che ci vive nei boschi.
«Che ti devo dire, forse Bill Hazel se l'è sognato quel lupo o magari s'è inventato quel mucchio di cazzate per giustificare che mo' beve come una spugna di mare. Anche se Bill non è mai stato il tipo da contare balle, per di più grosse così. Si dovrebbe chiedere all'indiano muto, se ancora respira. Magari ti fai un giro lì dove sta accampato con i suoi compari e vedi, se proprio ci tieni. Questo è tutto quello che so io. Che poi mi sto accorgendo solo mo' che ti ho raccontato due storie, quella di Sherman e quella di Bill, e quella di Sherman manco è finita. Ma tranquillo, ti faccio lo sconto... di nuovo. Devo impararmi a non esagerare. È che non parlo con un cristiano da un secolo e mezzo e mo' mi esce fuori tutto quello che mi so' conservato in questi ultimi anni.
«Comunque, per tornare a Sherman, come ti ho detto lui e quell'indiano ogni tanto si tenevano compagnia. Sherman, in tutto questo, era vedovo. La sua signora era crepata tanti anni prima che arrivavano Harry e l'indiano, ma non so i dettagli. Forse li sa Harry, anche se non penso. Sherman parlava quasi meno del suo indiano, figurati se si andava a confessare da Harry e raccontava cose così segrete e dolorose del suo passato. So però che dopo che ha perso la sua signora si è trasferito in quella casa nei boschi, per stare solo e forse anche per pensare alla sua signora. Tenere vivo il suo ricordo in qualche modo. Un ricordo che poi col tempo si è trasformato in un fantasma. I ricordi ce l'hanno 'sta cosa, che col tempo si possono trasformare in fantasmi se ogni due per tre a tirarli fuori dalla fossa dove li hai seppelliti. È un po' come una seduta spiritica, se ci pensi: ti metti là e chiami quelle cose morte, le chiami con tanta energia e convinzione che alla fine le costringi ad alzarsi e a venirti a salutare. E quando arrivano non ti dicono buongiorno o come stai, sfondano la porta e ti si piantano sulla tua poltrona preferita e ci restano finché non smetti di guardarli. Perché per sopravvivere, i ricordi hanno bisogno di attenzione e se non gliela dai li costringi a sparire.
«'Ste cose me le ha dette Harry, che le ha pensate mentre stava con Sherman e lo osservava che lanciava occhiate alla foto della sua signora morta, che ce l'aveva incorniciata su un piccolo tavolino vicino alle poltrone. Ecco, la guardava e la sua faccia c'aveva sempre un tic, ma piccolo, che se sbattevi le palpebre te lo perdevi. Era un tic sotto l'occhio, come se qualcosa voleva venir fuori e Sherman lo ricacciava dentro. Secondo Harry il ricordo che Sherman teneva in vita era diventato un fantasma perché Sherman ci pensava in un certo modo, un modo triste, e questo aveva trasformato il ricordo in un fantasma.
«Che mo' tu mi dirai: come si fa a pensare in modo felice a tua moglie morta? Eppure Harry pensava che i ricordi li puoi rigirare come ti pare e piace. Lui diceva che li puoi manipolare. Puoi cambiare i colori, i suoni e un fracco di altre cose, e trasformare così un ricordo triste in uno felice. Se per esempio i colori di quel ricordo sono sbiaditi tu falli più intensi, diceva Harry, e vedi come ti cambia. Se la luce è poca tu metticene di più. Secondo lui, se fai così e usi per bene la tua immaginazione, la tristezza poi ti va via. Mo' non lo so se 'sto trucchetto funziona veramente, io non so' capace a fare quelle cose che diceva Harry, però tu ci potresti provare. Visto il lavoro che fai, penso che la tua immaginazione è tipo come la sera del Quattro di luglio, tutta piena di robe scoppiettanti e colorate.
«Tornando a Sherman, secondo Harry lui c'aveva un solo ricordo della moglie che lo martellava, e cioè la sua faccia truccata da quello delle pompe funebri, co' gli occhi chiusi, le labbra strette che non ci passava uno spillo e le guance un po' troppo rosse per una che sta per finire sottoterra. Ed è chiaro che se tu pensi a 'ste robe poi ti viene a bussare la tristezza. Ovvio che Sherman c'aveva anche ricordi felici su di lui e la sua signora, ma per qualche motivo la sua mente tornava sempre a quelli che lo intristivano di più. Una volta sola aveva detto a Harry questa cosa della moglie e dei suoi pensieri e glielo aveva detto mica perché era in vena di confidenze, ma perché c'aveva la febbre alta. Harry lo trovò che tremava sotto le lenzuola e parlava di cose a caso, tra le quali pure la moglie nella cassa da morto. Gli toccò la fronte e s'accorse che era calda. A quel punto chiamò il medico e rimase ad aspettarlo accanto a Sherman che intanto blaterava. Harry disse che a un certo punto Sherman si girò verso di lui e cominciò a parlargli come se parlava con la moglie morta.
«A Sherman quella febbre gli sciolse proprio la lingua e nel tempo che il dottore ci mise per arrivare, recuperò tutte le chiacchierate che non s'era fatto da quando Harry l'aveva conosciuto. Non si fermava più. Prima parlò della moglie, poi dell'indiano muto e poi di un fracco di altre cose. Quando il medico arrivò e Sherman gli disse una roba tipo: 'Finalmente sei arrivata. Portami da mia moglie', Harry non capì chi Sherman stava sognando di vedere. Ma poi Sherman disse: 'Togliti il cappuccio, voglio vederti in faccia mentre mi porti da lei' e lì gli vennero i brividi perché capì che Sherman pensava che al posto del dottore c'era la Morte che l'era venuto a pigliare per portarlo da sua moglie. Il dottore si fece una risata, perché doveva averne viste e sentite pure di più assurde, e gli diede la medicina che s'era portato appresso. Harry accese il camino per scaldare la casa, mise una pezza bagnata in fronte a Sherman e piano piano la febbre s'abbassò. Sherman smise di blaterare e Harry non gli raccontò mai che aveva detto quelle robe.
«Ecco, siamo arrivati quasi alla fine della storia. Mi manca di dirti solo che Sherman in quella casa ci è rimasto finché non ci è morto. L'indiano andava a trovarlo e ogni tanto gli portava qualche regalo, tra cui pure quel tappeto. Non lo so se l'aveva fatto proprio l'indiano con le sue mani o l'aveva fatto fare a qualcun altro. Da che mi ha detto Harry, però, era un lavoro ben fatto. Chi ci ha messo mano sapeva il fatto suo. I disegni che c'erano ricamati sopra erano una mandria di bisonti che correva per una spianata. La cosa bella, secondo Harry, era che si vedeva un fracco di terra vuota davanti a quei bisonti, come per dire che il mondo sul quale stavano correndo era grande e spazioso. E sempre secondo Harry quel particolare piaceva pure a Sherman, perché dava quel senso di libertà che ognuno di noi insegue.
«Quella volta l'indiano lo fece molto felice a Sherman e dopo gli portò altre piccole cose, come quell'aggeggio che cattura i brutti sogni e che sembra una ragnatela...
«Eh, quello lì. E poi altri cazzi e mazzi che secondo lui servivano a proteggere la casa da quelle cose che giravano per i boschi dopo il tramonto. Harry diceva che Sherman li prendeva ma poi li metteva in un cassetto e ce li lasciava. Solo il tappeto coi bisonti lo appese in bella mostra.
«Ecco, questo è tutto quello di interessante che mi ricordo su Sherman, che viveva nei boschi come uno di quei monaci che abitano sulle punte delle montagne.
«Come?
«Ah, si chiamano così? Allora sì, Sherman era un cazzo di eremita. A quelli in paese gli andava a genio, però. Sì, perché anche se era scontroso e parlava meno di quell'indiano muto, alla fine c'aveva il cuore di burro. La scorza dura che vedevi da fuori era una specie di corazza. Harry diceva che Sherman se la metteva perché la morte della moglie già l'aveva ferito troppo e non gli andava di mostrare le ferite né di buscarsene altre, per quanto potevano essere piccole come la puntura di una spina. Diceva pure che era un peccato che aveva deciso così, perché la parte più bella di noi la facciamo vedere quando siamo senza difese. È lì che mostriamo chi siamo per davvero.
«Ohè, si sta facendo buio. Ho parlato un fracco di più di quello che pensavo. Mi sa che è ora di levarsi da qui e mettersi al caldo. Ti aspetto domani per un'altra storia.
«Eh, non lo so quale ti racconto, ci devo pensare un po'. Mi devo fare una bevuta, che mi aiuta la memoria. Ci vediamo domani alla stessa ora. Non fare tardi, che le attese non le sopporto.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top