Inserto inutile - Le emozioni


Uno che ne capiva qualcosa diceva che l'emozione non ha voce, ma la prendiamo come una metafora e un trampolino di lancio per fare due riflessioni spicciole, tipo le offerte di frutta sull'orlo del marciume al mercato del paese.

Posto che non esiste una classifica di validità/ legittimità dell'emozione, è pur sempre vero che quando si legge qualcosa e questo qualcosa si arpiona al vissuto del lettore, o a qualcosa che il lettore riesce emotivamente a decodificare e comprendere perché sintonizzato sulla sua lunghezza d'onda emotiva, direi che l'obiettivo dello scrittore è abbastanza centrato.

Cosa vuol dire? Non lo so, ma ci ragioniamo, che male non fa.

L'arte (e sì, scrivere fa parte della sfera artistica, thank you very much, indeed) rispetta sempre delle regole "tecniche" - perché senza regole si fa solo la cacca o prodotti ad essa equiparabili - che servono a costruire qualcosa che abbia un senso. E dopo aver raggiunto il senso compiuto vadano anche oltre.

Uno può leggere "M'illumino d'immenso" e pensare, ma cosa ci vuole a mettere insieme due parole e un apostrofo? La risposta è: ci vuole. 

Ci vuole una conoscenza della lingua che solo a prima vista può sembrare superficiale.

Ci vuole una conoscenza del ritmo delle parole e prima ancora delle sillabe che ti fa scegliere proprio quelle e non altre simili o assonanti.

Ci vuole la sensibilità che ti fa capire che la tua scelta creerà nel lettore un determinato terremoto emotivo suscitato dalle immagini che le parole che hai scelto (apparentemente a caso, secondo gli arrivati del momento) hanno evocato.

Nel caso ve lo stiate chiedendo, no. Non è semplice. Non sono cose che si improvvisano, a prescindere dal grado di talento innato posseduto.

Scegliere le parole e le immagini giuste è un lavoro certosino di equilibrio, in cui chi scrive fa il primo passo per creare lo spazio evocativo ed "evocante" e lascia poi al lettore lo spazio da riempire con le sue emozioni e l'"evocato".

Vi faccio un esempio che mi è rimasto dal libro "La cattedrale del mare" che ho letto qualche anno fa. Il protagonista abbandonato dai genitori a causa di forze di causa maggiore viene allevato dalla famiglia della sorella del padre, con cugini cresciuti nel benessere che non perdono occasione per maltrattarlo a più riprese. Anni più tardi lui, diventato ricco, acquista il palazzo appartenuto allo zio e sfratta i cugini, caduti in disgrazia, costringendoli ad andarsene solo con i vestiti che indossano e facendogli levare pure le scarpe in una specie di contrappasso per un episodio avvenuto durante la loro infanzia in cui era stato lui a dover andare scalzo per causa loro. 

La leva emotiva è servita. Costruita nel tempo, sull'onda dello sdegno verso questi cugini stronzi e tutte le sfortune seguenti che il protagonista ha dovuto subire e sfruttando la simmetria delle parti, ma senza esagerare perché non siamo ancora alla fine della storia e i cugini, nel panorama generale della storia, sono solo degli stronzi di passaggio. Fastidiosi certo, ma non certo i peggiori.

Dosare le emozioni non è un lavoro di un minuto. Ma se non lo fate rischiate di alienare il lettore che o non si sentirà coinvolto perché l'apporto emotivo del testo è troppo blando, oppure si sentirà sopraffatto perché ci sono troppe "cose emotive" tutte insieme e va in confusione perché non sa più a cosa prestare attenzione e a quale emozione dare la precedenza.

Ci vuole anche una certa dose di onestà. 

Con la editor assegnatami dalla casa editrice ho dovuto rivedere certe mie opinioni radicate riguardo ad alcuni passaggi di "First". E ve lo dico spassionatamente e non con falsa modestia: a me il mio libro piace, ma sono consapevole che non sia certo il capolavoro dei capolavori. Non c'è nulla di male. Se qualche produttore di Netflix lo vuole trasformare in un film sono comunque disposta ad ascoltare la proposta ;)).

Detto questo, confrontandomi con la editor su certi passaggi mi sono resa conto che alcune cose che secondo me erano chiarissime ed emotivamente "pregne" in realtà lo erano solo nella mia testa. Disclaimer ulteriore: ho nutrito più volte il sospetto che la mia editor di certi passaggi e implicazioni emotive della mia storia, soprattutto in seguito a certe osservazioni, non avesse capito un cazzo. E più volte, grazie ad altre osservazioni della stessa editor, mi sono resa conto che quella che non aveva capito un cazzo ero io. O, per essere più precisa, non avevo capito, o non riuscivo a realizzare che ci fosse un disallineamento tra quello che io pensavo di voler far intendere e quanto effettivamente un lettore fuori dalla mia testa riuscisse effettivamente a cogliere. L'editor da questo punto di vista si è rivelata super preziosa, e se in alcuni punti non mi sono mossa di un micron su altri mi sono adeguata senza troppi patemi.

Fatevi questa domanda e fatevela in maniera onesta: la vostra storia vi emoziona? Vi smuove? Vi piace? Vi vengono le bollicine nella pancia quando leggete certi passaggi?

La risposta, pur a gradi diversi, dovrebbe essere - onestamente - affermativa. Altrimenti è il caso di lavorarci su. 

E qui si fa il passo successivo:

Quanto siete disposti a cambiarla?

Quanto siete affezionati al contesto mentale in cui è nata e quanto riuscite a valutare le opinioni altrui al riguardo, soprattutto per l'impatto emotivo che suscita (che di quello stiamo parlando)?

Perché anche l'aggancio emotivo dell'autore a quanto scrive (la maternità/paternità dell'opera) è un elemento di cui tenere conto. Se infatti diventa troppo ingombrante rischia di zavorrare la narrazione e di impedirne la progressione, lo snellimento e i miglioramenti in generale. Ve la metto lì, come riflessione volante.

E concludo fornendovi un consiglio aggratis:

Pensate al libro che vi piace di più. Perché vi piace? Perché quello e non un altro, magari dello stesso autore/a?

Attendo vostre per proseguire il discorso.

Cheers.




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