Recensioni Tremende - Raccontami di me - Lista 10.2
Questa è la recensione dell'opera Raccontami di me di amarantoazzurro
La recensione qui presente non intende essere offensiva, è un mio parere personale. Sono caustica, lo so. Ma lo sono sull'opera, non su di voi. Non sono attacchi personali, lo devo specificare perché qualcuno purtroppo fraintende. Potete prendervela, e anche tenervela. Sorry, not sorry.
Let's go!
Autore, ti devo avvertire. Eventi traumatici causati consapevolmente da me stessa a me stessa medesima hanno portato a una drastica riduzione del mio livello di tolleranza a qualsiasi cosa. Mi scuso in anticipo per il mio tono che prevedo già sarà parecchio scartavetrante. Puoi sempre mandarmi a cagare, è un augurio che prendo sempre a cuore. Posso anche unirmi con giubilo al coro di invio. Just sayin'.
Premetto qualcosa che ho già esplicitato nel regolamento. Non sono una fan delle storie a tema LGBT per il semplice motivo che non mi prendono emotivamente. E laddove manca il coinvolgimento emotivo si parte zoppi. Non mi scuserò, ma mi sembra doveroso esprimerlo. Per quanto mi riguarda, questa cosa è pari alla preferenza di un genere letterario rispetto a un altro.
Grammatica/Ortografia/Sintassi
Houston, we have a problem. No, rettifico. Houston abbiamo due problemS.
Problem numero uno: consecutio temporum is not a an opinion: la consecutio temporum non è un'opinione.
Cap 1 "Fecero attenzione a non sfiorarmi le gambe, anche se avrebbe dovuto essere stata mia premura ritirale." Togliere stata.
Cap. 3 "non importava se aveva..." Le mie orecchie stanno sanguinando. Rivedere la benedettissima consecutio.
Cap 4. "Lo accontentai ancora per tutto il tempo che aveva voluto." Come sopra.
Cap 5. "Non sapevo che alla sua età aveva ancora paura del buio." Idem con patate.
Problem numero due: punteggiatura is not an opinion. La punteggiatura non è un'opinione.
Cap. 1 "non erano mai uguali, alcuni vuoti altri pieni di significati, di messaggi, di segnali - se riuscivi a coglierli." Tralasciamo i significati i messaggi e i segnali, che se non è zuppa, è pan bagnato, dopo vuoti non c'è una virgola che ci deve essere.
Cap 2 "Anche quella mattina assolata, sguardi femminili erano orientati verso di lui, li sentivo languidi anch'io." Io, dopo assolata la virgola la toglierei.
Altro appunto. Stai indietro con i puntini di sospensione. Ho visto un uso smodato e non sempre consono, alla fine di paragrafi, in mezzo a paragrafi, bah, boh. Io li eviterei come la peste.
Altro appunto ancora. I discorsi diretti. Quando chiudi il discorso diretto, se quello che segue è un dichiarativo va bene la lettera minuscola. Se invece ti metti a disquisire di altro, organizza una nuova frase.
Esempio simbolico
Cap 3 ""Chi?" feci orecchio da mercante." Fare orecchi da mercante, con tutta la mia buona volontà, non lo posso considerare dichiarativo. Quindi metterei una bella lettera maiuscola a Feci e rendi quella che segue una frase a sé stante.
Cap 3 ""Poteva farti male sul serio!" protestò." Questo invece è l'uso corretto.
Rivediti tutti i discorsi diretti che si intercalano tra commenti, sensazioni, cazzi e mazzi e nel dubbio scegli la via della semplicità. Se è dichiarativo lo tieni, se non lo è organizza una nuova frase.
Stesso discorso per i discorsi "mentali" che sono un tripudio di segni di interpunzione messi con la cazzuola. Punti di domanda seguiti da virgole, trattini seguiti da virgole, virgole seguite da virgole; insomma la tratta delle virgole.
Esempio spicciolo al Cap. 5 " e se fossi stato io ad accarezzare lui?, mi avrebbe..." Perché quella virgola, perché? Inizia una nuova frase con la lettera maiuscola e non pensiamoci più.
La struttura delle frasi non è esattamente felice, ci sono un sacco di coordinate appese al niente, incisi, spesso termini ricercati che cozzano un po' con la base zoppicante a livello sintattico. Non mi sono accanita come un ninja incazzato per un motivo ben preciso che andrò a spiegare verso la fine della recensione. Ossequi.
Occhio anche ai tempi verbali, che saltano come le rane in uno stagno. Decidi un tempo verbale e poi tutto il resto faccelo andare dietro. Te lo chiedo per favore.
Presentazione e sviluppo dei personaggi. Il punto di vista del protagonista mi sta bene. Che lui abbia tutta una serie di paturnie vere o presunte, dovute a una condizione particolare (di cui io, ignoravo nome ed esistenza) va anche bene, ma a un certo punto la narrazione si è incuneata in un senso unico in cui fare inversione diventa sempre più difficile. Essendo la narrazione in prima persona poi, ovviamente tutta la percezione dei personaggi è filtrata dalla sua visione della vita; e diciamolo che costui è cintura nera in seghe mentali, vuoi per l'età, vuoi per una naturale predisposizione, vuoi per i genitori che si trova che prendono i suoi attacchi di panico come un intrattenimento gratis.
Partiamo quindi dal protagonista, questo ragazzetto con problemi che mi è sembrato inizialmente abbastanza credibile poi via via, non mi so spiegare come, le sue turbe adolescenziali hanno iniziato a venirmi su per una gamba. Ti spiego perché. La sua ossessione per tale Sverre, seppur verosimile ed espressa a modo, diventa un tantino ripetitiva e non in maniera crescente, ma in maniera rotonda. Praticamente un gatto che si morde la coda. Poi, a voler vedere bene, sembra che tutti i pene muniti, chi più, chi meno, gli causino un certo movimento in zona inguinale. Boh. Ha un po' il vizio anche, di trarre conclusioni su qualsiasi cosa gli capiti come se fosse bollata e sigillata secondo quanto pensa (o non pensa) lui. Il dubbio è che qui ci sia dell'infodumping dal futuro (siccome il racconto è fatto dal protagonista cresciuto in flashback) sparso come zucchero sui canestrelli (biscotti che io aborro con tutta me stessa, se volete offendermi a morte, offritemi dei canestrelli, limortaccivostri), ma potrebbe essere una mia percezione. Torniamo alla puntata di Io e le mie ossessioni. Sverre, si diceva, viene magnificato e esaltato e glorificato in maniera smisurata e un tantinello ripetitiva.
Ehh, ma è un'ossessione, mi osserverai tu, autore votato alla protezione della tua opera, è logico che sia ripetitiva. Sì, tecnicamente, è logico; nella pratica, se tutta la faccenda finisce per scartavetrare i maroni, te e la tua logica chiudete baracca e burattini perché il lettore si rompe le palle. Anche meno, insomma. Oppure anche meglio? Non lo so. Decidi tu.
Nonostante questa osservazione, i personaggi sono credibili. Anche il ragazzino con le turbe, sia chiaro. Solo che per me, è un filino too much.
Ora, tale Sverre, detto tra me e te, non mi sembra poi tutto questo capolavoro di simpatia. Lo dico e lo ripeto, capisco che lo vediamo attraverso gli adoranti occhi del protagonista che è stato travolto da una valanga di ormoni modello botti di Capodanno, ma, almeno nei primi dieci capitoli, questo sembra l'uomo che non deve chiedere mai, che prende, piglia e fa come gli gira. Mi è salito un vaffanculo alla velocità della luce. Sappilo.
È che è troppo idolatrato senza un giusto motivo. Un giusto motivo che arrivi al lettore che non è schiavo degli ormoni in fermento, intendo. Sa stare con gli altri, bontà sua, ma a parte un buon carattere (più dato per partito preso di quanto emerga dal suo modo di fare, diciamolo), e ha un bell'aspetto, ma, a me personalmente, non mi ha intrippato per niente. E lasciamo perdere che io non sono naturalmente predisposta all'apprezzamento del boy love. Qui si parla dell'interesse/ossessione amorosa del protagonista. A me ogni volta che questo compariva sulla scena mi cadevano le palle. Può essere che sia colpa del mio essere una congenita zitella acida. Non lo so. Come diceva Simona Ventura a X-Factor 1: non mi sei arrivato.
E poi il padre. Uno psicologo con un livello di empatia pari a una patata bollita. Ha un figlio con un problema riconosciuto da tutti e si mette a fare il giullare di corte. A un certo punto mi è venuto il dubbio che la sua figura fosse volutamente provocatoria, nel senso che fosse descritto un po' ottuso di proposito e anche un po' borderline con la storia degli scherzi (che detto tra me e te, non fanno ridere nessuno). Non ho trovato risposta.
Un plauso invece a Ludovico. Nei capitoli che ho letto mi è sembrato, nelle sue sporadiche apparizioni, un personaggio tridimensionale, credibile nella sua semplicità schietta e l'ho apprezzato davvero molto.
Descrizioni. Le descrizioni sono ricche di aggettivi, forse un po' troppo per i miei gusti personali. Allo stesso tempo però, ho molto apprezzato il fatto che non ti fermi solo all'aggettivo, ma cerchi sempre di intrecciare un'azione, una sensazione, qualcosa che dia un movimento a quanto scritto e non lo lasci lì, seduto sul suo culo a prendere la polvere. Ottima l'attenzione ai dettagli, che a me manda sempre in brodo di giuggiole, esempio la curvatura della schiena di Sverre che ride, vedi capitolo 2. J'adore.
Trama. La trama ruota tutta attorno alle paturnie del protagonista. Non ho nulla da osservare in merito. Ci sono degli eventi, che accadono con un ritmo discreto direi, ma è chiaro che l'elemento principale è l'emotività del protagonista che diventa il metro di misura di tutto quello che succede. L'emotività sembra la vera protagonista più che gli eventi tra i due pinocchi. Lo accetto, anche perché il peso di quello che succede a livello interiore è davvero molto più grande di tutto quello che succede fuori. E ci sta.
Mi rimane solo il dubbio di che cacchio abbiano da ridere i genitori dopo che un tizio è planato sul figlio, ma vabbè.
Varie ed eventuali.
Cap. 1 "E mia madre ripeteva ammirata "Qualcuno prima o poi centrerà l'insalatiera sulla tavola del nostro giardino." Ora cosa c'entri l'ammirazione con l'alta probabilità che uno che ti si sfracelli in giardino, a me sinceramente sfugge...
Cap. 1 "Solo un'affinità iniziale: sfuggevolezza." Scusa, che cacchio significa, che entrambi si scansano come nel Matrix? Non chiaro. Troppo ermetico.
Cap. 1 "carpe Diem" la maiuscola a diem non è necessaria.
Cap 1. "Arista!" Non avendo io capito cosa centrasse la schiena del maiale con il concetto di eccellenza, ho fatto due ricerche spicce e ho trovato questo:
Il termine arista deriva dal greco aristos, letteralmente ottimo, superlativo di agathos, cioè buono. Secondo il Pianigiani sarebbe in realtà il superlativo di ari "che dové significare -idoneo, conveniente-". Quindi "per la sua origine parrebbe significare -il più idoneo-" Cit. L'internet. Italiapost.it
La leggenda vuole che il termine arista sia nato a Firenze nel 1439, durante il concilio ecumenico della Chiesa romana e greca, voluto da Cosimo il Vecchio nella sua città. Durante un banchetto, infatti, pare che il cardinale greco Basilio Bessarione dopo avere assaggiato un arrosto abbia esclamato: "Aristos!" ("il migliore" in greco). I fiorentini presenti credettero che quel nome indicasse uno specifico pezzo di carne e, trovandolo simpatico, lo ripeterono così tanto che la lombata di maiale fu poi appellata con il termine di arista. Cit. Wikipedia
Qui mi dice che l'etimologia è più facilmente greca, che latina, ma altrove mi dà anche etimo incerto e quindi siamo all'impasse. La mia domanda quindi è: su quale base mi colleghi Arista alla conoscenza del latino? Curiositè allo stato puro. Sallo.
Cap 1. "Soprattutto per Bea, la figlia, per la quale avrei fatto di tutto per acceleraLE la partenza." Quella particella pronominale mi ha fatto venire il mal di mare.
Cap 1. "difronte" di fronte.
Cap. 2 "servizio che nemmeno aveva ringraziato" WTF. Quel che equivale a un pugno in un occhio. Il che pronome relativo può svolgere sempre e solo la funzione di complemento diretto, ossia complemento oggetto (o soggetto se proprio), ma mai e poi mai e poi mai e poi mai (alla n) quella di complemento indiretto (ovvero i complementi preceduti da preposizioni), porco becco. Così sembra che il tizio non abbia ringraziato il servizio invece che PER il servizio.
Cap. 2 ""Gli attrezzi ce li aveva nel marsupio del quale non si separava mai." Dal quale.
Cap. 3 "scesi giù sfilando da oltre la grande finestra." Non mi è ben chiara la geolocalizzazione di questa mossa. A naso direi che il da è di troppo. Ma io ho un pessimo senso dell'orientamento e la cosa potrebbe essere opinabile.
Cap 3 "Bath, a qualche chilometro da Bristol..." Echissenefrega. Lavori per Google Maps?
Cap. 3 "un desiderio che se altrimenti fosse germogliato." Ecco no. Estirpiamo quell'altrimenti prima che germogli. Per favore.
Cap 3 "A interrompere... della macchinetta." Vorrei che tu contassi quante coordinate e quante subordinate ci sono in questo periodo. Solo per amore di statistica.
Cap. 4 "istallare" No. Installare, per favore.
Cap. 5 "una personalizzante aggiunta.." Il participio presente si sostituisce alla relativa che+verbo, in questo caso che personalizza. Qui però più che personalizzante, l'aggiunta è personalizzata.
Cap. 9 "...si era dimostrata interessata a me più di quanto avrei voluto fosse stato Sverre" Fiumi di parole, verbi in eccesso e comprensione non pervenuta.
Concludendo
Ho apprezzato l'inizio simil poetico. Essendo una particolare estimatrice dell'anafora e delle figure retoriche di ripetizione, ho trovato delizioso l'inizio. Poi mi è passata.
Spendo qualche parola sullo stile. Ci sono davvero molte cose da sistemare a livello formale. La punteggiatura, le concordanze verbali, a volte la costruzione delle frasi e anche una certa tendenza innata all'infodumping che solo parzialmente può passare come parte della caratterizzazione del personaggio (inteso: un po' ci sta, ma a una certa, si va oltre). Non ti ho segnalato nemmeno la metà delle cose che IO sistemerei, per un motivo preciso.
Non sono una fan particolare di questo stile ruspante e diretto, ma, anzi MA, chissenefrega di quello che penso io in merito. Lo apprezzo, soprattutto, perché credo sia estremamente difficile da rendere, nonostante le imprecisioni sopra citate.
Quindi ora farò un discorso astruso. Ti dirò quello che vedo io. Con una piccola premessa, sono miope dal 1999. Comunque. Quello che vedo io è uno stile, che anche se non sempre grammaticalmente e sintatticamente correttissimo, ha un sapore ben definito. Io ce lo vedo il personaggio un po' sfigato che racconta i suoi tremori emotivi davanti a uno che gli fa girare gli ormoni. Non empatizzo molto per gusti miei personali che ho già spiegato e per cui non mi scuso, ma lo capisco, e a un livello astratto lo comprendo e ti dirò di più: lo trovo credibile. Nel tuo stile c'è un'autenticità innegabile che, per quanto mi riguarda, fa chiudere gli occhi su tante magagne per cui, diversamente, mi inalbererei come un tucano. Questa autenticità un po' grezza è qualcosa da correggere con attenzione, nel senso che se si abusa della penna rossa in nome di una non meglio definita accuratezza formale si rischia di snaturare la genuinità stessa della narrazione. Come quando ci si lava troppo e va a finire che si diventa molto più sensibili ai germi.
Quindi rivedi sì, quello che hai scritto, che da correggere come detto, ce n'è. Ma non esagerare nella ricerca della perfezione di forma, se poi per strada mi perdi la sincerità della narrazione.
Chiaro, no?
Fine.
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