Recensioni Tremende - Chiave:verità e menzogna Lista 1.2


Questa è la recensione dell'opera Chiave: verità e menzogna scritta da @SlyCooper17

La recensione qui presente non intende essere offensiva, è un mio parere personale. Sono caustica, lo so. Ma lo sono sull'opera, non su di voi. Non sono attacchi personali, lo devo specificare perché qualcuno purtroppo fraintende. Potete prendervela, e anche tenervela. Sorry, not sorry.

Let's go!

Dopo aver letto i dieci capitoli, oggetto di questa recensione, una sola parola mi sovviene: fatica.

Che qualcosa non andasse, avrei dovuto capirlo nel leggere il riassunto introduttivo. Quello che dovrebbe indurre il lettore a scoprire di più. "Pip vive... lui e la madre saranno coinvolti in una rete di inganni e tradimenti. Il rapimento di uno dei due..." – e io qui penso o di Pip o della madre, che sono i due personaggi principali, o no? NO!– "...fa da preludio nella caotica Roma..." Roma? Che cacchio centra Roma? Hanno fatto scalo a Roma dal Vietnam a Londra? Viaggiano con Alitalia? Perché nominare Roma? Vengono rapiti a Roma? Perché si sono fermati a Roma? Io non capisco, uffa. Ecco, devo ancora iniziare a leggere e sono già confusa.

Ho trovato il tuo testo davvero poco scorrevole - soprattutto le prime parti - e ora che ho timbrato l'obolo dei dieci capitoli, sono stremata. Tipo come quando inizi a cantare e invece di fare una bella scala di do fluida tutta in un fiato, fai gli scalini con la voce e inizi a tossire.
Ma entriamo nel merito di questa mia affermazione, ché siamo qui per entrare nel merito, appunto.

Faccio una premessa. Ho pensato a lungo (circa un dieci minuti, che se ci pensi un attimo è un pensiero piuttosto lungo), se entrare nel merito di ogni capitolo e vivisezionare ogni singolo paragrafo per dire cosa va e cosa non va, ma arrivata alla fine del primo capitolo ho capito che, qui più che mai, perseverare, come dice il detto, sarebbe diabolico e anche un filo autolesionista. Quindi cercherò di ragionare per macrocategorie facendo alcuni esempi di quello che sto dicendo, e lascio a te il grosso del lavoro; primo perché sei tu che lo devi fare, secondo perché io ho già letto dieci capitoli e mi sembra più che sufficiente come contributo.

La prima cosa che ho notato, e che non sono riuscita a spiegarmi, sono i capitoli oblunghi. Che senso ha raggruppare nello stesso capitolo scene che raccolgono alla bell'e meglio avvenimenti diversi tra loro e distribuiti nel tempo senza un principio coesivo di fondo? Non sarebbe meglio cambiare capitolo quando c'è un cambio di scenario, che sia di spazio o di tempo? Altrimenti mi chiedo quale sia il criterio secondo cui decidi di far finire un capitolo per iniziare il successivo. Non sono riuscita a darmi una risposta. Ti sei forse messo a tavolino e hai tracciato una linea con il righello come hanno fatto le potenze europee con l'Africa nel 1885? Chiedo per un'amica.

Grammatica/Ortografia/Sintassi. Aiuto. Devo iniziare così. Mi ci vorrà un aiuto dal cielo per portare a termine questa sezione. Ma non mi scoraggio. Come si dice, barcollo, ma non mollo.

Il testo pur essendo ortograficamente corretto - pochi refusi, segni di interpunzione usati a dovere - presenta un sacco di imprecisioni soprattutto dal punto di vista sintattico.

Inizio con questa frase come esempio, presa dal Capitolo 1. "Il suo nome era Pip, e viveva a Veen, un piccolo villaggio del Vietnam impoverito dalla siccità."

La sto rileggendo da 40 minuti. Non c'è niente da ridere, porco becco. Tralasciamo le reminiscenze di Pthor, figlio di Kmer, che nascono dalle allitterazioni sparse, non so se volontarie o meno, e facciamo i seri. Quel maledetto impoverito dalla siccità è messo in una posizione talmente infelice che sto cercando disperatamente di capire a cosa si riferisca. Immagino che nella visione originale delle cose si riferisca al villaggio. Ma la sintassi è una piccola stronza, e vuole che si rispettino le buone maniere. Perché, per come è messo, quel maledetto impoverito dalla siccità dovrebbe riferirsi a Vietnam, a cui è contiguo nella frase; e se poi la sintassi quel giorno ha il ciclo, potrebbe addirittura venire a questionare che, siccome il soggetto è Pip, quell'impoverito dalla siccità potrebbe riferirsi al soggetto della frase per definire il modo in cui viveva. Capisci, perché ci sto perdendo 40 minuti? Perché non è chiaro. E se non è chiaro, il lettore si incaglia. E se si incaglia perde il ritmo. E se perde il ritmo, perde l'interesse. E se perde l'interesse - che al mercato mio padre comprò - sei fottuto. Big time.

E ci sono altri, innumerevoli esempi in cui le frasi sono costruite in maniera troppo surreale, per essere comprese a una prima lettura. E se rileggi ti incagli ancora di più. Uffa.

Altro esempio dal primo capitolo: "La pelle abbronzata faceva risaltare il fisico asciutto." Che significa? Se mi fermo a pensare al significato, questa frase non ha senso. Avrebbe più senso il contrario, - ovvero che il fisico asciutto faccia risaltare la pelle abbronzata - mi viene da dire a naso, ma potrebbe essere che sono io a non aver capito e me la metto via. Comunque, non ho capito. Soprassediamo.

Quello su cui non possiamo soprassedere è il modo in cui sono costruiti i periodi, in cui le secondarie si incartano tra di loro e c'è una pluralità di soggetti per cui si finisce a non capire un'acca di chi è cosa e come e perché. Aiuto.

Esempio (sempre del capitolo 1): "Ad aspettarlo a casa c'erano la madre, che era sempre pronta a prendersi cura di lui, e il padre, un sarto, da giorni costretto a letto perché il suo cuore, sempre più debole, sembrava sul punto di cedere. Gli occhi scuri e incavati erano segnati dalle lacrime. A vedere il papà in quelle condizioni, Pip sentiva un forte dolore trapassargli il petto."

Domanda: di chi diavolo sono gli occhi? Mistero della fede.

Il soggetto principale dei periodi fino a questo punto è stato Pip, il protagonista, di cui stai descrivendo i genitori, con informazioni all'ottanta percento inutili - ma soprassediamo come sopra su questo dettaglio. In ordine compaiono la madre - con una relativa che non dice nulla e non aggiunge nulla e non serve a nulla; e il padre, che è sarto e sta morendo. Solo che lo dici con una verbosità controproducente. Concorderai che diciassette parole – le ho contate tutte, preposizioni e articoli compresi – per dire che uno sta tirando gli ultimi, sono troppe.

E poi, spretenfete, questa frase, messa lì come la acca in Sonohra secondo Elio (citazione alta, ma non potevo esimermi). E non si capisce se gli occhi sono del padre, della madre, di Pip o del lettore che sta cercando di orizzontarsi, senza riuscirsi, e ha deciso di mettersi a piangere. Sembra di leggere un'espressione di matematica in cui le parentesi vengono aperte ad minchiam e alla fine sono dispari.

Rit. Aiuto.

Aiuto.

Aiuto.

La struttura delle frasi è pesante, pesantissima, oppressiva. Pesante perché ci sono troppi termini, troppi aggettivi, troppi giri di parole per dire cose che si possono dire più efficacemente con meno della metà dei vocaboli.

Esempio: "Con quel pesante pensiero scolpito nella mente, raggiunse la sua casa di legno."

Il pesante pensiero scolpito mi pesa sulla lingua, sulle corde vocali, su tutto. È greve alla lettura. E non serve a nulla. Annoia a morte chiunque lo legga.

Altro problema in questa frase: raggiunse la sua casa di legno. Siccome all'inizio del capitolo il ragazzo sta andando a casa, e dopo sette/otto paragrafi non solo non è ancora arrivato, ma te ne esci con questa frase, sembra quasi che Pip – a metà della strada fatta per andar a casa sua dove lo aspettano i genitori, abbia una sua casa – più sua, intendo, diversa da quella dei genitori - peccato tu abbia appena detto che ad aspettarlo a casa ci sono i suoi, ma forse sono della casa sua e dei genitori e lui sta andando nella casa sua sua. Lo vedi che casino? Quell'aggettivo possessivo non è solo inutile, è dannoso, crea confusione, spezza un ritmo che già va per i fatti suoi rispetto allo spartito.

Rit. Aiuto – Aiuto – Aiuto.

Ci sono troppi, inutili particolari che distolgono l'attenzione, e anche la pazienza, dal filo principale degli eventi. Sto povero cristiano sta rientrando a casa e deve vedere il padre prima che schiatti. La situazione è abbastanza urgente. Non puoi metterti a tergiversare piazzando tutto l'alfabeto di aggettivi e emozioni in coordinate e coordinate e ogni tanto causali e ogni tanto altre coordinate delle causali. Perché perdi la credibilità sull'urgenza millantata poco prima, caspita. E nel frattempo il padre è morto, piccolo dettaglio. Rileggi le frasi e chiediti se proprio tutte le coordinate/subordinate che hai inserito in un periodo, sono necessarie. Se sei in dubbio, taglia.

Altra cosa, ultima, spero. Attenzione ai sinonimi. All'inizio del primo capitolo parli di un ragazzo che lavora nei campi. Poi diventa un garzone. Poi subisce più trasformazioni di un Pokemon. Quindi questo Pip chi peeep è? Io non capisco più nulla!

Presentazione e sviluppo dei personaggi. Ah, i personaggi, questi sconosciuti. Ah, scusate, questa era un'altra storia.

I personaggi ci sono – ce ne sono ben quattro in dieci capitoli, che non è un problema in sé e per sé. Si capisce che sono diversi e che hanno dei loro - oscuri - motivi per fare quello che fanno. Così oscuri che ad una prima occhiata si direbbe che fanno cose a caso. Il più delle volte infatti, non sembrano cavalcare l'onda degli eventi, quanto piuttosto sottostare ad avvenimenti casuali che succedono loro malgrado. Questo è una conseguenza diretta dell'uso – oserei dire abuso – del passivo, che veicola l'idea di essere succube di qualcosa. Ma il problema non è solo quello. La realtà è che le loro motivazioni sono talmente trasparenti, che in controluce si vede netta la figura del narratore che muove le varie figure come un burattinaio. Con la differenza che il burattinaio resta nascosto, mentre qui, il modo in cui gli eventi accadono è talmente slegato da risultare non credibile, a meno che ci sia appunto una personalità dietro le quinte che fa muovere tutto. Se te lo stai chiedendo, no. Non è una cosa positiva. Il narratore, anche quando sa tutto non deve mai, mai, mai, irrompere sulla scena. Non siamo mica Manzoni, o sì? No, non lo siamo. Ho risposto con l'aiuto del pubblico.

Che dire di Pip, il protagonista probabilmente non figlio di suo padre? Pip è una drama queen, ammettiamolo. Passa da picchi di assoluta apatia a lampi di genio, a depressioni acute ad azioni assolutamente senza senso. Viene aggredito, assilla un passante ignaro e poi scompare. Non si fa mai nemmeno uno straccio di domanda su chi l'abbia aggredito, cosa che mi fa temere che abbia problemi di memoria a breve termine, o un totale disprezzo per la propria incolumità. Poi però se la prende per la madre per cose, che forse sono legittime, forse sono nella sua testa, forse boh. Non ci sto dietro. È credibile come protagonista? No. Troppi sbalzi di umore per una sola personalità, a meno che non ci sia dietro il solito qualcuno (ciao narratore impiccione, sto parlando di te!) che lo sposta come il soldatino sul tabellone del Risiko. E come quasi tutte la drama queen alla fine della fiera, combina davvero poco e non si riesce a capire chi sia in realtà.

Anche la madre, deve essere almeno bipolare, perché ha dei modi di comportarsi non congruenti tra loro. E dal suo comportamento, nonostante si sbellichi in dichiarazioni altisonanti, sembra che reputi il figlio un pirla. Non è credibile che agisca per istinto di protezione, perché i suoi pensieri sono troppo torbidi e più inclini a parare il fondoschiena a se stessa e al suo passato, che volti al bene reale del figlio.

Jakob è logorroico. Tutto il discorso sul padre, "So che non sono tuo padre, ma ti voglio bene come un figlio, ma non sono tuo padre...." – Ma hai finito che mi stai mettendo ansia dicendo cose di un'ovvietà imbarazzante? E boh, sa ma non dice, interviene a sproposito e più di una volta compare sulla scena solo per rasentare l'inutilità. Non pervenuto.

E quell'altro, Jim, probabile padre di Pip, a naso, o forse no, poco importa. Un personaggio messo sulla scena in maniera talmente artificiosa che la sua stessa apparizione spoilera un ruolo futuro di un certo rilievo. La sua comparsa è telefonata, il suo incidente artificioso, e tutto quello che avviene dopo smette di essere credibile ancora prima di verificarsi, mannaggia.

Descrizioni. Eh, le descrizioni. Posso dire in tutta onestà che non ci sono descrizioni? No. Posso dire che sono calibrate, equilibrate, e posizionate in maniera da bilanciare la narrazione? Hell, no! Si passa da un eccesso di dettagli inutili, che stordiscono, in scene trascurabili, al piattume totale nel momento in cui magari, una descrizione avrebbe dato respiro alla narrazione.

Che senso ha la descrizione minuziosa della fontana? Questa fontana avrà un ruolo centrale negli eventi? Probabilmente no. E allora, detto fuori dai denti, chissenefrega di com'è! Questa si chiama far perdere tempo al lettore. E io come lettrice, ci tengo al mio tempo, diamine!

Manca l'equilibrio, il senso del ritmo, il passo della storia. E poi siamo in Oriente, diamine. Nulla di quello che leggo mi porta in Oriente. Non sono mai stata fisicamente in Vietnam, ma so, per varie altre esperienze, che l'Asia ha una sua cifra particolare. Il senso del tempo, i rumori, gli odori. È tutto particolare e calibrato su un modo di vedere la vita profondamente diverso da quello degli occidentali. Questo dovrebbe emergere con forza, soprattutto in un contesto rurale. Invece no. Ci sono fontane, laghetti, il bianconiglio e casse di legno in cui la gente mette prima gli attrezzi di lavoro e poi viene seppellita. Surreale, nel senso peggiorativo del temine.

Trama. L'idea di trama c'è. Ed è anche - potenzialmente - interessante. Ogni tanto – spesso – a mio parere, c'è qualche passaggio, che come Tiziano Ferro, non mi so spiegare.

Nel primo capitolo, il siparietto tra la madre e Pip, pre-colloquio con il padre morente è raccapricciante. È contro senso, contro ogni logica e ogni crisma di scrittura. Il ragazzo deve darsi una mossa ed entrare nella stanza del padre, non perdersi a prendere le scarpe, togliere le scarpe, mettere le scarpe, bere, non bere, studiare il volto preoccupato della madre, pensare al sapore della saliva in bocca, spettinare le bambole, guardare su, guardare in giù, fare una giravolta, etc. etc. etc. Pietà.

Le azioni vanno bene se fanno progredire la trama, qui sono inutili, ingiustificate e contrarie al buon senso.

La scena del funerale, lunga e tirata e stirata e ripassata, a cosa serve esattamente? Non potevi solo dire che il figlio seppellisce il padre in giardino (come i cani, ma vabbè), prostrato dal dolore (espressione oramai abusata, ma mai come in questo caso, preferisco l'usato garantito)? Dammi tre parole - che non sono sole cuore e amore - e risparmiami la lagna infinita, sul fuori, dentro, spala tu, spalo io, salta su, tocca la cassa, e come farò, e come farai.... Pietà. Di nuovo.

La data della morte – oltretutto scritta in cifre! Aiuttttttooooo! – di nuovo, a chi e a che cosa serve? Poi, un figlio che fa scavare la fossa alla madre, per me è no. Anche se è nel giardino di casa sua. Ma tu hai presente quanto deve essere profonda una fossa? Questi rischiano di fare notte prima di scendere un solo metro!

Il problema maggiore, nel complesso, è quello del ritmo. Il ritmo a mio parere è totalmente sbagliato. Ci sono situazioni di tensione, in cui le frasi dovrebbero essere brevi e telegrafiche, per veicolare la paura e il fiato corto, e invece no. No, fai dei giri di parole, che Vivaldi al confronto era un ermetico. Se mi dici a parole che la situazione è urgente, ma poi ti fermi a descrivere i colori dell'uccellino che cinguetta fuori dalla finestra, allora c'è qualquadra che non cosa. È come dire a uno che gli vuoi bene, mentre gli sputi in faccia. Crea quel tantino di confusione che fa prendere le distanze.

Esempio: la morte del padre – il ritorno. La madre non fa nemmeno bere questo povero cristiano arso dal sole, perché deve urgentemente parlare con il padre schiattante, e tu che fai? Ti metti a descrivere in maniera puntigliosa le espressioni del viso di lui, di lei, delle assi di legno e le emozioni e i pensieri più reconditi del protagonista, della madre, delle scarpe. AIUTO! Primo, le emozioni non me le devi dire tu. Le devo fiutare da come descrivi il soggetto. Questo cristiano ha dei muscoli, facciali, delle mani, un corpo che parla. E faglielo muovere, cribbio! Se una persona digrigna i denti, difficilmente starà facendo una dichiarazione d'amore, concordi? Secondo, se la scena è urgente, devi arrivare al punto, e in fretta. Il troppo tergiversare spegne l'ardore. Per dire.

E al contrario ci sono scene in cui andrebbe un attimo approfondito il come, il quando e il dove e invece no. Su il sipario con un personaggio ancora in scena. OOOK!

Esempio: l'aggressione. Compare un tizio dal nulla con dei cani, che vuole da Pip una cosa che non ha visto e lo aggredisce. E già qui la credibilità è sotto le suole. All'inizio la descrizione del villaggio sembrava presa da Le Bucoliche di Virgilio poi cala la sera e diventa Fight Club? BAH! Succedono altre cose ancora più strane, che non ti sai spiegare come (Ciao Tiziano!), e puf! Sparisce il tipo, i cani, la gamba. Tizio mai più nominato. Buona notte a tutti! Errrr!

In generale, le scene sono scomposte in maniera troppo minuziosa e ci sono punti con eccessi di pathos assolutamente ingiustificato, per cui a un certo punto sembra di stare a teatro, in una pièce barocca. Oppure davanti a uno con OCD. In entrambi i casi, non è uno spettacolo gradevole. Le reazioni dei personaggi sembrano telefonate e si vede la figura ingombrante del narratore che sottende il testo. È la sua volontà, più che quella dei personaggi, a muovere il sole e le altre stelle, e questo è un problema grosso. Dov'è la motivazione dei personaggi? Dove sono gli eventi concatenati? Dove sono le reazioni agli accadimenti che ci fano capire che persona abbiamo davanti? DOVE????? Tutto appare disordinato e il rapporto causa effetto è talmente flebile da scomparire nella lettura. Rimane solo un grosso perché. E non è per la curiosità riguardo a quello che sta succedendo.

Varie ed eventuali.

Ho già accennato alla tendenza ricorrente del narratore di entrare a gamba tesa in scena. Anche a te rimando al capitolo sull'infodumping, e avendo fatto la mia marketta posso finire qui e salutare.

No, scherzo. Non ho ancora finito. Eh eh eh. Risata diabolica. Riprendo. Lo scarico di informazioni operato dal narratore nel tuo testo si traduce in un resoconto pedante dello stato d'animo del personaggio di turno che viene presentato come una sberla al lettore. Tieni, prendi questo stato d'animo e portatelo a casa. Non lasci agire i personaggi, non gli dai lo spazio per esprimere le emozioni e farle capire al lettore. No, schiaffi una badilata di parole sulla pagina e il lettore, resta lì, a metà tra il sepolto e il tramortito. Non è una bella sensazione.

Esempio: "Dopo un'ora .... buonanotte al mondo." Ecco il narratore che, non invitato, ci ha spifferato per filo e per segno tutto quello che passa nella testolina riccioluta del personaggio. E il personaggio intanto muto e immobile sulla scena, avvinto come l'edera. Poi una badilata di pathos. Con parole strappabudella, che usate ad minchiam, creano purtroppo l'effetto opposto.

Special guest: Cose che non tornano.

Cap. 1 "Nick serrò la bocca e trattenne tutta l'aria all'interno." Come un pesce palla? Questa è l'immagine evocata nella mia testa. Volevo renderti partecipe.

Cap. 1 "Il padre si voltò e Pip potè vedere il suo orecchio contratto con il lobo ripiegato in fuori." Ora, mi spieghi il senso di una descrizione così dettagliata su questo particolare assolutamente irrilevante? Il problema qui è duplice.

- Poniamo che il dettaglio sia rilevante per qualche motivo che sai tu. Se lo metti in questo modo, a bruciapelo, in una scena di pseudo profondità emotiva, allora si nota, spicca, e sembra quasi che tu voglia dire al lettore, "HAI VISTO QUESTO DETTAGLIO CHE HO MESSO QUI IN MANIERA ASSOLUTAMENTE CASUALE?" Solo che non è casuale per niente. Missione fallita. Il lettore si sente preso per il didietro e si indispettisce.

- Poniamo che il dettaglio sia irrilevante. Allora perché diavolo sprechiamo più che un accenno leggero per una cosa che non è rilevante? Il tempo del lettore è prezioso, l'ho già detto. Repetita iuvant.

Cap 9. "Pip ascoltò assorto..." Talmente assorto che vede e registra come una telecamera le caratteristiche del paesaggio circostante.

Scene WtF:

- L'uomo sul carro che si rifiuta di aiutare Pip. Pesca a strascico di parole rimpallate che invece di creare tensione, crea un WTF nella testa. Trascinatissima e poco credibile. Insomma, alla terza volta che uno rifiuta di aiutarti, basta!

- Colloquio Jim e dottore. Io non me la so spiegare. Che senso ha? Che utilità ha? Perché è stata inserita? Motivo non pervenuto.

- Pip si affretta a tornare a casa dopo l'aggressione per tranquillizzare la madre. Ah, no aspetta che faccio una deviazione. MA SEI SERIO?

- Madre che chiede a Pip se ha raccontato a qualcuno dell'aggressione. Nemmeno un po' sospetto. Proprio per nulla. Madre non sospetto assolutamente che tu stia nascondendo qualcosa.

- Pip che rinfaccia a madre di non aver venduto il flauto e salvato il padre. Ma se lui stesso rifiuta di andare a Londra quando scopre il valore del flauto, perché, boh chi lo sa, perché, rinfaccia alla madre di non aver fatto un viaggio che lui stesso non è disposto a compiere per cambiare la sua situazione? Non è che questo Pip è un po' smemorino e fa come la padella che dice nero al paiolo??

Special guest: Dubbi amletici.

- Ma la madre, se come dici nel capitolo 10 non è mai uscita dal Vietnam, come fa a descrivere con vividezza la vita delle grandi città? Perché, anche se mai espressamente specificato, quello che scrivi di lei nei primi capitoli, ovvero che reputa Veen un rifugio, lascia intendere una vita vissuta altrove, e con altrove intendo l'Europa. Ma magari ho frainteso. Comunque, questo dettaglio è poco chiaro.

- Non capisco, non me lo spiego, ma è assolutamente insensato che due genitori in grado di leggere e scrivere non lo insegnino al proprio figlio. Non sta né in cielo né in terra. Soprattutto se non ci sono scuole. Qui manca un motivo a prova di bomba per questo buco di significato enorme. Saper leggere e scrivere è il primo passo verso l'indipendenza e la libertà. Che razza di genitore negherebbe al figlio un futuro migliore, solo per capriccio?

Quindi.

Secondo me qui devi fare una cosa. Solo una cosa. Semplice.

Metti tutto da parte, per almeno tre/quattro mesi. Chiudi le pagine in un cassetto e non leggerle nemmeno sotto minaccia. E intanto leggi. Leggi come se non ci fosse domani. Perché al momento questo testo è come uno che canta un testo fuori tempo sulla musica. Come una fisarmonica tirata dove non deve e schiacciata quando deve respirare. È da rivoltare come un calzino da cima a fondo. Quindi facciamo un passo indietro. Con calma. Perché nulla è perduto.

Leggi.

Leggi.

Leggi.

Leggi.

Leggi.

Ti consiglio 3 titoli. Se li hai già letti, rileggili. E se prima dei quattro mesi li hai finiti, torna a chiedermene degli altri.

1. Il conte di Montecristo.

2. Lo scudo di Talos

3. Momo

Fine


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