Qual è la differenza tra leggere e recensire?
Ecco il quesito da sei triliardi ... no, dai, ma chissenefrega, siamo seri.
Ricomincio, me l'avete chiesto in tanti... no, non è vero. Non me l'ha chiesto nessuno (ciao amici youtuberz), ma siccome a me piace un sacco farmi le seghe mentali, un giorno in cui non avevo voglia di stirare, nè di svuotare l'asciugatrice, mi sono messa a ragionare sul modo in cui affronto una recensione, rispetto a quando invece leggo e basta.
Partiamo da un punto fermo:
io leggo per piacere.
Quindi, quando leggo, l'edonista che è in me, non si sta a fossilizzare sui possibili errori che può trovare in un testo e non si mette a fare le pulci se una frase suona strana, ma procede, nei limiti del possibile, senza troppi stropicciamenti. Puntualizzo un'altra cosa: io sono una lettrice fantasma, non commento, lascio anche meno stelle, non inserisco quasi niente in elenco di lettura, perché chissenefotte, e cerco il più possibile di passare inosservata. Il motivo è semplice: non mi ricordo di mettere le stelle e spesso, a pensiero tiepido, i commenti che vorrei scrivere mi sembrano sempre mezze cagate, quindi me li autocensuro in maniera preventiva. Diciamo che da lettrice non ho la smania di far sapere la mia opinione. In più ho una pigrizia che fa provincia. Se non trovo piacere in quello che sto leggendo, voglio avere la libertà mentale di tagliare la corda con celerità in qualsiasi istante, cosa che il mio santo anonimato mi permette con agio. Se trovo delle castronerie assurde, un ritmo sincopato, un trama che la devi cercare con la lanterna, succede che io raccatto i miei quattro stracci e me ne vo', silenziosa come sono venuta, e buona camicia a tutti. Con un sacco di sbattimenti in meno.
Quando recensisco invece, indosso i panni di una che vuole rompere i coglioni. Non so come altro dirlo. Se quando leggo, posso soprassedere a una struttura che non fa faville, quando recensisco, vado come un'asfaltatrice. Perchè l'obiettivo è avanzare tutte le obiezioni possibili e immaginabili che da lettrice avverto in maniera tiepida, e accantono con bonaria indifferenza, e da recensore invece devo esternare come fa l'estetista con tutti i tuoi punti neri (ci metto anche la stessa sadica soddifazione, sappiatelo). Quindi: grazie per tutte le recensioni che mi chiedete perchè mi date l'occasione di fare la maestrina di sti cazzi, come piace a me. [inserire risata satanica].
Però, c'è un però.
Anche da revisora (revisionatrice, revisionista, revisionizozuzizante - citazione solo per menti illuminate) non posso segnalarvi TUTTO (e non devo nemmeno, perchè non sono una corretrice di bozze, anche se qualcuno non lo vuole proprio capire e cerca di usarmi come ghost writer). C'è un limite matematico al tutto. Il primo limite è il mio tempo, di cui, non ho mai fatto mistero, sono sultanamente gelosa. Il secondo è che, come già spiegai altrove, anche le correzioni hanno una gerarchia. È inutile segnalarvi la consecutio sbagliata di una frase quando non si capisce una minchia dell'intero paragrafo. O stare a fare le pulci su un personaggio che c'è per tre righe e poi scompare nei secoli dei secoli, amen. Quindi, secondo il principio di economia che governa tutte le cose, e citando autorevolissime fonti, è inutile segnalare la pagliuzza, se c'è di traverso una trave. Chi ha orecchie, senta. Tutti gli altri, parlino pure.
Lo scopo di lettore e recensore è diverso, almeno per me (in realtà, anche secondo altri, ma non facciamo i precisetti). Da lettrice non segnalo molto perchè non mi sento nè in dovere, nè in posizione di farlo (salvo appunto casi eccezionali - può capitare che ci sia un buon rapporto con chi sto leggendo, oppure che quel giorno non sia riuscita a esaurire la mia voglia di cagare il cazzo in una recensione e me ne sia rimasta un po' di scorta), quindi, salvo eccezioni, è molto probabile che se anche avete scritto "o visto tua sorella", io vi lasci morire gonfi, e buonanotte. Tanto ci sono un sacco di altri utenti che ve lo segnaleranno, so che non avete bisogno di me, e io non ho il bisogno ancestrale di intervenire a prescindere. Se non mi sento intrattenuta, cosa che pretendo in qualità di lettrice, me ne vado senza voltarmi.
Se invece mi chiedete la recensione, che vi devo dire, cazzi vostri, un po' ve la siete venuta a cercare! No, scherzo. Più o meno. Se venite a chiedermi la recensione, per me è come ricevere l'investitura che mi abilita alla fattura di pulci e lì trovo il mio divertimento. Purtroppo, sembra che a qualcuno ancora sfugga ciò che significa recensire .
Recensire è fare una recensione, laddove
La recensione è un testo valutativo e interpretativo di un'opera letteraria, scientifica o artistica [...], di cui vengono analizzati gli aspetti contenutistici ed estetici. cit. Wikipedia
Assodato che gli aspetti contenutistici ed estetici riguardano forma e contenuto, cioè correttezza linguistica (grammaticale, sintatica, logica, ortografica e stilistica) e trama, passiamo al nodo spinoso della faccenda.
Valutare e interpretare, capirete anche voi, sono verbi dal significato ibrido. In alcuni contesti, si rifanno a valori misurabili oggettivamente su una scala di valori. Penso alla valutazione di un anello, che dipende dal materiale e dal peso o a quella di un quadro che dipende dalla tecnica, dalla quotazione dell'artista, dal fatto che sia in vita, etc etc. Capirete da soli che un mio quadro e un Van Gogh avranno un valore di acquisto "leggermente" diverso, così come l'anello di acciaio preso alla fiera della salama da sugo e l'anello di fidanzamento di Kate Middleton. Lo stesso vale per l'interpretazione/l'interpretare, che significa sia tradurre - e penso soprattutto all'ambito linguistico, che è comunque già un peletto più spinoso che valutare un quadro - che farsi interprete, ovvero spiegare/attribuire un significato.
Esempio, se uno mi dice Hallo, wie geht's?, io con il mio tedesco claudicante, capisco che mi sta dicendo (ovvero interpreto/spiego/attribuisco il significato) Ciao, come stai? ma non potrò interpretarlo/attribuirgli il significato di A quanto vendi tua madre? Questo significato non è contemplato dalla corrispondenza oggettiva tra le due lingue delle parole utilizzate. Capite?
Altro esempio, che oggi mi sento molto teutonica. La parola Stuhl, che in tedesco vuol dire sedia, potrà assumere significati affini a sedia, ad esempio der heilige Sthul (che è la Santa Sede, laddove la parola Stuhl viene interpretata come sede, facendo il passaggio di significato da sedia a seggio a sede e trasmigrando tra significati affini, uniti però dalla stessa radice), ma non potrà mai e poi mai significare, che ne so, cappotto. Quindi l'interpretazione si muove entro un raggio di significato definito (poi, che anche lì a volte siano grandissimi cazzi, perchè ci sono parole che significano il mondo e gente che ammazza gli altri su una traduzione sbagliata, è vero, ma è un'altra storia).
La faccenda si fa ingarbugliata quando il valore misurabile lascia spazio al valore che si attribuisce soggettivamente a qualcosa, ossia a quella componente di considerazione personale che non risponde a dei criteri definibili quantitativamente. Io posso dire, e troverò tutti d'accordo, che "o mangiato una mela" è sbagliato (valutazione oggettiva), ma come la mettiamo se devo stabilire una preferenza personale su queste due frasi?
1.
"Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato "Storie vissute della natura", vidi un magnifico disegno.
Rappresentava un serpente boa nell'atto di inghiottire un animale."***(1)
2.
"E' una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di una buona fortuna debba essere in cerca di moglie."***(2)
Esprimendo una preferenza, esterno, non un giudizio qualitativo - le due frasi sono entrambe formalmente corrette - ma una valutazione basata sulla risonanza che ciascuna frase ha in me. Io ho delle preferenze, e le mie preferenze personali, determinate da una miriade di fattori nemmeno lontanamente elencabili nella loro totalità, mi farà propendere per l'una o per l'altra, laddove io sia chiamata a esprimere una preferenza. Così come la gente che preferisce il gelato alla fragola piuttosto che quello al cioccolato. Mica andate in giro a dar loro del pirla per l'una o l'altra preferenza, o sì?
Ci sono cose che hanno risonanza diversa a seconda di chi le legge, e qualora a qualcuno venga richiesta una valutazione/interpretazione (ammesso che ne sia in grado, ma questo qui non viene messo in discussione questo punto, perchè non stiamo compilando un'antologia, bensì esercitando il diritto alla libertà di parola stabilito dalla Costituzione), ne deriva che questa persona non può prescindere dalle sue esperienze e dai suoi gusti personali, che sono parte integrante della sua persona, spesso anche in maniera inconscia. Nè dalla sua formazione, nè dal suo carattere. Se i gusti personali fossero omologati universalmente, la vita sarebbe uno schifo. Quindi un recensione, per sua stessa natura (valutazione+ interpretazione) non potrà mai essere completamente oggettiva.
Capirete quindi che quando mi si viene ad avanzare l'obiezione, la mia storia ha avuto solo recensioni positive finora, mi stupisce il tuo parere negativo! (cosa che mi è stata rinfacciata più di una volta e a cui non so rispondere altro che con, e quindi?), prima mi fate crescere le palle che non ho e poi me le fate anche cascare.
Cosa vuol dire quest'obiezione? Dove volete arrivare, anzi da dove siete partiti? Come potete pretendere che il mio senso critico/i miei gusti/la mia opinione siano uguale a quelle degli altri e viceversa?
Volete insinuare, un po' grossolanamente, che io mi stia sbagliando e gli altri no? E perchè non il contrario? O, in caso contrario, perché io dovrei avere ragione e gli altri no? Che colossale mancanza di rispetto verso qualcuno che vi ha dedicato del tempo. Io mica vado in giro a dare del pirla a uno a cui è piaciuta una storia che a me ha fatto cadere i maroni. Perchè invece tanti si sentono legittimati a farlo? E perchè date per scontato che l'errore stia da una delle due parti?
Perchè non viene contemplato che a qualcuno possa non piacere quanto si scrive? C'è gente a cui piace Asimov, gente che lo detesta, gente che adora Leopardi e gente che vorrebbe non avesse mai scritto una riga. Chi ha ragione?
Anzi. Perchè deve esistere "l'aver ragione" in un contesto del genere? Le opinioni personali, non sono Vangelo. Non si può pretendere che il mondo giri intorno a quello che pensiamo noi. Perchè non lo fa. E se poi un giorno dovessimo cambiare idea? Che succede, il mondo deve mettersi a girare al contrario?
Questo atteggiamento di chiusura altro non è che orgoglio ferito che si trasforma in intolleranza. Siccome una persona si sente messa in discussione da un'opinione non lusinghiera su qualcosa che ha prodotto (quindi nemmeno su di sè, ma su un "oggetto" esterno dal sè), allora parte all'attacco di chi ha espresso tale opinione per screditarlo e tentare in questo modo, di invalidare l'opinione stessa. Questo meccanismo è usato spessissimo nei dibattiti politici di bassa lega - quelli in cui c'è una penosa mancanza di contenuto, per intenderci - e spesso da persone che non sanno discutere inteso come:
discùtere v. tr. e intr. [dal lat. discutĕre, comp. di dis-1 e quatĕre «scuotere»; propr. «agitare, scuotere in diverse parti», nel lat. tardo «esaminare discorrendo»] (pass. rem. discussi, discutésti, ecc.; part. pass. discusso; come intr., aus. avere). – 1. a. Con uso trans., esaminare attentamente e in modo approfondito una questione, un problema, un argomento, da parte di due o più persone che espongono ciascuna il proprio parere e punto di vista ed esprimono il proprio consenso o dissenso sulle opinioni o proposte degli altri, col fine di giungere a una conclusione o decisione collegiale: d. una proposta, un progetto di legge, l'imposizione di una nuova tassa; è una questione che va discussa in sede di consiglio. Anche con uso intr. o assol.: d. di, su, sopra, intorno a una questione; la commissione si è riunita per d. del ricorso; finché stiamo qui a d., non giungeremo a nulla di concreto; d. sul sesso degli angeli, fare lunghe discussioni su questioni insolubili o eccessivamente sottili, senza potere arrivare perciò a conclusioni sicure. b. Con uso trans. o intr., avere uno scambio di idee e di opinioni, anche senza proporsi di giungere a specifiche conclusioni e deliberazioni: d. un o su un argomento di letteratura, d'arte; d. di politica; d. amichevolmente, con calma, o animatamente, vivacemente; è un problema delicato, ed è bene che ne discutiamo insieme; tutti nell'osteria si mettono a d. il caso, molto contenti di avere un argomento di conversazione così interessante (Gianni Celati). In partic., d. la tesi, sostenere l'esame di laurea (v. discussione, n. 1) [...] Cit. Dizionario Treccani.
Entro nello specifico. Il mio parere è il mio parere. Non è Vangelo, non è giusto a prescindere, non è l'unico e mai ho preteso che lo fosse - quello sì, sarebbe un grosso problema. Io lo espongo e lo motivo. Ed è sacrosanto, tanto quanto quello del recensore che vi ha esaltato e ha motivato le sue lodi. [Sì, parlo di gente che motiva in maniera sensata le proprie opinioni, che sulle opinioni espresse solo per vomitare lodi a o sparare merda, senza alcun fondamento, non m'interessa neanche perdere tempo.]
Quando mettete in dubbio quello che io penso, e come penso, mettete in dubbio me (o chiunque vi recensisca con delle motivazioni fondate). Calpestate il mio diritto ad avere dei gusti, delle opinioni, un senso critico personale solo perchè differiscono dai vostri. E per cosa? Per sacrificarli all'altare del vostro orgoglio? Ma anche no.
Sto facendo una recensione. Me l'avete chiesto voi, ve lo ricordate? Se stessi solo leggendo come ignara passante, sarebbe legittimo (forse) alterarsi per osservazioni che potrebbero apparire gratuite e un po' casutiche - che anche lì ci sarebbe da aprire parentesi a valanga, ma non abbiamo tutto 'sto tempo. Ma in questo caso sto rispondendo a una vostra precisa richiesta e se voi non avete letto il mio modo di recensire nelle recensioni di chi vi ha preceduto, francamente è un vostro problema. Devo forse mettere in pausa le mie preferenze personali e il mio modo di procedere per farvi piacere? Come potrei essere credibile, agendo in questo modo?
Voi mi avete chiesto una valutazione e un'interpretazione, operazioni che hanno, in questo contesto, una variabile sia oggettiva che soggettiva. Sull'oggettiva ci si può scannare a colpi di Accademia della Crusca, ma su quella soggettiva, mi dispiace, non avere potere alcuno. Fa parte di me e me la tengo stretta. Come il preferire il dannato gelato alla fragola. Piccola aggiuntina: l'opinione soggettiva può anche essersi rotti i maroni dopo due capitoli (unità di misura arbitraria) e alzare bandiera bianca per salvaguardare la propria sanità mentale. Sorry, not sorry.
Quindi, riassumo per i pigri:
- quando leggo voglio essere intrattenuta e me se sbatto se avete scritto minchiate. Il peggio che vi può capitare è che io vi stia lontano come la peste (e sul fatto che sia il peggio, si potrebbe discutere, ma non mi interessa);
- quando recensisco vi segnalo le cose che per me non funzionano e che mi avrebbero fatto abbandonare la vostra storia se fossi stata una mera lettrice, con la speranza che vi aiutino a capire come trattenere altri (futuri) lettori. Il peggio che vi può capitare è essere temporaneamente asfaltati, ma è un male passeggero e spero, molto proficuo. È sempre valida l'opzione di ignorare il mio parere e ritenerlo una montagna di minchiate, del resto mica vengo a spararvelo nei timpani con il megafono.
In nessuno dei due casi posso promettervi che la mia recensione vi cambierà la vita, perchè io non fornisco ricette magiche, ma solo osservazioni. Nel caso sia una semplice lettrice, vi risparmio anche quelle.
(1) Incipit de Il piccolo Principe di Antoine de Saint-Exubéry
(2) Incipit di Orgoglio e Pregiudizio di Jane austen
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