Scene di vita vera.
Io, Zia, in visita ai nipoti (che chiameremo Qui, Quo e Qua), per sapere come è andato il rientro a scuola, ricevo un saltellante Quo (che già è un evento più unico che raro visto che Quo, nello specifico, è più malmostoso di me, e ho detto tutto!) che esclama giulivo:
"Zia! Ho preso venti!"
Zia, un po' rincoglionita per l'età e un po' fuori dalle ultime tendenze per marcare quantitativamente i progressi degli infanti, guarda Quo un po' perplessa.
"Come venti? Hanno forse cambiato la scala Richter dei voti?"
Quo-fregaunacippa-della-mia-perplessità estrae il quaderno di sarcazzo materia e mi mostra tronfio due pagine, voto diesci su una, voto diesci sull'altra.
Riassunto: ho preso venti.
Quo ha ragione. Non fa una piega. Ha, a tutti gli effetti, preso venti.
Cioè, sì che la fa. La mia. Ho riso due giorni e l'ho raccontata all'universo e a passanti ignari in tre lingue diverse.
Poi siccome seghe mentali ne abbiamo in quantità, mi parte la riflessologia plantare alla base del cervello.
Quo ha sette anni e undici mesi. E nel suo modo di vedere le cose dire, fare dieci+dieci a fine giornata e concludere: ho preso venti è perfettamente legittimo. Perché forse non sa o non gli frega che la scala valutativa va da uno a dieci e per ciascuna materia si deve partire ogni volta da zero. E io, vi dirò, gli do pure ragione, sia per la creatività che per la capacità di sintesi.
Io mi ritengo una persona mediamente creativa e apprezzo come un panda in amore le storie in cui lo scrittore riesce a trovare una strada nuova o l'escamotage brillante per spiegare l'intrigo del mondo, o anche un semplice dato di fatto senza venire meno a tutte le premesse logiche che ha costruito nel percorso.
Vi ho già citato l'esempio di Éowyn e il re dei Nazgûl che non poteva essere ucciso da nessun uomo vivente; potrei aggiungere Stardust e il regno ereditabile solo dai pene-muniti e il Tristan Thorne di turno che, morti i suoi ventisette zii, e essendo per culo, l'unico figlio maschio dell'unica figlia femmina del re di Stormhold (figlia femmina che nessuno si è mai filato di striscio) tocca il topazio e sprenfete! ecco che diventa re quando sembrava che tutto fosse oramai andato alle ortiche.
La gestione dello spazio interpretativo è una componente fondamentale nella creazione di una storia, di qualsiasi genere si tratti, ed è anche un'operazione assai delicata. Si tratta di trovare negli eventi, oltre che nelle parole, un'interpretazione che si discosta dal pensiero comune, senza però perdere l'aggancio al significato proprio di quello che si sta dicendo o raccontando.
Da qualche parte lo chiamano pensiero laterale, ma non sono proprio sicura che sia la stessa cosa. Certo, ridotta in soldoni, ci assomiglia parecchio. La capacità di pensare fuori dagli schemi, di approcciarsi a una situazione cercando di tenersi lontani dalle strade battute, senza però partire per la tangente e perdere il collegamento con il nocciolo della questione strada facendo.
Questo discorso si collega a doppio nodo a quanto già detto su cliché, luoghi comuni e parentado, ma in senso più ampio. Si collega anche al mio continuo e imperterrito raccomandarmi di leggere il più possibile. Io ho questa idea malsana secondo cui leggere aiuta ad ampliare non solo la conoscenza della lingua, degli usi e dei meccanismi che la regolano, ma anche a cogliere collegamenti nascosti, o anche solo la di loro possibilità, per rendere le storie che raccontiamo avvincenti e accattivanti. Per spingere il cervello oltre quello che siamo stati abituati a pensare, per tenerlo esercitato anche se stiamo leggendo un semplice romanzetto rosa.
La qualità di quello che scriviamo dipende sicuramente dalla nostra sensibilità nell'interpretazione di quanto ci circonda, ma anche (e questa è una cosa spesso sottovalutata), dalla qualità di quello che consumiamo a livello letterario (né più né meno come il benessere del nostro organismo dipende dalla qualità della nostra dieta). Ora già vi vedo che state già gridando al razzismo linguistico in nome di un non ben precisato politically correct, di cui devo ancora capire il significato.
Calma con la malta. Non c'è nessun problema se vi piace leggere gli Harmony. Davvero. Io sto guardando drammi cinesi a due mani da un paio di mesi e non mi sento proprio nella posizione di giudicare nessuno.
Il problema è pensare che gli Harmony - o i drammi cinesi - (e ho preso un esempio trasudante banalità, solo per rendere l'idea) siano tutto quello che c'è da sapere, che siano l'inizio e la fine della vostra esperienza letteraria e che null'altro valga la pena di essere conosciuto all'infuori di essi.
Ho un'altra malsana idea. Non è che se una persona apprezza un classico è più intelligente di una che non lo apprezza. Sono gusti. A me personalmente, metà dei classici che ho letto han fatto cagare. Non rimpiango però di averli letti. Primo per il discorso già fatto altrove secondo cui non ci si può fare un'opinione per sentito dire, e secondo perché anche i libri meno apprezzati ci insegnano qualcosa. Sempre. Fosse anche come non fare o non dire una cosa. Del resto per poter godere di un nuovo panorama è necessario cambiare strada e cambiando strada si può di conseguenza, tornare a vedere il vecchio panorama, ma in maniera nuova. Che è né più nemmeno la sensazione che si prova tornando a casa dopo un lungo lungo viaggio. Che è né più né meno il succo del discorso fatto in questo capitolo.
Lo so che sembrano tutte minchiate zen, e suonano tanto come la somma di belle parole messe assieme per ottenere chissà quale effetto, ma sono convinta davvero che quanto ho detto abbia un senso e sia utile. Almeno tanto quanto il ho preso venti di Quo sia un modo di vedere la realtà assolutamente legittimo.
Giocare con lo spazio interpretativo delle parole, farsi largo oltre quanto comunemente accettato e stabilito è un'esigenza per un testo che vuole andare oltre, e non accontentarsi di significati dettati dal pensare comune, sempre però con l'accortezza, nel processo, di non perdere l'aggancio con la realtà, pena poi la confusione più totale sia di chi scrive che di chi legge.
Chi ha orecchie, sente.
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