CAPITOLO 6
You're still an innocent
Tornare a casa non era mai facile, ogni volta che metteva piede al JFK Airport era come se un velo le si spalmasse addosso, la imprigionasse. L'aria diventava più pesante, le montava nello stomaco una strana ansia. Teneva gli occhiali da sole nonostante fosse al chiuso, e fosse anche sera. Non aveva una bellissima cera e non voleva che i fotografi avessero troppo materiale per darle della drogata sui giornali. Non che avessero troppo torto. Indossava un jeans a vita bassa e un maglione nero che lasciava scoperta la pancia, sulle spalle un cappotto lungo Loro Piana e una sciarpa grigia attorno al collo. Appesa al braccio piegato la Birkin nera che si portava sempre dietro, aveva attaccato ai manici dei ciondoli che aveva comprato in Francia, in Italia, uno era Olandese. Le piaceva personalizzarla, un altro schiaffo alla povertà: giocare all'artista con una borsa da 70.000 dollari. I tacchi degli stivaletti scandivano il passo cadente. Il flash di una macchina fotografica la fece voltare a sinistra, alzò una mano per salutare.
Su una spalla teneva il borsone nero che si era portata appresso per mesi, recuperando roba un po' ovunque.
Cercò di sorridere ma tutti quei flash le fecero venir fuori solo una smorfia strana. Vorrei che ci fosse Vanessa. Lei avrebbe riso, le avrebbe preso la mano e insieme avrebbero corso fino all'autista che l'attendeva fuori dalla grossa struttura.
« Ciao Finn. » Era un uomo di mezza età, abbastanza piazzato e dolce. Troppo dolce. O forse lo era solo perchè lo pagavano bene. Comunque la salutò con un sorriso che la fece sentire davvero accolta, e poi allungò le braccia per aiutarla con i bagagli. « Buonasera Miss Van Der Meer. » La liberò dal borsone e lo chiuse nel bagagliaio, poi le rivolse il solito sguardo paterno e le aprí la portiera. Forse un po' le era mancato.
Cassandra salí sull'auto di lusso, aveva gli interni di pelle chiara e a separarla da Finn c'era solo un vetro che si poteva aprire e chiudere. Di lato un mini frigo conteneva dello champagne, decise di aprirlo. « Se non dovessi guidare ti proporrei un brindisi per festeggiare il mio ritorno. »
« È cosí contenta? »
« Tra un paio di calici si, potrei esserlo. »
Si mise a ridere, Finn scosse il capo da sotto il berretto blu e tornó concentrato a guidare. Aveva visto Cassandra nascere, crescere e distruggersi lentamente. Non aveva potuto fare nulla.
La bionda alzò le spalle e continuò a riempirsi il suo bicchiere.
Prese un primo sorso, poi si abbandonò con la schiena all'indietro e si tolse gli occhiali da sole. « Metti un po' di musica? »
« Certo, cosa gradisce? »
« Metti quella playlist che ti ho detto prima di partire. »
« Si. »
Allargò le gambe per stare più comoda, partí Everlong dei Foo Fighters. Prese a canticchiarla sommessamente, muoveva le labbra seguendo le parole e picchiettava con il tacco sul tappeto dell'auto a ritmo, piano.
« If everything could ever feel this real forever
If anything could ever be this good again. »
Fece una breve pausa per bere dell'altro champagne, quando Finn fece una curva per poco non finí contro il finestrino. « Alza, alza. » Finn la guardò dallo specchietto retrovisore e fece come gli aveva ordinato. « La conoscevi questa? »
« No, signorina. »
« Eh, è bellissima. » Lui annuí, scosse lievemente il capo e non disse altro.
« The only thing I'll ever ask of you
You've got to promise not to stop when I say when. »
Si versò dell'altro champagne, bevve il liquido ambrato e il sapore dolciastro le solleticò la lingua. « Spero di riuscire ad andare ad un loro concerto, una mia amica dice che li conosce, che sua madre ha scopato con Dave Grohl, o qualcosa del genere. » Tirò verso si sè la birkin di pelle, cercò freneticamente al suo interno un pacchetto di sigarette, doveva averne uno nuovo da qualche parte. Eccolo. Sorrise soddisfatta, lo scartò con le ditine esili e accartocciò la pellicola trasparente in un pugno, la nascose dentro la borsa.
Aveva il filtro tra le labbra.
« Hai un accendino? »
« Dovrebbe esserci quello della limousine, a destra. »
« Giusto. »
Partí Where Is My Mind? Dei Pixies, Cassandra si esaltò tutta ad un tratto. « È la mia preferita! »
« Questa la conosco, si. »
« Si vede che te ne intendi. » Aveva già acceso la sigaretta, prese il primo tiro mentre si convinceva che Finn avesse i suoi stessi gusti musicali. In una mano teneva ancora stretto il calice, lo riempiva ogni tanto.
Erano quasi arrivati.
Quando l'auto rallentò a Cassandra prese ad accelerare il cuore, se lo sentiva in gola. Lasciò il calice come se dovesse darsi un contegno, ma non la sigaretta, quella le serviva per rilassarsi. Riconobbe il cancello di casa, nero, in ferro battuto, con le iniziali del loro cognome impresse sul ferro, VDM. Come una tomba, una lapide su cui veniva inciso il nome dei morti.
Si aprirono, vide subito due tizi messi lí per controllare che fosse tutto okay. Abbassò il finestrino, tanto ormai era arrivata. Sputò una nuvola di fumo grigio, dietro la limousine il cancello si stava richiudendo.
L'auto si fermò oltre la fontana, nel vialetto principale davanti alla scalinata che portava al vero ingresso. Qualcuno arrivò per aprirle la porta. Era Finn, lo guardò come se fosse triste di doverlo salutare. Lui non potè dire niente, le sorrise. Stammi bene Cassy. Era quello che avrebbe voluto dirle, lei lo sapeva. Rispose con un cenno del capo.
Si portò la sigaretta alle labbra, scese e gli scagnozzi di Klaus non li salutò neppure. Si rivolse verso quello a sinistra, non le pareva neanche umano. Tutti uguali. Delle macchine mortali.
« Prendimi il borsone dal bagagliaio. » Il tono di voce era autoritario, spento, vuoto. Quello eseguí subito i suoi ordini, non gli disse neppure dove portarlo, si avviò verso la scalinata in marmo che collegava al grosso portone antico.
Si poggiò contro uno stipite, poi con le mani afferrò un anello di ferro e lo fece sbattere contro la superficie di legno. Abbassò lo sguardo, ancora più nervosa dal fatto che non l'avesse accolta nessuno, si attaccò al campanello. « Ma che diavolo... »
Dopo qualche secondo arrivò qualcuno ad aprirle, la solita domestica, solo un po' più vecchia di qualche mese prima.
« Mi scusi, non l'aspettavamo... »
« Lo so, ho deciso di fare una sorpresa al mio fratellone. » Alzò le sopracciglia, Greta, la governante, parve terrorizzata. La squadrò da capo a piedi, nessuno si fidava della sua famiglia, meno di tutti quelli che lavoravano in quella casa. Avevano visto troppe cose.
Cassandra era dimagrita, aveva i capelli arruffati e la voce graffiata dal freddo e dal fumo. Una risatina nervosa le scivoló via dalle labbra. Sembrava lo facesse di proposito a dare il peggio di sè ogni volta che varcava quella soglia.
L'ingresso era enorme, a terra il marmo era perfettamente lucido, un tappeto scuro era messo al centro dell'ampio spazio, sotto un lampadario che Kaus si era fatto portare da Murano, lavorato a mano in Italia. Non c'erano fiori, non c'era vita in quel posto. In alto due rampe di scale portavano alle camere da letto, ai bagni e allo studio del fratello, la vecchia stanza dei loro genitori. « Dovrebbe arrivare Igor con le mie cose, fammele portare su. »
La donna annuí, aveva una quarantina d'anni, forse un po' di più. Cassandra non l'aveva mai vista in disordine, i capelli sempre tirati all'indietro, perfettamente legati e gli occhi svegli come se si fosse appena fatta una striscia di cocaina. Era bassa, tozza e severa, ma lavorava bene, e a volte aveva anche aiutato Cassandra, quando era piccola e nessuno la voleva tra i piedi.
Camminò sulle scale, erano coperte da un tappeto rosso, il corrimano era sempre di marmo, freddo. Le dita scivolavano sulla superficie liscissima e l'accarezzavano come se casa le fosse mancata davvero. Nella destra teneva stretta la borsa, stava ancora fumando quando arrivò nel primo corridoio, la sua stanza era l'ultima, quella più isolata. Prese un altro tiro. Caddero a terra delle ceneri grigiastre, ci strofinò sopra il piede per non far vedere il danno sul tappeto persiano.
Merda. Piegò la maniglia, quando fece il primo passo in avanti venne inghiottita dal silenzio. Quanto odiava quel maledetto silenzio. Socchiuse gli occhi e cercò di non farsi prendere dall'ansia.
Andò subito nel suo bagno personale e buttò la sigaretta nel cesso. Fanculo. Poi tornò in camera e si tolse le scarpe, le andava del sushi.
Era orribile tutta quella solitudine dopo aver passato un mese in compagnia di Vanessa, sempre cosí amorevole, sorridente. Ricordò perchè amasse rifugiarsi nelle feste. Era per non restare da sola nella sua stanza, tutto il giorno, tutto il tempo. Si cambiò i vestiti, non era certa di quanto fossero puliti quelli che indossava, scelse dei jeans a vita bassa neri e una maglia dello stesso colore, di cotone. Era della nuova collezione della Diesel, l'aveva voluta tutta appena era uscita.
Decise che avrebbe ficcato il naso ingiro, non le andava di domandare dove fosse Klaus, s'infilò gli stivaletti di prima e cercò un maglioncino. In quella casa faceva sempre maledettamente freddo. Quando aprí la porta per andarsene vide Greta con il suo borsone in mano. La domestica si spostò per farla passare, poi entrò per sistemarla.
Aveva il maglioncino legato sulle spalle, gli occhi azzurri contornati dal solito ombretto troppo scuro. Prese a camminare lentamente, si soffermò sui ritratti nel corridoio, quello di Klaus, possente come al solito. Aveva lo sguardo fiero, duro. Accanto a lui quello di suo padre, identico. E poi c'era sua madre, Cassandra inclinò il capo, era vero che le somigliasse. Le faceva impressione, era come un mostro che la tormentava, non ricordava di lei assolutamente nulla, neanche il suono della sua voce. Eppure c'era, aveva la faccia di una persona che per lei non era come se non fosse mai esistita. Era frustrante.
Si morse una guancia. Dal piano inferiore si levò un rumore sordo, la porta si era aperta e poi chiusa. Delle scarpe eleganti ticchettavano sul marmo, un vocio indistinto, non distingueva tante voci. Poi una le coprí tutte, era Klaus. Si sporse dalla ringhiera per vedere cosa stesse facendo, quella poveretta di Greta dovette informarlo che sua sorella fosse tornata. Indossava il solito completo elegante, giacca, pantaloni, cravatta e cappotto di lana. Aveva il viso sporco di sangue, le mani coperte dai guanti di pelle. Non le venne voglia di scendere a salutarlo, non lo vedeva da mesi, era tutto ciò che rimaneva della sua famiglia, eppure l'istinto fu quello di indietreggiare. Rimase, come quando era piccola, ad osservarlo con i gomiti puntati sul corrimano delle scale. A chiedersi dove fosse stato, di chi fosse il sangue che gli macchiava la pelle.
Vide Greta avvicinarsi a lui in mezzo alle altre teste. Gli sta dicendo che sono qui? Evidentemente, si. Perche lui alzò il capo, improvvisamente inchiodò il proprio sguardo su Cassandra. Sapeva che amasse nascondersi lí. Lei non sapeva se sorridergli, o salutarlo. Decise di restare zitta, immobile.
Si tolse i guanti, il cappotto. Poi camminò verso le scale, stava salendo? Cassandra pensò di andarsene, scomparire nella sua stanza come faceva sempre, prima che lui potesse raggiungerla. Ormai sei grande. Lo seguí con lo sguardo. Quando lo ebbe davanti volse il corpo, si poggiò su un fianco, il gomito puntato sul marmo.
« Che ci fai qui? »
« Hai detto che devo ricominciare le
lezioni, no? »
« Hai un aspetto orribile, ma che hai fatto? »
« Potrei dirti la stessa cosa. » Si riferiva chiaramente al sangue che gli colava sulla fronte. Lui si toccò con un dito, se n'era dimenticato? Si guardò il polpastrello sporco.
« Non è mio. » Lo disse come se fosse una cosa normale, Cassandra alzò le sopracciglia. Era sollevata. « Comunque, visto che sei qua cominci domani. »
« All'alba? » Ovviamente.
« Si. »
Cassandra roteò lo sguardo, ma non si oppose. Aveva avuto i suoi mesi di libertà, forse un po' le era anche mancato. Le mancava anche mentre erano insieme, le mancava da quando loro padre era morto. « Cerca di dormire stanotte. »
Domani ti faccio vedere io. « Domani vengo a vedere quanto sei peggiorata. »
« Ho solo fatto un mese di pausa. »
« Si, di pausa. » Quanto la conosceva bene? Schioccò la lingua sul palato e scosse il capo. Cassandra sbuffò, lui se ne andò verso la sua stanza, difronte quella della sorella. Non aveva osato appropriarsi di quella dei suoi genitori, lí era rimasto tutto intatto. Come se non fossero mai morti.
Mentre passava dal corridoio si fermò a guardare i ritratti che prima stava osservando la bionda, si incantò qualche momento su quello della madre, mormorò qualcosa in silenzio e poi si volse nuovamente verso la sorella. Pensò fossero davvero uguali, che lui se la ricordasse benissimo, e avere in casa la sua copia esatta gli aveva sempre fatto impressione. Più cresceva, più tratti le rubava. Cassandra non la ricordava, bastava che si guardasse allo specchio per scoprire che volto avesse. Era come se dal regno dei morti volesse a tutti i costi restare, farsi vedere, farsi ricordare da una figlia che non l'aveva mai vista.
Sparí nelle sue stanze.
La mattina dopo fu devastante, la sveglia all'alba le fece venire mal di testa, indossò un pantalone elastico a vita bassa, largo sulle gambe e stretto da una fascia larga in vita. Sa sopra un reggiseno sportivo e un top rosso scuro, largo.
Infilò nella Goyard verde una felpa, l'acqua e un asciugamano. Conoscendo Klaus sarebbero servite anche delle bende, qualcosa per disinfettare le ferite. L'aspettava la sua punizione personale. Quella per essere stata troppo pigra.
Tanto lí in palestra avevano il necessario.
S'infilò una felpa larga e la giacca sportiva da sopra. I capelli erano legati in modo disordinato.
La palestra dove si allenavano era grande, si trovava sempre nella proprietà dei Van Der Meer, oltre che la famiglia ci si potevano allenare anche i più fedeli colleghi di Klaus, quindi Aron e tutti quelli come lui. Camminavano insieme al freddo, silenti, si sentiva solo il rumore delle scarpe sul terreno umido. Ancora non era sorto il sole, Cassandra non aveva dormito.
Il custode aprí loro le porte, almeno dentro l'ambiente era riscaldato. « Oggi rimango qui. » Andò a mettersi seduto in un angolo, lei si guardò intorno, c'erano degli attrezzi sparsi, poi un ring per esercitarsi. Era lí che sarebbe dovuta salire lei tra poco. Non si vedeva il maestro. Dalla porta a vetri apparve un uomo sulla quarantina, lei lo riconobbe subito. Più che un insegnante era, ovviamente, il miglior combattente di Klaus. E per essere il migliore, era anche il più spietato.
« Buongiorno. »
« Buongiorno Dominic.
Oggi avrete del pubblico. »
Cassandra pensò che fosse spacciata, ma almeno avrebbe avuto un fantastico modo per sfogare un sacco di rabbia repressa. Si spogliò e salí sulla specie di ring. Davanti a lei Dominic, aveva la barba lunga, i capelli ricci e marroni, il corpo forte e possente. Gli si vedevano le vene sulle spalle e alla giovane fece impressione, sembrava fatto. Rimase immobile, attendeva istruzioni.
« Sii duro, fai finta che sia uno dei tuoi. » Quello non vedeva l'ora che gli venisse detta una cosa simile, guardò la giovane, lei per un momento gli vide della compassione negli occhi. Come poteva mai trattarla come uno dei suoi?
« Vediamo che sai fare, cosa ti ricordi. »
Avanzò verso di lei, allora faceva sul serio. Si sporse per tirarle un pugno, ma lei seppe evitarlo. Ci stava andando piano. « Ho detto che devi trattarla come se fosse uno dei tuoi. » Il tono di voce di Klaus vibrò duro nell'eco della saletta.
Dominic parve risvegliarsi, si avventò su Cassandra che si ritrovò schiacciata con la schiena contro il suo petto, il collo bloccato dai muscoli forti di quell'uomo. Gli tirò una gomitata sul fianco, lui la fece cadere a terra ma ci volle poco perchè finisse nuovamente vincitore, l'afferrò per il collo e le tirò sul serio un pugno contro lo stomaco, sotto le costole, mentre lei si dimenava disperata. Non cercò lo sguardo di Klaus neppure per un momento.
Lei allungò un braccio, infilò due dita nella fossetta giugulare di lui come fossero una lancia. Lo vide sgranare gli occhi e tossire, indebolí la presa su di lei e finalmente Cass riuscí a tirargli un calcio. Attacca, devi attaccare.
Assottigliò lo sguardo e provò a prenderlo per il collo, strozzarlo e affogarlo stringendolo con il braccio mentre stava sopra di lui. Ma Dominic ribaltò la situazione, ovviamente, essendo molto più forte di lei riuscí ad alzarsi, poi si buttò a terra e Cassandra finí con la schiena contro il pavimento. Sentí un dolore fortissimo, tanto che le mancò il fiato. Restò immobile per un po', poi decise di alzarsi.
Tornarono a combattere, a colpirsi, a farsi male. Andó avanti fin quando non fu esausta, cadeva e si rialzava, poi cadeva ancora e tornava su.
Era inginocchiata a terra, lo sguardo basso e le mani contro il pavimento. Battè le palpebre qualche volta, ci vide sfocato per un attimo. Poi notò delle macchie a terra, era sangue. Si toccò il naso. Merda. Alzò il capo, lei non era uno dei suoi cazzo di uomini, la stava uccidendo.
Si alzò ancora, provò a colpirlo ma non gli fece nulla, cadde ancora. « Basta, è chiaro che tu non sia all'altezza. »
« Fanculo Klaus, giuro che ti odio. » Rimase sdraiata, con le mani premute contro lo stomaco e il corpo dolorante. Dominic non si avvicinò per aiutarla. Il fratello salí sul ring per controllare che danni avesse davvero subito. « Se non ti fossi distrutta per due mesi, gli avresti fatto il culo. Invece hai deciso di mollare, di essere
debole. » Si chinò vicino al suo viso. Notò il sangue e inclinò il capo da un lato. « Stai cosí male per colpa tua. »
« Cioè era una cazzo di punizione? Mi hai fatta picchiare di proposito? »
« Non ti ho fatta picchiare, è solo un allenamento più intenso. »
« A che cazzo dovrebbe servire. »
« Dominic non poteva ammazzarti, ma se non fosse stato lui, se fosse stato uno dei nostri nemici, saresti morta.
Hai capito la lezione? »
Aiutami, cazzo. Klaus non l'avrebbe aiutata, voleva che fosse forte, che sapesse sopravvivere da sola, anche senza di lui. Aveva cosí paura di perderla che si era inventato i modi più duri per renderla invincibile. Eppure, non vedeva come la stesse distruggendo. « Domani ti aspetta qui alla stessa ora. E alzati. » Disse l'ultima parola con un tale disprezzo che Cassandra si sentí quasi nel torto.
Chiuse un attimo gli occhi e fece per alzarsi, una fitta lancinante al fianco la costrinse a stare a terra. Strinse i denti, alla fine riuscí a tirarsi su. Camminare era fastidioso, ma le gambe erano messe meglio degli addominali. Riprese il cappotto, poi bagnò l'asciugamano con l'acqua e si pulí il naso, senza dire niente. Klaus rimase quasi soddisfatto da quella strana capacità di gestire la situazione. Sorrise compiaciuto.
« Quando si sposa... il tuo amico? »
« Tra sei giorni. »
« Devo trovare un vestito. »
« E ripassare un paio di nomi, c'è molta gente che devi fingere ti stia simpatica. »
Annuí. « C'è qualcuno che conosco davvero? »
« Si, ci sono io. » Benvenuta a casa. Incrociò le mani dietro la schiena, aveva questa tendenza a preferire che sua sorella avesse pochi amici. Era geloso, possessivo. Cassandra sapeva per certo che mai nessuno a Manhattan ci avrebbe provato con lei sapendo chi fosse, la verità era che Klaus temeva di perderla, cercava di tenersela stretta nei modi più sbagliati.
Stava rimettendo in ordine le proprie cose, prese la borsa e s'incamminò verso l'uscita. Il fratello l'affiancava sicuro, come sempre.
Quando tornarono dentro, lui se ne andòba lavorare nel suo studio, lei pensò che una doccia sarebbe stato il modo migliore per riprendersi.
Non ebbe il coraggio di guardarsi allo specchio, di vedere gli ematomi, i graffi, le botte.
Klaus non aveva torto, se qualcuno avesse voluto ammazzarla ci sarebbe riuscito facilmente.
Aveva ancora l'accappatoio addosso quando sentí il cellulare squillare, era Vanessa. Ecco, adesso le veniva da piangere. « Vane? »
« Beh? Come è stato rientrare? »
Non poteva raccontarle tutto, non avrebbe capito.
« Meglio di quanto immaginassi. »
« Visto? Lo sapevo! »
« Tu? »
« Mi sono rivista con Vincent, ma questa volta sono stata zitta! »
« E come siete rimasti? » Cassandra si mise a sedere sul letto, una smorfia di dolore le rovinò il viso.
« Che ci sentiamo, penso che verrà a trovarmi, io torno tra qualche giorno comunque. »
« I tuoi che dicono? »
« Che devo tornare, anche perchè tra un po' è il compleanno di mia nonna, stanno organizzando una bella festa. »
« Peccato che non torni prima, oggi volevo cercare un vestito per il matrimonio di quel tizio, l'amico di Klaus. »
« Mandami le foto. »
« Penso che andrò sul semplice. »
« Non ci credo. »
« Si, ho dato già in questi mesi. »
« Non è che mi stai diventando depressa? »
« Tanto sarà un mortorio. »
« Si? »
« Sicuro, però almeno avrò una scusa per bere, fare un po' di casino. »
« Mh. Non esagerare troppo senza di me. »
« Figurati, ho ripreso la vita di sempre. »
Passarono un altro po' di tempo a raccontarsi delle loro vite, Vanessa le spiegò che volesse acquistare un nuovo cavallo, Cass che ancora non avesse montato i suoi. Poi dovettero tornare alle loro cose. Alla fine la giovane decise di usare quella giornata per fare altro, dopo l'agonia di quella mattina le serviva un posto dove ci fosse un po' di pace. Casa Van Der Meer era silenziosa, ma era lontanissima da qualsiasi tipo di piacere, era un silenzio angosciante, non rilassante.
Fece una breve colazione e poi cercò le sue cose per andare a cavallo. Non era nelle condizioni di poter montare, ma poteva andare a trovare i suoi cavalli. Prese la stessa borsa che aveva usato per la lezione con Dominic e la svuotò. Indossava gli stessi jeans del giorno prima, la stessa maglietta.
Da sopra il solito cappotto scuro.
Si fece portare al maneggio, non sapeva se lo gestisse solo Klaus oppure era una cosa tra lui e Aron, comunque a gestirlo c'era mamma Nowak, una patita di cavalli e ottima contabile.
« Buongiorno. »
Sedeva dietro la sua scrivania, nell'ufficio accanto all'ingresso principale del maneggio. Era a lei che chiunque dovesse rivolgersi per ottenere informazioni. Di ogni genere. « Buongiorno. Sei venuta per montare? »
« No, volevo solo salutarli. » La donna pensò sicuramente che fosse strana, mica poteva sapere che lei non avesse amici, che parlare con dei cavalli fosse uno dei tanti modi che aveva inventato per non sentirsi troppo sola. « Li pulisco un po', cose cosí. » Aveva lí tutte le cose per prendersi cura di loro, le aveva lasciate per non doversele portare ogni volta da casa. Alzò le spalle, dovette ricomporsi quasi subito perchè un braccio le faceva troppo male. Dominic del cazzo. Avrebbe potuto colpirla in modo meno forte.
E poi Klaus si sarebbe incazzato, nessuno voleva subire la sua ira. « Si, certo. Se hai bisogno di qualcosa sono qui. » Polina si chinò per cercare le chiavi che le sarebbero servite nel cassetto sotto la scrivania.
Il tono di voce era calmo, la mattina a prendere cazzotti l'aveva resa troppo stanca per fingersi arrogante. E poi quella donna le era sempre piaciuta, era con gli uomini che proprio non andava d'accordo. « Grazie. » Allungò il braccio non dolente per raccogliere il mazzetto di chiavi e poi uscí dall'ufficio. Sapeva già dove fossero i box dei suoi cavalli, il primo che cercò fu il più anziano. Si chiamava Crow, aveva dieci anni e ormai non ce la faceva più a stare al passo degli altri. Quando Klaus le aveva proposto di abbatterlo o venderlo Cassandra si era rifiutata, era l'unico amico che avesse. Come poteva?
Era maestoso, tutto nero, il pelo perfettamente lucido. Lo curavano bene. Aprí la porta di legno e si mise accanto a lui, alto, forte. Gli lasciò una carezza sul collo, poi si avvicinò di più, poggiò la fronte sul suo manto liscio e chiuse gli occhi. Solo in quel momento, si concesse di piangere. Le lacrime le caddero giù silenziosamente, tirò su con il naso e continuò ad accarezzare il suo amico. « Sono proprio un'amica schifosa, mi vedi dopo mesi e ti piango addosso. » Le venne da ridere, si spostò e con un braccio gli cinse il collo, dovette mettersi sulle punte perchè quando si muoveva diventava ancora più alto. « Lo so che mio fratello mi vuole bene, solo che non sa... non sa come si faccia e sbaglia tutto. »
A chi lo stava dicendo? Avrebbe voluto tanto poter salire su di lui, correre al galoppo e perdersi per qualche ora. Invece non poteva, perchè i lividi sul petto e sulla pancia le facevano male da morire, e si sentiva la schiena a pezzi. Non volle prendere antidolorifici perchè quelli erano una specie di droga nella sua famiglia, tutti li usavano in modo spropositato, non voleva essere come loro. E poi non c'era nulla di rotto, presto le sarebbe passato tutto.
« Vado a prendere le cose per pulirti. » Lo lasciò un momento e s'incamminò verso la specie di depandance dove tenevano tutto l'occorrente per prendersi cura degli animali. Mentre camminava nel fango le passò accanto Red, un cane che non aveva mai capito di chi fosse, ma girava sempre lí intorno. Non era certa fosse di razza, somigliava ad un pastore tedesco ma aveva il pelo troppo chiaro. Si chinò per accarezzarlo, dovette rialzarsi subito. Che male. Raggiunse in poco tempo la stamzetta umida, forse avrebbe dovuto scegliere delle scarpe diverse, i pantaloni di Vuitton si erano già sporcati. Non le importava troppo.
Prese delle spazzole, l'occorrente per pulire il pelo, cercava il nettapiedi per gli zoccoli, non lo trovava. Sbuffó scocciata, qualcuno l'aveva usato e poi rimesso dove non dovesse. Infatti. Era in alto, su una mensola che sporgeva dalla parte della punta. Cassandra alzò un braccio per prenderlo, una fitta dietro la schiena la costrinse a ritirarlo. Che palle. Provò con l'altro ma fu peggio. Si alzò in punta di piedi, doveva riuscirci.
« Hai visto mia madre? » Eh?
Si voltò di scatto, era Aron. Ci mancava solo lui. « Si, è nel suo ufficio. » Sparisci adesso. « Mi ha dato le chiavi proprio due secondi fa. »
Assottigliò lo sguardo, qualcosa non gli tornava. « Oggi non dovevi essere con Klaus? » E che ne sapeva lui?
« Già fatto, stamattina all'alba. » Alzò il capo e fissò per un momento la spazzola rimasta troppo in alto. Poi tornò sull'altro. Era strano non vederlo vestito elegante, indossava un maglione scuro e per coprirsi un Barbour classico, pesante. Sulla testa un cappello di lana gli schiacciava tutti i ricci biondi.
Gli venne da ridere. « E cammini ancora? »
« Più o meno. » Anche lei sorrise, abbassò lo sguardo, poi pensò che forse non fosse sbagliato chiedergli di prenderle il nettapiedi. « Senti mi prendi quello perfavore? » Lo indicò con lo sguardo.
Avanzò verso di lei e allungò un braccio oltre la mensoletta, non dovette neppure alzarsi sulle punte. « Si. » Cassandra restò immobile, si sentí minuscola sotto di lui. Schiuse la bocca, sentiva il petto pesante e uno strano disagio infastidirle la gola. Pensò fosse colpa dell'allenamento mattutino. « Tieni. » Le porse la spazzola e lei glie la rubò dalle mani, le sfiorò per un secondo con le dita. Fu strano, pensò che fosse solo poco abituata al contatto fisico, o qualcosa del genere.
« Krzysztof, czekam na ciebie od pół godziny! » *Ti sto cercando da mezz'ora.
« Już miałem do ciebie dotrzeć. »
*Stavo per raggiungerti.
Krzysztof? Cassandra capí solo la prima parola, che sua madre l'avesse chiamato con un altro nome. Il resto era incomprensibile, tra le lingue che conosceva non c'era il polacco. La donna non l'aveva vista, solo quando la giovane si sporse oltre il corpo di Aron riuscí a notarla. Le sorrise debolmente, aveva ancora in mano la spazzolina. Quella la scrutò come faceva sempre, si domandò forse cosa avessero da dirsi lei e suo figlio.
« Salutami Klaus. » Si volse per raggiungere la madre, le dava già le spalle quando lei decise di provocarlo.
« Certo, Krzysztof. » Lui alzò le sopracciglia, si fermò un momento e rise, mentre ancora Polly lo guardava, girò il corpo verso Cassandra. « Grazie, Anneke. » E lui che cazzo ne sapeva di quel nome?
« Krzysztof. » Sua madre lo richiamò. Questa volta non si fermò, quando furono vicini Polly gli prese un braccio. « Uważaj na tę dziewczynę. »
*Stai attento a quella ragazza.
Lui rise, le rispose che lo dicesse di tutte, e che lei fosse la sorella del suo amico, intoccabile, inavvicinabile. Ed era abbastanza certo che il fratello avrebbe volentieri torturato chiunque avesse provato ad avvicinarsi troppo alla sua sorellina.
« Le carte hanno detto che dovessi stare attento a qualcuno, pensavo fosse Irina. »
« Starò attento, matka, non preoccuparti. »
Lui non credeva molto a quelle cose, le carte, i tarocchi, i segni. Sua madre invece si, aveva questa specie di sesto senso che la faceva sembrare una strega.
Decise di darle comunque soddisfazione, assecondarla.
💎💎💎
ORA POSSO DIRLO IO AMO LA MAMMA DI ARON.
Secondo voi perchè l'ha chiamato con un altro nome?
Stiamo iniziando ad entrare dentro la storia, anche se ci sono ancora taaaaaaaante cose da scoprire. Tutti sono pieni di segreti (hehe).
Ps: ho tradotto tutto con Google traduttore, se c'è qualche polacco incakkiato mi perdoni, e mi corregga anche pls ❤️
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