CAPITOLO 49
Life goes on
Londra era più noiosa del solito, Cassandra la usava come posto sicuro per scappare ogni volta che qualcosa si metteva male.
Non funzionava mai, eppure eccola lì, china sui libri a studiare per l'ultimo esame della sessione prima delle vacanze di Natale.
Inaspettatamente, tutti quei casini avevano fatto aumentare la sua media, usava lo studio per distrarsi, quando non c'era Noah. Quando erano in vena di spogliarsi e farsi compagnia, solo per il gusto di provare a sentirsi in intimità con qualcuno. La sua compagna di stanza la evitava, e faceva bene. Cass pensó, mentre sfogliava silenziosamente la pagina di un libro, che forse se avesse avuto una vita diversa le sarebbe piaciuto poter avere degli amici.
Forse se Vanessa non avesse provato ad ucciderla, mentendole dopo una vita passata insieme, allora non avrebbe pensato che da quelle cose fosse meglio stare alla larga.
Sentì la porta aprirsi, la serratura scattare lentamente. Era lei, Elena.
Sembrava avere l'affanno, a volte non la capiva. Cassandra si rese conto di non sapere proprio nulla su di lei. « Ciao. »
« Ciao Cass. »
« Tutto ok? »
« Si? Perchè me lo chiedi? » Stava ancora recuperando fiato. La bionda aggrottó le sopracciglia e chiuse i libri. Qualcosa non le tornava.
« Da chi stavi scappando? »
« E tu che ne sai? »
« Non lo so, ho tirato a caso, hai l'affanno quindi vuol dire che hai corso e ti sei chiusa velocemente la porta dietro le spalle. Era un'ipotesi. »
Elena a quel punto si strinse i libri contro il petto. Aveva paura? « Nessuno, perchè dovrei? »
« Ti stavano seguendo nel corridoio? »
Pensó subito a cosa fosse successo a lei, forse qualcuno aveva capito fosse la sua coinquilina, anche se adesso era impossibile. Forse erano ancora in pericolo?
« Ma che dici! »
La bionda a quel punto dovette alzarsi, era importante che sapesse. Se fosse successo qualcosa di strano Klaus doveva essere informato immediatamente, e anche Aron. Quindi assottiglió lo sguardo e si mise, minacciosamente, davanti ad Elena. « Dimmi che cosa succede, prima che la situazione peggiori. »
A quel punto la coinquilina abbassó le spalle. Serró la bocca e... stava piangendo? Lasció cadere i libri dietro di lei, sul letto. « Pensavo che avrebbero smesso... » Alzó lo sguardo scuro, aveva gli angoli delle labbra piegati verso il basso. « Invece è quasi peggio, ora. »
« Ma di che parli? »
« ...Delle mie vecchie coinquiline, no? » Lo disse come se Cass sapesse tutto. Invece non aveva capito nulla.
« Ma che ti fanno? » Ricordó che all'inizio dell'anno Elena le avesse detto di aver cambiato stanza ma senza dire i motivi. Non immaginava fossero tanto gravi.
« Mi prendono di mira, sono quella sfigata, capisci? E poi l'anno scorso il padre di Penny McRowell ha dovuto vendere una società al mio per dei debiti e lei l'ha presa malissimo, come se fosse colpa mia. Mi dispiace che abbia tutti quei debiti, che i suoi abbiano anche divorziato ma mi perseguita, dice che è colpa mia perchè è colpa della mia famiglia se sono finiti... non lo so dove, onestamente mi sembra che siano ancora molto ricchi solo che adesso non sono più... i più ricchi, cioè mica è colpa mia se suo fratello è finito in galera... »
« Elena, aspetta, frena. » Troppe informazioni tutte insieme, poi mentre singhiozzava era difficile da capire. Con quel suo accento greco.
« Che ti hanno fatto quelle stupide? » C'era un ragazzo che mi piaceva, cioè pensavo di piacergli... non so perchè ti racconto queste cose, sembro proprio una scema. »
« Dai, non preoccuparti, non penso che tu sia sfigata. »
« Era tutto finto, era una cosa per umiliarmi, sono rimasta un'ora ad aspettarlo quando dovevamo uscire, poi mi è arrivato un messaggio di Penny, diceva che nessuno mi avrebbe mai considerata, che sarei rimasta sola. E che tutta l'università lo pensa, e che... » Si mise a piangere un'altra volta. Cassandra pensó che fosse assurdo che tutte quelle cose fossero successe sotto il suo naso.
« Che stronze. Non ti preoccupare, glie le facciamo pagare. »
« No, no! Che poi è peggio, ti prego. »
« Non devi avere paura di loro, se tu mostri paura quelle continuano. »
« Non ho paura, vorrei solo che smettessero. So che non sono come loro, ma non ce la faccio più. » Come loro in che senso?
« Sei meglio di loro, se vuoi quelle stupide te le mangi. »
« Ma quando mai. »
« Vogliamo farle smettere? »
« Non fare casini. »
« Non voglio fare casini, tutti hanno un punto debole, sai? » Elena aggrottó le sopracciglia. Era strano sentirla parlare in quel modo. Sembrava Klaus, peccato che lei non lo conoscesse.
« Un punto debole? »
« Non bisogna fare per forza casino, possiamo fare tante cose, hai detto che il fratello è in galera, no? »
« Si ma— »
« Forse mio fratello ne sa qualcosa. »
« Che c'entra? »
Cassandra la fece sedere accanto a lei sul letto. « Niente, ho capito, la risolviamo senza troppo rumore. »
« Ma che dici. »
« Vuoi che la smettano? »
« Si ma— »
« Fidati di me. »
Questo innato bisogno di Cass di aiutare gli innocenti la rendeva tanto diversa dalla sua famiglia. Klaus le avrebbe detto che non avesse senso aiutare senza avere niente in cambio. Ma a lei dava fastidio chi se la prendeva senza motivo con chi non era alla sua altezza.
« Cass se fai qualcosa di troppo strano quelle fanno peggio, sul serio. »
« Ma che pazzo, sono solo delle stupide, vedrai che ce la caviamo alla grande. »
« A me non piace litigare. » Elena si portò le mani sul viso, si vedeva che non riusciva neppure ad odiare Penny, voleva solo che smettesse.
« Guarda che ha fatto una cosa orribile, comunque non preoccuparti. »
« Non fare cazzate. »
Annuí lentamente. « No. » Finalmente aveva qualcosa con cui divertirsi, doveva solo stare attenta a non esagerare.
Klaus le avrebbe consigliato di studiare prima il nemico, poi attaccare. Per Cassandda questa Penny non esisteva neppure. L'avrebbe volentieri minacciata nel piú aggressivo dei modi ma non era il luogo adatto. Doveva essere piú subdola.
« Ti va di andare a prendere qualcosa al bar? »
« Quello dell'università? »
« Si. »
« Ma se non ci vai mai, stai sempre qui. »
« Ho cambiato idea, voglio anche chiamare Noah, ti va? »
« Si, è che non voglio che rischi di incontrarla, magari se la prende anche con te. »
« Ti pare che ho paura di lei. » Lo disse come se intendesse che ci fossero altre cose da temere, nella sua vita. Era tutto vero, però Elena non me sapeva niente.
« E di cosa, se no? »
« Tante altre cose. »
Elena non fece altre domande, Cassandra non chiamò mai Noah, voleva solo una scusa per studiare questa arpia, vederla con i suoi amici, capire come muoversi. Presero entrambe le loro borse firmate e camminarono verso la fine del corridoio, dove c'erano delle scale di marmo che portavano al primo piano, dove c'era una sorta di salottino comune. Per araggiungere il bar si doveva uscire dalla struttura del dormitorio.
Non le dispiacque prendere un po' d'aria, indossare il suo cappotto preferito di Loro Piana.
Spinse la porta della caffetteria lentamente, scrutando bene i volti dei presenti. Si accorse di non conoscere nessuno. I primi anni s'era persa con Noah, e adesso era sempre con la testa fra le nuvole. Non riconosceva piú le vecchie amicizie.
« Eccola, andiamo via. » Penny. Era mora, la carnagione olivastra e aveva gli occhi d'un azzurro strano, Cassandra non ricordava di averla mai vista. Eppure era strano, lei conosceva tutti i volti di quelli che contavano, a New York.
Forse non era di New York. Comunque la squadrò da capo a piedi senza vergogna.
« No, ho voglia di una brioche al cioccolato. »
Camminò fino alla vetrata del bar, dove erano esposti tutti i prodotti in vendita.
Elena roteò lo sguardo, piegava nervosamente le ginocchia indietro e in avanti, e si tormentava le dita delle mani, pizzicandole piano.
Cass fece finta di non accorgersene. « Tu vuoi qualcosa? »
« Mi viene da vomitare. »
« Che cosa sai su di lei? Io non l'ho mai vista a New York. »
« Certo che non l'hai mai vista, è sempre qui. Non torna mai a casa, non è una bella situazione. »
« Ma neanche prima. »
« Allora, cosa volete? » La barista scocciata delle loro chiacchiere indicò con lo sguardo la grossa fila formatasi dietro le due studentesse. Cass prese il suo pezzo dolce al cioccolato, Elena nulla.
Presero il loro piattino e si sedettero tranquille.
Intanto l'olandese tirò fuori dalla tasca del cappotto il proprio cellulare, per inviare un messaggio al fratello.
Conosci un certo McRowell?
Poi bloccò lo schermo e tornò alle sue cose. Pensò che non ci fosse mai entrata in quella caffetteria, che esisteva una vita universitaria che lei non aveva mai vissuto. « Che fai a Natale? »
« Torno dai miei, solitamente andiamo in montagna, ci piace sciare. »
« Che bello. »
« Tu? »
« Non lo so, quest anno siamo tutti divisi, mio fratello è con sua moglie, gli amici con cui stiamo di solito in Polonia, non lo so proprio. Penso che alla fine starò con Klaus, dai genitori di Lidia. »
« Non hai altri parenti? »
Cassandra scosse il capo e alzò le spalle. « Mio padre era olandese, con quella parte di famiglia non ci ho mai avuto a che fare. »
« E tua mamma? »
« I genitori di mia madre penso che ci odino, cioè odiavano mio padre... con noi non hanno mai avuto un grande rapporto. »
« Potresti provare a cercarli, non sei curiosa? »
« Non ci avevo mai pensato, sinceramente. »
Ed era vero, nella sua testa erano sempre stati lei e Klaus. Cosí le era stato insegnato.
« Ciao Elena. » Penny.
Cassandra la vide irrigidirsi, alzò subito lo sguardo sulla mora e la vide compiaciuta, mentre le sue amiche dietro guardavano in silenzio. L'altra le rivolse un breve sorriso e ricambió il suo saluto.
Cass serró la mascella, continuò a mangiare il suo dolce, aspettava solo una scusa per risponderle male. Le vibrò il cellulare.
Klaus.
Non ha mai saputo gestire i soldi del padre, adesso è nei casini e in effetti potrebbero tornarci utili.
La figlia viene qui all'università con me, che hai in mente?
Non dirmi che è tua amica anche lei.
La odio.
Addirittura?
Tormenta la mia compagna di stanza, è una stronza.
Comunque poi ti chiamo, non parliamone per messaggio.
« Che fai? » Elena aveva notato che Cassandra fosse troppo concentrata sul suo cellulare.
« Niente, era mio fratello aveva bisogno di sapere una cosa. » A quel punto Penny pensó di aver trovato un nuovo gioco su cui sfogare la sua frustrazione.
« Ti sei fatta una nuova amica? Una disperata come te? »
A quel punto le labbra della bionda si piegarono in un sorrisetto malizioso, lasció il suo dolce e si pulì le mani e la bocca con il tovagliolo. Poi puntó lo sguardo freddo dritto in quello di Penny.
« Si, si è fatta una nuova amica. » Si volse per guardarla meglio. Poi si alzó. « Cassandra, Cassandra Van der Meer. » Assottiglió le iridi azzurrine, l'espressione incredibilmente seria.
« E tu sei Penny McRowell, non c'è bisogno che ti presenti. » Penny aprì la bocca per dire qualcosa, ma non fece in tempo. « Alla fine a New York ci conosciamo un po' tutti, ho sempre pensato fosse una cosa molto utile... sai, essere in buoni rapporti, farsi favori, aiutarsi. Non si sa mai cosa puó succedere, è sempre meglio avere tanti amici, vero? » L'americana restó zitta, non capiva se fosse una minaccia oppure fosse solo una pazza. Comunque Cassandra incroció le braccia al petto e restó ferma a fissarla, nessuno ebbe il coraggio di domandarle altro, di parlarle.
« Anche mio padre ci teneva tanto, anche mio fratello Klaus, e anche io, pensa, mi dice sempre che sono troppo buona. Ma secondo me è meglio così, no? »
Penny indietreggió, e Cassandra sentì una sensazione nuova, simile a quella che aveva provato quando s'era resa conto d'aver risolto la questione in Polonia. Il potere. Era meraviglioso.
Per un attimo, per un secondo, guardando lo sguardo impaurito di Penny, lei si era dimenticata di tutti i problemi, di Aron, di Crow, di Noah e di sua madre e Polly e i suoi presagi negativi.
Si leccó il labbro superiore. « Vi chiederei di unirvi a noi, ma abbiamo quasi finito. »
Detto ció si volse verso Elena e tornó seduta. Per tutto il tempo non si era accorta delle reazioni della sua amica. Era spaesata, non capiva cosa dicesse Cassandra e improvvisamente le sembró di aver trovato un'altra Vanessa, ignara ma non troppo, innocente ma non così tanto. Si pentì di averle dato confidenza. Pensó che Vanessa stesse con Ricky per colpa sua, che in qualche modo, alla fine, sempre per colpa sua s'erano ritrovate con la pistola puntata una sulla fronte dell'altra, e Aron quasi era morto.
« Ma scusa non avevi detto di non sapere chi fosse? » Elena le si avvicinó con il busto in silenzio, mentre Penny se ne andava.
« Mio fratello sa chi è il padre, e poi le ho fatto notare solo che non è molto furbo litigare con chi potrebbe aiutarti, tutto qui. »
« Cioè l'hai minacciata. »
« Ti ho dato una grossa mano. »
« Hai solo fatto peggio di lei, sei stata perfida. »
Cass aggrottó le sopracciglia. « Ma se ti ho aiutato! »
« Hai fatto una cosa orribile. »
« Cioè preferivi continuare a subire? »
« Penny è triste perchè la sua famiglia è incasinata, se la prende con me ma io... io volevo farci pace, quello che hai fatto è peggio di quello che lei faceva con me. »
Cass alzó le sopracciglia. Per poco non si mise a ridere. « Pace? »
« Si, pace, le volevo bene. Eravamo amiche. »
« Non esiste la pace con chi ti tradisce. »
« No, la pace esiste, ed esiste anche il perdono. »
La giovane americana sentì lo stomaco aggrovigliarsi su se stesso. Non la capiva, non comprendeva le sue parole, erano cose che nessuno le aveva mai spiegato, concetti assurdi. Non aveva mai perdonato nessuno, neppure se stessa.
« Si, certo.
Guarda io vado, tanto figurati, facevo meglio a farmi i cazzi miei. » Sbuffó nervosamente e raccattó le proprie cose. Poi si alzó e la lasció da sola. Quello era l'unico modo in cui Cassandra sapeva prendersi cura degli altri, con la violenza, la rabbia, la paura. La protezione ossessiva. Esistevano altre vie, ma non le erano mai state mostrate.
Si chiuse nel cappotto e pensó che facesse davvero freddo, ma che non le desse fastidio, mentre camminava per i corridoi estreni dell'istituto. Ci era passata così poche volte e tanto di fretta che non si era mai soffermata a guardare quanto fossero belli. Si fermó con le mani in tasca. Che ore erano? Sentì una campanella, forse da qualche parte erano finite delle lezioni. Odiava quando la quiete veniva disturbata. Gli archi separati dalle colonne erano di pietra giallastra, mentre il muretto sembrava fatto apposta per incorniciare il giardino, insieme a tutto il resto. Se ne stava con la schiena poggiata al muro a fissarli.
« Architettura gotica. »
E chi era adesso? Si volse lentamente con il capo, non le interessava davvero saperlo. « Cosa? »
« I capitelli, gli archi e le colonne che sta guardando, lo stile è tipicamente gotico. »
« Ah, non lo sapevo.
Ma mi hai dato del lei? » Era un alunno che non aveva mai visto prima, teneva la barba folta, cosa di solito odiata dai professori e infatti tutti se la facevano come previsto dal regolamento e dalla divisa. Poi sotto il braccio aveva delle cartelle, libri. Perchè non indossava la divisa? « Ma sei nuovo? Guarda che se ti vedono con quella barba dovrai ripetere qualsiasi esame almeno tre volte, e anche la divisa, io provai ad accorciare la gonna e s'incazzarono, figurati se ti vedono così. »
« Accorciare la gonna? »
« Vogliono farci sembrare delle frigide suorette del cazzo, come se due centimetri in più o in meno facessero la differenza sui voti. »
« Magari è solo per dare delle regole, far sembrare tutto ordinato. »
« Appunto, sembrare, qui niente è ordinato. Nella vita non c'è niente di ordinato. » Sospiró stancamente. « Non è che hai una sigaretta vero? »
« È vietato. » Sembrava quasi divertito.
« Cioè vai vestito così e ti preoccupi di una sigaretta? »
« Dove si trova l'aula 17? Dovrebbe esserci la lezione di filosofia. »
« Che ne so, io frequento legge, comunque credo alla fine del corridoio, c'è una porta e poi devi andare a destra, lì infondo c'è un'aula, peró chiedi ad altri perchè non so dove facciate lezione. »
« Peccato. »
« Cosa? »
« Che debba andarci da solo. »
« Se vuoi ti accompagno, tanto ormai oggi è la giornata delle buone azioni. » Lui per poco non rise. Cassandra si chiedeva che diavolo ci facesse in quell'università. Aveva i capelli folti, la corporatura robusta e sembrava alto, più alto di lei. Gli indicó di seguirla con un cenno del capo.
« Non conosco proprio nessuno che frequenti filosofia. »
« Non ti piace? »
« Non lo so, sinceramente ricordo solo qualcosa di quando andavo a scuola, ma c'erano troppi pensieri, troppe teorie, mi metteva ansia. » Rise, cercó da qualche parte lo sguardo divertito di quel nuovo alunno ma sembrava stranamente apprensivo. « Non ho mai pensato di studiare niente di diverso da legge. »
« Se ti interessa puoi leggere qualcosa indipendentemente dal tuo corso di studi, se vuoi posso prestarti dei libri. »
« Vediamo, ci penso. » Magari in quel modo poteva distrarsi. « Guarda, dovrebbe essere lì. »
« Adesso hai lezione? »
« Veramente no. »
« Potresti seguire anche tu, così vedi se ti piace. »
Cass ci pensó seriamente per un momento. « Ma lo sanno che non c'entro niente. »
« E che te ne frega. »
« Vabbe. » Era un sì? Luicla fece passare per prima, andó a sedersi infondo, il banchi erano tutti rialzati e dovette fare un po' di scale prima di trovare un posto abbastanza isolato. Pensó quel tizio volesse mettersi vicino a lei, ma andó verso la cattedra e tutti si alzarono.
Non ci credo. Si alzó anche lei.
« Salve a tutti ragazzi, come sapete già, il prof. Richard è ricoverato in ospedale, per tutto il resto dell'anno ci saró io al suo posto. Sono Andrea Velasquez, il vostro nuovo professore. » Le rivolse una breve occhiata, lei si sentì morire. Si coprì la bocca con una mano e cercó di scomparire dietro i banchi. Perchè diavolo aveva deciso di entrare? Come poteva Polly pensare che avessero qualcosa in comune? Lei sbagliava sempre. Strinse in un pugno il ciondolo che ormai si portava sempre dietro, appeso ad un filo d'oro attorno al collo.
« Ho avuto modo di leggere il vostro programma, cosa avete fatto, il vostro professore era molto preciso, aveva pianificato ogni lezione. Oggi era previsto Kant. » Prese uno dei suoi grossi libri e lo fece cadere sulla scrivania di legno. Poi si sistemó meglio, tolse il cappotto e riveló una giacca di velluto blu, da sotto portava una camicia azzurrina. Sembrava un vero professore, adesso. Come aveva fatto a scambiarlo per un alunno?
« Ma io non vi spiegheró Kant. » Si mise a sedere sul bancone. Si sollevó un omogeneo sospiro incredulo ma felice, quel filosofo non piaceva a nessuno. « Oggi parleremo di Nietzsche, siamo nel milleottocento circa, nasce nel milleottocentoquarantaquattro, e fa un sacco di cose che sapete già quindi vi risparmio la sua biografia. » Si schiarì la voce, quel modo strano che aveva di raccontare le cose era riuscito a catturare l'attenzione di tutti.
« Attraversa tre fasi, quella giovanile, quella centrale dell'illuminismo e poi l'ultima, quella di Zarathustra. » Cassandra non aveva assolutamente idea di cosa stesse dicendo, perchè aveva pensato potesse interessarle una cosa del genere? Era solo imbarazzata. « Friedrich Nietzsche è il filosofo con cui comincia la crisi delle certezze, dei valori ed emergono una mancanza di senso nel mondo e un forte sentimento di solitudine nell'uomo. In pratica lui riconosce che il mondo non rispecchia i desideri dell'uomo, il mondo è caos. » Cass piegó i gomiti sul tavolo, era l'unica senza libri, senza quaderno. Ma improvvisamente non le importava più chi stesse parlando. « Vuole... smascherare la cultura occidentale, tutti i miti, le religioni e le cose che l'uomo ha costruito per sopportare meglio il peso della vita. » Inizió a camminare per l'aula, avanti e indietro e tutti lo seguivano affascinati. « la vita è caos, non ha senso, ma, al contrario di Schopenhauer, Nietzsche non cerca vie di liberazione dal dolore, ma lo accetta, accetta la vita così come esiste. » Si fermó e guardó nuovamente Cassandra. Lei si sentì inchiodata sul posto. « Peró la sua non è una scelta passiva, lui non subisce il mondo. Quando dice che Dio è morto è perchè l'uomo è l'unico responsabile delle proprie scelte. Esso è il contenitore del proprio Libero Arbitrio può usare a proprio volontà e senza sottostare ad alcuna norma morale. In questo modo Nietzsche cerca di mettere l'Uomo al centro di ogni cosa. »
Tornó al suo posto, e cercó tra i vari tomi qualcosa. Tiró fuori dalla pila un libricino.
« Dio è morto, Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso! Come potremmo sentirci a posto, noi assassini di tutti gli assassini? Nulla esisteva di più sacro e grande in tutto il mondo, ed ora è sanguinante sotto le nostre ginocchia: chi ci ripulirà dal sangue? » Cassandra pensó che le sarebbe piaciuto studiare quelle cose, che le sarebbe piaciuto andare a tutte le lezioni di filosofia di questo Velasquez. « La morte di Dio è la morte dei valori occidentali, di tutto quel fumo che secondo lui abbiamo davanti agli occhi e non è una cosa negativa, perchè porta l'uomo a diventare Dio di se stesso. » Chiuse il tomo e lo lasció sulla cattedra.
« Lei, all'ultimo banco. » Cassandra mai avrebbe pensato che si riferisse proprio a lei. « Si, si, proprio lei, a sinistra. »
« Si? »
« Si presenti alla classe. »
« Mi chiamo Cassandra Van der Meer. »
« Dunque, signorina Van der Meer, lei oggi pensa d'esser qui perchè ha agito con consapevolezza? Lei voleva essere qui? »
« Io dovevo essere qui, suppongo. »
« In che senso? »
« Non penso di essere arrivata dove intendesse lei, di avere piena consapevolezza di tutto quello che faccio, peró oggi ho scelto di essere qui. »
« Purtroppo Nietzsche non ci ha lasciato nessun tutorial su come fare a diventare il superuomo, sarebbe stato più facile. »
Le sorrise e tutti si misero a ridere. Qualcuno infondo mormoró che non fosse tanto male, anche se era un po' strano. Quando finì l'ora decise di mischiarsi ad un gruppo di altri studenti per svignarsela da sola. Poi cambió idea, ripensó al discorso sulla volontà e decise di andare incontro al professore. « Mi scusi, l'avevo scambiata per uno studente. »
« Si figuri, significa che sembro più giovane. »
« Si, in effetti... » Sorrise, poi abbassó lo sguardo sui libri che stava mettendo in ordine. « Comunque ci ho ripensato, mi piacerebbe che mi prestasse qualcosa. »
« Bene, bene. Allora vieni nel mio ufficio verso le sei, quando avró finito di lavorare. »
« Va bene, grazie. »
Fece per andarsene, ma lui la richiamó. « Ah, Van der Meer! » Lei si volse subito. « Apprezzo il suo singolare spirito ribelle, ma non si faccia mai scoprire da me mentre fuma nel cortile. »
Cass annuì e tornó dall'altra parte dell'universitá. Decise di studiare, anche se le riuscì difficile, i discorsi del suo professore le rimbombavano in testa e avrebbe voluto parlarne con qualcuno. Elena la evitava, Noah chissà dov'era. Guardava insistentemente l'ora, quando arrivavano le sei?
Diritto penale le sembró la cosa più noiosa del mondo.
Pensó ad Aron, se lui facesse tutto consapevolmente, oppure se fingesse, un po' come tutti. Chissà cosa avrebbe pensato lui, se avesse ascoltato quella lezione.
Hai giurato di non pensarci più. Serró i denti e strinse il ciondolo di Polly, in modo che l'aiutasse a liberarsi di suo figlio. Eppure lo desiderava, tanto che quel pezzo d'oro pareva inutile.
Era proprio chiaro, forse non lo era mai stato, che volesse solo potergli parlare quando volesse, stargli vicino e se questo significava star male era disposta a farsi distruggere. Non impari mai.
Era davvero quella, la sua scelta consapevole?
Finalmente, le sei. Quando aprì la porta per andare dal prof Velasquez, incontró Elena che stava entrando in camera. La salutó velocemente, poi ricordó che fuori facesse freddo, e prese un maglione pesante oltre al cappottino scuro. Da sotto aveva ancora la divisa.
« Ma dove vai? »
« A prendere dei libri. »
« Adesso? »
« Si, devo prenderli da un professore.
A dopo. » Finalmente andó via, i corridoi bui le piacevano, ma dopo che avevano provato ad ucciderla si sentiva sempre in pericolo, quando li attraversava. Per questo aumentó il passo, camminó veloce fino agli uffici dei professori, si rese conto che non sapesse dove andare. Cercó le targhe fuori dalle stanze, e finalmente la vide, quella del professore di filosofia. C'era ancora il vecchio nome.
Bussó prima di entrare. « Permesso... » Si alzó sulle punte dei piedi, come se si vergognasse. Era assurdo pensare che solo qualche ora prima avesse distrutto una ragazza.
« Prego, prego, siediti pure. Deve scusarmi il disordine, sto cercando di rendere questo posto un po' più mio. » Cassandra aveva notato delle foto sulla scrivania in mogano, ma erano girate, non riusciva a vedere chi vi fosse ritratto. E poi la laurea, l'abilitazione per insegnare. Prestava molta attenzione ai dettagli. Si disse che probabilmente non avesse una famiglia, altrimenti perchè era lì? Se ce l'aveva abitava lontano, non aveva la fede.
« Si figuri, per i miei standard qui è molto ordinato, vivo con un'altra ragazza e l'ordine non è proprio il nostro forte. » Si sentì una stupida.
Poi si sedette sulla potrona davanti alla scrivania, le mani posate sulle gambe.
« Ma è normale, anche io all'università vivevo nel caos più totale. »
« Come Nietzsche. »
« Sei stata molto attenta. »
« Si, per questo sono qui, per chiederle dei libri, no? »
« Ha detto che si chiama Cassandra, vero? »
« Si, Cassandra Van der Meer. In realtà ho anche un altro nome ma è come se non l'avessi. »
« No? E come mai? » Lui si mise seduto sulla scrivania, proprio come faceva a lezione.
« Non lo so, nessuno mi chiama con l'altro nome, sembra che sia quasi una cosa sbagliata... credo sia perchè... » Perchè sua madre la chiamava in quel modo, e fu più facile per tutti dimenticarla, togliendola anche dalla memoria di Cass. « Non lo so, in realtà. » Sorrise in un modo tanto innaturale da sembrare inquietante. Non aveva voglia di spiegare la propria vita.
« La conosce la storia di Cassandra? »
Annuì, istintivamente si toccó il ciondolo appeso al collo, come se potesse proteggerla. Fu in quel momento che lui lo notó. « Sa che era una sacerdotessa di Apollo, il dio della bellezza, il più bello tra tutti gli dei e che lui decise di maledirla? Perchè nonostante il dono della veggenza, lei decise di non concedersi. » Quel pezzo non lo sapeva, non c'era scritto neanche nel libro di sua madre. « E sa cosa succede dopo? » Lei scosse ancora la testa. « Diventa il bottino di guerra di un altro uomo, e alla fine, verrà uccisa per vendetta da sua moglie. »
« È una storia orribile. »
« È uno dei personaggi più studiati della letteratura greca, ha per tutti un fascino irresistibile. »
« Piaceva anche a mia madre. »
« È per questo che l'ha chiamata così, le piace la storia greca? »
« Non lo so, è morta quando ero piccola, ma penso di si, aveva dei libri che parlavano di queste cose. »
« È per questo che preferisce Cassandra all'altro nome? »
Lei abbassó lo sguardo. Forse si. Forse era solo per far contento Klaus. « Non lo so, sinceramente. » Ma quei libri?
« Ma i libri? »
Lui alzó le spalle. « Non posso mica darglieli a caso, devo capire cosa sia adatto a lei. »
Lei aggrottó le sopracciglia. Non le piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione. Non voleva dargli tutta quella confidenza. « Scusi non puó consigliarmi dei libri come tutti i professori? »
« No, è un metodo che odio. »
« E fa così con tutti i suoi studenti? »
« Lei non è una mia studentessa, è una giovane ragazza che mi ha chiesto dei consigli su dei libri da leggere. »
« Allora lei non è un mio professore. »
« Esattamente. »
« Allora se è così la smetta di darmi del lei. »
« Ottima argomentazione, ma resto un docente universitario. »
« Allora la smetta lei di darmelo. »
« Non hai tutti i torti. Sembravi più timida. » Cassandra non era timida, e i suoi silenzi erano tutti studiati, sapeva di dover analizzare chiunque come prima cosa. Per capirne i punti deboli, come le aveva insegnato Klaus. « Se sta facendo tutto questo perchè io cambi corso le anticipo che non accadrà mai. »
« Non toglierei mai una Van der Meer dalla sua carriera di avvocato di successo. »
« Perchè sono qui professore? »
« Perchè sei intelligente, e anche se non sarai laureata in filosofia voglio aiutarti. »
« Ma che ne sa lei. E poi che ne sa del mio cognome, le serve qualche favore? »
« No, direi proprio di no. Ti ho vista stamattina, mentre guardavi il vuoto. »
« E quindi? Ci saranno almeno cento studenti ogni giorno che lo fanno, non so se ha notato, siamo tutti depressi. »
« Tu non ti fidi proprio di nessuno. »
« Ma che diavolo vuole da me? »
Lui sorrise, si alzó per cercare qualcosa nella libreria, sembrava quasi contento. « Niente, al massimo sei tu che otterrai qualcosa da me. »
« Seriamente, perchè tutte queste attenzioni? »
Lui tiró fuori un libricino, ma prima di darglielo se lo nascose sul petto, dietro le braccia incrociate. « Va bene, saró sincero. » Cassandra si aspettava le rivelasse qualche oscuro segreto, invece sorrise come uno stupido. « Mi sembravi molto triste, confusa, tormentata. Sei capitata tu, al tuo posto poteva esserci chiunque altro. Pensavo di aiutarti. Che professore sarei se non lo facessi? » Uno normale. A nessuno frega degli altri.
Cassandra sfregó forte il suo amuleto. « Che libro ha lì? »
« Kierkegaard. » Le porse un piccolo e sottile tomo azzurro, sembrava vecchio. « Secondo me potresti trovarlo interessante. »
« Io non penso di capirne molto. »
« È un trattato commentato sulla filosofia di Kierkegaard e sull'importanza della scelta. »
« Della scelta? »
« Come saper scegliere bene. »
« Pensa che io abbia bisogno di questo libro? Che non sappia scegliere? »
« Scegliere bene non c'entra niente con quello che tu pensi. »
Cass afferró il libro, le sembró tutto così assurdo. Forse quell'amuleto stava funzionando davvero.
« Come mai quel simbolo? »
« Che simbolo? »
« Quello che porti al collo. »
« Questo? È solo un fiore, un regalo di compleanno. »
« È il fiore della vita, non lo sapevi? »
« No, sinceramente. »
« Chi te l'ha dato ti ha fatto proprio un bel regalo. »
Era calmo, Cass sentiva il suo sguardo addosso, anche lui la stava studiando. Il modo incerto in cui piegava il capo ogni volta che non voleva parlare di qualcosa, come le dita scivolavano sulle pietre alla ricerca di aiuto. « Io adesso dovrei andare, sarebbe ora di cena. » Sembrava Klaus.
Velasquez sembró rinvenire da una sorra di trance e andó a mettersi dietro la scrivania.
« Si, certo. »
« Allora le faccio sapere quando lo finisco, così posso riportarglielo. »
« Sai dove trovarmi. »
« Arrivederci. »
Si chiuse la porta alle spalle, quel tizio era strano.
Era riuscito ad incuriosirla, a farla appassionare, e tutto solo per puro senso del dovere? Cass non sapeva riconoscere le persone buone, era proprio convinta che non esistessero.
Tornó in stanza, sperava che ad Elena fosse passata. Stava seduta, piegata sulla sua scrivania, stava ancora studiando? « Ciao. » Le rispose con un verso scocciato. « Ti va di cenare insieme? »
« Come minimo dovresti offrire tu per riequilibrare il karma. »
« E va bene, dai. Peró andiamo. »
« Che libri hai preso? »
Cass tiró su il piccolo tomo per mostrarglielo. « Questo qui. »
« Filosofia? »
« Si, c'è un professore nuovo, le sue lezioni sono interessanti e mi ha consigliato di leggere questo libro. »
« Cioè tu vai alle lezioni di filosofia? »
Lasciarono perdere il libro e si rivestirono per uscire dalla stanza. « Solo una, ho incontrato il prof in corridoio e l'ho scambiato per uno studente, mi ha chiesto di accompagnarlo in aula perchè non sapeva dove fosse, e alla fine sono rimasta. »
« Un alunno? E che gli hai detto? »
« Che era vestito male, e doveva farsi la barba. »
Elena scoppió a ridere. « Forse così impari a tenere a freno la lingua. »
« Alla fine ho scoperto una nuova cosa che mi piace, non è andata tanto male. »
Elena scosse la testa, poi chiuse a chiave la porta e si allontanó con Cassandra.
💎💎💎
Nuovo personaggio 😏
Secondo voi è di passaggio o avrà un ruolo importante? Secondo me la risposta la sapete...
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