CAPITOLO 47
Triste pensare che noi
Noi due non saremo niente
Cassandra si era portata dietro un pacco di biscotti rubato dalla dispensa e un po' d'acqua. Indossava gli abiti più pesanti che avesse, e anche il sacco a pelo, era caldissimo. Il maneggio non era un posto fatto per dormire, lo sapeva bene e per questo s'era attrezzata come se avesse dovuto trascorrere la notte sotto le stelle.
Aveva deciso di restare fuori ancora un po', l'aria era gelida. Stava seduta sugli scalini di legno umidi che portavano alla porta dell'ufficio di Polina, tra l'indice e l'anulare della mano sinistra teneva stretta una sigaretta e tremava; quando respirava una nuvoletta opaca si formava oltre la sua bocca. Si divertiva a guardarla svanire nella notte, ogni volta che prendeva un tiro e poi svuotava i polmoni.
Aveva detto a Polina di avvisare Aron, non aveva voglia di dirglielo lei, di parlarci. Non riusciva a gestire due cose contemporaneamente, o pensava al suo cavallo o a tutto il resto. E poi aveva ancora in mente le parole di Polina, quando le aveva detto che avrebbe dovuto decidere da sola.
Anche se ora sembrava assurdo, il tempo dava sempre una spiegazione alle sue previsioni.
Si sistemò la coperta di lana sulle spalle, prima di andare a letto si sarebbe fatta un te caldo, giusto per scaldarsi ancora.
Teneva le ginocchia strette. Quel posto era stupendo quando era vuoto, silenzioso. Allungò un braccio sulle ginocchia e inclinò il capo verso l'alto. Le stelle si vedevano benissimo, lontano dalla città. Avrebbe tanto voluto conoscere le costellazioni, qualche nome.
Spense la sigaretta sul terriccio umido, poi si alzó, la buttò nel cestino dentro l'ufficio e si chiuse la porta alle spalle. Alla fine Polly aveva fatto portare una brandina, anche abbastanza grande. Comunque le sembrò molto meglio dell'idea iniziale di dormire sul pavimento. Scricchiolava un po', pensò fosse un bene che non si muovesse troppo nel sonno.
Forse avrebbe fatto meglio a fare un giro per i box, per controllare Crow. Si mise i guanti di pelle e decise che non fosse ancora il momento di andare a dormire. Scese i soliti gradini di legno umido e si guardò ancora intorno.
Camminò fino ai box, facendosi luce con il cellulare. Conosceva quel posto a memoria, avrebbe saputo raggiungerlo anche senza, ma se Crow si fosse sentito male aveva bisogno del telefono vicino, per chiamare immediatamente qialcuno. Quindo tantovaleva usarlo.
Non voleva spaventarlo, si limitò a controllare che dormisse, e poi restò lí ferma, immobile, non sapeva davvero che fare. Non poteva aiutarlo in alcun modo.
Spense la luce e chiuse gli occhi, realizzò che fosse proprio una stupida. La sua presenza non avrebbe cambiato niente.
Improvvisamente sentí un rumore, era facile notarlo, perchè il maneggio era immerso nel silenzio più assoluto. Nascose il telefono e si pentí di non aver portato con se almeno un coltello. Strinse i pugni, era sempre in allerta.
Udí il rumore di un legnetto spezzarsi, sussultò e poi si sentí una scema, quando vide che era stata lei. Era già più tranquilla, anche se dopo Londra aveva sempre paura. Odiava avere paura.
Poi qualcuno l'afferrò da dietro, le tappò la bocca con una mano, non era stato stupido come quell'idiota che l'aveva beccata in corridoio all'università. Non poteva urlare, cosí cercò di liberare un braccio per tirare una gomitata sul torace a chiunque volesse farle del male. Anche se era strano, aveva una sensazione proprio strana. Come se non dovesse agitarsi tanto. Perchè?
« Vuoi per caso uccidermi, dopo tutto il casino che hai fatto per salvarmi? »
« ...Aron. » Come aveva fatto a non riconoscerlo subito? Aveva un profumo diverso. Non sapeva come reagire, se piangere o abbracciarlo. « Ma che ci fai qui? »
« Ti meriteresti di morire di freddo da sola, per colpa della tua testardaggine... ma non ci riesco. » Le mise un braccio attorno alle spalle e la strattonò forte per darle fastidio. « A fare cosa, scusa. » Aggiunse lei, piegandosi verso il basso sotto la spinta di Aron.
« A dirti di no. Non sono mai riuscito a lasciarti subire le conseguenze delle tue cazzate. »
Cassandra sorrise, abbassò lo sguardo e poi lo alzò lentamente.
Erano irrimediabilmente legati e avrebbe voluto dirgli che quella voglia di starle dietro non fosse altro che una maledizione, ma tacque. Tacque tutto, in quell'istante. Si guardarono e fu come se per un momento Aron avesse recuperato la memoria, aveva quegli occhi cosí invitanti che riuscivano a far sembrare niente tutti i guai a cui era andata incontro solo per poter stare a fissarli in quel modo, solo per perdercisi dentro una volta in più. Fu lui a distogliere per primo lo sguardo, ovviamente. Lei pensò che quella notte sarebbe stato meglio se lui non fosse andato a trovarla.
Comunque s'infilò le mani in tasca. « Ti va un te caldo? »
Annuí. « Se me l'avesse chiesto mia madre avrei risposto di no. » Si mise a ridere.
Cass inclinò il capo da un lato. « Non ti piace quando ti legge il futuro? »
« Per niente, specialmente perchè non sbaglia mai. » No, infatti. Le venne quasi da ridere.
Ripensò a quando le disse che il suo destino fosse incrociato a quello di Aron. Quanto era vero.
« Dai, andiamo che qui fa freddo. »
Al ritorno semplicemente seguí lui, fu una cosa cosí naturale che non se ne accorse neppure, di non aver paura, di non aver acceso alcuna luce. Arrivarono nell'ufficio di Polly e Cass si tolse subito i guanti e il cappotto. « Puoi prendere la coperta, volendo se dormiamo seduti ci stiamo entrambi sul letto. »
« Io non dormo.
E comunque non preoccuparti. »
« Non dormi? » Aggrottò le sopracciglia, mentre si dirigeva verso la mensola dove tenevano il bollitore e tutto il resto. Pensò fosse un peccato che Polina non le avesse ancora insegnato come leggere il te, avrebbe potuto farlo con lui. Poi si disse anche che farlo di nascosto fosse sbagliato.
« Non riesco a dormire da qualche giorno, non so perchè, sarà collegato al resto. »
« Forse lo stress. » Forse aveva paura dei propri sogni, degli incubi. Aveva già messo le foglie nelle tazze, si accorse che ci fosse solamente il te nero, non avevano mai bevuto altro.
« Ti giuro che messa cosí sembri mia madre. » Si mise a ridere, inconsapevole, forse, di averle fatto un super complimento. Si mise a sedere sulla brandina, quella sprofondò verso il basso e scricchiolò cosí forte che lui si ritrasse subito, pensando d'averla rotta. « Ma 'sta cosa regge? »
« Ma si che regge. » rispose Cass.
« Forse regge te, è a prova di ospiti. »
« La prossima volta la provo. »
« Sempre con lo stesso che ti ha fatta finire in ospedale? »
« Ho fatto tutto da sola. » Ed era vero. « Non ho dodici anni, quella cosa l'avevo già fatta mille volte e non era mai successo niente. »
« Che cosa? »
« Come, non lo sai? »
« No, pensavo fosse coca, o no? »
« Ho mischiato coca ed ecstasy. » Lo disse con una naturalezza tale che Aron non seppe subito cosa dirle.
Aron allargó lo sguardo, si sporse in avanti con il viso. « E pensavi di non morire? »
« Esatto. »
« Volevi ammazzarti. »
Non stava più ridendo, non la stava rimproverando, non era arrabbiato. Sembrava... avesse paura? « Sinceramente non pensavo molto a cosa volessi fare. » Invece si, volevo scordarmi la tua faccia. « Volevo che la mia testa stesse zitta, volevo solo questo. »
« Che cosa non vuoi sentire? »
Lei alzò le spalle. L'acqua ormai era pronta. « Non so spiegarlo. » Ed era vero. Neppure a se stessa.
« Prova, di solito sei tu che mi fai questi discorsi, ora puoi sfogarti con me. »
« Che discorsi ti farei? »
« Tipo da psicologa. »
« Addirittura. »
« Dai, spara. »
« Potrei prenderti alla lettera. » Alzò le sopracciglia, stava cercando in ogni modo di cambiare discorso. Mimó una pistola con le dita.
« Dai sono serio. » Si alzò per aiutarla, prese la sua tazza e glie la porse. Era tutta bianca, per vedere meglio dove si posizionavano le foglie.
« Non lo so, a volte non ragiono... » Si morse una guancia. « A volte... » Sospirò, davvero non sapeva come mettere in ordine certi pensieri.
Riempí i tazzoni e Aron li spostò sulla scrivania.
« A volte lo faccio perchè è come se devo sfogarmi, come se urlare non basta, vado fuori di testa... » Si grattò la testa.
« Come a Parigi? »
« ...Ah, te lo ricordi. »
« Si, quello sí. »
« Quello mi sarebbe piaciuto se te lo fossi scordato per sempre. »
« Cosa volevi dimenticarti? »
« Di Klaus, mi mancava l'aria. Mi stava sempre con il fiato sul collo... mi sentivo in gabbia. »
« Era il tuo modo per scappare? »
« O per farmi notare, chissà. » Il tono di voce era colpevole, si vergognava. Tutta la vita non aveva chiesto altro se non un po' d'affetto da suo fratello. Qualcosa che colmasse ciò che i suoi genitori non le avevano mai dato. « Poi mi arrabbiavo, mi sentivo... sbagliata e desideravo cose impossibili, pensavo che se mio fratello mi schifava allora dovevo avere proprio... » Trattenne il respiro qualche secondo. Le veniva da piangere, a ripensarci. « Beh, se perfino lui, che era mio fratello, non mi voleva, come potevo pensare che— potessero volermi bene altre persone? » Si avvicinò la tazza e prese un sorso bollente, era amaro, piacevole. « Non lo so perchè, a volte la mia testa non funziona. »
« La tua testa funziona fin troppo bene, tanto bene che vuole prenderti a pugni il cuore. »
« In che senso? » Tremó.
« Che non ti lascia andare, non ti lascia vivere. »
« Forse hai ragione. »
Anche lui si scaldò la gola. Erano seduti uno difronte all'altra, Aron dietro la scrivania e lei sulla poltroncina dall'altro lato. « Anche quando eri piccola, eri sempre... frenata, poi ti liberavi tutta insieme e impazzivi. »
« Cioè mi stai dicendo che sono nata pazza. »
Rise, ma c'era dell'amarezza nel tono di voce.
« Dico che ti hanno sempre insegnato cosí. »
« A volte... ci sono cose che non si possono fare, non si può sempre seguire il cuore, a volte bisogna prendersi un po' a pugni. » Distolse lo sguardo, non riusciva a dire quelle parole mentre ce l'aveva davanti.
« E tu ora lo prendi a pugni? » La guardò, e ancora ebbe per un momento quella assurda sensazione che la memoria non l'avesse mai perduta. Era proprio lui, seduto davanti a lei, con una tazza di te bollente tra le dita e i capelli in disordine che gli uscivano dal cappellino di lana grigio.
« Non ho capito— non ho capito la domanda. »
Ma che scema, si era incantata. Il problema era che la domanda l'aveva capita benissimo. Provò a bere e per poco non si sbrodolò il te sui vestiti.
Lui sorrise divertito, cosa pensava? « Ho capito, allora. »
« Che cosa? »
« Ti piace qualcuno, ma hai paura. » Era cosí sicuro di se, mentre la indicava con la mano in cui teneva stretta la tazza calda. « Giuro che se mi dici chi è non faccio la spia con Klaus, non metto a rischio la sua incolumità. »
Cassandra non potè che restare in silenzio, a maledire il mondo, qualsiasi dio esistesse, le stelle e perfino le pietre che le aveva regalato Polly, la stessa aria che respirava. Era il mondo che la prendeva ingiro, che continuava a punirla per dei peccati che non conosceva. « Lascia perdere, Nowak. »
« È Noah? »
Che poteva fare? Mentirgli? Aveva scelta?
« Dai Aron, lascia stare, sul serio. »
Lo vedeva, che ci stava provando ma non ci riusciva. La curiosità di sapere perchè lei non stesse bene era troppa, e poi perchè?
« Mi dispiace. Amare qualcuno non dovrebbe essere cosí difficile. »
Le venne da ridere, un sorrisetto nervoso le tirò le labbra. « E tu che ne sai. Chi ami?
Chi hai mai amato? » Sembrava volesse accusarlo di qualcosa, in realtà era solo sfinita, e arrabbiata.
Lui alzò lo sguardo e si soffermò a guardarla per un breve attimo, poi, con tutta la calma del mondo, prese un altro sorso di te e le sorrise. « Nessuno, hai ragione. » Quelle parole la ferirono al punto che si dovette toccare il petto, per accertarsi che non vi fosse nessuna lama a trafiggerlo. Prese un respiro profondo e trattenne le lacrime, non doveva finire cosí.
Nascose il viso dietro la tazza bollente, mentre prendeva gli ultimi sorsi della bevanda che si era ormai raffreddata. « Dai, non parliamo di queste cose deprimenti. » Gli sorrise, la posò sul tavolino accanto alla brandina e poi cadde sul materasso sottile. « Ti va di fare un gioco? »
« Quello di cui mi hai già parlato? »
« Esatto. »
« E va bene. » Si alzò anche lui, però non andò subito verso di lei, si piegò sotto la scrivania alla ricerca di qualcosa. Cassandra non sapeva neppure che quei cassetti si potessero aprire.
« Che fai? »
« Zia Polly nasconde qui sotto il suo whisky preferito, lo sai Cassy? »
Le venne da ridere. Improvvisamente le sembrò stranamente innocente. Un ragazzo normale che fregava le cose da bere alla madre. Non ricordava d'aver mai pensato niente del genere su di lui. « Questa cosa proprio non la sapevo. »
« Dove pensi che le portassi le ragazze quando ero piccolo? »
« Dai, ma che schifo, nell'ufficio di tua madre? »
« Avevo le chiavi e molta privacy, oppure nella depandance. »
« Ma dai, zero romanticismo! »
Lui aggrottò le sopracciglia, tirò fuori una bottiglia quasi completamente piena e un bicchiere vuoto. « E da quando a te piacciono le cose romantiche? »
« ...Che ne so, quando sei piccola ci speri, poi esci con uno che ti porta in un... capannone in un maneggio e capisci che sono solo sogni. » Rise.
« Dici che ho infranto tanti sogni? »
Le si mise accanto, Cassandra tirò su la coperta e si tolse le scarpe. Si volse per rispondergli e dirgli che si, probabilmente si era comportato da stronzo e che in realtà Klaus glie l'avesse anche detto, quando si era messa a piangere, implorandolo di non mettersi in mezzo, ma di aiutarla. E poi c'era stata quella lettera.
Tutte cose che avrebbero dovuto farle intendere quanto fosse sbagliato cercare qualcosa di buono in lui.
Si stava versando da bere, e lei s'incantò. Si dimenticò di tutto e per un momento, quel posto schifoso e freddo le sembrò il più romantico del mondo.
« Secondo me hai spezzato tanti cuori. » Abbassò lo sguardo, si vergognava come quando avega sedici anni.
« Tu quanti anni avevi? Sedici? »
« Sedici, quindici, diciassette. »
« A diciotto eri già grande. »
« ...Lo ero anche prima. »
Aron prese un sorso di liquore che gli pizzicò la gola. Non ricordava d'averlo mai visto bere cose così. « No, c'è stato un periodo in cui eri una bambina, me lo ricordo bene, perché ti invidiavo. »
« In che senso? »
« Prima che morisse tuo padre, anche se era già tutto difficile, tu eri ancora una bambina, ed è una fortuna che tu possa esserlo stata. Io e Klaus non sappiamo cosa voglia dire. »
Si sentì improvvisamente una stupida. « Lo so, mi dispiace... »
« Dai, facciamo quel gioco. » Volle cambiare argomento, proprio non ce la facevano a restare su argomenti leggeri. « Vado io, vediamo... » Cassandra non temeva quel gioco con lui, ora, era una delle poche cose che non la impauriva. Sapeva poco, ormai, su di lei. « Cosa avresti fatto se non fossi andata a studiare a Londra? »
« Penso che sarei impazzita. O forse mio fratello avrebbe imparato a volermi bene, non lo so. »
« Lui ti voleva bene, è che non sapeva dirtelo. »
« Lo so, lo so. » Sospirò. « Allora, pensandola positivamente, sarei sempre qui, perché Crow si sarebbe ammalato comunque, ma avrei avuto l'appoggio di Klaus molto prima, senza tutti i litigi e le bugie... i ricatti e le urla, senza tutto questo. E forse avrei anche imparato a gestire questo posto. »
« Che litigi? »
« Ah, giusto, non ti ricordi. »
« Ma sono successe cose gravi? »
« Si, molto, perché eravamo costretti a parlarci ma non sapevamo come fare quindi ci davamo addosso. »
« Infatti mi sembravate strani, non vi ricordavo tanto... in sintonia. »
« Lidia ha un grosso merito, senza di lei sarebbe stato impossibile. »
« Magari aiuta anche me. »
Lei alzò le spalle. « Forse, potrebbe farlo. »
Aron aveva già lasciato il liquore, un bicchiere bastava e avanzava. Cass fu tentata di prenderne un po', anche se non avrebbe dovuto, perché solo la scorsa settimana era stata malissimo. Non aveva proprio il fegato pronto per bere. « Quella roba mi ha sempre fatto schifo. »
« E allora perché la bevevi? »
« Perchè è forte, fa subito effetto. »
Ancora silenzio. Per lei erano cose normali, lui forse non le aveva mai sentite venir fuori dalla sua bocca.
« Tocca a te. »
« Giusto. Cosa avresti fatto se non avessi mai incontrato mio fratello? »
« Penso che sarei rimasto un poveraccio. »
« Secondo me no, avresti trovato un altro modo per ottenere quello che volevi. »
« Non so cosa volessi, non avevo niente, mi bastava un pasto caldo al giorno. » Abbassò la testa, come se si vergognasse.
Lei pensò che la cosa migliore da fare fosse consolarlo, quindi si avvicinò di più a lui e gli accarezzò un braccio. « Ci saresti riuscito comunque, quello che hai è merito tuo, non di mio fratello. Lo sai che noi non regaliamo niente, meno di tutti mio padre. »
« Sei diventata saggia. » Piegò il viso verso il basso per baciarle il capo. Lei però si scansò, non poteva sopportare la tortura di sentire le sue labbra addosso.
Lui restò immobile per qualche secondo, Cass non aveva idea di cosa gli passasse per la testa. Gli sorrise, le sembrò la cosa più naturale da fare.
« Dai, cerchiamo di dormire. »
« Io mi metto sulla poltrona. »
« Ma no, vieni, in due ci stiamo. »
« Ma come? »
Cassandra si mise seduta in un angolo, e gli indicò con un cenno del capo l'altro lato. « Seduti, con la schiena contro il muro, così. »
« È impossibile, al massimo sdraiati. »
« Ma che sdraiati. » Le prese quasi il panico. Anche se ripensandoci, dormire insieme era un lusso che non si erano quasi mai concessi.
« Vabbè, senti tanto starei comunque seduto, la poltrona è più comoda. »
Cass alzò le spalle. « Come ti pare. » Prese la coperta di lana e glie la porse, tanto lei aveva il sacco a pelo pesante. Ci si infilò dentro e poi lo chiuse fin su, stava benissimo.
Chiuse gli occhi, dormire non fu difficile, Aron le metteva calma.
Sebbene si fosse assopita con il sorriso, ad attenderla c'era il solito incubo.
Aron non la riconosceva, all'improvviso si scordava di lei e quasi la odiava.
Continuava a ripeterle di aiutarlo, lei gli chiedeva come ma non la sentiva.
E continuava, gli diceva « Come faccio, come faccio ad aiutarti? » ma lui non rispondeva, se ne stava seduto a tavola e ogni tanto rideva, le rideva in faccia. Come se le stesse facendo un dispetto. Mentre lei piangeva, e urlava fino a sentire la gola bruciare. « Aspetta! » Lo vedeva alzarsi, scuotere il capo insoddisfatto e andare verso l'uscita.
« Resta, resta! »
Aprì gli occhi improvvisamente, spalancati nel buio. Pensava fosse tardi, ma dalla finestra non si vedeva la luce del giorno. Aveva dormito solo qualche ora. « Cass, tutto okay? »
Lo guardò, si chiese se non stesse sognando. « Ho solo freddo, fa freddo. » Il che era una specie di verità, visto che davvero, il sacco a pelo non la scaldava più bene, anche se non era stato certamente quello a svegliarla.
« Lo so. » Inaspettatamente, lui si alzò e la raggiunse con la coperta grossa di prima. « È ancora notte, ti porto a casa? »
« No. » Mormorò in nel buio.
« Resto io, dai. »
« Aron lasciami stare, non ho sedici anni. »
« Stai morendo di freddo, se torni a casa non succede niente. Io ce la faccio. »
« Lo so che ce la fai. Ma voglio restare. »
« Lo sai? » Era stranamente allarmato. Forse aveva detto una cosa sbagliata, forse il nuovo Aron non le avrebbe mai raccontato quelle cose.
Cassandra era ormai sveglia, si girò e cercò il suo sguardo nel buio. « In Polonia, no? Quando vivevi con tua madre e non avevate molto con cui riscaldarvi. »
« Ah, si, vero. » Incrociò le braccia al petto.
« Non devi restare per forza. »
« Lo so, ma come ti ho già detto, non ci riesco. »
« Addirittura. »
« Sei una mia debolezza, lo ammetto. »
« È un complimento? » Le piaceva pensare di si.
« Non lo so. » Si mise a ridere, ignaro di cosa stesse accadendo nella testa di Cassandra.
« Mai sia. » Si tirò su la cerniera del sacco a pelo per coprirsi meglio la faccia. Si sentiva buffa, ma faceva davvero freddo.
« Che vuoi dire? »
« Che non sei una persona molto dolce, ma non lo è nessuno di noi, non sappiamo proprio come si fa. » Si mise a ridere, provò a chiudere gli occhi.
« Hai ragione, non è nel nostro DNA. »
Cassandra ripensò alla Polonia, a quello che si erano detti e alla routine che avevano lentamente creato. Forse in tutto quello c'era qualcosa di dolce, anche se non l'avrebbero mai ammesso, e non avevano neppure avuto il tempo di capirlo.
« Però tua sorella è dolcissima. »
« Lo so. Me l'ha detto Polly, dice che lo è anche la figlia, Anita? »
« Ania, ti somiglia molto. »
« È così strano non ricordare niente. »
« Però ieri pensavo... il fatto che non ricordi niente non ti impedisce di creare... » Non trovava il termine giusto. « Di creare un legame nuovo, un ricordo nuovo anche più bello. Sarà brutto all'inizio, magari ti sembrerà che lei ti conosca troppo bene ma poi... alla fine le cose si sistemano. »
« Hai detto una cosa intelligente, sai? »
« Visto? » Si mise a ridere. Poi si rannicchiò su se stessa. « Dai, vieni qui, così mi fai caldo. »
Lui rise, la guardò divertito. « Tipo un cane? »
« Non ti chiamavano il Lupo? » Voleva solo averlo vicino, la verità era che moriva dalla voglia di abbracciarlo e non poteva.
« Sei insopportabile, sai? »
« Sì. »
Lui adesso non rideva più. Sbuffò e si mise più comodo sulla poltrona. « Ti ho già detto che se hai troppo freddo ti riaccompagno a casa. »
Tornò immediatamente severo, e lei si ricordò che ai suoi occhi fosse ancora solo la sorellina di Klaus, le voleva bene, ma non si sarebbe mai permesso neppure di guardarla troppo a lungo mentre dormiva. Pensò a quanto l'avrebbe devastato, sapere di loro due, di cosa avesse provato per lei.
« Lascia stare. » Si girò dall'altra parte e cercò di chiudere gli occhi, improvvisamente realizzò quanto fosse assurdo tutto quello. Aron lì con lei, Crow che stava male e la disperata necessità di aiutarlo ad ogni costo.
Si chiese cosa avrebbe fatto la Cassandra che ricordava lui, che non poteva ammettere a se stessa d'amarlo. Gli avrebbe detto di andarsene, che non riuscisse a sopportarlo e l'avrebbe allontanato. Ma come poteva allontanarlo adesso? Si sarebbe sentita un mostro.
Lui non disse altro, forse pensava addirittura che lei stesse dormendo sul serio, perché ad un certo punto andò via davvero, o forse fuori, perché dopo un po' lo sentí anche chiudersi la porta alle spalle. Cavoli suoi.
Cassandra si sforzò di dormire, di mettere a tacere il cervello e i pensieri. Un tempo avrebbero pagato oro per avere tutta una notte cosí insieme, cosí tante ore. Ora, invece, lei le stava maledicendo. Il vento batteva forte contro la finestra, ogni volta che riusciva ad assopirsi qualche rumore strano la svegliava. Ma restò immobile, non voleva voltarsi e osservare lo sguardo di rimprovero di Aron.
Dopo un po' si addormentò sul serio, era sicura anche di aver sognato, ma non ricordava cosa.
Non riusciva ad immaginare quanto potesse essere brutto non ricordare la propria vita. Comunque, fu risvegliata dal rumore fastidioso della porta che si chiudeva. Stava per girarsi e arrabbiarsi, ma sentì Aron avvicinarsi a lei e s'immobilizzò, chiuse perfino gli occhi. Lo percepiva chino su di lei, così vicino da sentirsi male. Serrò la mascella.
Che voleva? « Ti meritavi molto di più, piccola Cassy. » Sospirò sommessamente, poi le spostò delicatamente i capelli dal viso per lasciarle un bacio dolce sulla tempia scoperta.
Si alzò e le stese una coperta pesante addosso, l'aveva fatta portare da qualcuno, non gli ci era voluto molto. Cosa era disposto a fare, pur di non abbracciarla. Lei decise di non uccidere quel momento e restarsene zitta. « Ti meritavi qualcuno che potesse abbracciarti. » Non una stupida coperta. A quel punto lei aprì gli occhi, lentamente.
Ma che voleva dire? Che ne sapeva lui di cosa meritasse, del perché. E poi perché aveva detto quelle cose? Cassandra non sapeva più se fingere di dormire o voltarsi per chiedere spiegazioni.
« Aron, sei sveglio? » Finse un po' giusto per non mandarlo nel panico. Si stiracchiò e addirittura si mostrò assonnata.
« Sì, ti ho fatto portare una coperta, ti ho svegliata, scusa. » A quel punto lei decise che non potesse più stare zitta. Accese la luce dall'interruttore vicino alla brandina.
« Ti sei mai chiesto perché non ricordi niente? »
« Quella, forse, è l'unica cosa che so, è perché il mio cervello è andato in tilt, ha subito un trauma. »
« Non hai battuto la testa, e hai perso conoscenza per pochissimo, ti rendi conto di quanto sia strano? »
« Si, è una sfiga immensa. »
« È come se non volesse, non trovi? »
« Non volesse cosa? »
« Ricordare, come se ne avesse approfittato per ricominciare da zero. »
« Perchè avrebbe dovuto? »
Non capiva se si stesse sforzando di ricordare o di non farlo. Sembrava lottasse contro se stesso.
« Sono successe tante cose che tutti vorremmo scordare. »
« Tipo? »
« Io sono impazzita, Lidia è quasi morta, Andrea ci ha traditi e Vanessa... praticamente non la conosco più. E poi stavi per morire, mi stavi per morire davanti e hai quasi ucciso Ricky e poi... »
Dirglielo, o non dirglielo? Come poteva essere una notizia peggiore di quelle che gli aveva appena elencato? « Niente, poi niente. »
« E poi? »
« Niente, non c'è altro. »
« È tutta la vita che faccio questo lavoro, ho visto la morte mille volte, ucciso amici, rischiato di perdere tuo fratello, mia madre.
Non ha senso. »
« Ma se ci fosse altro? »
« Sto cercando di capire. »
Sul serio? Cassandra iniziava a temere che non si stesse sforzando poi così tanto. Assottigliò lo sguardo, e lo puntò dritto nel suo.
« Perchè la scorsa settimana sei scappato via? »
« Non sono scappato. »
« Dovevamo vederci, mangiare insieme e te ne sei andato. »
Fu una delle poche volte in cui vide Aron Nowak in difficoltà. « Avevo degli impegni. »
« Non è vero, mi stavi evitando, perché? »
« Ma che dici, perché dovrei. »
« Dimmelo tu. »
« Non ti riguarda tutto quello che penso. » Il tono di voce era preoccupato. Cassandra aveva sempre cercato di aiutarlo con le buone, forse i metodi giusti erano altri. Aprì il sacco a pelo per mettersi a sedere, avvolta nelle coperte.
« Se mi eviti per un motivo voglio sapere perché. »
« Perchè mi metti a disagio, sei in tutte le cose che ricordo e mi sembra di essere ossessionato da te... ma non è possibile, non ha senso. »
« Che cosa ricordi? »
« Il tuo viso prima di morire, il tuo profumo quando eravamo costretti a stare insieme, in Polonia... » Serrò la mascella, come se odiasse dover dire quelle cose. « ...Perfino il rumore dei tuoi passi sul legno, è così che ho ricordato della festa al maneggio, c'era una piattaforma tipo parquet e ricordo il rumore dei tuoi tacchi, e la tua schiena, le tue mani sempre fredde... ci sei solo tu e mi sembra una tortura, non mi piace quello che ricordo. »
« Perchè non ti piace? » La guardò come se avesse fatto una domanda assurda. Non era ovvio? Per lei, no. Lei adorava tutti quei ricordi, si aggrappava costantemente a loro per andare avanti.
Lui era in difficoltà, respirava velocemente e cercava di evitare il suo sguardo ad ogni costo. « Perchè non è una cosa normale, sembro un pazzo ossessionato. »
« Ma scusa quando ricordi queste cose stai male? Cioè come se ti fa schifo pensare a me? »
« No... » No? Cass sapeva già la risposta, ma voleva che ci arrivasse lui.
« Vieni qui. » Lei si spostò per fargli spazio. Sapeva preferisse mantenere le distanze, ma preferiva averlo vicino mentre gli raccontava quelle cose. « Dai, vieni, mi è venuta in mente una cosa. » Lui fece come lei gli aveva chiesto, rimanendo comunque distante.
« Perchè non ti da fastidio quello che ho appena detto? »
« Dammi una mano. »
« Non vorrai leggerla come fa mia madre, vero? »
Lei rise. « Non sono mica così saggia. » Aron allungò una mano sul serio e Cassandra pensò bene di intrecciare le proprie dita alle sue.
Lo sentì in tensione, segno che qualcosa stava succedendo. « Chiudi gli occhi. »
« Che vuoi fare? »
« Un gioco. »
Gli prese la mano e la sollevò lentamente, poi la portò sul proprio viso e chiuse gli occhi anche lei, tremò per un momento, quella sensazione era così lontana che le fece realizzare quanto fosse pietosa la loro condizione.
Aron le accarezzò la guancia, il naso sottile, il mento e poi il collo da sopra gli indumenti pesanti. Lo vide sorridere, quella cosa lo divertiva, chissà perché. Tornò serio solo quando fini sulle labbra, per ultime, pareva le avesse evitate con cura per tutto il tempo. Le accarezzò con l'indice e non riuscí più a togliersele dalla testa. Ci indugiò più del dovuto, sempre tenendo gli occhi chiusi. « Non sono così terribile come immaginavi, no? »
« No, in effetti no. » Una risatina quasi innocente gli solleticò le labbra. Cass non avrebbe mai pensato d'essere un giorno quella più forte tra i due, lei, che era sempre stata la sorellina fragile di Klaus. Lui aprì gli occhi e fece cadere il braccio verso l'alto. « Pensavo di essere venuto qui per te, per aiutarti, per starti vicino, invece mi sa che ne avevo bisogno io. »
« Devi fidarti di te stesso. »
« Perchè è così solo con te? Klaus è il mio migliore amico, ma io ricordo solo te. »
« ...Lo sai. »
💎💎💎
Lo so che mi odiate, ma ci vediamo alla prossima puntata. Secondo voi come si conculerà la notte di Aron e Cass?
E perchè per Aron è cosí difficile ricordare?
O forse ricorda cose che non vuole dire...?
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