CAPITOLO 45


Slipping trough my fingers all the time
Do I really see what's in her mind?
Each time I think I'm close to knowing
She keeps on growing

Trascorse il giorno dopo in ospedale, non sapeva se Klaus avesse voluto farla stare lì per tenerla lontana da Lidia, o forse era solo uno dei suoi strani pensieri. A volte tornava l'abitudine di crearsi problemi che non esistevano. Come l'idea che tutti non la sopportassero, era l'autosabotaggio costante in cui viveva.
Specialmente quando era sola, quando non c'era nessuno a farle compagnia, diventava difficile restare serena.

Aron non l'aveva più chiamata, e Noah se n'era dovuto andare prima. Quella serata era stato uno scandalo troppo pesante per la sua famiglia, lo capiva, per questo l'avevano richiamato in Europa.
E lui, senza troppi discorsi, aveva deciso di obbedire, come sempre. Aveva davvero un'altra scelta? Qualcuno di loro l'aveva? Doveva comprenderlo per forza.

Le venne da ridere, forse qualcosa di buono l'aveva fatto, se si erano infuriati tanto. Alla fine non era servito allontanarlo dalla famosa domestica, per far calmare i pettegolezzi. Era questo, che lui voleva far capire loro. Forse.
Forse voleva solo farli incazzare, come fosse ancora un adolescente offeso. Oppure era solo un folle, distrutto, a pezzi come Cass.

« Sicura che ce la fai? »
Klaus era andato a prenderla, ovviamente. Anche se aveva insistito per tornare da sola. Aveva stretta tra le mani i manici della valigia di cuoio marrone, contenente tutte le cose che le aveva portato durante il ricovero. Troppe. Pensó che avesse vissuto in Polonia con molta meno roba. Forse da tutto quel casino aveva imparato davvero qualcosa.

Trascinava le scarpette sulle piastrelle dell'ospedale, quel posto era cosí triste che solo a starci dentro si sentiva malata. « Ha chiamato Aron? » Non l'aveva ancora sentito, e aveva bisogno di lui, anche se si raccontava che fosse il contrario, lei non aspettava altro che poter risentire la sua voce. Dovevano cucinare insieme, perchè era sparito? « Dovevamo vederci, ha ricordato delle cose e dice che io lo aiuto. » Il tono di voce era basso, quasi rassegnato.
Klaus non ebbe il coraggio di rispondere subito. « Aron è tornato in Polonia, Cass. » Cosa?
Stavano camminando nel corridoio dell'ospedale, quando lei si fermó improvvisamente.
« Ma che cazzo dici. » Aron con o senza memoria, era bravissimo a scappare via. E soprattutto, a farlo di nascosto.
« È partito stamattina, non sapevo neanche ti avesse detto che vi sareste visti. »
« Non ci credo, non è possibile. » Klaus forse capì quanto fosse grave. Gli ricordó di quando partì, tempo prima, per stare lontano da sua sorella. Forse aveva fatto la stessa cosa. Lei non sapeva proprio lasciarlo andare. Altro che Noah.

Si avvicinó lei e le accarezzó una spalla con la mano destra. Dovevano uscire da quel posto. « Cass, sta attraversando un periodo difficile, magari gli è venuta in mente una cosa su Lublino e ci è tornato, non è niente di grave. » Sembravano due anime rotte che cercavano di aiutarsi, ma non facevano altro che distruggersi a vicenda.
« Ma ieri... cioè... due giorni fa, quando è venuto, mi ha detto che riusciva a ricordare solo con me, e che— » Non lo capiva, era scostante e le dava un senso di inquietudine che la faceva stare male.
La annientava. « Aspetta, lo chiamo. » Le tremavano le mani, mentre cercava ovunque il cellulare, nelle tasche della giacca, nel borsone, fin quando suo fratello non la richiamó. Doveva sembrare davvero una pazza.
« Cass... » Era pietà, quella che gli leggeva nel tono di voce, neppure più preoccupazione.
« Senti io non lo lascio, non lo abbandono, non ce la faccio. » A fare cosa, non riesci? La verità era che pur di stargli accanto avrebbe interpretato qualsiasi ruolo, anche quello della stupida sorellina di Klaus, un'altra volta.

Lui a quel punto la prese per un braccio. Si avvicinó minacciosamente al suo viso, era disperato. « Mi spieghi che cazzo è successo in Polonia? » La stava implorando. Lei lo guardó con le sopracciglia alzate. E cosa cambiava, che cosa sarebbe potuto cambiare, a quel punto?
Cass pensó che avrebbe fatto meglio a dare un senso alle sue reazioni, lui non sapeva ancora troppe cose, e questo la rendeva completamente ingestibile, ai suoi occhi. « A casa. » Magari era il caso di spiegargli proprio tutto, dall'inizio, dato che era riuscita a dare di matto ma mai a confessargli cosa provasse per Aron, come si fossero avvicinati e tutto il resto.

Andarono via, uscire da quella struttura fredda fu liberatorio; mentre era in ospedale, anche se non aveva nulla, si sentiva sempre malata. Era una cosa strana. Comunque entrarono in auto, e sfrecciarono via.
Tornarono presso la loro lussuosissima dimora, Lidia era lì? Non voleva sembrare troppo stanca, non voleva farla agitare. Le occhiaie si vedevano tanto? Avrebbe fatto meglio a truccarsi, prima. Non ci aveva pensato.
Si domandó come facesse Klaus a volerla con loro, Cass era fastidiosa, imprevedibile, una specie di bomba pronta ad esplodere e aveva deciso di metterla nella stessa casa di una donna incinta.
Eppure, era casa sua.
Era casa di tutti.

Era tanto che non dormiva nel suo letto, un po' le era mancato. Peró non voleva starsene lì tutto il giorno, aveva riposato abbastanza. Lasció tutto a terra, davanti alla porta della camera.
Klaus chiaramente la seguì, stette ben attento a chiudersi la porta alle spalle. Tanta era la fretta di sentire le sue spiegazioni che non si era neppure tolto la giacca.
« Ti ascolto. » Si spoglió del cappotto e lo lasció sulla poltroncina davanti al letto. Cass restó seduta. Si guardó prima i piedi, poi cercó il suo sguardo. « Che vuoi sapere? Come è iniziata? »
In realtà non voleva saperlo, ma doveva. Cass sapeva perfettamente che l'ultima cosa che volesse sentire fosse come sua sorella e il suo migliore amico si fossero ritrovati innamorati, ma non poteva più evitare quella storia. « Possibilmente. »
Lei sfoderó un sorrisetto amareggiato e sospiró, infastidita. « Quando avevo sedici anni, ecco quando è iniziata. »
Si massaggió per un momento la fronte con le dita. « Ma che dici. » mormoró piano. Si sentiva un idiota, forse. Ma che poteva saperne lui, quando Cass aveva sedici anni ne aveva ventisei e doveva preoccuparsi di essere all'altezza di un padre morto da poco.
« Era la mia cotta segreta, poi è sparito e io me ne sono scordata. »
« E poi? » Non riusciva a credere che glie lo stesse raccontando davvero.
« Poi non lo so, ho sempre pensato fosse... bello. » Stupendo, meraviglioso. Tutto era riduttivo, ma forse non esistevano parole, ancora, che potessero descrivere ció che avesse sempre pensato di Aron. « ...E ad un certo punto, forse lui ha pensato la stessa cosa di me, non lo so. Non riuscivo a stargli lontana, anche se ci provavamo, era proprio... un bisogno, non so come descriverlo. » Gli stava davvero raccontando quelle cose?
Lui schioccó la lingua sul palato. Da quelle parole farfugliate si capiva anche che non si fossero mai parlati davvero, che neppure si fossero sforzati di capire cosa li unisse, contro la volontà di Klaus.
La interruppe. Strinse le dita intrecciandole insieme sulle ginocchia. « Un'ossessione. » Lo disse con disprezzo, ma aveva ragione.
« Poi quando siete andati a sistemare quella cosa... quella del tizio che vi doveva dei soldi, o forse era... quando avete preso Andrea; comunque avevo paura che fosse troppo pericoloso e sono impazzita, gli ho scritto e mi ha detto di andare da lui... poi insomma, da lì è stato sempre più difficile, anche perchè tu ti fidavi di me e io non volevo che cambiassi idea. »
« Quindi erano mesi che andava avanti. »
Annuì. « Poi siamo partiti, volevamo allontanarci. Solo che stavo male e senza di te... »
« Certo, ti mancava, stavi male e io ero con lui, solo che non potevi dirmi niente... che casino. » E lei l'aveva affrontato da sola. Per un po' con Vanessa, ma di solito si chiudeva in se stessa, o faceva qualche cavolata abbastanza grossa da distrarla per un po'.
« Poi hai scoperto tutto, e mi hai fatto capire che Aron non mi volesse intorno, e poi lui mi ha scritto una lettera, dove diceva che per noi non ci fosse futuro, cose così. » Klaus aggrottó le sooracciglia, forse preso dall'ennesimo impeto di gelosia, oppure semplicemente era assurdo che Aron fosse tipo da lettere. Oppure lo odiava, per non aver neppure trovato il coraggio di parlarle dal vivo. Di dirle in faccia che non volesse vederla. Non ci sarebbe mai riuscito.

Se Cass ci ripensava ora, le veniva quasi da ridere. Suo fratello non aveva sbagliato. Aron non era pronto per nessuna. Per loro non c'era stato nessun futuro, e adesso neppure un passato. Come sapeva essere ironica, la vita. Abbassó lo sguardo. « In Polonia è cambiato tutto... stavamo così bene insieme, ti giuro, era tutto perfetto. » Battè il palmo della mano contro il letto. « E mi aveva promesso che sarebbe tornato, che si sarebbe sistemato tutto. Capisci? » E le avrebbe perfino detto cosa provasse per lei. Le venne da ridere, il destino l'aveva proprio presa per i fondelli.

« ...Non sei incinta, vero? »
Cassandra pensó fosse uno stupido, da tutto quel discorso era riuscito solamente a formulare quella domanda? « ...Ma sei pazzo? »
Lui scosse il capo e sorrise, quasi ingenuamente. « Niente, cose di Polly, dice che ha visto un altro figlio nel te... mi sono fatto suggestionare. » Ora tornava, c'era lo zampino di Polina. Che come al solito, aveva ragione.
« Un altro figlio esiste, peró. »
Klaus sembró immediatamente preoccupato.
« In che senso? »
« Noah, lui ha un figlio che nascerà tra non so quanto. »
« E perchè invece che stare con la madre è con te a farsi di coca? »
« Non sa dove sia... è, era, una domestica e i suoi genitori l'hanno pagata per sparire. » Che cosa orribile, troppo cattiva anche per un Van der Meer. Pur di vedere sua sorella felice, Klaus avrebbe reso conte anche il più povero degli americani, degli uomini in generale. E poi non aveva senso, tra di loro amavano il lusso e il denaro, ma non guardavano mai da dove uno provenissero le persone. Aron era partito dal niente, per esempio. « Forse troppo meschina anche per me, come mossa. » Davvero, Klaus? Pensó a tutta la gente che avesse ucciso, Cass non sapeva come, quando e perchè, ma era certa che facesse parte del suo lavoro. Quello non era meschino? Lui sembró tubato dal suo silenzio, infatti si affrettó a parlare. Si schiarì la voce. « Comunque, tornando ad Aron, cosa dovevate fare insieme? »
« Gli ho detto che avremmo cucinato insieme, così i sapori lo avrebbero aiutato a ricordare. » Cassandra sapeva lui pensasse fosse un cazzata, e infatti lo era. L'ennesima scusa per stare insieme. Era proprio una maledizione.

Klaus si era messo a sedere sulla poltrona, le mani intrecciate davanti. « Ora non riesci proprio a separartene. »
« Lo posso aiutare, ho capito come fare. »
Alzó le sopracciglia, palesemente innervosito. « Sul serio? »
« Si, sul serio. Non so perchè, ma con me ricorda le cose. Posso parlarne con Lidia? »

« Certo, anche se non so cosa possa dirti. »
« Lei queste cose le ha studiate, no? »
« Sa come funziona la mente umana, si. »
Klaus non era per niente convinto di quello che volesse fare, sapeva che Lidia fosse forte e che non avesse bisogno certamente di lui, per proteggersi dallo stress causato dal temperamento assurdo di Cass, ma era comunque preoccupato.

Andarono insieme in cucina, lei si stava preparando un te, c'erano anche dei biscotti al burro. Si sentiva un profumo buonissimo. « Ciao Lidia, come stai? » La bionda le camminó incontro.
« Bene, e tu? Non ti riposi? »
« Ho dormito abbastanza. » Si avvicinó al bollitore, dentro c'era ancora dell'acqua calda. « Posso berlo anche io? »
« Ma certo, non ti ho chiamata solo perchè credevo volessi stare un po' da sola. »

« Senti volevo chiederti delle cose, una specie di consulenza professionale. »
Lidia sorrise, immaginava già cosa volesse sapere. Era ovvio. Non serviva una laurea in psicologia.
Cass continuó, prese le foglie di te che erano rimaste sul bancone e le mise come le aveva insegnsto Polly. « Volevo sapere, ma è possibile che una persona... vabbè lo dico, Aron, ricordi delle cose solo con me? Lui ha detto così, e infatti mentre parlavamo io iniziavo una frase e lui... la finiva, ripetendo le stesse cose che aveva detto mentre eravamo insieme.
Non so se hai capito. »
« Si, è possibile, probabilmente è perchè gli ricordi delle emozioni molto forti, forse perchè gli piaci ancora e quindi è più facile, anche se si è dimenticato di cosa provasse per te, anche se non sa dare a tutto un nome. » Quindi gli piaceva ancora? Lo sguardo di Cass s'illuminó, lo vide anche l'altra e si preoccupó.
« Cosa devo fare? »
« Fai bene a stargli dietro, ma non esasperarlo troppo, è un grosso sforzo per lui. » In pratica non doveva sperarci troppo.
« Mi aveva detto che voleva vedermi oggi, e poi è partito, ti rendi conto? »
Lidia non sembró tanto sorpresa, si limitó a sorridere dolcemente. « È brutto non avere il controllo sui propri ricordi, forse potresti chiedergli perchè si sia comportato così. » Non faceva una piega, era sicura che stesse scappando da qualcosa.

« Si, giusto. »
Avrebbe potuto anche solo mandargli un messaggio. « Peró dagli tempo, è davvero uno sforzo enorme. » Lidia prese un sorso di te caldo.
« Lo so, lo vedo, ci sta proprio male. Peró c'è speranza. »
« Si, è vero. » Aveva paura. Quella cosa poteva distruggere lei, oltre che Aron. E nessuno pensava Cass fosse capace di affrontare una situazione simile, non senza farsi terribilmente male.

Comunque Cass lo sapeva, sapeva tutto, aveva paura ma s'era convinta di non potersi tirare indietro. E ci pensava, anche mentre beveva quel te caldo.

Non aveva più voglia di parlare di tutte quelle cose tristi. « Avete deciso come si chiamerà? »
« Si, se è femmina Lilith. »
« Come mamma. » Ogni volta che la nominava si sentiva strana, non succedeva mai, non ne parlava mai.
« Polina dice che secondo lei è una bambina. »
« Allora è così. »
« Si, lo penso anche io in realtà. » Anche Lidia si stava abituando agli strani poteri di Polly.
« E se è maschio? »
« Aron. »
« Lui lo sa? »
« No, non lo sa. »
Cass alzó le spalle. « Tanto è femmina. » Polina aveva sempre ragione. « E la stanza? Quale usate? »
« Quella di Klaus, lui ha detto che vuole spostarsi in quella dei vostri genitori. » Lo disse con una naturalezza tale che la spaventó. Aveva senso, era perfettamente logico, ma a Cass dava fastidio comunque, anche se era tutto giusto.
« La rifate tutta? » Cercó di non farlo notare.
« Si, esatto. »
« Fate bene, è molto più grande di quella di Klaus. » Si chiese che diavolo ci facesse lei ancora lì. Ma se non lì, dove doveva andare? La sensazione di non avere un posto nel mondo l'aveva sempre tormentata e, quella, anche se spesso l'aveva odiata, era sempre casa sua. Adesso le sembrava più la casa di Klaus e Lidia. « Questa casa ha bisogno di qualcuno che la rimodernizzi un po'. »
In realtà Cassandra odiava i cambiamenti, proprio non li sopportava. Continuarono a bere e poi Lidia le disse che volesse andare a riposare.
Cassandra a quel punto pensó ancora che avrebbe fatto bene a tornare a Londra, anche prima.

Si versó dell'altro te e prese il cellulare. Scrisse ad Aron. Era l'unico che le avesse mai fatto provare la sensazione di essere nel posto giusto, anche se non lo ricordava più.

Non avevo capito che il pranzo insieme fosse in Polonia.

Non te l'avevo detto? Infatti mi sembrava strano fossi in ritardo.

Guarda che ci torno davvero, a Lublino.

In questa casa? Non è proprio da te.

Guarda che ci stavo benissimo, giuro.

Sono dovuto partire per una cosa di lavoro, la porta per te è sempre aperta.

Fu tentata di prendere sul serio il primo volo, scappare da lui e dimenticare tutto il resto.

Aspettami il prossimo fine settimana.

Ebbe paura di non ricevere risposta, non era pronta ad un rifiuto. Perchè avrebbe dovuto dirle di no? Era solo la sorella di Klaus. Non c'era niente, ancora, che volesse evitare.

Mandami la lista della spesa.

Forse le cose potevano cambiare anche in meglio. Impossibile. Sospiró.
Si era dimenticata di chiedere a Lidia il nome di una sua collega, forse lo sapeva Klaus.

Si alzó, sicuramente era in camera. Camminó fini alla loro stanza da letto, ma si fermó con la tazza a mezz'aria. Quando arrivó davanti alla porta della sua stanza, non vide nessuno. Non vide proprio niente.
Era vuota, già pronta per essere riempita delle cose di loro figlio, o figlia. Si spostó i capelli crespi da un lato del viso. Era così strano. Il mondo andava davvero avanti, e lei era terrorizzata dalla velocitá con cui le cose accadevano.

Non le dispiaceva perdere la stanza dei suoi genitori, non aveva ricordi lì dentro. Ma quella di suo fratello era tutta un'altra cosa: ci aveva vissuto metà della sua vita, ad aspettarlo, a guardarlo. A studiarlo in silenzio.
Era così che funzionava, la gente andava avanti, il tempo continuava a scorrere anche se Aron si fermava. Anche se lei restava ferma.
Ma mica resti ferma davvero. Scosse il capo e pensó di trovarli nella camera dei suoi genitori.
Infatti, li sentì ridere.

Stava per bussare, ma poi pensó che dovesse dar loro un momento di tregua, un po' di pace. Abbassó lo sguardo e molló la presa sulla maniglia. La raggiunse ancora quella odiosa sensazione, di essere fuori luigo.
E a desso che le restava?
Vanessa?
Polly?
Noah?

Decise di farsi un giro, tornó nel salottino dove erano conservati alcuni libri di sua madre. Scivoló con lo sguardo sulla pila di tomi che coprivano la parete. Le piaceva leggere? Chissà qual era il suo genere preferito.

"Cassandra" ancora quel romanzo, o quello che era.

Lo aprì, quasi come per testare che fosse davvero passato un sacco di tempo, che le cose fossero cambiate. La foto di Marina non c'era più. Solo la firma di Lilith.
A volte le mancava, anche se non l'aveva mai conosciuta. Decise di leggerlo, tanto non aveva nulla di meglio da fare.
Lo prese e si mise a sedere sul divano, lasció la tazza e poi allungó le gambe di lato e la schiena sul cuscino.

"Se Cassandra avesse potuto scegliere,
Averebbe scelto di parlare solo con la sua voce,
Imprigionata dal suo dono,
Ma non ha mai potuto scegliere niente,
Incatenata alla sua libertà."

Aggrottó lo sguardo. Perchè diavolo sua madre aveva scelto un nome collegato ad una storia tanto triste? Forse le era stato suggerito da Polina, lei era fissata con queste cose sul destino, le profezie. Sapeva ci fosse il suo zampino.
Forse era una maledizione, era per questo che si sentiva così sfigata. Giró la pagina, era difficile leggere un libro pieno di storie e termini che non aveva mai sentito. Per questo andava piano, per non perdersi niente.

Non sapeva quanto avesse letto, o quando fosse esattamente crollata nel sonno.
Comunque si addormentó, con il libro sul petto e le gambe allungate in avanti.

Sognó, ovviamente.
Sognó di essere in un mondo in cui Aron non si fosse scordato di niente, di lei, di loro.
Che cosa avrebbe fatto, se lui non si fosse dimenticato di amarla? Era una bella domanda.

Camminava per quella bruttissima casa in Polonia e lo cercava disperatamente, ma non lo trovava. Eppure lui ricordava cosa si fossero detti, lo sapeva. Perchè l'aveva abbandonata?
In cucina, c'era Andrea con il bigliettino che aveva trovato tanto tempo prima. Rideva e la osservava dal basso verso l'alto, seduta al tavolo.
« Sicura che non te ne freghi niente? Sicura che Aron possa vederlo? »

Cassandra cercava di prenderlo, ma proprio non ci riusciva: il suo corpo non rispondeva agli ordini della mente. Ma se sapeva tutto, perchè non poteva fargli vedere quel bigliettino?
« Sicura che si ricordi tutto? » Ma lei lo era, perchè non riusciva proprio ad immaginare un mondo in cui loro due non stessero insieme.

« Cass? Ma che ci fai qui? Perchè sei in Polonia? »
Cosa? Ma loro due vivevano insieme, erano fidanzati. Per questo, era lì. E cosa c'entrava Andrea? Era lei che doveva andarsene.

« Ma che dici. » Avrebbe voluto dire altro ma non ci riusciva, anche la voce le era andata via. Mentre Andrea rideva e Aron camminava verso di lei, senza sembrare troppo sorpreso. Avrebbe dovuto odiarla, li aveva traditi! Aveva usato Lidia per arrivare ai segreti di Klaus. Ma non lo ricordava? « Che state dicendo... » Era un attacco di panico?
Le girava la testa, l'ambiente intorno a lei cambió forma: adesso era sul retro della villa a New York, in giardino c'era un piccolo tavolino in ferro battuto, davanti, seduta, c'era la sua mamma.
E che voleva? Non sapeva neanche che voce avesse.

« Parla con la tua voce, Cassandra. »
E invece, forse, nella sua testa una voce glie l'aveva data. Quella figura era fatta di frammenti di ricordi e fantasia, storie raccontate e altre sentite per sbaglio su Lilith. Chissà cosa volesse dire. Apriva la bocca ma non veniva fuori niente, come poteva raccontare la verità? Provava ad urlare, ma non riusciva a dire niente. Aveva la gola bloccata. La lingua morta nella bocca.

« Cass? »
Si sveglió di soprassalto, stava sudando dall'agitazione. « Che succede? » Si mosse velocemente, il libro cadde a terra, si era scordata di averlo letto. Davanti a lei c'era Klaus, forse voleva rimproverarla di essersi addormentata sul divano. Era una sua strana fissa, una delle tante.
« Niente, è che sarebbe ora di cena, non ti trovavamo. »
« Ah, ma io mi sa che non ceno, non ho molta fame sinceramente. »
« Come vuoi, se ti va c'è anche Polly. »
« Ah, allora vengo a salutarla. »
Dopo essersi data una sistemata, magari. Una doccia di sicuro. Scivoló con le gambe oltre il divano, erano ancora intorpidite. Poi si chinó per prendere il libro da terra. Solo in quel momento Klaus lo notó. « Leggevi un libro di mamma? »
« Si, spero non mi abbia chiamata Cassandra dopo aver letto questo. » Gli sorrise, mentre sventolava a mezz'aria il libricino. Aveva la copertina bianca ingiallita dal tempo.

« Mi ricordo di quella storia, le piaceva tanto, a te no? »
« Parla di una che era stata maledetta, che sapeva di poter salvare tutti ma non le credeva nessuno e quindi è morta, non mi sembra proprio una storia felice. »
« Parla di una donna forte, Cassandra è una donna fortissima. »
« Ma tu l'hai letto? »
« No, me l'ha raccontata lei. » Ah, che fortuna. Cassandra pensó che fosse fortunato, anche a lei sarebbe piaciuto ricordarla dai racconti di Lilith.
« Quindi ti ha detto lei che fosse quella, la ragione? Cioè che voleva darmi il nome di una donna forte. »
« Sì, l'ha fatto per questo. Voleva che fossi forte, perchè lei non lo era. Così diceva sempre. » Infatti. Forse Cassandra aveva deluso pure lei. Doveva smetterla di pensarci.

« Perchè non mi hai mai detto questa cosa? »
« Lo sai che non riuscivo a parlarti di lei... »
« Lo so, perchè siamo uguali. Me lo dicono tutti, lo so. »
« Ma adesso se vuoi posso, anche se è tardi. Puoi chiedermi quello che vuoi. »
Cassandra non aveva mai considerato quell'ipotesi, era così lontana che non aveva idea di cosa chiedergli. « Ci penso. » Poi si alzó, lasció il libro sul divano e pensó che l'avrebbe aiutata a capire tante cose su Lilith, o forse no.

« Vado a farmi una doccia, poi vengo a salutare Polly. »
Andó via.
Mentre si lavava continuava a riflettere su come stesse cambiando tutto. Sulla stanza nuova, suo nipote e che forse fosse realmente di troppo, forse era arrivato il momento che diventasse indipentente. Magari, finita l'università, si sarebbe potuta prendere una casa tutta sua, un loft tutto rimodernato, oppure un appartamento a Manhattan, giusto per non allontanarsi troppo. Forse poteva fare come Aron, in una casetta piccola era difficile sentirsi soli. E poi avrebbe smesso di vedere il viso dei suoi genitori, tutti quei ritratti e quelle cose che le ricordavano costantemente che la sua famiglia non esistesse più.

Si asciugó i capelli e poi scelse qualcosa di caldo per rivestirsi. Un maglione e dei pantaloni larghi a vita bassa. Cercó delle ballerine e poi si diede una sistemata viso.
Quando era lontana da lì stava sempre meglio.

Controlló il cellulare, c'era un messaggio di Noah, voleva sapere come stesse. Come stava? Alla fine, ricordava d'esser stata peggio.

Non rispose, scese giù e sentì subito la voce di Polina, era giá lì. Aprì la porta della sala da pranzo, sembrava la stessero aspettando. C'era perfino un posto apparecchiato per lei. Salutó Polina con un gesto della mano, poi abbassó lo sguardo sul piatto di ceramica vuoto. « Avevo detto che non avrei mangiato. »
« Si, e poi mangi di notte in cucina. »
« E tu che ne sai. »
« So tutto, soprattutto quando finiscono i miei biscotti preferiti. »
Si misero a ridere, poi Cass si accomodó a tavola. Speró non volessero parlare di Aron. « Mi ha detto Klaus che domani parti. » parló Polina.
« Si, sono venuta qui solo per la loro festa. » Indicó il fratello e la moglie con un cenno del capo. « Devo tornare a studiare. »
« Sicura? Sicura di stare bene? »
« Si. » Roteó lo sguardo e si tiró indietro sulla sedia. Doveva sembrare decisamente miserabile. Le scappó un che palle mormorato piano. Nessuno la riprese, e le diede fastidio. Odiava essere compatita. Guardó tutti con aria di sfida, ebbe la tentazione di prendere tutto quello che c'era sul tavolo e tirarlo giù.
Ma poi si calmó. « Ho sbagliato, mammamia, incazzatevi ma— » Serró i denti un momento, dovette trattenere la voglia di urlare. « Non guardatemi così, cazzo. » Sospiró, nervosa.

Le dispiaceva rovinare sempre tutto. A volte si rendeva conto solo dopo che tutti i pensieri negativi che attribuiva agli altri, in realtà esistevano solo nella sua testa. « Dai, non ditemi che non ho ragione. » Si rivolse a Klaus. « Ti ho rovinato la festa, un tempo mi avresti fatto passare l'inferno, e ora niente? Nessuna punizione? » Alzó le sopracciglia, piena di disprezzo.
« Non è perchè ti compatisco, è che non hai sedici anni, con quei metodi ho sempre fatto peggio. »
Forse adesso era troppo tardi. Forse avrebbe fatto meglio a stare zitta. E quindi? Adesso cosa doveva fare? Guardó Lidia, poi Klaus, e Polly. Era talmente fuori luogo che per un momento le parve di non essere più a casa sua.

« Vabbe. » Era tutto quello che aveva da dire? Forse sì. Si volse con il capo e cercó lo sguardo di Polina. « Tu che ci fai qui? »
« Mangio. E poi volevo vedere Lidia. »
« Ma quando si sa se è maschio o femmina? » Aggiunse Cass.
« È femmina. » rispose la donna, seria.
« Dico sul serio. »
« Anche io. » Il tono di voce era severo, ma non la turbó, Polly era sempre così. « Piuttosto, i tuoi cavalli non ti vedono da mesi, hai intenzione di passare? »
« Non ho mai tempo. »
« Se ne occupa ogni giorno un'altra persona, finirà che non saranno più tuoi alla fine. »
« Ma che dici. »
« Secondo te ti riconosceranno, quando li vedrai? »
« Mi faranno anche gli auguri in ritardo. »
Lo disse scherzosamente, in tono antipatico. Non si stava più curando dei suoi cavalli ed era un male, sia per loro che per lei. Solitamente riuscivano sempre a tirarle su il morale.
« Lo sai che Crow è stato visitato dal veterinario? »
« In che senso? »
Polina sospiró, sistemó la forchetta nel piatto e fissó lo sguardo nel suo. « Che è venuto il veterinario e l'ha visitato, Cass, significa proprio quello che ho detto. »
« E che aveva? »
Polina alzó le spalle. « Non lo so, sto aspettando le analisi. Dovresti andare a trovarlo. » Se fosse stata una cosa grave l'avrebbe chiamata, no?
« Si che ci vado. » Era nervosa, ma non ce l'aveva con lei. Sapeva di essersi comportata male. « Ci vado oggi, anche tu ci vai, no? »
« Si, puoi venire con me. Sono in macchina. »
Cassandra pensò che in tutti quegli anni insieme, non aveva mai visto Polina guidare. Ogni volta s'era sempre fatta portare da qualcuno, o da un autista. Aveva sempre creduto non le piacesse.

« Si, allora mi vado a cambiare le scarpe. »
Polina annuí. Cass lanciò un'occhiata a Klaus, per chiedergli se sapesse qualcosa, ma evidentemente non ne aveva idea. E d'altronde era giusto cosí, perchè mai avrebbe dovuto preoccuparsi dei suoi cavalli.

Cass abbandonò la tavola e cercò le solite scarpe al piano di sopra, nel grande armadio doveva averne qualcuna da poter usare per andare nel fango. Ricordava di averne lasciate alcune proprio al maneggio, per non portarsele sempre dietro. Erano ancora lí? Non ci andava da tanto tempo. Comunque prese degli stivaletti di pelle che aveva ormai da diversi anni, non ricordava neanche quando li avesse presi. Si guardò intorno, dopo essere stata in Polonia tutti quei vestiti le sembravano inutili, avrebbero fatto comodo ad Ania, forse, a Marina. Le aveva viste sempre con lo stesso maglione, forse poteva regalarne qualcuno alle associazioni di cui si occupava Aron. Sospirò.

Scosse il capo e pensò che dovesse pensare solo al suo cavallo. Si era concentrata troppo su alcune cose e aveva completamente scordato resto.
S'infilò le scarpe e tornò in cucina, si portò dietro la borsa e il cappotto, cosí da essere subito pronta.

Andarono via dopo un po', vedere quel posto di giorno era piacevole. Perfino il modo in cui le scarpe costose sprofondavano nel fango umido, era rilassante. « Non serve che ti accompagni. »
No, infatti. Polina aveva sicuramente le sue cose da gestire in ufficio, non si sarebbe mai aspettata un "poverina" da parte sua. Guardandola, capiva tante cose anche di Aron, perchè fosse cosí apparentemente freddo. « A dopo. »
« Non fare tardi, ti aspetto per il te. »
Sapeva sempre cosa dire, come far paura o rassicurare le persone. Si tirò su la gonna lunga e le diede le spalle per andare verso la depandance che la ospitava ogni giorno. Cass invece camminò fino ai box dove tenevano i cavalli, erano sempre molto puliti, ordinati. C'erano tanti dipendenti a prendersi cura dell'ambiente, non a caso era uno dei maneggi più costosi della zona. Si chiedeva come fosse stato possibile che il suo cavallo si fosse preso qualcosa. E per fortuna se n'erano accorti subito. Quando su davanti al box di Crow si alzò sulle punte per vederlo oltre la porta di legno, dal finestrone aperto. « Buonasera, ti sono mancata? »

Lui non rispose, restò fermo, impassibile. Cass non si meravigliò, era tipico del suo carattere. Aprí il cancelletto e poi lo richiuse bene prima di voltarsi verso l'animale. Era cosí bello, avvicinò una mano per fargli piegare il collo verso il basso e accarezzargli il muso. « Ma che hai, eh? »
Si avvicinò per baciargli il collo. Fece per accarezzargli la pancia, ma lo vide ritrarsi. Si allontanò e scalciò all'indietro, sembrava impazzito. Cass sospirò preoccupata, esaminò bene il manto, come se da quello potesse comprendere cosa non andasse, perchè Crow fosse cosí turbato.

Gli era stato lontana per troppo tempo, certa che altri si sarebbero presi cura di lui, so era dedicata ad altro, a se stessa, a Klaus, ad Aron. Si sentiva incolpa. Anche se non aveva ancora idea di cosa fosse, anche se poteva benissimo non essere niente. « Mi sa che il prossimo venerdí torno qui. Aron capirà, no? »  Posò la fronte su quella del cavallo. « Anche lui lo farebbe per i suoi animali. »
Anche se non ne parlava mai, Cass sapeva Aron avesse alcuni cavalli. Non sapeva se li tenesse solo perchè gli piaceva possederne oppure se fossero per lui quello che Crow era per lei. 

Accarezzò ancora il muso del cavallo, non era possibile che avesse qualcosa, era di razza, perfetto, i suoi genitori erano dei campioni, da esposizione. Come poteva avere qualcosa che non andasse? Di chi era la colpa?
Lo sentí lamentarsi ancora e le venne da piangere. Forse avrebbe fatto meglio a prendere il numero del veterinario.
Forse doveva esserci alla prossima visita. Pensare di montarlo era improbabile, decise di tornare da Polina per chiederle cosa sapesse.
Chiuse bene il box e tornò indietro, fino al suo ufficio.

Lei stava armeggiando vicino al solito bollitore. « Ti aspettavo, ho appena fatto del te caldo. »
« Ovviamente. » 
« Vuoi sapere cosa mi ha detto il veterinario? »
« Si. »
« Che va operato, forse. »
« Perchè non me l'hai detto subito? »
« Perchè volevo venissi qui. Siediti. » Le fece un cenno con il capo, e la invitò a sedersi sulla sedia davanti a lei. « Ha un problema all'intestino. »
« Quando? »
« Non lo so, devo sentire il veterinario, non è una cosa certa. »
« E quando lo senti? » Si sedette, finalmente. Polly le porse una tazza fumante. Lei l'abbracciò con le mani per scaldarsi.
« Mi chiama lui, quando sono pronte le analisi. »
« Sabato prossimo torno. »
« Immaginavo. » Polly parlava sempre come se sapesse già tutto prima ancora che le persone le dicessero qualcosa. Era fastidioso, ma dava una certa sicurezza, anche se nessuno lo ammetteva.

« Mi leggi le foglie? »
Polina le sorrise, non sorrideva quasi mai. Sembrava anche gentile, ma restava comunque inquietante. « Vorresti imparare come si fa? »
« Perchè? » Perchè proprio lei?
« Perche sì, se non sbaglio avevamo già parlato di questa cosa. » Quando mai Polly sbagliava.
« Ma non serve essere... non lo so, non mi sembra di essere come te. » Era un complimento, ovviamente. Cass era convinta che Polina fosse una sorta di essere ultraterreno, nessuno sapeva vedere il mondo come faceva lei.
« Ce li ho avuti anche io ventidue anni. »
« Ventitrè. »
« Ah, giusto. »
La donna piegò lo sguardo sotto al tavolo, sorrise, poi la osservó nuovamente. L'espressione era strana, quasi maliziosa. Che aveva in mente?

Tiró fuori da un cassetto una scatolina di velluto, sembrava vecchia. « Tanti auguri, Cassy. » Quelle parole le sentì con la voce di Aron. Fu stranissimo, tanto che dovette scuotere il capo e guardarsi intorno, per ricordare dove fosse.
Forse Polina comprese, lei capiva sempre tutto.

« È per me? »
« Sì, avanti, prendilo. »
Cassandra era titubante. Lo avvicinó a se come fosse di carta pesta, poi ne accarezzó la superficie morbida, un po' polverosa. Prese la scatoletta e l'aprì lentamente, dentro v'era poggiata una spilla. O forse no, forse era una cosa da mettere nei capelli. Era un elegantissimo ciondolo. « Ma è tuo? »
« È molto antico. »
« È molto bello. » Tutto d'oro, era tondo, sembrava un fiore scuro. Sulla parte più esterna c'erano incastonate delle pietre, Cassandra conosceva bene diamanti, rubini, qualsiasi cosa fosse prezioso. Ma quelle non le aveva mai viste.
« Me l'ha regalato la signora che mi ha insegnato tutto quello che so. »
« Ma sei sicura? »
« Sono sempre sicura, dovresti conoscermi, ormai. »
« Si, hai ragione. » Sorrise. Poi afferró delicatamente il ciondolo e se lo rigiró tra le dita, ancora non riusciva a capire che pietre fossero.
« Quella viola è ametista, quella nera tormalina. Ti aiuteranno a capire tante cose. »
« Ma non servono a te? »
« Ne ho altre, e sarà bene che te le procuri anche tu. »
« Ma a che servono? »
« L'ametista purifica, ti schiarisce la mente. L'altra libera dalla negatività, dalle cose che ti opprimono e pesano. » Incroció le braccia al petto, facendo oscillare i bracciali d'oro che si teneva sempre ai polsi. Non è che avevano uno scopo anche quelli? « Servirebbero ad Aron, tutte queste cose. » Pensava sempre a lui. Prima che a se stessa, prima di tutto e tutti.
« Ma le hai tu, puoi usarle per lui. »
« Mi insegni? » Fissó lo sguardo nel suo.

« Certo. Adesso peró, ti faccio un te. »
Si alzó, non voleva più parlare di quella spilla, non era il momento. Adesso voleva sapere altro.
« A te chi le legge? »
« Come? » Era girata verso il tavolino su cui teneva le tazzine e tutte le sue foglie.
Cassandra si pentì subito di quella domanda, ma le era venuta così spontanea. « Tu leggi le foglie a tutti, a te chi lo fa? »
« Non devono farlo per forza altri. »
« Non ti piace? »
Ci fu un momento di silenzio. « In che senso? »
« Che gli altri ti raccontino cosa c'è nel tuo destino, vuoi saperlo da sola, no? »
Polina stava riempiendo d'acqua il bollitore, aveva già sistemato le tazze sul tavolo di legno. « ...Hai visto le pietre. »
« In realtà me lo sono sempre chiesta. »
« Vediamo, se sarai abbastanza brava potrai farlo tu. » Sembrava compiaciuta.
La bionda sgranó gli occhi, spostó lo sguardo sulla donna, l'aveva detto sul serio?

Preparó velocemente tutto, bevvero il loro te quasi in silenzio. « Stavo pensando che potrei dormire qui. »
« Qui dove? »
« Qui, cosí se il cavallo sta male chiamo subito il veterinario. »
« Ma sei pazza? »
« No, sono proprio sicura che sia la cosa migliore, tanto è solo una notte, o due. »
« Lo sai che si gela, sì? »
Cassandra alzó le spalle. Prese un grosso sorso di te caldo e lo sentì amaro sulla lingua. « In Polonia era peggio. » Cosa non avrebbe fatto per Aron.
« Hai ragione. Comunque ti faccio sistemare un letto, dei cuscini, qualcosa. »
« Ma metto un materasso a terra e sto bene, lascia stare poi è un casino per toglierlo. »
« Tanto non è un lavoro che farei io. »
Scoppiarono a ridere.
Quando Cassandra abbandonó la tazza davanti alla riccia, si sentiva stranamente sicura. Non aveva la solita ansia, o quell'odioso nervosismo che non le faceva mai capire niente davvero.

Non dovette neppure chiederlo, Polly sapeva già che fare. Quindi rifece meticolosamente gli stessi meccanici movimenti di ogni volta, ma non giró la tazza per far andare via il te in eccesso, perchè? Poi cercó qualcosa nelle foglie.
« Ovvio, lo sapevo. » Schioccó la lingua sul palato, ma non disse altro. Di solito non stava mai così tanto in silenzio. « ...C'è molta confusione, qui dentro. »
« In che senso? »
« Nel presente... non capisco, c'è tanta speranza, tanta protezione e— » e poi? « Il futuro è strano, dice che devi stare attenta, ma non capisco. Dovrai prendere delle decisioni importanti, e non c'è protezione, è come se... dovrai farlo senza aiuti, c'è qualcosa che farai senza aiuti. » Continuava ad assottigliare lo sguardo e ad esaminare quelle forme incomprensibili. Era raro che non sapesse cosa avesse davanti agli occhi. « Ah, ecco, amore, ovviamente. Quell'idiota di mio figlio ti viene dietro anche con mezzo cervello funzionante. »
« Che significa che non avró aiuti? »
« Succederà qualcosa, non so cosa ma devi essere pronta, e forte. »
« Ancora... » Si portó le mani sul viso. Non ce la faceva più, voleva pensare solo ad Aron, ai suoi cavalli, a Lidia.
« Non è per forza una cosa negativa. »
« No? »
« No, magari è una cosa bella, importante ma non vedo paura o morte, o... tristezza, solo quello che ti ho detto. »
« Speravo ci fosse altro. »
« È sempre così. Per questo il mio destino me lo leggo da sola. »
« Ormai hai promesso. »
Polina le sorrise.
« Maledizione. »

💎💎💎
Adoro questo capitolo.
Adoro Polina.
Voi che ne pensate? Che cosa pensate succederà? E che cosa è questo aiuto?
Vi aspettavate il regalo di Polina?
Fatemi sapere nei commenti!

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