CAPITOLO 44
Almeno meritavo una bugia,
Almeno l'ultima sigaretta
Cass aprì gli occhi e li sentì impastati di trucco, aveva un dolore atroce alla testa, le perforava le tempie come la punta di un trapano. Quando provó a muovere il corpo, le sembró pesantissimo. Strizzó le iridi chiare e le richiuse velocemente.
Distingueva bene il suono fastidioso del macchinario mentre scandiva, odioso, i battiti del suo cuore, erano proprio identici a quelli di Klaus. Si chiese come fossero quelli di Lidia.
Non poteva essere successo sul serio.
Non un'altra volta.
« Cass? » La voce apparteneva a suo fratello. Improvvisamente si tranquillizzó, sentirlo vicino era sempre piacevole, anche quando lo temeva, anche quando riusciva a sentire nell'aria la rabbia e la tensione che si portava dietro.
In qualche modo se lo sentiva già, che lui fosse lí, anche prima che parlasse. Klaus era insopportabile, aveva dei modi discutibili e degli scatti d'ira o punizioni che capiva solo lui, aveva tutti i difetti del mondo, ma c'era. Sapeva esserci. Anche quando non la considerava, anche quando erano piccoli e lui la mollava dai genitori di Vanessa, da Aron, da chiunque, lui c'era. Se Cass aveva un problema, suo fratello lo risolveva. E cosí, s'era perso a cercare di risolverle le vita.
Le venne subito da piangere. « ...Scusa. » mormorò sommessamente, la voce rotta. Gli aveva rovinato la serata, lo faceva sempre, che stupida egoista e inaffidabile. « Scusa. » Strizzó gli occhi e le lacrime le bruciarono il viso. « Ti prego, vattene via, ti prego non stare qui... hai la tua festa, le tue cose, vattene. »
« Cass... aspetta— » Provó ad interromperla, ma per poco non pianse pure lui. « Non è colpa tua, non hai rovinato nulla, la festa era già finita da un pezzo. » Era sincero oppure voleva solo consolarla?
« Volevo solo spegnere la testa, ti prego scusa, ho fatto una cazzata— » Non riuscì ad andare avanti, era troppo provata, stanca della sua vita, di Aron, delle feste e perfino di Londra. « Non pensavo di stare così male. » farneticò in fretta, strinse debolmente i pugni lungo i fianchi.
Lui non si arrabbiò nemmeno per un momento, non vi fu neppure uno sguardo di rimprovero. « Cass, hai subito un'infinità di cose in pochissimo rempo e non ti sei data un momento per riprenderti, non te l'ho dato. » Indurí la mascella. Non doveva darsi colpe, odiava quando Klaus la giustificava, sembrava la compatisse.
« ...Non ce l'ho fatta. » Avrebbe voluto urlare, rompere tutto ma non ne aveva le forze. Lo sguardo era vuoto, lucido.
Lui scosse il capo, affranto. « Basta, basta... Non devi resistere, non devi per forza farcela. Sono io che non ho mai capito un cazzo. » La stava implorando. Si chinó per baciarle la fronte.
« È colpa mia, è colpa mia perchè ti ho sempre insegnato ad andare avanti finchè non ti si spezzano le gambe, e invece è sbagliato, è sbagliato... Ti ho insegnato solo il male pensando che il resto non fosse essenziale, perdonami. » Cassandra si sentiva uno schifo, invece di dimostrare a tutti che ce l'avesse fatta, aveva reso evidente quanto fosse distrutta. Che non fosse andata avanti neppure un pochino, che era rimasta ferma ad Aron, alle parole che si erano detti prima di separarsi. Nella sua testa era ancora lí, in quel capannone sporco e umido, sola, davanti ad Aron che stava morendo lentamente e Vanessa che le puntava una pistola addosso. « ...Klaus, ma che ne sapevi tu, avevi vent'anni, vent'anni e tutto il mondo addosso, che ne sapevi di cosa dovessi insegnarmi. » Volse il capo da un lato, per nascondergli il viso triste.
Lui invece le strinse una mano. « Vorrei che non ci tornassi a Londra. Adesso che ho capito è troppo tardi... »
Stavano davvero avendo quella conversazione? « Non è tardi, non è tardi. » Invece si. Tirò su con il naso, poi gli sorrise mentre le lacrime continuavano a bagnarle la pelle secca. « E poi devo imparare a cavarmela da sola. »
Lui scosse piano il capo, un sorriso amaro gli tagliò il viso. « Il punto è che tu sai già cavartela da sola, capisci? Ti ho insegnato solo quello, hai salvato la situazione in Polonia, Aron, Vanessa, hai fatto tutto da sola, tu sai cavartela da sola. »
A quelle parole, lei si commosse; poi le salí nel petto una strana rabbia, avrebbe voluto vedersi come la vedeva lui. « E allora perchè mi sembra di sbagliare sempre? »
« Per colpa mia. » Non aveva fatto altro che criticarla, renderla diffidente e credeva fosse un modo per proteggerla, non si era accorto che quei modi l'avessero uccisa lentamente. « Non hai niente che non va. »
Restarono in silenzio un altro po', come ad assimilare quello che si erano appena confessati. Non erano soliti aprirsi tanto, il merito era, ovviamente, solo di Lidia. Cass si era spesso chiesta dove la trovasse la voglia di stare appresso a quella famiglia di matti, poi si ricordava che lei non facesse altro che inseguire Aron e i suoi ricordi, e pensava che l'amore rendesse folli. E aveva paura, perchè sembrava la cosa più pericolosa del mondo. « Basta con sti discorsi, tanto non ci riusciamo. » Klaus si mise a ridere, aveva ragione, sembravano più strazianti di quanto non fossero. Ogni volta che si dicevano di volersi bene, qualcuno stava male.
Lei gli sorrise, si sentiva più leggera.
« Noah? »
« Sta bene, anche se onestamente vorrei spaccargli la faccia. » Cass roteò lo sguardo, odiava quando faceva cosí.
« Non sta bene. » Lo disse tutto d'un fiato. Sapeva quanto potesse essere pesante suo fratello, e anche che avesse distrutto l'unica persona che si fosse presa la briga di starle vicino.
Klaus schioccò la lingua sul palato. « È qui fuori, ti assicuro che sta benissimo. »
« Non hai capito, anche lui sta male dentro... sta proprio male, per questo siamo venuti qui insieme, era un patto, io accompagnavo lui e lui me. »
« Dove dovresti andare, tu? » Era una domanda retorica. Chiaramente non sarebbe andata da nessuna parte.
« A casa sua, da sua madre. »
« E perchè non puó andarci da solo? »
« Per lo stesso motivo per cui io... » Dovette riprendere fiato. Strinse i pugni sulla coperta, si sentiva debole. « Io non volevo venire qui da sola. »
« Non siete proprio una coppia fenomenale. »
Cassandra si mise a ridere. Era vero. « Lidia sta bene? Non si è agitata, vero? »
« Lidia aspetta che io la chiami. » Quindi era sveglia. « Vuoi farlo tu? »
« Ma se mi sente così... » Quasi pianse.
« Cass, va bene stare male. Lei ti direbbe così. »
Era vero. Storse le labbra e poi roteó lo sguardo.« ...Dammi il telefono. » Klaus restò immobile, aveva sul viso uno sguardo che la sorella conosceva bene. « ...Perfavore. » Lei roteó lo sguardo, allungó un braccio e afferró il cellulare. Il numero di Lidia era già selezionato.
Dopo qualcbe squillo, udí un brusio leggero e poi la voce di Lidia. Strana. Non era impeccabile come al solito. « Allora? » Era agitata, si sentiva tantissimo. Che casino. Credeva fosse Klaus.
Cass cercó di rendere il tono di voce piú tranquillo possibile. « Sto bene. » Adesso non sapeva più neppure mentire? Si era trasformata in un'idiota.
« Cassandra! Grazie al cielo, ma che è successo? Ha detto Klaus che ti sei sentita male... mentre eri a ballare. » Ora percepiva della felicità, non solo ansia. Ma era tardi, non era giusto che fosse sveglia. O forse no, che ore erano?
« Ho mischiato cose che non avrei dovuto mischiare, ma sto bene, sono solo stupida. »
« Si, sei... » No, no, non piangere. « Ma perchè? Cosa volevi evitare? » Stava singhiozzando.
« ...Niente, ho solo esagerato, non mi sono resa conto. Lidia, sto bene, sto benissimo, non piangere. »
« Scusa... gli ormoni, mi fanno impazzire. Quando torni a casa? » Mai, al massimo sarebbe andata via con Noah, anche se era impensabile in quelle condizioni.
« Non lo so, ma devo tornare a Londra. Comunque la tua festa era bellissima, sei stata davvero brava ad organizzarla. » Stava provando a cambiare discorso. Era assurdo, non si era mai trovata a consolarla, era come se si fossero invertiti i ruoli. « Erano tutti felici. » Ti prego cambiamo discorso.
« Cass, lo so che ti sto per dire una cosa assurda e t'incazzerai da morire, ma te la dico comunque.
Perchè non provi ad andare da uno psicologo? »
Una rabbia frustrante l'assalí e le stritoló lo stomaco. « Perchè non ho problemi, non sono io quella che deve risolvere certe cose. »
« Non hai problemi, ma soffri per quelli di altri. »
Fece finta di pensarci, in realtà spesso si era chiesta se fosse il caso di andarci. « Non puoi essere tu, la mia psicologa? »
« Ti voglio troppo bene, il mio giudizio non sarebbe oggettivo. » Storse la bocca.
« ...Non prendetevela con Noah. »
« Tuo fratello credo l'abbia già spaventato a dovere. »
Cass lanció uno sguardo inquisitorio a Klaus che, ovviamente, non comprese. « Senti, sul serio, non è colpa di nessuno, ho solo esagerato. »
« Cass, hai rischiato di morire, era overdose. »
« Si, lo so, ma non volevo... » Si mise a piangere un'altra volta. « È che non lo facevo da tanto e... » E? Davvero stava provando a giustificarsi?
« Senti, nessuno è arrabbiato con te, riposati. »
Si salutarono e poi chiusero la chiamata. L'attenzione della bionda era tutta rivolta su Klaus, adesso. « Fai entrare Noah? »
« Sul serio? » Era già sulla lista nera? E pensare che doveva essere il fidanzatino perfetto.
Avevano proprio sbagliato.
Lei annuì debolmente. « Ci tengo a lui. »
Klaus si mostró dubbioso, era confuso dal ruolo di Noah nella vita di Cass. « Ma io non ho capito cosa siete. »
« E che saremo mai, Klaus. » Roteó lo sguardo. Non aveva voglia di spiegargli tutto. « Stiamo insieme. » Taglió corto.
« Si, come no. Guarda che non sono stupido. » Purtroppo, non lo era.
« ...Sono seria. »
« Non state insieme, secondo me vi divertite e basta. Vi usate a vicenda. »
« Perchè mi chiedi sempre le cose che sai già? »
« Perchè ogni tanto spero che tu non sia idiota come penso. »
« Scusa che ci sarà mai di sbagliato in quello che sto facendo? »
« Usare un'altra persona per non affronrare i problemi? Cioè secondo te non è sbagliato? » Si sporse in avanti.
« Secondo me è l'unica cosa che posso fare, dato che i miei cazzo di problemi— non dipendono da me. » Klaus si chinó, afferró con le mani il bordo del letto e lo strinse forte, doveva calmarsi. Arrabbiarsi non aveva senso, si era infuriato per tutta la vita e non aveva ottenuto nulla.
« Come li affronti peró dipende da te, rischiare di farsi esplodere il cuore non è il modo migliore, che dici? »
Cassandrà per un secondo pensó che se fosse morta, a quell'ora non sarebbe stata lì, a soffrire in quello schifosissimo letto. Ma che vai a pensare, Cass. La verità era che l'unica persona che le andasse di vedere, fosse Aron. Ed era l'unica che proprio non sarebbe mai venuta.
« Volevo solo superare questa cazzo di festa senza dover patire l'inferno. »
« E infatti, stavi per andarci. »
« Che mi fai fare, adesso? Quelle cose tipo incontri anonimi con altri drogati? » Lei rideva, ma non perchè fosse divertita, lo stava sbeffeggiando. Aggrediva sempre quando si sentiva debole.
« No, chiamo un'amica di Lidia e vai a parlare con lei. » Klaus era, invece, assolutamente serio.
Lei sbuffó. « Ma se tra due giorni parto. »
« Puoi fare le sedute anche online. »
« Si, così lo scoprono tutti all'universitá che ci vado. Ho una coinquilina, sai? » Anche se probabilmente nessuno avrebbe pensato fosse niente di che. Era lei, che odiava far vedere di non essere perfetta.
« E la fai uscire, o ti chiudi in bagno, tu ci parli con una psicologa. » E aveva ragione. Non c'era altro che potesse fare. Cass serró la mascella. Se ne avesse avuto la forza si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata via.
Klaus stava per dire altro, ma gli squilló il telefono. Lo prese e rispose subito.
« No. » Il tono di voce era serio, ma lo era sempre, anche quando parlava con Lidia o Polly, sempre.
« Sono in ospedale, ora. » Cass odiava che lo sapessero tutti. Non poteva neppure ammazzarsi in pace. « Si, si è svegliata. Se non ci fossi stato tu sarebbe morta, penso. » Chi era? Cassandra provó a ricordare, ma non le veniva in mente nessuno oltre Noah.
« Chi era? »
Klaus esitó. « ...Un mio amico che era in discoteca accanto a te. »
« Chi? Dimmi il nome. » Poi realizzó.
« Aron... ti ha trovata lui. »
Forse Noah era troppo fatto per prendere delle decisioni decenti. Era assurdo, continuavano a salvarsi la vita a vicenda.
Non sapeva che cosa dire. Provó a tirare un pugno contro il materasso, ma era troppo debole. Allora si alzó leggermente con la testa e poi ricadde all'indietro.
« Ma che presa per il culo. » Ringhió, contro il soffitto. Avrebbe voluto spaccare tutto, urlare che non ce la facesse più e poi impazzire. Definitivamente. « Che cazzo di presa per il culo, mi avesse lasciata morire almeno. » Tiró un calcio contro la ringhiera del letto, si fece male da sola.
« Ma che dici. » Klaus non la capiva più.
« Ha detto che voleva parlarmi, alla festa. »
« Non mi sembra il caso. »
« Fallo venire, fallo venire così finalmente gli dico che cosa ha fatto, così ci odiamo tutti un'altra volta! » Una risatina isterica le solleticó le labbra.
Klaus peró aveva la risposta già pronta.
« Tanto non ce la fai ad avercela con lui, piuttosto ti ammazzi. » Strizzò gli occhi. « È che... » Si dovette fermare, una lama sottile le pizzicó la gola. Le venne da piangere. « È che mi manca... mi manca. » Anche se non erano mai stati insieme, lei sapeva che c'era, sempre.
« Penso che voglia venire a trovarti. » O forse era già arrivato, forse era lì fuori.
« Dai, fallo venire. Tanto peggio di così... peró prima fammi parlare con Noah. »
« Mh. » Mugugnó qualcosa di strano, poi si alzó e controvoglia, richiamó lo svizzero. Era rimasto lì tutto il tempo.
Cass sentì la porta aprirsi e chiudersi. Per un momento credette di potersi addormentare un'altra volta, Noah le metteva tranquillità. Quando entró vide che indossava ancora i vestiti con cui si erano presentati alla festa. Aveva lo sguardo distrutto, avevano esagerato. I capelli spettinati, le labbra rosse. Aveva pianto.
Vederla viva doveva essere un sollievo. « Cristo, Cass... ma che cazzo è successo. » Si mise accanto a lei, piegato sul letto. « Io pensavo che non sarebbe successo niente, pensavo che lo avessi già fatto— »
« Lo avevo già fatto, è solo andata male, non è colpa tua. »
« Per poco il tuo amico non mi uccideva. »
« Mio fratello fa paura, ma solitamente è benevolo. » Le venne da ridere. Pensava si riferisse a Klaus.
« No, l'altro, Aron. »
« Eh... lui è meno clemente. Ma è più tranquillo. » Di solito. « Seriamente, come stai? »
« Lo chiedi tu a me? »
« Non è tanto bello vedersi svenire un'amica davanti. » Gli sorrise.
Lui si sentiva un verme. Cass riusciva ad udire i suoi pensieri. « Sicura che vuoi continuare con il nostro accordo? »
« Certo, non ti abbandono. »
« Comunque lui è qui fuori, penso che anche se non ricorda niente ci tenga, a te. »
« Perchè sono una specie di parente, lui e mio fratello sono davvero una famiglia, succede così quando non hai altri esseri viventi al mondo che lo siano. »
« Non lo so. » Poi cambió discorso. « Vorrei baciarti... ma penso di puzzare davvero parecchio. » Si guardó le maniche della giacca, la bionda si odió per averlo ridotto in quello stato.
« ...Ti ripagheró con altri extra. »
« Secondo me finisce che ti piace. »
« Sei proprio scemo. »
La porta si spalancó improvvisamente, proprio mentre Noah prendeva una mano di Cass per accarezzarla dolcemente. « Chi cazzo ti ha fatto entrare? » Era Nowak.
Lo svizzero non seppe che dire. Schiuse la bocca ma non uscì niente. Era pietrificato dallo sguardo di Aron. Intervenne la piccola Cassy. « ...Io, e non rivolgerti a lui in questo modo. »
Schioccó la lingua sul palato, infastidito. « Ti ha quasi ammazzata. »
Anche tu. « Non ho sedici anni, gli errori che faccio sono miei. E poi che vuoi? Pensavo volessi il mio aiuto. »
Lui abbassó il capo. Il moro stava zitto, non avrebbe mai saputo gestire una situazione simile. Ecco, perchè Cass era sempre fuori di testa.
« Si, ne ho ancora bisogno. »
Lei, come al solito, si immoló per lui. Avrebbe fatto di tutto per vederlo soddisfatto. « Noah, ci lasci da soli un secondo? »
E certo. Si alzó e andó via. Non sapeva se sarebbe rimasto lì.
« Lo so che sei stanca... »
« Capisco, non puoi aspettare, è giusto. »
« Cosa ho fatto di brutto? Chi ho ferito? » Ovviamente, quella domanda lo tormentava.
« Te stesso, Aron. Hai ferito te stesso, principalmente. Nessuno ce l'ha con te, ma ci sono delle cose che hai affrontato e superato... e ora le dovrai riaffrontare tutte insieme. » Sembró tranquillo, gli importava più degli altri che di se stesso, era sempre stato cosí, anche se lo nascondeva.
« Perchè non me le dice Klaus? » Effettivamente, che diamine c'entrava con lui la sorellina indifesa del suo migliore amico? Sempre esclusa da tutto e tutti.
« Fa parte delle cose che devo dirti, se le vuoi sapere. »
« Si. »
« ...Partendo dalla più importante, hai scoperto di avere una gemella. » E certo. Che modo gentile di dargli una notizia simile.
Lo vide sbiancare. Avrebbe voluto alzarsi e abbracciarlo, ma non poteva.
« Una sorella? » Si grattó il capo con una mano.
« Mh, si chiama Marina, Polina credeva fosse morta ma tu ti sei messo in testa di ritrovarla e ce l'hai fatta. » E non ricordava nulla neppure di lei. Già avergli detto quella cosa la fece sentire più leggera. Ma mancava un sacco di roba, di dettagli, di emozioni. « Vive in Polonia, a Lublino e mi chiede spesso come tu stia, perchè anche lei ti cercava da tempo. »
Lo vide turbato, forse avrebbe fatto bene a smetterla di raccontare, forse non era il modo migliore per aiutarlo a ricordare. « Non ti torna niente in mente? » E come poteva? Era sconvolto. Scosse il capo. « No, dannazione. »
« Magari ti descrivo come è fatta... e cosa ci ha detto, i momenti passati con lei. »
« Ma perchè sai tutte queste cose. »
« Perchè anche io ero in Polonia, e poi ho trovato io una foto di tua sorella tra le cose di mia madre. Per questo so. » E perchè eravamo innamorati. Ma non era pronta a sentirsi rispondere che fosse assurdo.
« Ed eri lì perchè...? »
« Perchè mentre ero a Londra hanno provato ad ammazzarmi, sempre per la solita storia, tu eri più vicino di Klaus. »
« Okay, mi torna. »
« È alta quasi quanto te, ha i tuoi stessi occhi e una figlia bellissima che si chiama Ania, le ho fatto assaggiare il gelato con la nutella e gli smarties... » Lui si mise a ridere, almeno quella cosa era rimasta come al solito. Il loro gelato.
« Tu l'avevi comprato e tenuto in frigo, e mi pare si dica... aspetta, me l'avevi insegnato... Teraz zrobię ci lody? » La pronuncia era sbagliata, ma il senso sembrava averlo inteso.
« Non ci credo, ti ho insegnato a dire ti faccio il gelato? »
« Si, volevo parlare con Ania, non capiva l'inglese, ovviamente. »
« E che altro ti ho insegnato? » Si sporse in avanti, erano troppo vicini ma a disagio ci si sentiva solo lei, ovviamente.
« So come dire ciao, e anche sì. »
« Dai, vediamo. »
« Cesk? »
« Più o meno, si dice Czesk. »
Perchè non poteva essere sempre così? « Avevo le treccine... quelle che mi faceva Greta quando ero piccola, e lei le ha viste e ha detto che le piacevano, così il giorno dopo sono uscita per comprare gli elastici e farle anche a lei. »
Aron restó in silenzio. Cass non sapeva se fosse curioso o si stesse ricordando qualcosa.
« E poi? » Si sporse ancora di più. Cass se lo sentiva addosso, chiuse gli occhi per un breve momento.
« Poi... ti ricordi cosa abbiamo mangiato? Hai fatto un risotto con la zucca buonissimo... » Tutte quelle cose le facevano un male che non avrebbe mai saputo descrivere. « Forse se provi a rifarlo ti ricordi, tramite il sapore, non lo so. »
« Questa cosa l'hai vista in un film per forza. »
Cass scoppió a ridere. « Si, è possibile. » Stava così bene. Quando se ne rese conto le venne da piangere.
« Peró mi aiuti tu, devi dirmi se il sapore è giusto. »
« Anche perchè posso fare solo quello, non ho idea di come si cucini. »
Lei gli sorrise, per un momento le sembró che non ci fosse poi così tanto a dividerli. « E poi? Che cosa facevamo? »
« La sera ci mettevamo sul divano... e bevevamo una birra prima di andare a letto, così giusto per passare il tempo e— ah, si. »
« Cosa? »
« Facevamo un gioco, ci facevamo delle domande tipo: cosa faresti se... e poi ci inventavamo qualcosa. » Aron stava in silenzio, Cass avrebbe pagato tutto l'oro del mondo per sapere cosa gli passasse per la testa. « Ad esempio, cosa faresti se non avessi paura di niente, se non ci fosse niente che ti faccia paura. »
« Leggerei il tuo diario. » Lei pensó d'esserselo immaginato. « Perchè leggerei il tuo diario? »
« Ah, l'hai detto davvero? »
« Sì, perchè? »
« Perchè... » Esitó, perchè diavolo andava a finire sempre su loro due? « È la cosa che hai detto quella sera, che avresti letto il mio diario. » Volse il capo da un lato, solo per non far vedere le lacrime che non riusciva a trattenere.
« E perchè l'ho detta? »
« Mi hai detto che avessi paura di vederti tramite i miei occhi. »
« Ma perchè? »
« Io non posso saperlo. » E invece lo sapeva, diamine se lo sapeva.
« Cosa c'è in quel diario? »
« Tu, ci sei tu, durante tutta la mia adolescenza, e non c'è scritto niente di negativo... »
« E allora perchè non volevo leggerlo? »
« Non lo so, Aron. » Le tremava la voce, si sentiva una stupida. Lui era disperato, cercava delle risposte che per Cass non era facile dare, anche se avrebbe voluto farlo con tutto il cuore. « Domani cuciniamo, va bene? »
« Aspetta... » Assottiglió lo sguardo. « Stai piangendo? » D'istinto le accarezzó il viso per asciugarle le lacrime, quel gesto amorevole non fece altro che distruggerla ancora di più. « Scusa, non volevo farti stare male. » Sembró perdere le parole, mentre se ne stava piegato vicino al volto di Cassandra. Lei ricordava così bene il sapore delle sue labbra che se chiudeva gli occhi riusciva ad immaginarlo.
« Lo so che mi vuoi bene. »
« Non so perchè sei l'unica che puó aiutarmi, solo con te ricordo qualcosa. »
Gli sorrise. Sollevó una mano, andó a premergli il palmo contro il petto, da sopra la camicia. Le piaceva da morire sentire il suo cuore mentre batteva, lentamente e poi più veloce.
Era una specie di tentativo di controllare se dentro di lui, ci fosse ancora qualcosa che avesse il sapore di lei. Aron non disse niente, abbassó lo sguardo sulle dita di Cassandra e le coprì con la sua mano. Voleva spostarla? Non capiva, non capivano entrambi.
Aveva il coraggio di baciarlo? A lei sembrava così normale, un gesto naturale. L'aveva giá accettato. Mentre lui no, una cosa simile l'avrebbe devastato. « Perchè ero con te, quando sono successe le cose più brutte, anche quando stavi per morire. Ero sempre con te. »
« Se potessi scegliere, cosa faresti? »
« In che senso? »
« L'hai detto tu, l'hai detto a Vanessa. »
Cassandra si sporse in avanti, se avesse potuto si sarebbe alzata. « Sì, si! » Stava ricordando davvero. « Glie l'ho detto quando stava per spararti, per farla fermare. »
Lui era incredulo.
« Ti sei messa in mezzo? »
« Si! » Si agitó, il suono che scandiva i battiti del suo cuore aumentó. Non era un bene che si agitasse così. Le venne l'affanno. Tossì.
« Non ti stancare. » Ma quanto si preoccupava, il figlioletto di Polly. Non era forse troppa, quella strana necessità di starle vicino? « Comunque il tuo amico è un coglione. Quello svizzero, se non ci fossi stato io saresti finita all'inferno. »
« Ci sono già all'inferno. »
Quelle gli ricordarono forse un altro sogno, perchè aggrottó le sopracciglia ma poi decise di stare zitto, e lasciarla in pace. « Ci vediamo domani, mh? »
Inspiró profondamente, lei sentì il suo petto che si abassava e alzava piano. Quando si staccarono fu fastidioso, le sarebbe piaciuto rimanere così per tutta la giornata. Odiava separarsi da Aron, anche quando non la riconosceva. Era convinta non solo di poterlo salvare, ma che farlo fosse una specie di obbligo, un dovere a cui non poteva sottrarsi.
« Se vuoi chiamami, per qualsiasi cosa, anche se ti svegli di notte e hai voglia di raccontare cosa hai sognato a qualcuno, chiamami ogni volta che ne hai bisogno. » Ti prego. Non era pronta ad abbandonarlo dopo tutto quello che avevano passato insieme. Lui si portó una mano sulla testa, come se gli facesse male.
La guardó l'ultima volta e poi scomparve dietro la porta.
Cass avrebbe dato tutto quello che aveva, per sapere cosa gli frullasse nella mente.
Ma non poteva. Doveva riuscirci lui, ad ogni costo.
💎💎💎
Hola!
Come va?
Lo so che siete impazienti, ci vediamo al prossimo capitolo!
(Fatemi sapere che ne pensate pls)
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