CAPITOLO 38


Ma in verità ti vorrei accompagnare
Fare ancora quattro passi con te

Aron si sveglió appena sorse il sole, gli piaceva quando gli dava il buongiorno. Si sentiva più carico per iniziare la giornata. Tiró via la coperta e si stiracchió la schiena. Il divano era scomodo, ma niente di insopportabile. Sarebbe stato molto peggio dormire con Cassandra.

Fingeva di detestarla, ma ogni volta che la guardava si sentiva morire. Dormirci insieme sarebbe stata una tortura, non sarebbe mai riuscito a starle lontano. Anche se lo desiderava, e voleva con tutto se stesso. Quando era con lei non si controllava, e la odiava per questo.
Gli toglieva la ragione e la capacità di decidere lucidamente, averla diventava un bisogno così forte che mandare all'aria tutto il resto sembrava sempre la cosa più giusta, e pareva anche incredibilmente facile.

Si trascinó in cucina, faceva freddo ma non tanto quanto ricordasse. I suoi incubi d'infanzia avevano esasperato tutti i lati negativi di quel posto. Cercó qualcosa da mangiare, dei salumi, uova e la kielbasa, per preparasi la tipica colazione polacca. Era certo che Cass si sarebbe svegliata tardi, e che non amasse fare colazione con la carne. Non si mise a prepararle niente. Le lasció delle uova e del pane per spalmarci sopra la crema al cioccolato.

Sentì il cellulare squillare, poteva essere solo una persona. Infatti, Klaus.
Si schiarì la voce. « Dimmi. » Che ore erano in America? Forse notte?
« Entro questa settimana facciamo tutto. »
« Allora entro la fine della prossima tua sorella sarà da te. »
« Come sta? »
Odiava doverlo chiedere a lui. Aron lo sapeva, che si stava sforzando. « Non vede l'ora di tornare da te, però qui si è ambientata presto. »
« Non fare cazzate. »
« Considerala già sull'aereo di ritorno. »
« Ti richiamerò per dirti il giorno preciso, non so ancora quando partono da qui. » Vanessa e Ricky.
« Appena arrivano li sistemo. »
« Ci sentiamo. »

Lasció il cellulare e pensò alla sua colazione.
Contro ogni aspettativa, la sentì andare verso il bagno. Forse quel letto non era abbastanza comodo, forse anche lei non riusciva a dormire bene con lui in giro. Alzó le spalle e continuó a farsi gli affari suoi.

Quando lei aprì la porta, aveva ancora quelle maledette treccine sulla testa. Le stavano così bene che la rendevano radiosa, anche se si era appena svegliata e aveva ancora il viso imbronciato. Abbassó il capo, dopo averle rivolto un'occhiata non troppo fugace. « Ti ho lasciato le uova, pensavo ti saresti svegliata più tardi. »
Lei si si stripicció gli occhi. « Si, anche io. »
Gli venne da ridere, sicuramente quel letto non era alla sua altezza. Si sarebbe abituata. « Ho parlato con Klaus. » La vide irrigidirsi, si sveglió improvvisamente. Indossava la sua tuta, era bellissima quando gli rubava i vestiti.
« Almeno sarà veloce. » Arricció il naso e si avventó subito sulle fette biscottate. Non aveva voglia di cucinare, ovviamente. Aron le sorrise, ancora. Tanto era troppo stordita per capire i suoi sguardi.
« Si, lo scopo è proprio quello di non far passare troppo tempo. »
« Posso farti una domanda? » Poggió il viso sul palmo della mano. Aron annuì.
« Perchè c'è il mio vecchio diario tra le tue
cose? »
Sgranó lo sguardo. Non si aspettava quella domanda, pensava di averlo nascosto bene e comunque se n'era scordato.
« Me l'ha spedito mia madre, non so perchè. Comunque non l'ho letto. » Certo, aveva troppa paura. Sua madre gli aveva lasciato un biglietto, insieme. Sopra c'era scritto "leggilo, se hai il coraggio". E lui non poteva.
« Te lo dico io perchè. » Allungó un braccio per prendere la nutella. Sembrava tranquilla. « Perchè parlavo di te, abbastanza spesso. »
« Davvero? »
« Sì. »
« E lei che ne sa? »
« Glie l'ho detto io. »
« E perchè ce l'aveva lei, il tuo diario? »
Cass sospiró, lui non poteva sapere che cosa fosse successo quando aveva deciso di andarsene. Era solo curioso. « Perchè me l'ha chiesto, le ho detto che parlavo di te quando non eri un vecchiaccio e mi ha chiesto di leggerlo. »
« Non sono vecchio! » Rise, poi taglió la salsiccia con il coltello e prese un boccone. «Ma quindi si puó leggere? »
Lei alzó le spalle. « Avevo sedici anni quando l'ho scritto, non c'è nessun segreto di stato, dentro. » Sembrava un po' in difficoltà. Lei non lo sapeva, ma Aron capiva sempre quando mentisse. Aveva una specie di ruga in mezzo alla fronte che saltava fuori tutte le volte in cui fosse minimamente agitata. E gli piaceva da morire. Anche mentre indossava una tuta che le stava tre volte, sexy come nessun'altra. Non sapeva se fosse davvero curioso di sapere come lo vedesse, da piccola. Ma era abbastanza certo che l'avrebbe messa a disagio.

« Comunque, in questa settimana sistemiamo un po' di cose, così almeno potrai tornare a New York. »
Sapeva già che avrebbe odiato il giorno in cui lei se ne sarebbe andata, ma non era giusto che la tenesse imprigionata lì, dopo tutto quello che era successo. Non sapeva neanche se avesse trovato la lettera che le aveva scritto. Speró di no, quelle parole erano state scritte di getto, anche se erano vere, anche se era quello che pensava, il motivo per cui fosse giusto non rivedersi. E Klaus lo sapeva.

Non l'avrebbe mai resa felice e neppure guardando quanto Marina amasse suo marito, gli veniva voglia di avere una cosa simile.
Era fatto così.

« Quindi resti qui per sempre? »
« Si, l'idea è quella. »
« Ma ogni tanto torni, no? »
Glie lo leggeva negli occhi, che non riuscisse proprio ad accettarlo. Non me lo merito, non mi merito che mi guardi così. « Non lo so, per ora non è proprio in programma. » Mi mancherai, Cass. Una settimana. Una settimana e poi? Cosa doveva aspettarsi sarebbe successo? Dopo la morte di Ricky si sarebbe insinuato lui, in quella fabbrica. Ma a New York sarebbero tutti impazziti. Non moriva qualcuno di così importante da quando era venuto a mancare il padre di Klaus e Cass. E anche in quel caso, la Volpe si era trovata a doversi difendere da tutti, sola.
Forse per Cassandra sarebbe stato meglio rimanere con lui, Lublino sarebbe diventata completamente un suo territorio. Nessuno avrebbe osato farle quello che era successo a Londra. Se ci ripensava lo assaliva una rabbia che non riusciva ad accettare.
Era per questo, che il giorno prima se l'era presa con lei senza motivo, era nervoso perchè mentre si era trovata in pericolo, lui non c'era.
Non gli era mai successo con nessuno, oltre che con sua madre, ovviamente. Il livido di Cass attorno all'occhio era ancora fastidiosamente evidente, gli ricordava quanto avesse bisogno di starle accanto, anche se lei sapeva benissimo cavarsela da sola.

« Per la festa di Klaus? »
Aron sospiró. Decise che fosse arrivato il momento di parlarle chiaramente. Non l'aveva mai fatto e non ci era mai riuscito. Lasció le posate nel piatto. « No, Cass. Non sarà come prima, io voglio andarmene perchè voglio allontanarmi da New York, quindi no, non torno per la festa, neanche per il mio compleanno e neanche... per qualsiasi altra cosa. »
Era stato abbastanza rude? Che poi non aveva ancora capito di cosa avesse paura.

« Ho capito. » Ancora una volta, lei finse di capirlo. « Comunque il mio compleanno te lo subirai comunque, è tra cinque giorni. »
« Lo so. »
Stava già pensando di organizzarle qualcosa, farle trovare un dolce, almeno. Una candelina da spegnere e un regalo, anche se sarebbero stati solo loro due. « Klaus ti ha detto qualcosa su Lidia? »
« No, credo non voglia parlarne con me. »
« Oggi lo chiamo. »
« Si. »

Era carina mentre faceva colazione, ancora assonnata. Sarebbe stato bello poterci dormire accanto. Ma non era una qualsiasi, e lui non era pronto ad una relazione. « Ricordati di comprare le cose per Ania. »
« Mi mancherà un po'. »
« Puoi tornare a trovarla. »
« Si, è vero. Vorrei farle un bel regalo. »

Aron scosse il capo, tornò alle sue cose e quando ebbe finito mise tutto in ordine. Restò da solo, quando Cassandra uscí per andare a comprare gli elastici. Forse avrebbe dovuto farla seguire, non gli piaceva l'idea di lasciarla da sola. Che non sapesse cosa stesse facendo, chi fermasse per strada per chiedere indicazioni.
Ti manca già?
Ma di cosa hai paura, Aron.
Di che diavolo hai paura.

C'era qualcosa nelle emozioni che Cass gli faceva provare che lo terrorizzava, lo faceva sentire completamente vulnerabile e non gli piaceva. Doversi fidare cosí tanto, mettere la sua testa nelle mani di un'altra persona. Klaus aveva fatto cosí, e ora Lidia stava male. Anche la mamma di Cass, e poi... Polina. Tutta gente a cui le relazioni avevano distrutto l'esistenza. Per non parlare di Vanessa. Doveva ucciderla solo perchè si era innamorata. E tutti facevano finta che fosse giusto, normale. Ma non era normale uccidere un'amica.

Ricordava quando l'aveva vista a Parigi, come avesse aiutato Cassandra e pensò che non l'avrebbe mai superata. Ma era l'unico modo. Parlare con Klaus, ora, era impossibile. Di solito era Lidia che lo faceva ragionare, con lei in quello stato e dopo tutto quello che era successo, sembrava impossibile non essere travolti dalla sua ira.

Si fece una doccia veloce, giusto per non pensare troppo e poi cercò qualcosa da leggere. L'occhio cadde inevitabilmente sul diario di Cass. Perchè era tanto curioso? Voleva vedersi descritto da giovane, oppure voleva conoscere i pensieri di lei, fatti da una persona che non esisteva più su un'altra che ormai era stata sostituita dalla sua versione attuale.

Stava sul serio per prenderlo. Quando sentì ancora il telefono. Chi era?
Irina... quella sí, che sarebbe stata una botta dura da digerire. « Si? »
« Che è questa storia che vi abbiamo traditi? »
« Vuoi raccontarmela tu? »
« Io non ho tradito nessuno. »
« E che cazzo ci facevi al The Black Rose? »
« Stavo cercando di sputtanare quella stronza di Andrea, pensa di essere intoccabile solo perchè è la sorella di Lidia. »
« E perchè non mi hai detto niente? »
« Perchè non ero sicura... perchè— »
« Perchè tu non lo facevi per noi, lo facevi per te stessa. Volevi comandare, volevi tenerti per te le cose importanti in modo da fotterci tutti, no? »
Diede un pugno sul tavolo. Faceva finta di essere sua amica, di amarlo e volere una vita con lui, fortuna che non s'era mai fidato. « Perchè, voi che fate? Non fate cosí? » Aron a quel punto sputò tutto il veleno che aveva in corpo. « Io non ho mai tradito la mia famiglia! »
« Ma se ti scopavi la sorella di Klaus senza dirglielo, dai. »
« Io— » Stava per dire che l'amava, che lei non poteva capirlo come fosse quando si avesse bisogno di qualcuno, e forse neppure lui. « Non ho mai fatto niente per fregare la mia famiglia, non ho mai pensato di fregare nessuno e se guadagnavo venti, davo dieci a loro. È per questo che non sarai mai come noi, non perchè sei nata povera, Irina. Ma perchè sei sola. » Doveva informare Klaus, subito.
« Almeno io ho il coraggio di prendermi quello che voglio, Nowak. » Lo urló prima che Aron potesse chiudere la chiamata.

La prima cosa che fece fu chiamare Klaus. Sapeva già cosa gli avrebbe detto, che si fosse fatto prendere dalla rabbia invece che usare il rapporto che aveva con Irina per scoprire di più. Che non sapesse ragionare e fosse troppo impulsivo.
Dove cazzo era finita Cassandra? Guardó l'ora, sembravano passate tante ore, invece era uscita solo da mezz'ora. Non era possibile che avesse così bisogno di averla vicino.
Che casino. Si mise a sedere e pensó ad una cosa alla volta.

« Che c'è? »
« Mi ha chiamato Irina. »
« Che voleva? »
« Piangeva perchè ha scoperto che l'abbiamo beccata. »
« Chi cazzo glie l'ha detto? »
« Sarà stato quell'imbecille che gestiva il Bar. »
« E tu? »
« Le ho detto che è una merda, e che fa schifo. »
Ci fu un momento di silenzio. Dei due, quello che sapeva sempre trattenersi, era Klaus. Aron non sapeva farlo, e infatti stava zitto. « Potevamo sfruttare questa cosa a nostro favore. »
« Lo so, ma non ci ho pensato. Aspettati che attacchi, è una serpe. »
« Aspetto solo che entri in casa mia. »
« Attento ad Andrea. »
« Lo so, ma almeno non è furba come Irina. »
« Si, ma è alleata con i De Vito. »
« Ti giuro che li ammazzo tutti. »
« Stai attento. »
« Pure tu. »
Quindi erano tornati a volersi bene? La verità era che Aron per Klaus era famiglia, e la famiglia restava tale anche quando sbagliava. Anche se non capiva perchè si fosse fissato con Cass. Diceva di amarla, ma non era l'amore che conosceva lui.

Aron non sapeva cosa fosse la devozione, e odiava quando si sentiva così attaccato a Cass da non riuscire a respirare quando non c'era. Gli veniva un nervoso e alla fine se la prendeva con tutti, anche con lei. La odiava.
Cercó di distrarsi, pensó al lavoro, a Ricky, a Vanessa. Poi controlló l'ora ed era già passato troppo tempo.

Tutto ok?

Si, ho tutto. Volevo visitare il castello.

Da sola? Avrebbe significato doverla aspettare, ancora. Perchè non riusciva? Perchè la prospettiva di passare ancora altro tempo senza di lei sembrava un'agonia?

È molto bello, peró ricordati che rischiamo.

Era proprio un bugiardo.

Se sto tutto il giorno chiusa in casa impazzisco.

Aspetta, arrivo.

Eccolo, il momento di debolezza più assoluto di Aron Nowak. Avrebbe voluto non fregarsene, al massimo imporle di tornare ma sicuramente non accompagnarla come un cretino per Lublino.
Invece è proprio quello che stai facendo. Si fece mandare la posizione e la raggiunse velocemente, non era troppo lontano.

Odiava ammetterlo, ma l'idea di passeggiare lì con lei gli dava una strana felicità. La vide da lontano, si era rimessa la sua gonna, pensó fosse troppo corta. Ma troppo corta per chi? Stava benissimo, le gambe lunghe, ferme sul posto aspettavano che lui la raggiungesse.
E Aron pensó che davvero, non desiderasse altro di più al mondo che poterle sfiorare nuovamente.
« L'hai già visto, immagino. »
« Si, è molto bello. » Il tono di voce era fintamente serio, si era sempre chiesto se -come lui riuscisse a comprendere quando lei mentisse- allo stesso modo Cass sapesse riconoscere i modi che usava per darsi un tono, fingersi disinteressato. Forse si, e non diceva nulla. D'altronde stavano mentendo a tutti e a loro stessi da un sacco, facevano finta di non riconoscersi, di non avere emozioni.

Pagarono il biglietto ed entrarono insieme, da quello che aveva capito, quel luigo era un castello e una sorta di museo, galleria d'arte dove ogni tanto esponevano qualche mostra. Cassandra sembrava estasiata, non sapeva le piacesse tanto l'arte, e la storia. Avrebbe voluto sapere di più per poterle raccontare qualcosa di quel posto. Invece si limitó a tradurle alcune indicazioni, e le descrizioni sotto i quadri. Arrivarono, dopo aver attraversato un lungo corridoio, in una piccola stanzetta piena di gente. Erano lì per fotografare il soffitto. Alzarono entrambi lo sguardo, era pieno di affreschi bizantini.
« È meraviglioso, e tu che pensavi questo posto non mi sarebbe piaciuto. »
« Quando l'ho detto? »
« Una sera, al telefono. »
Aron assottiglió lo sguardo. Vero. Ricordava così bene tutte le loro conversazioni? Si guardó intorno, lo faceva ogni tanto, per controllare che non li seguisse nessuno. Voleva tornare a casa.
« Ah, si, mi ricordo. » Gli piaceva parlare con lei.
« Stasera cuciniamo qualcosa di buono? Puoi insegnarmi. »
« Cosa ti va? »
« Non lo so, qualcosa con il salmone? »
« Si puó fare, dopo facciamo la spesa. »
Ma che bella coppia. Cassandra pensó che non ci fosse quasi mai andata, a fare la spesa. Chiedeva quello che voleva e se lo ritrovava a tavola. Forse sarebbe stato divertente. « Sai che bello vivere in un castello così? »
« Troppo grande. »
« Ma che c'entra, è bellissimo, io ci vivrei. »
« Impazziresti dopo un giorno. » Lo disse senza pensarci, senza ricordare che accanto avesse Cassandra e non Klaus, non una persona a cui potesse rivelare tutti i propri pensieri.
« Perchè? »
« Più le case sono grandi, più ci si sente soli. Anche se sono stupende. Perchè credi viva in un appartamento minuscolo, a New York? »
« Casa mia prima era più piena, forse il segreto è riempirla di gente. » Abbassó la testa.
Forse il segreto per non sentirsi soli era stare con qualcuno, non comprare case piccole. Ma non ci arrivava. « Non lo so. »
Figurati. E poi un castello era troppo freddo.
« Inviterei sempre i miei amici, se solo non ci fosse stato Klaus, l'avrei fatto anche prima. »
E invece stava sempre da lui, piantata da qualche conoscente perchè suo fratello non la voleva tra i piedi, perchè non ce la faceva a farle da padre mentre imparava ad essere la copia del suo. 

« Dai, andiamo. » Quella stanza stava diventando noiosa. E stretta. Temeva gli iniziasse a piacere troppo guardarla mentre fantasticava sulle cose.
Passeggiarci insieme, tutto. S'innervosì. Più era felice più s'infuriava.
E allora? Allora la trattava male. E stava ancora peggio, sapendo che la stava distruggendo.

Camminarono fino al mercato centrale, Cass era spaesata. Era convinta sarebbero andati in qualche supermercato? La strada era piena di rumori, banchetti e gente che urlava, parlava a tono altissimo. E poi gli odori, erano così vivi che le sembró di assaggiare ogni dolce, ogni piatto.
« Dovrebbero farlo a New York un posto così. » Gli venne da ridere. Non ci pensó neppure e le mise un braccio sulle spalle. Si avvicinó al suo orecchio. E sussurró dolcemente. « Non sarebbe la stessa cosa, Cassy. » S'inebrió del suo profumo e se ne riempì i polmoni. Da bravo egoista. La sentì tremare, si pentì immediatamente di quel contatto. Ma era più forte di lui. Avrebbe voluto baciarle la guancia, poi il collo, spostarle la camicia e sfiorarle la spalla. Stringerle i fianchi e sentirla contro il suo corpo, finalmente.

Dovette rimettere a fuoco il posto attorno a lui, e fu così difficile che andó a sbattere contro qualcuno, che lo riprese e si fece anche chiedere scusa.
Cass era ancora accanto a lui, se la stava ridendo mentre lo vedeva in difficoltà. Aron scosse il capo. « Dai, prendiamo 'sto salmone. »
Pensó che avrebbe volentieri passato in quel modo il resto delle sue giornate.
Comprarono il loro pranzo, Cass si aggrappó al suo braccio e a lui venne d'istinto di avvicinarla al proprio corpo. Ringrazió il pescatore da cui avevano preso il pesce e si guardó intorno, ancora. Vide una madre sistemare la giacca alla figlia, un vecchio con il suo bastone. E un uomo elegante. Troppo elegante. Aggrottó lo sguardo. Camminava tranquillamente tra le bancarelle, sembrava a suo agio ma stonava, c'era qualcosa che lo metteva in allerta.

Gli abiti erano di sartoria, e quando controlló l'ora gli vide l'orologio, troppo costoso. Un Cartier che in quel posto non si sarebbe potuto permettere nessuno. Cazzo.
Fece finta di dare un bacio a Cass all'altezza del collo. Ma che bella scusa, dai che non aspettavi altro. « Ci seguono, qualcuno ci segue. Adesso andiamo via piano, e poi scappiamo veloce. »
Lei si aggrappó istintivamente a lui. Aveva paura.
« E dove andiamo? » Le tremava la voce.
« Non lasciarmi mai la mano. »
Poi un bacio sul collo glie lo diede sul serio, e fu inebriante, per un attimo si scordó del piano che aveva pensato. Lo distraeva troppo. Se non l'avesse avuta vicino forse si sarebbe accorto prima di quell'uomo. Restarono appiccicati, si mischiarono nella folla e quando furono abbastanza nascosti lui la guardó. « Adesso. »

Si presero la mano e scapparono via, velocemente, Cass non aveva idea di dove stesse andando, mentre Aron sì. Non erano tanto lontani da dove aveva passato la sua infanzia, ricordava di aver visto lì vicino un posto nascosto, una nicchia nel muro in cui potevano infilarsi.
La beccó da lontano e aguzzó lo sguardo, strinse di più la mano di Cass e poi se la tiró addosso, contro il muro e la strinse così forte che ad un certo punto non gli parve più fossero due persone diverse. Lei gli posó le mani sul petto come a volerlo spingere via, ma poi si rilassó e lasció la fronte cadere contro la sua spalla. Avevano ancora l'affanno.

Aron si calmó solo dopo un po', allentó la presa e osservó il modo in cui Cassandra si fosse abbandonata a lui. Adesso il cuore gli sembrava impazzire nel petto, ma non per colpa della paura di morire. Voleva baciarla così tanto che pensó sarebbe morto, se non l'avesse fatto.
« Tutto ok? » Lei, gli stava chiedendo se fosse tutto okay? Era assurdo come si preoccupassero sempre l'uno dell'altra.
« Si, andiamo via. » Dovette schiarirsi la voce. « Aspetta. » Si sporse sulla strada, non c'era nessuno. Potevano andare. Solo quando furono davvero lì davanti insieme, realizzó dove fosse.
La casa famiglia dove aveva passato i primi tempi dell'infanzia.
Aveva sognato spesso di andarci con lei. Polina avrebbe detto che non sarebbe mai riuscito a sfuggire dal destino. Forse vedendolo impalato davanti alla targa dell'edificio, Cassandra s'incuriosì. « Che guardi? »
« Niente. »
« È la scuola dove andavi da piccolo? »
Certo. Non capiva la lingua. Pensó fosse un bene.
« Sì, è una scuola. » Che bugiardo.
« E non si puó visitare? »
« No. Torniamo a casa, dopo tutto il casino che è successo vuoi restare ancora fuori? » Adesso capiva cosa intendesse Klaus, quando diceva che fosse inaffidabile, irresponsabile, impulsiva. Poteva stare malissimo per una sciocchezza, e per le cose davvero serie, a volte sembrava scordarsele due secondo dopo che fossero successe. Non capiva perchè. Era una sorta di meccanismo di difesa?

« Se torno a casa mi viene solo l'ansia, che facciamo, ci mettiamo a guardare il soffitto pensando a quanto ci resta da vivere? »
« No, fottiamocene completamente e facciamo finta di niente. » Era ovviamente ironico. Aveva ragione, non voleva pensarci. Era terrorizzata, da quello che stava succedendo e dai suoi pensieri.
Le si avvicinó lentamente, cercó di prenderla con le buone. « Non sei da sola, ci sono io, e c'è il nostro pranzo. Non passerai il giorno a fissare il soffitto. » Alzó la busta con il pesce appena comprato. Dovevano portarlo subito in frigo o sarebbe andato a male.

Cass sembró capire, osservó ancora quella che credeva essere una scuola. I cancelli in ferro si ergevano imponenenti su di lei, Aron si chiese se un giorno avrebbe mai trovato il coraggio di raccontarle quella storia. Di come fosse stato abbandonato da Polly.
Sospiró.

Tornarono a casa e si misero a cucinare per davvero, Cassandra si lamentó dell'odore forte che lasciava quel salmone. Aron le spiegó che quando veniva cucinato, rilasciava sempre quell'odore fastidioso. Solo che lei lo vedeva sempre già servito. « Serviva del vino. » Ammise, mentre preparava i piatti.
« Si, magari uno francese. » Aron rise.
« Si, magari in Francia. »
A volte non si rendeva conto di quanto vivessero in un'altro mondo, di come lui avesse conosciuto due realtà che di solito non s'incontravano mai.

« Non vedo l'ora di tornarci. »
« Ma perchè ti piace così tanto? »
Sembró non doverci neppure pensare.
« È romantica senza pretese. »
Gli venne da ridere. « E che vuol dire? »
« Per esempio, anche New York è romantica, ma è troppo... sembra esagerata. Invece Parigi no, è dolce. »
« Questa cosa non ha senso. » Non la capiva, e anche se sapeva quanto spesso fosse complesso decifrare i pensieri di Cass, lui era solito riuscire a dar loro un senso. Questa volta, proprio no. « Mi passi il burro? » Non sapeva neanche dove fosse. « In frigo, in basso a sinistra. » La sentì allontanarsi e tornare. Gli stava letteralmente porgendo il burro ancora incartato. « Me ne tagli un pezzetto? » La vide un po' in difficoltà e gli venne da ridere. Comunque cercó un coltello e ne taglió un cubetto, come aveva chiesto lui. « Mettilo qui. » Si spostó per farla andare davanti alla padella, lui rimase dietro ad osservarla. Erano così vicini che riusciva nuovamente a sentire il suo profumo, nonostante gli odori della cucina. Pensó che sarebbe stato magnifico se avesse potuto stringerla, un tempo non si sarebbe fatto troppi problemi. Che cosa lo frenava?
Hai paura, Nowak, hai paura da morire.
« E adesso? »
Eh? Aron si era scordato perfino di dove fosse.
« Giralo un po', così si scioglie. » Allungó una mano per afferrare il cucchiaio che aveva lasciato accanto al piano cottura. La imprigionó contro di lui. Fu lì che lo sentì. Sentiva quanto fosse tesa anche lei, e la cosa lo fece impazzire a tal punto che per un momento, un istante, credette di non potersi più controllare. Riusciva a sentire il suo respiro pesante addosso, lo sguardo che lo implorava di mandare al diavolo qualsiasi buon proposito. Aveva già le dita premute contro il suo fianco, il naso a graffiarle il collo. Le labbra tremavano.

Fu, inaspettatamente, lei ad allontanarsi. Sfuggì alla sua morsa letale prima che potesse inghiottirla. E lui glie ne fu estremamente grato.
Non parlarono più per un po'.

Lei aveva già apparecchiato, quando Aron mise il salmone nei piatti li sistemó subito sul tavolo e si misero a sedere. « Sei davvero bravo a cucinare, lo fai spesso? »
Aveva dovuto. Non era nato con i camerieri che gli portavano la colazione in camera. Peró non gli dava fastidio il modo in cui gli poneva quelle domande. Non poteva sapere come fosse avere una vita diversa. « Si, abbastanza. Mi piace. »
« Magari in questi giorni mi insegni. »
« Spero che non dovrà mai più servirti. »
« In realtà anche io. » Si mise a ridere.
Speró che finisse presto. Non riusciva più a viverci insieme, era troppo bello e aveva paura che potesse piacergli troppo.

💎💎💎
Ogni giorno sempre peggio
Ma cederanno, alla fine?
E che cosa terrorizza Aron? Di cosa ha paura il nostro Nowak?

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