CAPITOLO 37


love is never logical
I know I'm half responsible and that makes me feel horrible

Mancavano poche ore all'arrivo dei loro ospiti. Cass speró parlassero inglese, almeno la madre. La piccola era troppo giovane per sapere come comunicare con Cass. Si chiese cosa avrebbero pensato del suo occhio.

Dalla cucina proveniva un odore ottimo, e si chiese come diavolo avesse fatto Aron a tirar fuori qualcosa di buono da quel postaccio. Forse era a quello, che si riferiva quando le aveva detto di accontentarsi, e le aveva fatto quei discorsi strani. Decise di indossare quello che le aveva comprato lui, solo per non sembrare troppo spocchiosa a sua sorella. Di solito le piaceva sembrare una stronza, questa volta sentiva di non averne proprio motivo. O forse era solo cresciuta. Non le interessava attirare l'attenzione di nessuno.

Aveva messo i vestiti piegati sul lavandino, non c'era nessun posto dove poggiarli. E non c'erano neanche i suoi prodotti per i capelli, solo uno shampoo che doveva farsi andare bene per tutto. Che cazzo di modo di vivere era, quello. Si sentì una stronza per averlo pensato, ma era difficile adattarsi per una che non aveva mai lavato il un piatto da sola. Uscì dalla doccia perchè a quanto pareva l'acqua calda non era illimitata, era un'altra cosa che non capiva. Come faceva a finire, l'acqua? Aprì un cassetto sotto il lavandino pensando ci fossero delle asciugamani, qualcosa per coprirsi. Ma non c'era nulla, e aveva freddo.
Così socchiuse la porta. « Aron! Dove hai messo gli asciugamani? » Il viso le faceva male tutto.
Arrivó la risposta. « Usa il mio, domani ne prendo un altro. Tanto è pulito. »
Cosa? Le venne voglia di tirare giù tutto, odiava quella casa, odiava Aron e il suo stupido accappatoio verde. Non poteva neanche lamentarsi, perchè quella casa era così piccola che si sarebbe sentito tutto. Controvoglia, lo prese e se lo infiló addosso, era grande e ingombrante. Lo strinse forte in vita e poi tiró su il cappuccio e lo strofinó sui capelli biondi. Facevano schifo, senza balsamo.

Non aveva niente da mettere, non aveva i suoi trucchi, e si pentì di aver chiesto ad Aron di invitare sua sorella. Si faceva schifo, senza tutta l'impalcatura che si creava sempre intorno. Che stupida, suo fratello stava combattendo una guerra tra criminali, e lei piangeva per il suo aspetto. Sei proprio inutile, Cass.
Prese un respiro profondo e decise di cambiarsi in camera, quel bagno era troppo piccolo, le mancava l'aria. Prese le sue cose e si trascinó fuori, appena aprì la porta un'ondata di freddo gelido le ghiacció il corpo. Rimase immobile, era impossibile pensare di potersi spogliare lì.
« Cass, hai finito in bagno? »
« Si, si. » Alzó la voce per avvisarlo, si era anche dimenticada che non potesse passarci tutto il tempo che volesse. Lo sentì avvicinarsi, aveva ancora il cappuccio tirato su, le gote e la punta del naso rosse. « Che cazzo di freddo. » Mormoró piano, mentre si spostava per farlo entrare. Non si sentiva per niente sexy, solo super goffa e a disagio. Non le era mai successo dopo i sedici anni, con un ragazzo. Con nessuno.

« Ci sono delle coperte in salotto. »
« Se lo sapevo che mi toccava 'sta cosa ieri mi facevo ammazzare. » Borbottó, mentre si allontanava. Non sentì addosso lo sguardo stranito di Aron, ripensare a cosa le fosse successo lo innervosiva da morire.

« Non dire stronzate. »
« Stavo scherzando, mister umiltà. » Gli rivolse un sorrisetto infastidito.
« Davvero non riesci a sopportare un giorno senza qualcuno che ti pulisca costantemente il culo, Cass? » Lui l'aggredì, senza un reale motivo. Era solo incazzato. Cass non capì.

« Tu invece fino a ieri vivevi in una topaia, vero? Pensi di essere migliore di tutti? Non basta cambiare casa per redimersi, resti sempre una persona sporca. » Come tutti loro, del resto. Non capiva questa voglia di immolarsi in nome di una specie di redenzione.
« Io, persona di merda? Veramente provo solo a rimanere con i cazzo di piedi per terra. » Cosa significasse, lo sapeva solo lui.
« Sei tu che mi stai rompendo i coglioni, non ho più sedici anni. Lasciami stare. » Non aveva voglia di litigare. Solitamente quando c'erano queste situazioni ne approfittava per provocare, fino a quando non portava la sua vittima allo stremo delle forze mentali e alla fine, vinceva la discussione.

Era stanca. Non glie ne fregava niente di cosa Aron avesse contro di lei, forse era nervoso e basta. Ma non le piacque il modo in cui reagì. Sembrava Klaus, quando s'incazzava per il motivo  giusto ma lo tirava fuori nel modo sbagliato.
Andó in camera, odiava non potergli più parlare di tutto, era meglio quando non si consideravano. Quando forse si desideravano, ma non lo sapevano. O forse lo desiderava solo lei.
Si mise a sedere sul letto e cercó subito di vestirsi velocemente, anche se aveva i capelli ancora bagnati. Poi arrotoló l'asciugamano in testa e s'infiló sotto la coperta. Poggió il capo contro lo schienale del letto e guardó in alto. Il soffitto era così vuoto, bianco e banale che le mise tranquillità. Chiuse gli occhi, pensó che non avesse senso piangere, che non avesse sedici anni.
Pensó che Vanessa sapesse sempre come non farla sentire uno schifo. Le era stata sempre accanto, anche quando aveva combinato i casini peggiori. Come poteva, ora, essersi messa contro di lei? Cass era convinta che non ne sapesse nulla, che avesse solo intenzione di seguire quello stupido di Ricky. Ma comunque, non poteva farci niente.

Cercó i calzini e le solite ballerine di prada, non aveva altre scarpe. Erano l'unica cosa costosa che le era rimasta addosso. Tornó in bagno per cercare una spazzola e l'asciugacapelli.
Se ci pensava, se si soffermava a pensare che presto i suoi amici più stretti sarebbero morti, e che dalla loro morte dipendeva la sua vita, allora si sentiva morire. Ma se ignorava questa cosa, sopravviveva bene. Poteva concentrarsi sull'appartamento angusto. Sul freddo, sul naso che colava. Ci volle poco perchè le venisse fuori il primo starnuto. « Che palle. » Cercó di asciugarsi più in fretta che potè. Ovviamente, i capelli erano crespi e spenti. Opachi. Decise di farsi delle treccine attaccate alla testa, solo per averli in ordine. Poi le riunì in una sola e le legó con l'unico elastico che aveva al polso.
Si osservó allo specchio: era orribile, non ricordava d'esser mai stata così brutta. E non è che avesse spesso una grande opinione di sè. Il maglioncino verdognolo le stava male, lo avrebbe preferito nero. Mentre il viso, era così vuoto e spoglio... per niente luminoso. L'unica cosa carina erano le treccine tanto simili a quelle che le faceva Greta da piccola.

Restó lì piú tempo del dovuto e nessuno osó dirle nulla. Si chiese se ad Aron non servisse una mano in cucina. Non aveva senso mettere il muso.
Camminó fino alla stanza da cui notó stesse arrivando un odorino niente male e si affacció sulla pentola. « Ti serve una mano? »
Lui alzó le sopracciglia, probabilmente era sorpreso da tutta quella maturità.
« Si, assaggia. » Prese con un cucchiaio un po' di riso, lo porse alla bionda che lo afferró e assaggió come le aveva detto. Era buono, ma si sentiva già dal profumo. Dentro c'era la zucca, forse altro ma non riusciva a distinguere bene il sapore. O forse era troppo impegnata ad esaminare Aron, il modo in cui la osservava. « Troppo salato? »
« No, è buono, è perfetto. » I loro sguardi s'incrociarono per un momento di troppo.
Sei perfetto.
Basta.
Gli sorrise, ora sembravano una coppia meravigliosa.

La squadró un attimo. « Ti stanno bene le treccine cosí, da piccola le facevi sempre. »
Alzó le spalle. « Me le faceva Greta. » Si rese conto che quella donna ci fosse sempre stata, nelle loro vite. « Scusa per prima, sono solo un po' nervosa, non mi va di litigare. »
« No, è colpa mia, mi sono innervosito quando— » Quando? Sembró non sapere cosa dire. « Per una cosa, e ho colto la palla al balzo quando ho sentito che borbottavi, in realtà non ce l'avevo neanche con te. » Erano due bombe pronte ad esplodere, tesi come molle. Per tutto. « Hai usato le cose che ti ho dato? »
« Per cosa? »
« L'occhio, quel bastardo ti ha fatto davvero male. »
Lei realizzò solo dopo che si fosse preoccupato per la sua salute. Era quello, che gli aveva dato fastidio? « No, è meno grave di come sembra. » Aron le sorrise, Cass avrebbe dato oro per sapere che cosa pensasse. « Ho preso abbastanza cazzotti da sapere quando non è peggio di come sembra. »
Lei abbassó lo sguardo, poi lo puntó nuovamente nel suo. Era così magnetico. « Io penso che questo sia il mio primo. »
« E ultimo. » Lo disse cosí seriamente che lei si sentí veramente nel posto giusto, con qualcuno che potesse proteggerla. Quando era con Aron sembrava sempre non potesse succederle niente. Ma era un'illusione.
« Non ci pensare troppo, passerà. » Lo stava davvero consolando?

« Stasera il gelato ce lo mangiamo tutti insieme. »
Lei increspó le labbra divertita e le allungó verso l'alto. « Si, mia ricetta personale. » Poi lo lasció stare. Gli rubó un'altra sigaretta e si mise a guardare fuori dalla finestra, era ansiosa di vederli arrivare. Visto da lontano quel posto era orribile, ma da vicino, pareva quasi carino. Le persone erano semplici, le strade tutte simili e le casette scure, la sera s'illuminavano e i piccoli rettangoli delle finestre sembravano dei quadretti d'autore.

« Eccole! »
Avvisó Aron, che aveva già apparecchiato il piccolo tavolino in cucina. Camminavano mano nella mano e già si vedeva, che Marina somigliasse a suo fratello. Non aveva detto avessero un compagno? Camminó verso la porta, l'aprì ancora prima che suonassero. Le sentì salire le scale. Cercó di sistemarsi meglio il maglioncino, e speró non pensassero fosse una sciattona. Poi pensó che sarebbero state molto più sorprese di vedere lei, con Aron, invece che dai suoi vestiti.

Aron la raggiunse, aveva evidentemente spento i fornelli. Era ancora caldo di cucina. Si mise davanti all'ingresso. Quando le vide salutó subito Marina, Cass restó a guardarli in silenzio. Erano davvero identici. Esa assurdo pensare che avesse scoperto di avere una sorella. Ora che ce l'aveva davanti pareva proprio vero. Prima non aveva realizzato. Si salutarono per primi.

« Ciao, piacere di conoscerti, mi chiamo
Marina. »
« Cassandra. »
Quella alzó le sopracciglia, come se avesse finalmente conosciuto qualcuno di cui avesse sentito parlare. Avevano parlato di lei? Ma che vai pensando. « Tu sei quella che ha trovato la mia foto? »
« Si, sono proprio io. » Allora avevano parlato. Le sorrise, contenta che Aron avesse fatto il suo nome almeno una volta, mentre lei non riusciva a pensare ad altro se non a lui.

« *Czesc! » *ciao!
La bambina agitó una manina, Cass non capì assolutamente quello che volesse dire, poi a logica pensó la stesse salutando. Le rispose con un gesto della mano e poi si spostó, per farle entrare. Ovviamente Aron le rispose in polacco.

Marina si guardó intorno, la bionda pensó si stesse chiedendo come facessero a sopravvivere in quell'appartamento orribile. « Aron ha trovato una casa carina, alla fine. » Era ironica? Restó spiazzata. Rivolse una breve occhiata all'amico e lui sgranó gli occhi, come a chiederle se finalmente avesse capito.
« Si... ha un bel... » Un bel? Che diavolo c'era di bello in quella casa? « Un bel bagno. » Lo disse così convinta che sembró quasi vero.
« Quando sei arrivata? » Le stava fissando il livido, lo vedeva che non riusciva a farne a meno. Si sarebbe abituata.
« Ieri notte, praticamente stamattina. In tempo per inciampare e distruggermi mezza faccia. » Ci avrebbe creduto?

« Dall'America? »
« No, da Londra, ero qui vicino, diciamo. » Le sorrise un'altra volta. Sapeva cosa stesse pensando, si stava chiedendo cosa ci facesse a Londra. « Studio lì, per questo ero nei paraggi. »
La vide stupirsi. Era una cosa così assurda? Ci studiava un sacco di gente, in Europa.

« Così lontano da casa? » Cassandra non comprese, che problema c'era? Non era giusto andarsene, di tanto in tanto?
Alzó le spalle. « Ma poi torno sempre. » E anche troppo spesso, avrebbe detto. « E poi qui in Europa mi piace. » Lo disse come fosse la cosa più normale del mondo. « Volete posare le giacche? »
Ma quante formalità. Aron sospiró, ma Cassandra era stata educata in un certo modo, non sapeva comportarsi diversamente. Rimasero un po' sorprese, Ania perchè non capiva niente quando parlava, mentre Marina... si chiese se davvero da qualche parte nel mondo la gente usasse lasciare il capotto all'ingresso.

« Dai, venite, vi piace la zucca? » Aron interruppe quel momento di silenzio. Poi si rivolse anche ad Ania. « *Mamy dla Ciebie specjalną niespodziankę. »
*Per te c'è una sorpresa speciale.
Ovviamente si riferiva al dolce, e ovviamente Cass non aveva capito nulla. Camminó fino in cucina, si chiese come potessero starci in quattro. Poi pensó che Aron avrebbe trovato un modo.

Lasciarono il cappotto e lo raggiunsero, la tavola era già apparecchiata. Quel posto sapeva proprio di casa, era così strano. Si misero a sedere, Cassandra avrebbe voluto dare una mano, ma non sapeva proprio che fare. Forse Marina lo notó, non era abituata a servire.

« È buonissimo. Che ricetta avete seguito? »
« Non lo so, ha fatto tutto Aron, io non so neanche accendere il fuoco. » Rise di se stessa, e si sentì un po' stupida. Ma era la verità. Aron la fulminò ancora. Che stava facendo di male?
Si rivolse ad Ania, avrebbe voluto chiederle se le fosse piaciuto, cosa le andasse dopo, qualsiasi cosa. Ma non aveva idea di come fare. « Aron, come si dice se vuole il dolce? »
Questa cosa sorprese lui, non si aspettava tanto spirito di iniziativa. Le sorrise, stranamente contento e poi guardó sua nipote. « Chcesz deser, kochanie? » *Vuoi il dolce, tesoro?
Cass annuì come se avesse capito. Ancora dovevano togliere i piatti. Ania annuì, aspettandosi che lui lo prendesse subito dal frigo da qualche parte.

« Cass, mi dai una mano a togliere tutto? »
Cosa? Ah, i piatti. Cassandra si alzó, inizió a prendere le cose, ad impilarle una sull'altra e poi restó ferma perchè non aveva idea di dove metterle. Probabilmente nel lavandino. Era in difficoltà e si sentiva ridicola. Aron arrivó quasi subito in suo soccorso, mise le cose sporche nel lavandino e poi si lavó le mani.

Lei lo raggiunse e lasció anche le posate, che erano rimaste sul tavolo. « Come si dice che ora le preparo il gelato? » Glie lo sussurró piano, non voleva farsi sentire.
Aron trattenne una risata. « *Teraz zrobię ci lody. » Adesso ti preparo il gelato.
« Aspetta— dillo piano, cazzo. » Questa volta lui le mostró tutto il suo divertimento. Pronunció nuovamente la frase in polacco, e Cass parve aver capito. Si aspettava qualcosa di decente da una che parlava tre lingue.

Con tutta la convinzione del mondo, copió perfettamente i suoni che aveva emesso Aron, solo che poi la bambina pensó potesse capirla, e le disse una serie di cose che Cass non comprese assolutamente. Aron e Marina risero, mentre la bionda alzó le spalle e si convinse che avesse fatto comunque bene. Cercó il gelato e lo mise sul tavolo, poi frugó negli scaffali per trovare la nutella e gli smarties.
« Come si dice che è il mio gelato preferito? » Questa volta parló con la sorella di Aron, lui stava ancora ridendo. La donna si volse verso la figlia e le spiegó qualcosa.

« Dice che non ha mai provato a mettere la nutella sul gelato. »
« Oggi scoprirà che sapore hanno insieme. »
Le preparó un bicchiere di quella prelibatezza e glie la offrì, come fosse proprio un simbolo d'unione. Una sorta di strano rito.

Disse qualcosa, Cass si aspettava che qualcuno traducesse. « Dice che le piace, che ora è anche il suo preferito. »
« Ah! Lo sapevo! » Esultó sul posto, si agitó tanto che si sporse verso Aron e posó la testa sulla sua spalla, per un secondo. Perse un attimo la cognizione del tempo, dello spazio. Poi si spostó nervosamente dietro le orecchie dei ciuffi che le erano scappati dalle treccine.
Ania le indicó il viso e disse qualcosa, aveva la bocca sporca di cioccolata. Cass non capì.
« Dice che le piacciono le tue trecce. »
« Se vuoi posso fartele. »
Ah, giusto, non la capiva. Marina le spiegó cosa avesse detto. La giovane olandese assaggió il suo gelato, era squisito. Sembrava stessero parlando di qualcosa, lei restó zitta. Ogni tanto guardava Aron per capire dalle sue espressioni di cosa parlassero, se fosse tutto okay. Sembrava divertito. Gli diede un colpetto con il gomito.
« Che ridi? »
« Vuole che tu glie le faccia per andare a
scuola. »
« Si che posso. »
« Si, domani mattina? »
« Guarda che se con queste ci dormi rimangono su, posso farle adesso. » Si indicó la testa. « Diglielo. »
« Ma hai quello che ti serve? »
« Ah, no, non ho niente qui. Peró domani posso comprare tutto. E mi compro anche degli altri vestiti, non hai per niente gusto. » Stava scherzando, ovviamente. Lui le diede una piccola spallata. « I miei gusti sono impeccabili. »
« Secondo me questa roba l'hai presa nel reparto uomo. » Scoppiarono a ridere. « E poi mi serve un pigiama. »
« Ma usa uno dei miei. » Quindi ora erano amici?
Cassandra alzó le spalle, continuó a mangiare il gelato mentre Marina parlava con la figlia. Pensó fosse strano avere una figlia, e che Aron fosse suo zio.

Marina si rivolse nuovamente a Cassandra, chissà se aveva ascoltato i loro discorsi. « Vuole sapere se puoi fargliele domani. »
« Certo! Se ci dormi di notte poi il giorno dopo sono intatte, io le facevo sempre, perchè la mattina non sapevo come pettinarmi i capelli. »
E la sua scuola era molto severa, voleva tutti in divisa e tutti con i capelli perfetti. Ma Cass non aveva una mamma che sapesse farglieli.
Marina tradusse tutto quello che aveva detto, Ania sembrava davvero attenta. E stanca.

Parlarono ancora un po', Marina raccontó loro di come passasse le sue giornate, del suo compagno e di quanto lo amasse. E di Ania, non era una cosa programmata e avevano temuto di non rouscire ad essere abbastanza.
Perchè non avevano soldi, e quelli, anche se non bastavano, servivano. « Quindi ti ha fatto tipo una serenata? » Marina annuì, aveva raccontato loro di quando, una volta, avevano litigato e lui aveva deciso di mettersi sotto la sua finestra e implorare a suon di musica il suo perdono. « Tipo film. »
Pensó che a lei non l'avesse mai fatta nessuno, e che neppure l'avesse mai cercata. Mica poteva permettersi troppo romanticismo.
Pensó a Lidia e Klaus. Erano finiti il giorno del loro matrimonio.
Poi non l'aveva più chiamata. Si vede che era troppo stanco.
« Si, è stato molto carino. » Poi raccontó loro di come fossero stati fortunati nell'ultimo periodo, perche aveva trovato questo lavoro in fabbrica, e gli americani pagavano molto meglio dei vecchi proprierari. Aron sembró teso, allora Cass comprese che dovesse nascondere altro.
« Americani? Forse li conosciamo. » Cassandra ancora non aveva capito. Eppure bastava fare due più due. E infatti, quando Aron le tiró una gomitata, accese il cervello. « Ma come hai detto che le vorrebbe, le treccine? » Cambió subito discorso, ecco perchè Aron era così immischiato in questa storia.
Dopo un po' Ania fu davvero esausta, per tornare a casa chiamarono il compagno di Marina che le venne a prendere. Quelle non sembravano proprio delle strade sicure. Non era potuto venire perchè aveva il turno fino a tardi. Peccato.
Avrebbero organizzato un'altra cena.

Si misero a lavare i piatti insieme. Aron ruppe il silenzio per primo. « Allora? »
« Mi devi insegnare il polacco. » Aron roetó lo sguardo, poi lo abbassó sul bicchiere che stava strofinando.
« Comunque mi piacciono, peró non mi piace la storia del lavoro del suo compagno. »
« Quel posto me lo prendo io. »
« Non hai paura che possa raccontare dove ci nascondiamo? »
« Ma figurati se sa qualcosa. »
« In effetti... sembrano persone proprio semplici. » E buone, oneste.
Si tiró su le maniche del maglione, lui lavava mentre lei asciugava e metteva in ordine. Erano una bella squadra. Le piaceva passare il suo tempo con lui, ma questa era una cosa che sapeva già. Lo osservó impegnato nei lavori di casa e pensó che fosse un ruolo che gli si addiceva.

« Penso tu stia simpatica ad Ania. »
« Domani devo prendere degli elastici. »
« *Gumki. » *Elastici.
« Eh? »
« Elastici, gumki in polacco. »
« Gumki. » Ripetè da sola, si sforzó di non sbagliare pronuncia, come al solito.

« Tu parli bene il francese, giusto? »
« Oui. » La pronuncia era perfetta, impeccabile.
« Sai che non ho mai imparato, anche se Polina è fissata. »
« Se vuoi ti insegno, e tu mi insegni il polacco. »
« Ma io so parlarlo e basta, non so la grammatica, non so come insegnarlo. »
Lei non lo vide come un problema. Non doveva fare conferenze di grammatica polacca. « Insegnami a parlarlo. »
« Tieni, *weź talerz. » *Prendi il piatto.
« Si. » Ci arrivó a logica. Forse questo era il suo modo di insegnarle quella nuova lingua.
« *Tak. » *Sì.
« Cosa? »
« Tak, significa sì. » Era davvero sexy mentre parlava quella lingua. Cioè lo era sempre, ma quando le insegnava cose nuove, ancora di più.
« Ah, ok. »

Adesso era il suo turno, sistemó l'ennesimo bicchiere e poi chiuse lo scaffale.
« *Nous avons terminé ici. » *Qui abbiamo finito.
« Questa è difficile, dai. »
« Ho detto che qui abbiamo finito. »
« Si, possiamo andare a *palić papierosa. » *Fumarci una sigaretta.
« Non so quanto sia intelligente questo metodo. »
« Non lo so, ma mi sembra divertente. » Rise, poi andó a cercare le sigarette. Cass prese una birra dal frigo, poi pensó che forse la volesse anche lui, tornó indietro e ne tiró fuori un'altra.

Lo raggiunse nel salottino e si mise seduta sul divano, sull'unico divano che c'era in quella casa, accanto a lui. Aveva messo il posacenere in mezzo a loro, in modo che potessero arrivarci entrambi.
« Alla fine non è così male, qui. » Esordì lei, rubandogli l'accendino.
« No, infatti. È un posto tranquillo. » Lui aveva già acceso la sua sigaretta.
« Ho preso le birre dal frigo. » Le indicó con un cenno del capo, le aveva lasciate a terra. Aron si sporse in avanti per prenderle, le aprì entrambe con l'accendino e ne porse una a Cassandra.

Erano di una marca che non aveva mai visto, lei prese la sua e ne bevve un sorso. Si rilassó contro il divano e godette del silenzio in cui era sprofondata la notte. A New York non era possibile che ci fosse quella quiete, era sempre sveglia. « Visto che silenzio? » Prese un tiro di sigaretta.
« Si, è strano. » Si bagnó le labbra con la birra. Era ghiacciata.
« Qui è sempre così. »
« Non so se riusciró a dormire, sai? » Era difficile
« Si, capisco. Anche a me ha fatto lo stesso effetto, all'inizio. Poi ti abitui. » Passare dal caos costante al silenzio assoluto era difficile, il cervello doveva abituarsi ad un ambiente nuovo.

« Sei sempre stato qui? » Fece un'altra pausa per bere.
« No, all'inizio avevo preso una stanza in hotel, con Klaus. Poi ho pensato che fossi troppo rintracciabile, e poi volevo provare a cambiare un po' vita. » Cassandra non riusciva ad immaginare il perchè, ma non fece troppe domande.

« Quando questa cosa sarà finita facciamo una festa. »
« Una festa? »
« Si, così festeggiamo anche il matrimonio di Lidia e Klaus. »
Aron restó zitto, fece cadere della cenere nel piattino di vetro in mezzo a loro e poi prese un lungo tiro. Stava riflettendo su cosa dire? Cassandra non osó interrompere quel momento, era bellissimo. Sospiró, questa volta si vergognó di guardarlo negli occhi e si nascose, appena lui alzó il viso, fissando un punto lontano.
Improvvisamente il maglione era troppo caldo.

Abbandonó la sigaretta e se lo tolse, rimase con una maglietta di cotone pesante, verde scuro. Aveva il collo a barca, le si vedevano le scapole biancastre e a seconda di come si muoveva, le spalle. Il collo era piegato all'indietro, sullo schienale del divano.
« Io non penso di tornare. »

Lo disse tutto d'un fiato. Ecco, cosa stava cercando il coraggio di dire. Cass restó immobile. Non poteva mostrarsi troppo dispiaciuta, non poteva far vedere che quella notizia le avesse fatto attorcigliare lo stomaco fino a farle male, fino a darle il vomito. La gola le si chiuse, si affrettó a prendere un altro tiro di sigaretta e decise di non rispondere, di non dirgli proprio niente. Aveva paura di scoppiare a piangere. Mosse leggermente i polpastrelli dei piedi perchè doveva essere certa che sotto di lei ci fosse qualcosa, che fosse capace di muoverli.

Non aveva mai messo in conto di smettere di vederlo. Si era imposta di stargli alla larga, ma anche quando avevano progettato di scappare, lei era sicura che da qualche parte l'avrebbe sempre trovato. Così era diverso. Se gli affari si spostavano in Polonia cambiava tutto.
Chiuse gli occhi e pensó che odiasse quel silenzio, la faceva impazzire. « Ti va di fare un gioco? »
« Un gioco? »
« Con Vanessa lo facevo sempre, ci mettevamo sedute e ci facevamo delle domande. »
« E che gioco sarebbe? »
« Per non annoiarsi. » Era strano parlare di lei, adesso. Chissà cosa pensava Aron. La sua compagna da tutta la vita, adesso le era diventata acerrima nemica. Ed era convinta fosse colpa sua, era stata lei a presentarle Ricky.

« Va bene. »
« Inizio io. » Prese un sorso di birra. « Se avessi potuto scegliere, se non ci fossero state le cose imposte dalla vita e dalla società, cosa avresti fatto? »
« Ma che domande sono. »
« È un gioco. »
« Non mi piace. »
Cass si spazientì. « Se fossero state domande facili sarebbe stato noioso, no? » Si portó la sigaretta tra le labbra.

« Tu cosa avresti fatto? »
« Devi rispondere prima tu. »
« Non lo so, non ci ho mai pensato. Forse avrei studiato, avrei finito la scuola, mi piaceva andarci. »
« Non l'hai finita? »
« No, non ci sono riuscito. »
Cassandra non aveva mai realizzato quanto la vita di Aron fosse stata dura, non aveva mai potuto essere un bambino. Tutte le cose che anche lei -per quanto anche la sua infanza fosse stata diversa- aveva fatto, lui non se l'era mai potute permettere. « Puoi sempre finirla, ci sono i corsi serali, no? »
« Non lo so, non è una cosa stupida? »
Cass scosse il capo. « No, per niente. » Anzi, era l'ennesima cosa che le piaceva di lui. Era diventato il migliore partendo da svantaggiato.

« E tu? »
Ecco, ora Cassandra si sentiva stupida. Lui sì che aveva un vero desiderio, qualcosa da cambiare. Lei no. Aveva tutto. « Faccio questo gioco da anni ma non lo so mai. » Si lamentava tanto, ma alla fine, aveva tutto quello che qualcuno potesse desiderare. « Forse... non lo so, io alla fine ho fatto tutto, ho fatto pure troppo. »
« Non hai rimorsi o rimpianti? »
« Forse... » Lo guardó per un istante. Ripensó a quello che aveva letto sul proprio diario. « Forse avrei frequentato chi volessi davvero, e non gente solo perchè andava in certi posti... o perchè mi dava delle attenzioni in più. O perchè volevo essere come gli altri, le cose più stupide le ho fatte per questi motivi. » Era esistito davvero un periodo in cui lei aveva voluto essere come gli altri? « A volte facevo delle cose che odiavo, non so perchè. Peró questa, è una cosa stupida. »
« Perchè non c'era nessuno a dirti cosa fare, che fossi brava quando facevi la cosa giusta, a sgridarti quando sbagliavi. E nessuno ti aiutava, eri sola. Io me lo ricordo cosa facevi. »
« Ero stupida. »
« Eri triste. » Non ricordava. Non ricordava la tristezza. Solo tanta rabbia. « Puoi dire che se avessi potuto scegliere, avresti scelto di non essere triste. »

Come faceva a dire sempre la cosa giusta? Per poco non le si spense la sigaretta tra le dita, s'era incantata. Che imbecille. « Diciamo così. »
« Adesso tocca a me? »
« Puoi fare una domanda. »
« Allora... posso chiedere tutto? » Le sorrise, si stava divertendo. Cass pensó che con quel sorriso sì, che potesse chiedere tutto. Non gli avrebbe negato niente. « Se chiudi gli occhi e ti immagini tra... dieci anni, che cosa vedi? »
« Cioè alla tua età? »
« A volte mi scordo che sei così piccola. »
Tipo quando abbiam scopato, Aron? Le venne da chiederglielo ma si disse che fosse meglio non tirare fuori quei discorsi. Chiuse gli occhi, e provó a pensare alla se stessa del futuro. Le venne ansia. Perchè era incerto. Serró la mascella, provó a non considerare tutti i casini che stavano affrontando. « Laureata, con un bello studio a Manhattan, e con il figlio di Lidia e Klaus tipo a Natale, con tua madre che gli fa le foto e s'inventa cosa tipo... che ha la luna positiva... qualcosa del genere. »
« Il figlio di Klaus? »
« Secondo me fanno un figlio. » Aron non riuscì a contraddirla. Aveva ragione. Se lo aspettava anche lui. Rise, e poi spense la sigaretta.
« E tu? »
« Cosa? » Cass bevve ancora, la birra era oltre metà.
« Hai descritto gli altri, non te stessa. »
« Ah... credo che saró soddisfatta.
Nel mio studio, con le mie cose, finalmente avró un lavoro vero. »
« Mh. » Non era convinto.
« Tu? Come ti vedi? »
« Con mia nipote, mia sorella. E mia madre, in una casa come questa, oppure mentre andiamo a pesca. »
« Sai pescare? »
Si mise a ridere. Era una domanda giusta.
« No, ma impareró. »

Quello che non poteva proprio a dirgli, era che non riuscisse ad immaginare un futuro dove lui fosse lontano. Nel suo disegno era con sua nipote, con sua sorella e chiunque volesse, ma a casa loro. Se lo immaginava sorridere mentre Klaus discuteva con Polly su quanto intervenire nell'educazione del figlio, o della figlia. Si, forse lo vedeva più con una bambina.

Comunque, se lo vedeva sempre a portata di sguardo. In un posto dove potesse trovarlo quando avesse voglia di avere qualcuno che la capisse. « Klaus non ti lascerà mai fare Natale lontano da noi, anche se ti trasferisci qui. »
« Vorrà dire che saremo qualcuno in più. »
« Magari. »
« Addirittura. »
O forse qualcuno in meno.

Spense anche lei la sua sigaretta e spostó il posacenere a terra. Le sembrava troppo im bilico, sul divano. « Cosa stiamo aspettando? »
« In che senso? »
« Per fare quello che va fatto. Dovete uccidere i Murray, no? E poi anche Vanessa. » Non l'aveva accettato, per niente. Eppure si stava sforzando con tutta se stessa. « Quanto ci vuole? »
Era nervosa, impaziente. Quell'attesa la distruggeva, poi lì non aveva niente da fare.
« Aspetto che mi chiami Klaus, come sempre. »
Avevano sempre funzionato in quel modo. « Lo so che non serve a niente, ma mi dispiace davvero, Cass. » Parlava come se li avesse già fatti fuori, come se fosse tutto già finito.
« Non si puó proprio fare altrimenti, vero? »
« Hanno quasi ucciso Lidia. »
« Ma io sono sicura che... almeno Vanessa non c'entra niente, mi aveva addirittura detto che si trasferivano insieme, che sarebbero venuti in Est Europa... sono proprio sicura... »
Aron a quel punto comprese che dovesse farle un discorso serio, non era piú una bambina, era dentro ai loro casini fino al collo.
Lo vide spostarsi verso di lei, indietreggió d'istinto. La rendeva vulnerabile. « Immagina di amare qualcuno da morire. » Lo disse quasi sottovoce, in un modo che la fece sciogliere completamente. « Immagina di cambiare vita, lasciare i tuoi amici ed essere disposta a tutto, pur di stare con questa persona. » L'aveva già fatto? Aveva mentito a Klaus, era scappata a Londra e poi in Polonia in quella casetta tutta rotta. « Quando ami qualcuno così, e qualcuno te lo porta via, vuoi solo vendicarti. Non conosci ragione, non c'è verità che tenga. » E tu che diavolo ne sai, Nowak?
Mentre parlava le si avvicinava di più, sporgendosi in avanti con il corpo sul divano di pelle. Cassandra sentiva il petto implodere, lo stomaco impazzire e il cuore fare fatica ad avere un ritmo regolare. Ma come diavolo faceva.
« Tu ascolteresti qualcuno, se ti venisse risparmiata la vita? » Assolutamente no. Improvvisamente non si sentì più minacciata da lui, lo capiva. Si rimise dritta. Erano troppo vicini ma non le importava. Si morse una guancia e poi fissó lo sguardo nel suo.

« Se qualcuno mi risparmiasse la vita e uccidesse chi amo, la vita sarebbe la punizione peggiore, peggio dell'inferno. »
Glie lo disse con gli occhi, che stava parlando di lui. Che se un giorno lui non fosse più tornato da lei, avrebbe raso al suolo il mondo.
Era stata proprio quella paura, a spingerla a cercarlo, la prima volta che era stata da lui.

« Non hai più niente da perdere, e la morte diventa una liberazione. »
Cassandra non pensava più, non sapeva che dire, neanche come comportarsi. Ferma, ferma, ferma. Riusciva a pensare solo ad una cosa, solo alle sue labbra, al suo fiato caldo addosso e il suo corpo. Lo ricordava a memoria, ogni cosa urlava che volesse solo essere baciata, e toccata come sapeva fare solo lui.

Potevano stare solo insieme.
Se succedeva qualcosa e l'altro era lontano, impazzivano.
Eppure, non sapevano come si facesse a non scappare.
Come si risolveva una cosa simile?

« Vai a letto, Cass. » Lo disse con un tono che non ammetteva repliche.
Vieni con me. « Si, è meglio. »

Si alzó, quando fu lontana da lui le sembró improvvisamente di ricordare come si respirasse. Prese il maglioncino e andó nella sua stanza. Quando fu dentro si lasció andare, chiuse gli occhi e scivoló a terra, spingendosi con la schiena contro la porta sottile. Non poteva farcela. Quella, era un tortura. Non sapeva neanche cosa volesse, i suoi pensieri sembravano chiari solo quando era con lui, ma la ingannavano sempre.

Il pigiama. Speró di trovarlo senza dovergli chiedere niente, non aveva voglia di rivederlo.
Aprì tutti i cassetti, trovó delle lenzuola pulite e una bibbia impolverata. Poi finalmente il cassetto giusto, riconobbe una delle tute blu di Aron. La tiró fuori velocemente dal cassetto e se la portó vicino al letto. Mentre se ne appropriava, peró, vide qualcosa cadere a terra. Un altro libro.
Pensó fosse un'altra bibbia. Erano proprio fissati in quel posto, con la religione. Invece quando si avvicinó con la mano, riconobbe la copertina rovinata e gli adesivi della apple appiccicati sopra. Era il suo diario.
Che ci faceva lì?
E soprattutto, Aron l'aveva letto?
Che palle.

💎💎💎
Capitolo intenso eeeh
Andrà sempre peggio
Preparatevi a soffrire (ma anche a gioire ogni tanto)

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