CAPITOLO 35


May god have mercy on my
enemies
'Cause i won't

« Pronto? »
« Murray. »
« Che cazzo dici. »
« Il nome è Ricky Murray. »

Silenzio.
Aveva poco più dell'età di Cassandra, e già stava per farsi ammazzare dai suoi amici. Klaus sapeva quale fosse la cosa giusta da fare, toglierlo di mezzo e prendersi tutte le sue cose, i cari se ne sarebbero fatti una ragione, e anche Cass.
Era solo questione di tempo, perché prima o poi accadesse qualcosa del genere, non avevano il lusso di restare bambini così a lungo.
Avrebbe potuto provare a risolvere, a chiarire, come gli avrebbe consigliato Lidia, perfino sua sorella. Ma dentro lo sapeva, che non esisteva altra soluzione alla morte.

Probabilmente i Murray si erano mossi perché credevano Aron e Klaus avessero litigato per sempre, doveva averglielo detto Vanessa. Credevano fosse solo, e che lo fosse anche Klaus. Invece li avevano scoperti, e avevano firmato la condanna a morte del loro figlio minore.

Quei giorni erano stati un inferno, era raro che temesse la morte, ma adesso aveva troppo da perdere. « Klaus, che succede? » La compagna notò che qualcosa non andasse, lo stava cercando da dieci minuti.
« Sposami. »
« Sei impazzito? » Non sapeva se essere felice o terrorizzata, da quell'idea folle e allettante. Era seduto dietro la sua scrivania, mentre Lidia lo guardava dall'alto, incredula. Lo raggiunse e si chinò per baciarlo.

« Ho bisogno che mi sposi. »
Era distrutto, si era ritrovato nella situazione più difficile che avesse mai affrontato in vita sua. Lidia ancora non capiva bene, si mise a sedere sulle sue gambe e gli prese una mano. « Che cosa succede? »
Lui piegò la testa su di lei, abbassò lo sguardo come se si vergognasse. « Devo fare una cosa terribile. » La strinse forte, nell'aria ancora si sentiva l'odore della sigaretta che aveva appena consumato.
« Terribile per chi? »
« Mia sorella. »
« E per te? »
« Si, anche. »
« E allora perché devi? »
« Lavoro. » Il suo lavoro era la sua vita. « Ti prego, sposiamoci, voglio fare almeno una cosa che mi renda felice, nella vita. »
« Klaus, non devi per forza fare quello che le persone si aspettano da te. »
« Non hai capito, ci ammazzano tutti se non faccio niente. »
Adesso non sapeva più che dire. « Sposiamoci. » Lo capiva o lo stava solo assecondando? Almeno dopo quell'informazione era riuscita a comprendere perché Klaus avesse tanta paura. Lui si sentiva vuoto. Era sicuro che Ricky non sapesse nemmeno bene quello che stava facendo, voleva solo l'approvazione dei genitori e un posto dove comandare, per dare qualcosa a Vanessa. Avevano sottovalutato tutto. Erano tutti contro tutti. I De Vito, Murray, Lacroix. Restavano solo i Draper, che parevano restare fuori da quei conflitti interni. Inutile dire, che ne sarebbero usciti quasi certamente da vincitori. Sarebbe stato facile ricattare chi era troppo stanco per difendersi.

Per mettere a tacere la propria mente, Klaus si avventò sulle labbra di Lidia e le divorò come fossero l'unica cosa per cui vivesse. Ne aveva bisogno. « Aspetta un secondo. » Un sorrisetto sghembo gli coloro il viso, sembrava tornato quello di sempre. Allungò una mano sotto la scrivania, tirò un cassetto di legno e poi cercò dentro una scatoletta di velluto. La porse a Lidia tutto contento. « Non è una vera proposta senza l'anello. »
« Allora dovresti inginocchiarti. »
Le sorrise, malizioso. Chiuse la scatoletta nelle mani e la fece scendere, accarezzandole lentamente le gambe. S'inginocchiò davanti a lei, puntando le ginocchia sul tappeto morbido.
Alzò lo sguardo e finalmente le mostrò il bellissimo anello che aveva scelto per lei, settimane prima. L'aveva visto e non aveva saputo immaginare un luogo più adatto per lui che sulla mano della donna che amava. Era d'oro, al centro aveva incastonato un grosso zaffiro e tutt'intorno file di piccoli diamanti, luminosissimi. Era bellissimo. « Mi vuoi sposare? » Non si era mai messo in ginocchio per nessuno, a Lidia venne quasi da ridere. Restò in silenzio e Klaus pensò avesse cambiato idea. « ...Ti prego rispondimi. »
« Si, ma certo. » Lo fece alzare, e si abbracciarono subito. Klaus la strinse forte e la sollevò da terra, aveva bisogno di una cosa buona, di una cosa giusta. Le infilò l'anello. La guardò intensamente, nei suoi occhi rivide tutto il senso della sua vita.
La baciò ancora, e ancora, ancora fin quando non dovette prendere fiato. « Domani. » Sentiva il suo respiro caldo sulle labbra.
« Domani? »
« Non riesco ad aspettare. » Ed era vero, non aveva mai saputo come fare. Klaus aveva tanti pregi, ma le attese lo distruggevano.
« Ma siamo solo io e te, non ci serve un testimone? »
La sollevò da terra, per un momento si scordò di cosa stessero parlando, andò vicino al muro e la imprigionò contro il suo petto. « Non me ne frega niente. » Le morse il collo, poi le sbottonò frettolosamente la camicia.
« Voglio un bel vestito, solo il vestito. »
Si staccò un momento dal suo corpo, la guardò e le sorrise. Poi si avvicinò al volto dolce di lei e le sfiorò le labbra con la lingua. « Tutto quello che vuoi, tutto. » Sarebbe andato a prenderle la luna dal cielo, se glie l'avesse chiesto e Lidia lo sapeva, quanto potere avesse sulla mente del suo amato. Se normalmente questa cosa terrorizzava Klaus, ora voleva che usasse tutta la sua influenza per rendere la sua mente meno vicina all'inferno che stava vivendo. « Avvisa i tuoi genitori. » Non aveva intenzione di lasciarla andare, mentre le dava quel consiglio si fiondò sul suo seno.
Lei inarcò la schiena e sospirò rumorosamente. « ...Dopo. » Gli piaceva quando riusciva a vedere chiaramente quale effetto le facesse. Quindi continuò, la spogliò completamente della camicia e le sbottonò i jeans. Lei lo liberò della giacca e di quella fastidiosa cravatta che gli legava la camicia al collo. « Ti amo da morire. » E aveva detto bene, proprio da morire.

La spostò sul letto e le triò via le scarpe e i pantaloni, non aveva voglia di fare quello dolce, e a Lidia andava bene così. S'infilò tra le sue cosce senza darle il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, la sentì afferrargli il capo mentre muoveva la lingua tra le sue labbra e gemeva, ogni volta che si scioglieva su di lui. Stava per venire, ma a Klaus non importava.
Si chinò sul corpo eccitato di Lidia, impaziente, e si fece spazio con un grugnito pesante dentro di lei. Teneva la bocca chiusa, lo sguardo cercava disperatamente quello della sua amata, le mordeva il collo, poi le labbra e le succhiava il lobo dell'orecchio. E si perdeva nei suoi occhi mentre il piacere cresceva e gli toglieva completamente la ragione. Era la sua droga.

Aumentò il ritmo lentamente e Lidia si aggrappò alla sua schiena, disperata e ormai completamente devastata dalla devozione che provava per Klaus.

Era sicura che lui credesse lei gli avesse risolto la vita, e non sarebbe stato sbagliato, era una psicologa: ma si sentiva certa del fatto che fosse accaduto il contrario. Non aveva mai provato nulla di così intenso. Una scossa di piacere le attraversò la schiena e poi le esplose nel ventre, bruciandole tutto, il petto, le gambe, le braccia e le cosce tese. Klaus restò dentro di lei ancora un po' prima di separarsi dal suo corpo, solo per il gusto di prolungare quel momento.

« Ti amo. » Lidia lo abbracciò debolmente, esausta. La scatoletta blu, nella foga del momento, era caduta a terra. Si guardò la mano e ammirò il suo anello.

Klaus era nei casini fino al collo, lo sapeva, ma in quel momento si sentiva l'uomo più felice e fortunato dell'universo. « Sicuro che vuoi sposarti domani? »
« Si, perché? Serviamo solo noi due e dei testimoni, non voglio nessuna festa. »
« Non c'è tua sorella, e neanche Aron. »
« Loro stanno bene dove sono. » Separati. In posti dove non possono fare danni. Farli ritrovare sarebbe stato un grosso errore. « Voglio che sia una cosa nostra e basta, per una volta. »
Le prese una mano, era ancora calda. Si sporse su di lei e le lasciò un bacio dolce sul naso. « Io e te, e basta. » Chiuse gli occhi, immaginava già la scena. Loro due, per sempre. Una specie di fuga di un giorno. Le morse una guancia, poi le scivolò accanto. « Se nel mondo ci fossimo solo io e te, sarebbe molto meglio. » Era raro che Klaus esternasse pensieri così profondi, davanti a Lidia si mostrava in un modo che per molto tempo non aveva saputo neppure di essere: fragile, sognatore. Felice. Con delle speranze.
Lei si rannicchiò vicino a lui, gli strinse un braccio e gli ridacchiò contro la spalla.
« Ti annoieresti. »
« No, farei tanti figli, così non ci annoieremmo mai. » Ci fu un momento di silenzio in cui entrambi non seppero cosa dire, se esternare i propri pensieri o non osare. « E ora? Li vuoi anche se non siamo soli al mondo? »
Fare una pazzia come sposarsi improvvisamente era una cosa, fare dei figli, completamente un'altra. Non aveva mai pensato di voler fare il padre. Eppure con Lidia sembrava tutto meraviglioso. Dovette pensarci, e forse questo creò dispiacere nella sua compagna, ma fu inevitabile. Era difficile. « Si, assolutamente si. »
Il tono di voce era carico di convinzione, lo disse come se avesse preso una specie di impegno e questo rassicurò Lidia, che aveva visto nel silenzio di prima un po' di imbarazzo. « Quanti? »
Le sorrise, tornò su di lei e le accarezzò un fianco. « Quanti ne vuoi. » Scese fin sotto la schiena e le accarezzò i glutei tondi.
« Sicuro? » Le leccò il petto, poi tornò a stuzzicarle un seno.
« Certo, fare figli è una delle cose che amo fare di più con te. » Alzò lo sguardo solo per controllare che Lidia stesse ridendo. Se non fosse stato sicuro delle proprie parole non le avrebbe mai pronunciate. Odiava mentire alle persone che amava.

Fecero l'amore un'altra volta, e poi ancora, fin quando non arrivo l'ora di dormire, e di lavorare. E poi dovevano pensare al matrimonio. Decisero un'ora a caso, la sera. Greta aiutò Lidia con il vestito, riuscirono durante la mattina a trovarne uno perfetto. Pagando il giusto prezzo lo ottennero subito, e Lidia si accontentò di quello da campionario. Le stava perfetto. La parte superiore era un corpetto bianco, mentre sotto si allargava in una gonna non troppo grossa. Semplice, ma super raffinato.
Non aveva avvisato neppure i propri genitori. Come aveva detto Klaus, doveva essere una cosa solo loro. Decisero di sposarsi nel salotto grande, solo perché sembrava la stanza più adatta per una cosa così bella. Fu pagato profumatamente anche l'ufficiale che celebrò la loro unione, avvisato all'ultimo e poco disposto a modificare tutti i suoi piani per due pazzi.

« Vi dichiaro marito e moglie. »
Chiuse così il suo monologo, prima che potesse aggiungere altro, si stavano già baciando. Sembrava una recita, e invece era tutto vero. Klaus le prese il viso tra le mani e fece in tempo a posare le proprie labbra sulle sue, che si sentì la porta aprirsi violentemente. Si volse subito per rimproverare chiunque li avesse interrotti, proprio ora che avevano la fede al dito. E rimase scioccato, quando vide chi diavolo avesse davanti: Vincent. L'aveva sempre odiato. Non fece in tempo a ordinargli di andarsene, che lo vide tirare fuori una pistola. Chi cazzo l'aveva lasciato entrare?
Notò che fosse vestito da cameriere.
Aveva ingannato tutti.
Lidia sbiancò, ebbe l'istinto di proteggerla.
« Che vuoi? »
« Che tu smetta di esistere, Van Der Meer. Non  farne una questione personale, ma dovevate estinguervi già da tempo. »
In quell'istante, mentre premeva il grilletto, arrivò Dominic che lo spinse di lato e lo buttò a terra, sotterrandolo sotto il suo corpo.
Pensavano d'essersi salvati tutti, ma il proiettile deviato era finito su Lidia, sul suo bellissimo vestito bianco. Si riempì di rosso all'altezza del fianco, Klaus pensò di morire.
Si buttò a terra per sorreggerla mentre cadeva, era colpa sua, aveva ignorato il lavoro per pensare al matrimonio. Forse se non le avesse chiesto di sposarlo non sarebbe successo niente. Urlò a chiunque fosse nei paraggi di chiamare l'ambulanza, mentre Dominic ammazzava di botte Vincent. C'era sangue ovunque.
« Lidia, Lidia... non ti addormentare, non chiudere gli occhi. » Cercava di tenerla sveglia, mentre arrivavano i soccorsi. Se ci fosse stata Polina avrebbe saputo cosa fare. Si sorprese a piangere, ma non se ne vergognava. Le mani e ogni cosa era zuppa del liquido vermiglio che le usciva dalla ferita. Lui s'era tolto la giacca per premerla dove credeva fosse entrato il proiettile, con la speranza di arrestare l'emorragia.
« Non puoi abbandonarmi, non te lo perdono, non te lo permetto. »
« Klaus... » Mormorò piano lei, riusciva a muovere poco le labbra. « Ti amo. »
« Dimmelo dopo, quando starai bene. » Suonava troppo come un addio e non gli piaceva.

Finalmente arrivarono i soccorsi, e Lidia gli fu portata via. Gli rimase solo il suo sangue addosso e sui vestiti, la puzza di morte ancora a riempire quel posto. Aveva sottovalutato una situazione gravissima. Aveva ragione Cassandra, avrebbe dovuto parlare prima con Achille, con Aron, invece s'era rincretinito. Divisi non andavano bene. Volevano ammazzarli tutti lentamente.
Avrebbe voluto piangere, chiamare Polly, rassicurare Andrea che non si vedeva da giorni.
Che diavolo avesse da fare, nessuno lo sapeva.

Klaus ebbe improvvisamente un'idea. Doveva richiamare tutti all'ordine, decidere in fretta. Chiamò subito la signora Nowak.
« Polly, stai attenta, ci vogliono morti. »
« Che ci provino. »
« Ti mando qualcuno. »
« Ci sentiamo. »

Poi arrivò il momento più difficile. Doveva avvisare Aron. In realtà non vedeva quasi l'ora di sentire la sua voce. In un momento così straziante gli mancava da morire. « Due chiamate in un giorno, addirittura. » Sentenziò Aron, sarcastico come suo solito.
« Hanno sparato a Lidia, io ero il bersaglio ma hanno sbagliato. Vincent. »
« Cazzo. »
« Ammazza quei pezzi di merda, Aron. » Era un ordine, non una supplica. Glie lo stava imponendo, a tutti i costi. Mentre ancora si rigirava la scatoletta blu tra le mani.
La verità era che si sentiva un verme. « Considerali morti. » È colpa tua, Klaus. È colpa tua.
« Si sono alleati con la gente sbagliata. »
Non gli importava più nulla, di Ricky, Vanessa, di essere un assassino. Avrebbe raso al suolo New York, se ne avesse avuta la possibilità.

« Si sono scelti i nemici, sbagliati. » Parlò con una determinazione tale che Klaus riconobbe il suo amico. Si volevano bene, alla fine.

Per fortuna che Cassandra era a Londra, si sarebbe persa tutta quell'agonia. L'avrebbe subita al suo ritorno. Sarebbe arrivata quando le cose erano già sistemate. E Klaus aveva intenzione di sistemarle presto.
Si strofinò le mani ancora sporche di sangue, doveva riprendere il controllo delle cose. Prima di tutto capire dove cazzo fosse Andrea. Ordinò ad alcuni suoi uomini di trovarla e chiuderla in casa. Poi si pulì, e fu la cosa peggiore che avesse mai fatto in tutta la vita. Riguardava la fede al dito e gli veniva voglia di buttarla via.

Se solo non si fosse lasciato andare...
Forse era sbagliato lasciare Cassandra lontano, lì l'avrebbero scovata facilmente. E poi doveva dirle di smettere di parlare con Vanessa. Gli avrebbe mai dato ascolto? Prese comunque il cellulare.

« Klaus? Hai idea di che ore siano, qui? »
« Ascolta, è successo un casino, hanno provato ad ammazzarmi e invece hanno preso Lidia. Vincent e Lacroix ci vogliono morti, e si sono alleati con i Murray, quindi smettila di parlare con Vanessa, perché non devono sapere che cosa cazzo facciamo. »
« Non ci credo, non ci credo che... ma a me aveva detto che volevano andare in Europa, che c'entri? » Le tremava la voce, avrebbe voluto essere dispiaciuto ma aveva in testa solo Lidia che si accasciava a terra.
« Ad Est, dove ci siamo io e Aron. » Bingo.
Ci fu un momento di silenzio, in cui Cass comprese che fosse tutto vero. « Ma Vanessa è mia amica, lei non ne sa niente di queste cose—» La interruppe, perentorio. «Vanessa sta con uno che ci vuole morti. Ha scelto il suo destino, smettila di parlarle e accettalo anche tu, non è più l'amica che conoscevi. »
Invece era proprio l'ennesima vittima innocente di quel mondo, come anche Ricky. « E Ricky? Volete... »
« Anche lui ha scelto il suo destino. »
« ...Ma sono miei amici, state—siamo cresciuti insieme! »
« E ora siete nemici. Non fare cazzate, qui siamo già abbastanza nella merda. E tieni gli occhi aperti. »
« Posso restare qui? »
Prese un respiro profondo. Pensava peggio. Ora doveva solo sperare che sua sorella non facesse cazzate.
« Penso di sì, se ti senti più sicura qui puoi tornare. »
« No, no. Ma Lidia sta bene? »
Silenzio. Come faceva a dirglielo senza piangere? Si passò una mano sulla fronte e poi sospirò, triste. « No, per niente. »
Cassandra comprese, in quell'esatto istante, che fosse guerra aperta. Che nessuno di loro e delle persone che amavano fosse al sicuro, e che dovevano cavarsela da soli. Per la prima volta si erano divisi, e questo, la gente la vedeva come una debolezza. E aveva ragione. « Se hai problemi Aron è in Polonia, ci metti meno a raggiungere lui che me. Purtroppo non c'è altra soluzione, gli affari sono affari. Ti preferisco con lui che morta. »

Sembrava assurdo, ma ad unirli ci stava pensando la paura, il terrore, la morte. Avevano iniziato insieme, c'erano dentro fino al collo e non potevano scappare. Non la sentì protestare, pensò avesse capito. Poi Cassandra sarebbe stato un altro problema da risolvere. Non avrebbe mai retto al dolore di perdere un suo amico.

Non s'informò su come stesse Lidia, non volle pensarci neppure un attimo. Si fiondò nel lavoro e cercò disperatamente di vendicarla, voleva uccidere chiunque avesse osato pensare di potersi infilare in casa sua e passarla liscia.
Convocò i più fedeli nel suo ufficio, aveva ancora i vestiti sporchi di sangue. « Voglio che li ammazzate tutti. »
« Solo gli uomini? »
« Loro hanno sparato a mia moglie, mi sembra. »
« L'obbiettivo eri solo tu. »
« Non sei d'accordo su come gestisco le cose? » Non era una richiesta, ma una minaccia.
Si vedeva che Lidia non poteva parlare. Se ci fosse stata, avrebbe placato la sua sete di sangue dicendogli che non avesse senso diventare una bestia, che forse per Ricky e Vanessa ci fosse una soluzione diversa. Ma la voce della sua coscienza era spenta. Sentiva solo rabbia. Vedeva solo vendetta. E se perfino i suoi uomini erano titubanti sull'ammazzare gente innocente e indifesa, a lui non importava.

Lo stesso di prima abbassò il capo.
« No, scusa. »
« Andate. » Era un ordine che non ammetteva obiezioni. E neppure sarebbe stato consentito a nessuno di parlargli fin quando non avessero fatto quello che aveva chiesto. Lui restó a casa, a pensare, senza aver mai il coraggio di chiamare l'ospedale. Di informarsi su Lidia.
Piuttosto, voleva capire dove diavolo fosse Andrea. L'aveva sempre considerata poco e non si fidava di lei, l'aveva accolta in casa ma non aveva saputo farsi accettare, nessuno le confidava niente. Si cambiò la camicia e decise che non avesse tempo di chiamare nessuno per trovarla, voleva pensarci lui.

Il primo posto dove pensò di cercare fu il locale dove lavorava con Irina, l'altra che Aron si era ostinato a voler aiutare.

Aprì la porta e tutti si misero sull'attenti, non lo aspettavano, non in quel periodo. Non con Lidia nei casini. Aveva la pistola nascosta sotto la giacca e sul viso l'espressione peggiore che potesse. Si affacciò al bancone nero, lucido ma non abbastanza pulito per accoglierlo. Se solo avessero saputo... il gestore del locale sudava freddo. « Mandami Andrea. »
« Andrea? » Sobbalzò, in preda al panico. Era un uomo di mezza età, aveva i capelli bianchi e un orologio troppo costoso al polso, per essere solo uno che gestiva un bar.
« Sei sordo o stupido? Voglio Andrea. »
« Non è qui, Andrea... »
« E dove cazzo è? »
« Ha cambiato i turni, oggi c'è— » Klaus non lo lasciò finire, batté con forza il pugno sul bancone. « Avevo detto che doveva essere controllata, adesso tu sai dove si trova? » L'uomo era pietrificato. Klaus si volse verso la sala. « Qualcuno di voi sa dove cazzo sia? »
« Forse... forse è con Irina. »
« Chi parla? » Era una nuova assunta, una ragazzina di diciassette anni. Klaus si calmò per un attimo, gli sembrò di vedere sua sorella. « Vieni qui. » Quella ebbe paura, ma il tono del suo capo era un mix tra autoritario e comprensivo, non le avrebbe fatto niente. « Sai dove vanno? »
« Si sono messe d'accordo per pranzare insieme. » Le tremava la voce. « Le ho sentite... le ho sentite ieri. » Era terrorizzata, Klaus pensò che dovesse essere realmente disperata per non andarsene.
« E dove andavano? »
« Vanno sempre in quel posto a due isolati da qui, quello con la terrazza panoramica. » Klaus assottigliò lo sguardo, era Cassandra l'esperta di locali. Sapeva evitare i loro mantenendosi sempre neutra. « Ricordi il nome? »
« No, ma è famoso, ci va tanta gente. Forse The Black Rose, o qualcosa del genere. »
« Davvero? » Sgranò gli occhi. « Sul serio vanno lì? »
« Si... » Era una cosa così grave? Forse la giovane stava benedicendo tutte le volte che aveva rifiutato un invito a seguirle. Non si fidava di loro neppure lei.

A quel punto si rivolse all'idiota a cui aveva dato il posto in gestione. « Io e Aron ti abbiamo dato questo posto perché controllassi che cazzo facessero i dipendenti, perché mi sembra che invece tu non sappia un cazzo di niente? »
« Come potevo sapere— »
« Stai zitto. Hai cambiato i turni senza avvisarci, ti avevo detto di avvertirci di qualsiasi cosa, c'era un motivo, no? Imbecille. » Cercò una sigaretta nella giacca.
« Non accadrà mai più— »
Klaus sorrise, la sigaretta stretta tra le labbra. « Certo che non accadrà più, sei licenziato. »
« Ma— vattene immediatamente. Ringrazia che ti lascio la lingua per lamentarti. » Fece per obbiettare, ancora, ma poi decise di stare zitto. E scappare, con la coda tra le gambe e un bel gruzzoletto di soldi in tasca. Per fortuna non sapeva abbastanza segreti da essere una minaccia. A quel punto Klaus tornò dalla ragazzina. Tirò fuori lo zippo d'oro con le sue iniziali incise e si accese la cicca. « Come ti chiami. »
« Alexandra. »
« Quanti anni hai? »
Oh, poverina. Ancora non lo sapeva che entrare nelle grazie di Klaus equivaleva ad una condanna a morte. « Diciassette, ho diciassette anni. »
« Come pensi che funzionino le cose in questo posto? »
« In che senso? »
« Cosa ha sbagliato quel coglione che ho cacciato? » Eccola, la bestia. Il Van Der Meer forgiato ad immagine e somiglianza di suo padre.
« Io... beh, parlando di lavoro, penso che avesse i suoi preferiti a cui lasciava fare quello che gli pareva, e poi voleva entrare nelle grazie di Irina e... la sorella della tua— sua compagna, non pensava molto al suo lavoro, ecco. Credo abbia sbagliato queste cose... » Nessuno osava parlare. Klaus annuì, prese un tiro dalla sua sigaretta e poi ne offrì una ad Alexandra. « No, grazie. »
« Da oggi qui comandi tu, sei l'unica che ha notato cosa facciano gli altri, o comunque l'unica che ha avuto il coraggio di parlare. E sei la più piccola. »
« Ma ho solo diciassette anni, non mi ascolteranno mai. Sono anche l'ultima arrivata. »
« Sei la più intelligente, e comunque Aron Nowak ha iniziato molto prima di te. » Ora era un esempio da seguire? Certo che lo era. Era diventato meglio di Klaus partendo da niente. Per questo la Volpe lo considerava indispensabile.
« Io— » Non le stava offrendo un lavoro, glie lo stava imponendo.
« Se ti ho dato questa responsabilità è perché sono sicuro che tu possa farcela, anche io osservo tutto, Alexandra. » Detto ciò, andò via. Era meglio prenderli giovani e insegnargli tutto, invece che ritrovarsi degli stronzi presuntuosi e incapaci.

Andare al The Black Rose da solo non era una mossa furba, ma era l'unico modo per coglierle di sorpresa. Quel posto era dei De Vito, nessuno di loro poteva metterci piede. Se andavano lì significava che Andrea era ancora la loro puttana.
Prima di andare nella tana del lupo, però, chiamò Aron. Di solito lui aveva sempre delle soluzioni meno precipitose. « Nowak, ho scoperto altro. »
« Cosa? »
« Irina e Andrea. »
« Ci hanno traditi? »
« Hanno fatto amicizia con i De Vito. »
« Non ci credo... »
« Volevano fregarci. »
« Che intendi fare? »
« Non posso uccidere Andrea, è la sorella di Lidia, non mi perdonerebbe mai. »
« E Irina? » Non l'aveva mai amata, mai. Ma le aveva voluto bene in un modo che non s'era mai spiegato. Perchè aveva deciso di fregarlo?
Polina gli avrebbe detto che a quella erano sempre interessati solamente i soldi. Mai lui. Aveva ragione. « Se lo dici a Polly la ammazza lei. »
« Tutta sua. » Ridacchiò. Poi pensò che avrebbe fatto meglio a tendere loro una trappola, ad attirarle con quello che amavano di più: il denaro. Chiuse la chiamata e decise di andare da Polina. Prima l'avvisò, in modo da sapere da sapere dove cercarla. Era al maneggio, ovviamente. Non ci metteva piede dall'ultimo evento, sembravano così felici, in quei ricordi.
Bussò al suo ufficio e se la ritrovò davanti, con il solito fare sospetto e la faccia corrucciata.
« Che succede? »
« Irina e Andrea ci hanno traditi. »
« Di Irina ho sempre saputo che ci avrebbe creato casini. Ma Andrea... » Scosse il capo, aveva tanti dubbi. « Sicuro? »
« Si, sono a pranzo insieme. »
« Le hai viste? »
« Le ha viste una dipendente del locale dove lavorano. »
« Chi è questa? » Il tono di voce irritato, un'altra di cui non sapeva niente. Klaus sorrise, pensò che sarebbe davvero morto se non ci fosse stata lei. Che gli sarebbe mancata tanto.

« Lavora con loro, è una nuova, ha diciassette anni, pensa. »
« E ti fidi? »
« L'ho fatta assumere perché è sveglia. »
« Appunto, più sono sveglie, più sono stronze. »
« Parlerò con loro. »
« Ma hai già deciso. »
« Si. » Ci voleva proprio una lettura del suo mitico te. Riusciva sempre a dare una specie di motivazione a qualsiasi cosa succedesse. « Abbiamo sbagliato a dividerci tutti. »
« Pensavate di farcela da soli. »
« È troppo tardi, vero? » Polina sospirò, si massaggiò la fronte lentamente e poi alzò le spalle. « Forse no. Ma tua sorella a Londra corre un bel rischio. »
« Le ho detto che può andare da Aron. » La donna alzò le sopracciglia. Vide un barlume di speranza, forse non era tutto finito. « Lui l'ha sempre protetta, anche se è un coglione, non le è mai successo niente. »
« Si, mio figlio è proprio un coglione. » Ma ama tua sorella.

💎💎💎
La storia si fa più intensaaa!
Non vedo l'ora di farvi scoprire cosa succederà. Klaus innamorato ha abbassato un po' la guardia ed è successo questo casino, e sono tutti separati! Voi che dite? Riunione improvvisa o ce la fanno da soli?

...Oppure qualcuno non ce la fa?

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