CAPITOLO 33
People empty me.
I have to get away to refill.
Cassandra aveva i bagagli pronti fuori dalla porta della propria stanza. Tante cose le aveva lasciate a Londra, altre glie le avrebbero spedite. Aveva un po' d'ansia. Era tanto che non tornava lì, l'ultima volta che era stata in Europa non era finita bene. Sapeva che casa non le sarebbe mancata, non le era mai mancato niente e nessuno, era abituata agli addii, e anche alla solotudine. Guardó oltre il letto e studió la sua scrivania, non le sarebbe mancata neppure quella. Neppure il proprio riflesso allo specchio.
Alla fine con Achille non s'era vista e lui non aveva più richiamato, credeva si fosse arreso o magari lui pensava Cass fosse morta d'overdose, troppo ubriaca per ricordarsi qualsiasi cosa. Che avesse raccontato tutto a Klaus era proprio la cosa meno probabile.
Insospettabile.
Inaffidabile.
Su Aron non sapeva ancora cosa pensare, non capiva cosa provasse. Solitamente -almeno con lui- era facile: desiderio, passione, disperazione e rabbia. Amore? Non ne avevano mai avuto il tempo, ma forse era proprio per questo che la loro storia sembrava così appetitosa.
Pensó che le avesse fatto rischiare il suo rapporto con Klaus per un capriccio, e che forse, come tutti, avesse un casino di problemi anche lui.
Non si era mai soffermata su cosa Aron volesse, aveva sempre e solo cercato di non far arrabbiare Klaus, di nascondersi. E allora? E poi lei, che diavolo voleva, lei?
Comunque non aveva piú importanza.
C'era giú l'autista che l'aspettava, le sembrava ieri che l'aveva portata lì. Allora qualcosa le sarebbe mancato? Serró la mascella. Non aveva salutato Polina, forse lei non voleva vederla. Era colpa sua se... non è colpa tua! Ma a chi voleva darla a bere, era anche colpa sua se Aron non era lí.
Si chinó in avanti, i gomiti puntati sulle ginocchia. Non sapeva se stesse facendo la cosa giusta. C'era qualcosa che la rendeva impaziente. Sentí qualcuno bussare.
« Permesso? »
Era Andrea? Non parlavano da un sacco di tempo. « Si, vieni. »
« Un po' mi dispiace che te ne vai. »
« Qui sarà tutto un po' più noioso. »
« Mi dispiace per quella storia del bigliettino... ho capito perchè non volevi... » Non trovava le parole. « Perchè ti sei arrabbiata tanto. »
Cass si alzó e andó verso la scrivania, aprí un cassetto dove aveva conservato un pacchetto di sigarette. « Tanto ormai è passata. »
« Peccato, non eravate male insieme. »
« Invece mi sa che eravamo terribili. » Accennó un sorrisetto divertito, si accese una sigaretta velocemente e poi ne porse una ad Andrea.
« Mah, tutte le coppie sono terribili. »
« Ma che ne so, riflettendoci bene ha ragione mio fratello. »
« Ma scusa hai parlato con lui? »
« Con mio fratello? »
« No, con... come si chiamava, Aron. »
« No, perchè? » Andrea sgranó gli occhi.
« Cioè tu hai deciso tutto senza parlarci? Come fai a sapere cosa pensa, cosa vuole... come sta? »
« ...Klaus ha detto che— »
A quel punto Andrea impazzí, si mise a ridere e poi prese un lungo tiro dalla sua sigaretta. Cassandra stette zitta. « Ma che ne sa Klaus, non deve parlare Klaus per lui. » Si sporse in avanti. Il maglioncino di cotone verde le scivoló su una spalla. « Io di relazioni non c'ho mai capito niente... peró una cosa la so, se non parli... se non chiarisci, non capirai proprio niente. »
« ...Io non so se voglio chiarire. »
« Mh. » Si mise con la schiena contro il muro. « Ma si, divertiti a Londra. » Cassandra si mise a ridere. Andrea sembrava tornata normale.
« E tu cerca di mettere la testa a posto. »
« Mah, non so. »
« Non ti ho neanche chiesto se ti hanno dato problemi. »
« Chi? »
« I tuoi vecchi capi, Klaus temeva... »
« Cosa? » Sembró spaventata. Cassandra assottiglió le iridi chiare. Che nascondesse qualcosa?
« Beh, che ti dessero fastidio, o che... non lo so, provassero ad usarti in qualche modo. »
« Usarmi? »
« Tipo spia. » Lo disse come fosse la cosa più normale del mondo.
Andrea spostó lo sguardo altrove. « Ma non lo farei mai. »
Cassandra non si fidava. « Si, ora lo so. Ma all'inizio... »
« Non ti fidavi. Fai bene. » Certo che era strana. Si chiese se agli occhi degli altri non fosse così difficile anche lei.
« Non mi fido mai. »
Figuriamoci. « Comunque no, non è successo nulla di grave. All'inizio erano incazzati ma poi... credo che tuo fratello abbia risolto. »
Certo, lui risolveva sempre tutto. Cassandra non fu sorpresa da quella risposta, non chiese neppure i dettagli, certa che non li sapesse neppure lei.
« Lavori ancora con Irina? »
« Si, mi ci trovo bene. »
« Meglio così. » A Cass non andava ancora giú, c'era qualcosa di lei che le sembrava finto. Eppure non sapeva proprio cosa. Si sarebbe aspettata che, da brava amica di Irina, non le consigliasse certo di chiamarlo. Ma piuttosto provasse a fargli riagganciare i rapporti con la russa. Sicuramente le aveva raccontato tutto, e quella stava godendo da morire.
« Anche lei è stata molto male per Aron, sai? »
« Sapevo che si vedessero, non credevo le piacesse davvero. »
« Invece si, le piaceva parecchio. » Nel tono di voce una punta di fastidio. Ecco, cosa non la convinceva. Era proprio una stronza.
« E allora dille che è tutto suo. »
« Per fortuna poi quella storia con la sorella è andata bene. »
Cassandra non ne sapeva niente. E Lidia neppure. Chi diavolo le aveva detto quelle cose? « È finita bene? » Davvero?
« Non lo sai? Me l'ha detto Irina, dice che l'ha ritrovata. » Che stronza. Ma che diavolo voleva da lei. Poteva capire Irina, ma Andrea proprio no.
« Fantastico. Almeno è felice. »
« Si, si. »
A quel punto Cassandra non si trattenne più. Decise di darsi un tono, tanto non l'avrebbe più vista. « Lo vedi che non serviva chiamarlo. »
Era gelosa. Pensava di averne diritto? Si alzó e prese un altro tiro dalla sua sigaretta, poi aprì la porta del bagno perchè alla fine l'avrebbe buttata nel gabinetto. « Si vede che erano destinati a stare insieme. » Aggiunse.
Ricordó improvvisamente le parole di Polina, quando aveva detto che il destino suo e di suo figlio fosse lo stesso. Quanto si sbagliava. Non c'era niente di piú diviso di loro due.
Andrea non rispose più, finirono le loro sigarette e poi Cassandra si alzó per prendere le proprie cose. « Ci vediamo l'anno prossimo. » Forse.
Sollevó le sopracciglia e afferró un grosso borsone di Chanel. Andrea lo fissó intensamente, e forse in quell'istante Cass comprese cosa avesse contro di lei. Era gelosa della sua vita. Chiunque lo sarebbe stato. Esattamente come Irina, credeva che i problemi svanissero insieme a quelli economici.
Peró non avevano tutti i torti, la bionda non aveva idea di cosa volesse dire avere paura di non riuscire a trovare un posto dove dormire.
Era un altro tipo di solitudine.
Si mise la borsa in spalla e andó verso la porta, con l'amaro in bocca e il nome di Irina nella testa. Che palle. Mentre era sull'uscio sentì dei passi veloci, riconobbe quelli di Greta.
Che voleva? Non le aveva chiesto nulla.
« Signorina! »
« Si? »
« C'è una persona che chiede di lei, giù. » E chi? Sospiró. Doveva essere piuttosto importante, se si era affannata in quel modo. Ma figurati se... « La signora Nowak. » Cassandra svuotó i polmoni. Era un po' delusa, che scema. Sperava fosse Aron, che fosse venuta a salutarla tipo nei film.
Nei film, appunto.
« Ah, arrivo. » Le diede fastidio che ci fosse anche Andrea, sicuramente sarebbe andata a spifferare tutto a Irina. E poi chissà, magari lei avrebbe confessato tutto ad Aron. Che ti importa.
Lasció il borsone e camminó fin giù per le scale di marmo, aveva visto Polina già dalla ringhiera, prima di averla davanti. Le sembrava passata un'eternitá dall'ultima volta che si erano viste. Sembrava davvero triste. « Ciao. »
« Non tornerai, vero? »
« No, non credo. »
« Peccato, ma capisco. »
« Magari prima o poi torna tutto come prima. »
« Non so, Klaus e Aron non hanno mai litigato prima d'ora. »
« Certo, perchè non parlano. Magari crescono e imparano a risolvere le cose. »
« Non lo so, non glie l'ha mai insegnato nessuno. »
Cassandra alzó le spalle. Effettivamente Klaus non aveva avuto dei genitori, mentre Aron aveva sempre vissuto nel suo mondo. Perfino lei non aveva idea di come si dovesse fare.
Eppure, Klaus era cambiato. « Mio fratello è un po' cambiato da quando sta con Lidia. »
« Aron non vuole neanche che si faccia il suo nome... » Giusto, lei ci parlava. Cassandra allargó lo sguardo, avrebbe voluto farle tante domande ma non le venne fuori nulla. Polly le sorrise come fosse sua madre e poi piegó il capo da un lato.
« Sta bene, ha ritrovato sua sorella. » Dimmi che gli manco, ti prego, dimmi che gli manco. Anche se non è vero, anche se è una bugia. Ma Polly non disse niente, forse per non peggiorare la situazione o perchè credeva, infondo, che la bionda sapesse. « È che... » Cosa voleva dirle? Esitó, come se si fosse già pentita, ancora prima di parlare. « È solo, è molto solo, peró non è giusto che ti dica queste cose. » Forse non sapeva con chi altro parlarne. Perchè era lì?
« Comunque non sono qui solo per salutarti, devo dirti una cosa. » Si guardó intorno con fare sospetto, doveva essere importante. Poi ancora quella faccia, Polly esitó. Si morse la lingua e sospiró pesantemente. Aveva cambiato idea? Cassandra stava morendo di curiosità. « Che ti voglio bene, volevo lo sentissi. » Davvero? La bionda assottiglió lo sguardo cristallino. Non era certa volesse dirle solo quello ma non aveva più voglia di capire i silenzi degli altri.
Oh, se solo avesse saputo.
Quante cose sarebbero state diverse...
Si abbracciarono e poi Cassandra andó via, c'era l'autista pronto per portarla in aereoporto. Aveva sempre pensato ai suoi addii come qualcosa di felice, abbandonare quella casa, nella sua testa, sarebbe dovuto essere -ogni volta- un piacere. E invece quando se ne andava pareva sempre stare peggio. L'erba del giardino era meno umida del solito. Alzó lo sguardo verso la via che portava alla depandance. Chi sperava di trovarci? E Klaus?
« Cass. » Si volse subito, era proprio lui. Gli sorrise, lui le rispose con la stessa identica espressione, ereditata dalla madre. « Buon viaggio. » Non riusciva proprio a dirglielo, che gli sarebbe mancata. Ma tanto, per la primissima volta, glie lo si leggeva negli occhi. Allargó le braccia e si abbracciarono. « Ci sentiamo. »
« Lo sai. »
« Si. » Lo strinse forte e poi chiuse gli occhi. « Klaus... » Non le era mai capitato di sentirsi tanto a casa con lui.
« Mh? »
Ti voglio bene. Perchè non riesci a dirlo? « Sono contenta che tu sia mio fratello. »
« Anche io. » Quindi funzionava così, quando ti lasciavi andare? Una specie di scarica elettrica le attraversó il corpo e la lasció leggera. Le venne da piangere, forse anche a lui. Scusa Klaus, scusa per tutto.
Salì velocemente in macchina e non si guardó indietro, o almeno ci provó. Quando fu abbastanza lontana da non poter essere vista da nessuno, volse il capo e posó l'attenzione sui cancelli della super villa. Tornó sul cellulare e aprì la chat con Achille, chissa che diavolo voleva dirle. Poi controlló quella con Vanessa. Non si parlavano da settimane. Era la prima volta che -Cass ne era certa- l'italiana non sapesse come comportarsi con lei. Sarebbe stato difficile senza Lidia? « Quanto tempo ci vuole ad arrivare? »
« Un'ora, circa. »
Annuì e cercó il numero della mora sul telefono. Non voleva andarsene senza salutarla. La chiamó.
« Lo sapevo che mi avresti chiamata. »
« Quindi lo sai. »
« Ti verró a trovare. »
« Si, ci vediamo in Europa. »
« Esatto. Sarai più vicina a casa mia. »
« Non sei arrabbiata? »
« No, speravo solo che stessi bene. » Silenzio. Come stava?
« Sto bene, con mio fratello ho risolto... diciamo. »
« Non ci crederó mai. » E invece sì. Chissà quanto sarebbe durata.
« Guarda, non sembra vero neanche a me. » Scoppiarono a ridere, poi Cassandra le raccontó qualche altra cosa e le domandó di Ricky, anche se era certa andasse tutto bene. Voleva solo dimostrarle che fosse interessata alla sua vita, anche se non sembrava, anche se ogni tanto spariva. « Con Ricky tutto bene, stiamo pensando di andare a vivere insieme. » Ebbe una strana sensazione che non le permise di essere completamente e sinceramente felice per Vanessa. Ma pensó fosse solo una delle strane cose che faceva ogni tanto il suo cervello. « Si? E dove? »
« Vorremmo allontanarci, pensavamo all'Europa, i suoi genitori gli hanno detto che li c'è del lavoro da fare. » Figurati se il sogno di qualsiasi famiglia come la sua non fosse allargare gli affari in Europa. Eccola, la sensazione. « Tipo in Italia? »
« Non lo so, mi piacerebbe, ma lui pensava più nell'Est. »
« E a te piace? »
« Non lo so, ma mi fido di lui. »
« E con lo studio? » Aveva tanti progetti in mente, anche se ne capiva poco, ricordava volesse fare qualcosa con i cavalli. « Non volevi fare quella specie di master? »
« Eh, non lo faccio più. » Non le andava bene. Cassandra non era esperta di relazioni, ma sentiva che non fosse giusto. Non avevano alcun bisogno di vivere insieme a 23 anni, se lui doveva andarsene in Europa non poteva costringere anche Vanessa. « Peró posso cercare una cosa simile lì. » Era stata un'egoista, così impegnata nelle proprie cose che non s'era mai chiesta come stesse la sua migliore amica.
« Sei felice? » Vane esitó un attimo. Ma poi da quanto stavano insieme? Non era passato neppure un anno. « Lo sai che non devi farlo per forza, vero? » E Cassandra lo sapeva, che era terrorizzata all'idea di perderla? Sospiró, non era nella posizione di dare consigli a nessuno.
« Ogni tanto bisogna sacrificarsi un po' per le persone che si amano. » Suonó come la peggiore delle lezioni possibili. Aveva ragione.
Ma non era giusto rinunciare a tutto.
« L'importante è che tu sia felice. »
« Lo sono. »
« Se vorrai scappare sappi che sono sempre pronta ad aiutarti, anche sull'altare. » Risero insieme. Poi continuarono a parlare di Londra e dell'univeristà e si salutarono, perchè Ricky era tornato e Cass doveva prendere il suo volo.
Salutó Finn con un cenno del capo e poi si lasció avvolgere dalla confusione del JFK Airport di New York, lo conosceva così bene che quasi indovinó il gate. Passó i controlli velocmente, dovette togliersi la giacca e le scarpe di pelle, era sempre una seccatura. Quando appallottoló il cappotto rossastro per metterlo nella vaschetta, si accorse che dalle tasche era caduto un pezzo di carta. Un foglio? Si chinó mentre era ancora in fila.
Una busta. Se la rigiró tra le mani e aggrottó lo sguardo. Non usava quella giacca da un sacco di tempo, l'ultima volta se l'era messa... non lo sapeva proprio. « Signorina deve darsi una mossa, c'è la fila. » Un signore la riportó nel mondo dei vivi, sulla terra. Lasció la busta accanto alle scarpe e passó i controlli.
Quando fu finalmente sull'aereo ebbe il coraggio di guardare meglio cosa le fosse cascato a terra.
Una lettera, sicuramente. Ma perchè mai qualcuno avrebbe dovuto lasciargliela nell'armadio? Pensó fosse Lidia, con qualche cazzata motivazionale. L'aprì e invece si trovó assolutamente impreparata, era la scrittura di Aron, a quando risaliva?
Ti scrivo questa lettera per sentirmi meno incolpa, stanotte parto con tuo fratello e non ho il coraggio di salutarti. È successo un casino, Vincent ha deciso di muoversi contro tuo Klaus, mentre quelli per cui lavorava Andrea aspettano solo che lui commetta un passo falso per farci saltare in aria.
E poi c'è la Polonia, i miei progetti sono minacciati da qualcuno che vuole espandersi ad Est, è importante che io sia lì, ed è anche giusto così.
Adesso faró l'egoista, e ti diró tutto quello che penso, tanto saró già via e tu già mi odierai.
A volte sogno una vita in cui tu sei accanto a me, a New York, in Polonia e ovunque. Poi penso che io non so stare con nessuno, e tu una vita così non la vorresti mai. Hai sempre detto che non volessi fare la fine di tua madre, quindi va' a Londra e diventa un avvocato.
Ho anche pensato di raccontare tutto a Klaus, perchè odio mentirgli e poi perchè -passato un po' di tempo- forse l'avrebbe anche accettato.
Ma io voglio stare da solo, anche se mi piaci da morire, anche se c'è una parte di me che muore ogni volta che sento il tuo nome, tutto il resto ti respinge. La verità è che ci stavo quasi bene a vederti ogni tanto, non saprei immaginare un rapporto diverso, con nessuno.
Lo so che mi mancherai, ma tanto non saprei mai stare con te. Ti voglio troppo bene per distruggerti.
Sempre tuo,
Nowak
Cassandra chiuse gli occhi, si accorse che stava piangendo. E ora? Aveva ragione Klaus, non c'era mai stato niente, si erano dati il tormento per nulla. Volse il capo in direzione del finestrino per nascondere il viso e serró i denti, lasciandosi andare ad un pianto silenzioso. Poi si asciugó gli occhi con una manica e appallottoló la lettera con tutta la rabbia che avesse. Menomale che non l'aveva chiamato, e che non gli aveva mai fatto arrivare quel diario del cazzo.
Pensó che l'unica cosa da fare, ora, fosse studiare e tornare ad essere una studentessa universitaria. L'unica cosa che le piacesse e non la facesse stare male. Strinse la cartaccia nella mano sinistra e speró prendesse fuoco, perchè non aveva voglia di portarsela dietro fino a Londra. Quando passó l'hostess con la spazzatura glie la consegnó subito, e anche la sua busta, strappata. Si sistemó meglio sul sedile e cercó di dormire, anche se era impossibile. Fanculo Nowak. Quella cosa sì, che le aveva spezzato il cuore.
Che stupida.
Quando riaprì gli occhi era arrivata, tutti si erano alzati per abbandonare l'aereo e anche lei si affrettó a prendere le sue cose per andarsene.
Il freddo di Londra era rigenerante, le graffiava il volto e le riempiva i polmoni. Cercó subito un taxi, l'ultimo dei suoi desideri era raggiungere l'università in treno. Non aveva idea di quanto avessero pagato per fara entrare ad Oxford, comunque non era certa di meritarsi quel posto lì. I piedi affondarono nel fango del giardino, ovviamente pioveva. Cercó la sciarpa nella borsa scura e se l'attorciglió sul collo. Fece finta di non vedere nessuno, non voleva salutare altra gente, ci avrebbe pensato il giorno dopo.
Recuperó le chiavi della sua stanza e speró che fosse sola. I dormitori erano organizzati in quattro lunghissimi corridoi, su entrambi i lati c'erano delle stanze in cui dormivano due ragazze. Quello dei maschi funzionava nello stesso modo.
A terra, il pavimento era coperto dal parquet lucido, per fortuna gli stivaletti che aveva scelto non facevano rumore. Sentì qualcuno ridere alle sue spalle, aumentó la velocità dei passi. Le lezioni sarebbero cominciate il giorno dopo, entro oggi dovevano arrivare tutti. Infiló le chiavi nella serratura della porta e la spinse piano. « Ciao! Tu sei Cassandra, giusto? »
« Si. »
Non disse altro, lasció lo zaino a terra e si spoglió degli abiti bagnati. « Io mi chiamo Elena. » Dall'accento sembrava italiana. « Anche tu sei greca? »
« Il mio cognome è Van der Meer, direi proprio di no. »
« Ah, giusto. E di dove sei? Tedesca? »
« Americana, mio padre era olandese. » Perchè parlava così tanto? Cass guardó il cellulare e decise di mettere una storia su instagram, solo per avvisare i vecchi compagni che fosse tornata.
« Che figo. »
« Si, molto. Ma perchè sei la mia compagna di stanza? L'anno scorso non c'eri. »
« Perchè ho chiesto di cambiare, la mia vecchia compagna... » Esitó. Cosa non voleva raccontarle? « Niente, dai. Comunque sono contenta di essere qui, mi sembri una persona okay. »
« Appunto, sembro. Nessuno è come sembra. »
Alzó le sopracciglia, poi cercó sotto il letto. « Ah, è arrivata una cosa per te, una specie di baule. »
Lo tiró fuori e lo aprì. « Si, sono i miei vestiti. »
« Ma a che ti serve? Qui abbiamo le divise. »
« Non alle feste. »
« Che feste? » Cassandra pensó che la sua vecchia compagna di stanza dovesse essere davvero noiosa. Non erano mai andate ad una festa?
Richiuse il baule e controlló il cellulare, un tizio dell'ultimo anno le aveva scritto. Forse ricordava anche la sua faccia. « ...Lo sapevo. »
« Cosa? »
« Ce l'hai il ragazzo? »
« ...No. » Se ne vergognava un po', a Elena pareva che ce l'avessero tutti tranne lei.
« Perfetto, quelle fidanzate rompono sempre le palle. » Ma per cosa? L'altra ragazza si sistemó i ricci biondi dietro la schiena, forse non aveva fatto tanto bene a chiedere di essere spostata.
« Ma per cosa? »
« Stasera vengono qui dei miei amici. »
« Ma non c'è la cena di inizio anno? » Una strana usanza che i professori avevano introdotto da qualche tempo, in pratica facevano una cena tutti insieme, più che altro serviva a quelli del primo anno per capire in che gabbia di matti fossero capitati.
« Appunto. »
La sera arrivó presto, Cassandra si era alzata dal letto solamente quando aveva deciso di truccarsi, anche se non avrebbe potuto. Erano molto severi, lì. L'ombretto nero tanto amato dalla bionda era assolutamente bandito. Quindi si limitó ad un lucido rosso, giusto per dare un po' di vita alle labbra spente e del mascara messo bene.
Si guardó allo specchio. Se solo quella cazzo di minigonna fosse stata più corta, quella divisa sarebbe stata dannatamente sexy. E invece sembrava una suora. Non era giusto. Comunque non poteva farci niente. « Elena, ci sei? Arrivano, eh. »
Sentì bussare tre volte, era il segnale segreto che si erano inventati per avvisarsi che non fosse nessuno dei responsabili. Le mani dell'americana scattarono sulla maniglia dorata e la tirarono indietro, due ragazzi entrarono velocemente e chiusero la porta alle loro spalle.
Uno era svizzero, un nobile di cui Cass non ricordava il titolo. Comunque ricordava bene i suoi addominali, e il sorrisetto furbo che lo accompagnava sempre. Aprì la giacca elegante e tiró fuori una fiaschetta argentata. Era liquore. L'altro era scozzese, anche lui abbastanza pazzo da entrare nelle grazie della mezza olandese.
« Sappiamo che hai una compagna di stanza. »
« Si, è in bagno. E passami quella. »
Si chiamava Noah, e poi aveva altri mille nomi impossibili. Cass lo chiamava solamente Noah. Le passó la fiaschetta, il whisky che si portava dietro era orribile, ma gli garantiva sempre di mantenere quella specie di stato quasi brillo. Rilassato.
L'altro, Henry, era già salito sulla sedia per attorcigliare sul sensore che rilevava il fumo il suo pregiatissimo foulard di seta, ovviamente ricamato con le sue iniziali. « Spero duri di più della vecchia. » Si misero tutti e tre a ridere.
« Che avete fatto durante le vacanze? »
« Già, che hai fatto Noah? »
« Niente, formalmente non ho fatto niente. » Henry scoppió a ridere, si mise sul letto e tiró fuori una cartina lunga e l'erba.
« Ma che che cazzo dici, non è una cosa che cambia formalmente, l'hai fatto e basta. »
« Ma che ha fatto? »
« Dai, dillo. »
« Niente, niente di che. »
« Presto i von Hallwyl avranno un altro erede. » Continuava a ridere, mentre cercava l'accendino. Ogni volta che scuoteva il capo i capelli mossi gli cadevano davanti al viso. Li portava lunghi, con la riga al centro.
« Non ci sarà un cazzo di altro erede. »
« Ti sei fidanzato? »
« Ha messo incinta la domestica, altro che fidanzato! »
Noah gli diede una gomitata tanto forte che per poco non gli cadde la roba dalle mani. « Lo vedi che sei un coglione. » Cass invece scoppió a ridere, si piegó in avanti e prese un altro sorso dalla fiaschetta del moro. « Non è mio figlio. »
« Tranquillo Noah, ce l'abbiamo tutti qualcuna che è stata allontanata, in famiglia. » Aggiunse Henry. A volte Cass pensava loro facessero una vita peggio della sua.
« E tu? Che hai fatto? Ho visto che eri a Parigi ma di te non si sa mai niente. »
« Beh... » Stava per iniziare a parlare, ma arrivó Elena. Aveva i ciuffi davanti raccolti dietro, mentre gli altri le cadevano lungo la schiena. Henry si leccó le labbra. « Reggiti il mento, idiota. » Commentó subito Cass. « Hai finito con quella canna? »
« Fumate? » Elena allargó gli occhi.
« Mh. Vieni? » Cass le fece spazio vicino a lei, e si sedette in silenzio sul letto. Erano tutti e quattro pronti a distruggersi.
Bevvero e si stonarono a sufficienza, tanto che Henry per poco non si sentì male, mentre Elena si addormentó sul materasso. Noah e Cass invece restarono vicini. « Comunque che figata i figli, cioè non parlo di averne, ma proprio il fatto che un pezzo di te è in un'altra cosa. Sembra assurdo. »
« Si, se non mi fosse piaciuto così tanto il modo in cui si fanno... adesso non avrei un cazzo di pezzo di me infilato in un'altra cosa. »
« È assurdo, da una cosa così piacevole... viene fuori la rovina della tua vita. »
Sbiascicavano e parlavano a fatica, ogni tanto si sorridevano ma non capivano molto di quello che stessero dicendo. « Prima cosa stavi dicendo. »
« Non ho detto niente. »
« Cosa hai fatto durante le vacanze? »
Cassandra si mise a ridere, si alzó perchè doveva riprendersi e non aveva voglia di parlare di Aron. Lui la seguì mentre barcollava sull'altro letto, quello di Elena. « Che cosa hai fatto, Cassy? »
La raggiunse e si mise nuovamente vicino a lei.
Lei si volse in modo da sfiorargli l'oreccgio con le labbra. « Stasera te lo dico. »
« Stasera quando? »
« Dopo cena, quando tornerai qui. » Gli lasció un breve bacio sul collo.
« Sei pazza. » Lui si mise davanti a lei, le prese i fianchi e l'accarezzó lentamente. Non aveva voglia di andare a quella stupida cena.
« Non ti è mai piaciuto aspettare. »
« ...No, infatti. »
Nessuno lo sapeva, ma spesso loro due si divertivano insieme. Forse Henry se n'era accorto ma stava zitto. Era una specie di modo per distrarsi. Noah le infiló una mano sotto la gonna e lei caló la testa all'indietro, era troppo tempo che qualcuno non la toccava in quel modo. Aprì le gambe trattenne un sospiro troppo pesante per non svegliare gli altri due. « Ma sei scemo, ci sono... » Non ebbe il tempo di finire la frase, che lui premette con la mano sulla sua intimità, coperta ancora dalla biancheria di cotone.
« Allora cerca di fare silenzio. »
In realtà tutto quel pericolo di essere scoperti rendeva la situazione ancora più eccitante. « No, sul serio... andiamo in bagno. »
Ma proprio mentre progettavano la loro fuga, Elena si sveglió. Si separarono subito.
E furono pure costretti ad andare a quella cena noiosissima. Prima ci fu una sorta di presentazione, Cassandra non desiderava altro che finisse presto, per tornare con Noah.
Quando fu l'ora dei saluti, tutti si alzarono per spostarsi dall'aula mangna a dove era stata allestita la cena. Le luci si spensero, e lui ne approfittó per accarezzarle una coscia da sotto la gonna. Lei gli strinse la mano, e decise che sarebbero arrivati a cena più tardi.
Si nascosero in uno sgabuzzino, come due ladri e iniziarono a baciarsi come se ne avessero bisogno davvero. « Dimmi che hai fatto. » Si bloccó subito. Perchè era così curioso? Le tiró fuori la camicia dalla gonna e la sbottonó velocemente, quel tanto che bastava per infilarci un braccio sotto.
« Mi sono scopata il migliore amico di mio fratello, e anche uno che vuole ammazzarlo, credo. »
« Perchè l'hai fatto? »
« Non lo so. »
Non smisero di toccarsi, sembrava si nutrissero di disperazione. « Perchè ti piaceva. »
« Stai zitto Noah, basta. » La lasció stare subito. Era come se fosse diventato un'altra persona, improvvisamente. « Senti, andiamo a cena e basta. » Cass si sistemó velocemente la camicia.
Arrivarono a cena che tutti erano già seduti, stettero tutto il tempo zitti. Con le braccia conserte sul tavolo di legno scuro. Il preside disse qualcosa sull'importanza di iniziare bene, poi se ne andarono. Noah e Cass erano strani. Se ne accorse perfino Henry, nonostante fosse impegnato a conquistare qualsiasi nuova del primo anno.
Si salutarono e tutti tornarono nelle proprie stanze. Cass era già in pigiama, quando sentì bussare. Aprì la porta, era Noah.
« Noah non mi va, ora. »
« Sai perchè so che ti piace? » Chi?
« Vai a letto. » La spinse dentro, come se avesse bisogno di buttare quella confessione addosso a qualcuno.
« Perchè anche a me Mila piace, mi piace da morire. » Erano tutti fottuti. Scoppió a piangere, Cass lo abbracció.
« E ti manca. »
« Me la sarei sposata, ti giuro. »
« Ma non è possibile. »
« Solo lei mi vedeva come un cazzo di essere umano. »
« Vieni qui. » Si misero a letto insieme, e dormirono abbracciati. Distrutti, e soli.
💎💎💎
Hola! Che ne pensate di questo capitolo? E di Noah? Visto che cucciolo? Non ve lo aspettavate, eh?
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