CAPITOLO 3


And then suddenly
She turned her
Emotions off

Non si era neppure cambiata, scese giù vestita ancora di brillantini e con i tacchi troppo alti per un semplice incontro in un bar. Lui era già lí, maestoso e inquietante come al solito; le si attorcigliò lo stomaco quando lo vide da lontano. Inchiodata sul posto, ebbe l'istinto di scappare via. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, tremava. Doveva farcela. Lo doveva a se stessa, a quell'assurda voglia di riscatto che aveva iniziato ad inseguire ossessivamente.
L'ansia le trafiggeva lo stomaco e i muscoli della pancia avevano iniziato a dolerle. Si portò le dita della mancina sul ventre, le sudava.

Odiava quella sensazione,
Di quando succedeva qualcosa
Di quando s'infilava negli affari di famiglia
C'era sempre qualcuno che si faceva male.
E Klaus si arrabbiava.

Lui stava bevendo un martini, ancora non si mosse. Si perse ad osservare come le sue labbra si adagiassero languidamente sul calice di cristallo. Rimase lí fin quando non la vide, allora le fece cenno di raggiungerlo con due dita.
Sembrò infastidito, la squadrò da capo a piedi e poi si volse, disgustato. Fanculo Nowak. Di solito quando indossava vestiti del genere si sentiva invincibile, non patetica. « Ti sembra normale presentarti cosí? » Non comprese, pensò che fosse ubriaco.
Alzò le sopracciglia. Lui aveva ancora la stessa espressione corrucciata. « In che senso? »
Egli alzò il capo, sembrava già nervoso. « Con un vestito cosí, i tacchi... » Non capiva. Cassandra aveva la testa assente, davvero sembrava una ragazzina indifesa. Non li hai mai risolti i tuoi traumi, mh? « Attiri l'attenzione, genio. » Aveva ragione, ancora. Quell'abito serviva proprio a non passare inosservata, aveva sbagliato ancora. « Oh... » Non era certo la mise migliore per parlare degli affari dei Van Der Meer.

Lui si tolse la giacca tutto innervosito, quasi se la strappó dalle braccia e l'attorcigliò alle spalle della bionda. Aveva un buon profumo, Cassandra pensò che nonostante tutto fosse familiare, le ricordava che qualcosa di costante c'era stato, nella sua vita.
Proprio il profumo preferito di Nowak.
Lo indossava anche quando era piccola, sempre lo stesso.

« Mi dici cosa hai combinato? »
« Io niente, solo che siamo andate a casa di Achille e— » Ancora quell'espressione disgustata, lo odiava. Mi fai sentire uno schifo. « Vanessa ha raccontato al suo amico che siamo amici, che sei amico di Klaus e che noi ce la stiamo spassando in Europa alle sue spalle. Dice che ha voluto sapere in che rapporti fossi con lui, lei gli ha detto tutto... »
« Come diavolo faceva a sapere tutte queste cose? »
« ...Glie le ho raccontate io. » Pensò che dovesse vomitare. Sbiancò completamente e forse Aron se ne accorse, perchè addolcí lievemente l'espressione. « Ho pensato a quello che mi avevi raccontato, che fosse pericoloso, e poi ho visto la cicatrice che aveva sul braccio... »
« Come hai fatto a vederla? »
Cassandra aggrottò le sopracciglia, per un attimo non le sembrò cosí sveglio come aveva sempre pensato. « Secondo te, Nowak? »
« Ti ha fatto qualcosa? » Sembrò addirittura allarmato. Si sporse in avanti con il busto.
« Ci ho fatto sesso, genio. » Roteò lo sguardo, era pur sempre uno stupido amico del fratello. Cercò nella solita borsetta nera una sigaretta. Non aveva idea se si potesse fumare lí dentro, non le importava. Appena il barista la vide armeggiare con l'accendino l'ammoní, lei lo fulminò silenziosamente e ignorò completamente le sue parole. « Non si può fumare qui dentro, mi dispiace. » Stava passando uno straccio dall'altra parte del bancone, abbastanza lontano da non sentire i discorsi di Aron e Cassy.

« Le assicuro che io posso fumare dove mi
pare. E mi porti un posacenere, grazie. » Se ne stava seduta sullo sgabello con i gomiti puntati sul bancone, la giacca dell'amico a coprirle le spalle. Con la mano libera si sistemò i capelli da un lato. L'altro rimase stranamente in silenzio, Cassandra non osava domandarsi che diavolo stesse pensando.

« Achille non vuole che io faccia affari con Vincent, quello stronzo fa finta di essere suo amico ma vuole solo fregargli un sacco di
soldi. »
A Cassandra venne da ridere. Sputò una nuvola di fumo grigio e gettò il capo leggermente all'indietro. « Perchè, tu no? » Se la rise da sola.
Ad Aron scappò un sorrisetto compiaciuto, poi si ricompose. Le riservò un'occhiata gelida quasi volesse rimetterla al suo posto, poi prese un sorso di gin e si leccò le labbra. Era una specie di gesto involontario che faceva ogni volta che doveva prendere tempo. « Io almeno posso garantirgli protezione. »
« Che c'entra mio fratello in questa cosa? »
« Vincent non si fida di lui, non lo vuole in mezzo. »
Adesso era tutto chiaro. « Ma tu vuoi mettercelo. »
« Senza dirglielo, chiaramente. » Si portò nuovamente la sigaretta alle labbra, fumare la calmava. « Ne vuoi una? » Cassandra si accorse che la stesse fissando.
Scosse il capo. « Ho le mie. » Tirò fuori un porta sigarette d'argento. Ovviamente. Non fumava come tutti i comuni mortali portandosi dietro un pacchetto di carta.

« Comunque la tua amica è davvero idiota. »
« Non è idiota, è che non pensa mai che le persone facciano schifo. »
« Appunto, è stupida. »
« E tu invece? »
« Io lo so che fate tutti schifo. »
« Fate? »
Cassandra scosse il capo. « Se un uomo vuole sapere cosa ne pensi di qualcosa c'è per forza... qualcosa sotto. » Era una delle poche certezze della sua vita.
Aron non riuscí a darle torto. « Quindi ci odi tutti? »
Lei alzò le spalle. « Non odio nessuno, io le persone le uso per ottenere quello che voglio. »

« È per questo che hai scopato con Lacroix? » Ancora?
« Esatto. Anche lui ha voluto sapere se ti conoscessi, sai? » Fece cenno al barista di portarle da bere. Lo stesso che ha preso lui.
Aron rise ancora. Le sembrò strano. Di solito non rideva mai. « E tu che gli hai detto? »
Stesse un attimo in silenzio, indecisa se parlare o meno. « Che doveva impegnarsi di più per ottenere delle informazioni. » Spense la sigaretta nel posacenere, poi le arrivò un martini. Accavallò le gambe, adesso si sentiva più rilassata, forse anche perchè l'effetto della cocaina era finito. « Dove l'hai portata quella tua amica, alla fine? » E a te cosa importa?
Aggrottò le sopracciglia. « Chi? »
« Irina, quella della cena. »
Lui parve ricordarsene improvvisamente.
« Ah. Nel bagno delle signore. » Risero entrambi, fu cosí strano che si sentirono estremamente a disagio. Lui si voltò e prese un tiro dalla propria sigaretta, mentre Cassandra bevve un lungo sorso dal suo drink.

« Tuo fratello che dice? »
« Non ci parlo da mesi, non so neanche dove sia. »
« Sul serio? » Alzò le sopracciglia.
Lei annuí, calmissima. « Si, sul serio. »
« Non ho mai capito perchè lo detesti tanto. »
Un sospiro infastidito le graffiò la gola.
« Non me l'hai mai chiesto. »
« Cosa? » Ma che glie lo dici a fare.
« Perchè sono incazzata. » Si sistemò ancora i capelli da un lato, nervosamente. Lui sorrise, come uno stupido. Forse non era davvero cambiata cosí tanto. Rivide per un momento la piccola Cassandra, quella che non studiava mai e inventava scuse su scuse pur di continuare a fregarsene. Quando qualcosa non andava si toccava sempre i capelli. « Non me l'ha mai chiesto nessuno, tutti pensano di sapere tutto, compreso lui. » Dopo quel discorso dovette bere ancora.

Lui invece era ancora serio, non si sentiva per niente a disagio. Anzi, la scrutava, indagatore, come se volesse captare qualcosa che non avesse il coraggio di mostrare, di dire. « Perchè sei incazzata? »
Cassandra restò zitta. Era cosí abituata a farlo che non seppe reagire in altro modo. Schiuse la bocca, non aveva mai capito che tutto quel doversi tenere ad ogni costo le cose dentro l'avesse resa incapace di esprimersi. « Perchè vuoi saperlo, Nowak? »
Guarda che non mi fido neanche di te. Lui inclinò il capo da un lato, aveva compreso forse quanto fosse distrutta la mente di Cassandra, non si fidava di nessuno. Era stata manipolata tutta la vita dalla sua stessa famiglia, e ora voleva solo scappare. « Cosí poi racconti tutto a Klaus? »
« Perchè dovrei. »
E io che ne so. « Perchè siete cosí. » Perchè lo facevano sempre. Perchè la prima cosa che aveva imparato, era stata che fosse sola.

Lui rimase con la sigaretta accesa a mezz aria, lo sguardo spento. Non si era mai aspettato che un giorno avrebbe avuto una conversazione simile con lei, la sorellina viziata di Klaus. Si sporse in avanti, era a disagio, anche se non voleva che si vedesse. « Tuo fratello... ti vuole bene. » Lo bloccò immediatamente.
« Ti prego non farmi questi discorsi, me ne sono fatta una ragione. » Ancora lo sguardo apprensivo da genitore che parla con la figlia. « Ci sono cose che funzionano in un modo e basta, parlarne non cambia niente. » Nella sua famiglia nessuno sapeva come si facesse a voler bene a qualcun altro. Non glie ne faceva una grande colpa, ma il modo in cui provava ad amarla era una tortura, la faceva sentire in gabbia, spesso sbagliata.

Lui fece per darle ragione, poi la osservò bene e fu come se si fosse smentita da sola. « Neanche scappare per tutta l'Europa le cambia. » Quelle parole la trafissero come una coltellata. Cassandra odiava quando non potesse dargli torto, quando continuava a darle lezioni.

« Almeno mi diverto. »
« Prima o poi dovrai tornare a casa. »
« Ti prego smettila di parlare come mio fratello, davvero è una cosa che non sopporto. »
« Ho solo detto la verità. »
Mio fratello parla come se fosse mio padre, è questo che mi fa impazzire. E lei un padre non ce l'aveva, non era colpa di nessuno ma Klaus non poteva fustigarsi a vita per cercare di sostituirlo. Era una mancanza che entrambi si sarebbero portati dietro per sempre. Almeno lui l'aveva conosciuto.
« Lasciami in pace Nowak, non sono affari
tuoi. » Ed eccola che si chiudeva a riccio. Stava morendo di sonno, ma ormai era inutile dormire. Tra qualche ora aveva il prossimo aereo. Sempre se avesse fatto in tempo a prendere i biglietti.

Si grattò il capo, scompigliando i capelli già troppo in disordine. « Quindi riesci a risolverla la storia con Achille o è un danno
irrimediabile? » Sospirò stanca. Anche l'effetto cocaina prima o poi scompariva. Avrebbe voluto averne dell'altra, odiava sentirsi debole.
Lui era sicuro, come al solito. « Rimediabilissimo. » Figurati.
« Che ci fai ancora qui, allora. » Non era una domanda, suonava molto più come un'osservazione. Ho ventidue anni Aron.
È che gli sembrava strano, di non doversi occupare di lei. O forse gli piaceva la sua compagnia.

Lui allungò il viso oltre il bancone. « Colazione, piccola Cassy. » Chiese anche lui del caffè, non aveva dormito. A breve sarebbero arrivati gli ospiti dell'albergo, avrebbe fatto meglio a sparire prima.

« Mh. Io torno in camera, devo sistemarmi prima di partire. » Si passò una mano sulla fronte, neppure la caffeina riuscí a donarle un aspetto migliore.
Lui le riservò ancora una volta un'occhiata strana, poi divenne gelido, come sempre. « Buon viaggio. »
Cassandra alzò le spalle, raccolse la borsetta e pagò quello che doveva. Poi si alzò dallo sgabello e ricordò di avere addosso la sua giacca. « Anche a te. » Fece per togliersela, un brivido di freddo le attraversò la schiena. « Tieni. »
« Lascia stare, tienila, cosí dai ancora troppo nell'occhio. » Il tono di voce era pieno di disprezzo, la stava rimproverando ancora. Lei roteò lo sguardo assonnato e decise di tenersela davvero, anche perchè stava morendo di freddo e non aveva un cambio decente per andare in aereoporto. Aprí la bocca per parlare e dire altro, poi scosse solamente il capo, pensò che fosse troppo esausta per arrabbiarsi, se ne tornò in stanza camminando lentamente.

Dovette bussare più volte perchè Vanessa si svegliasse e la facesse entrare, stava ancora dormendo. Beata lei. « Cioè non hai dormito per niente? »
« Dormo in aereo. » Andò subito in bagno, la prima cosa che voleva fare era struccarsi. Invece dovette stare attenta a non sporcare anche la giacca di Aron, il naso le stava sanguinando ancora. Ma porca puttana. Chiuse la porta con un calcio e si tolse i tacchi velocemente, mentre con una mano cercava di evitare che gocciolasse ovunque.

« Tutto bene? » Arrivò da dietro la porta la voce di Vanessa.
« Si! » Lo disse con tutta l'enfasi che riuscí a trovare. Pareva le stesse sanguinando direttamente il cervello, tanto le faceva male la testa. Prese un mucchio di fazzoletti e iniziò a tamponare la zona, prima o poi avrebbe smesso. Forse non era il caso di andare a Berlino. Forse avrebbe fatto meglio a tornarsene a casa, a studiare, in mezzo a suo fratello e alla famiglia di amici che si era creato.

Invece, sotto, sotto, a lei piaceva quando stava male, le piaceva quando superava i limiti, quando collassava e rischiava tutto.
Si sentiva viva, si sentiva libera.

Leggera.
Come se qualche assurdo senso di colpa la stesse lasciando.

Si sedette sul pavimento e poggiò la testa contro il muro. Non capí se stesse svenendo o fosse solo troppo stanca per tenere gli occhi aperti, comunque avrebbe voluto tanto rispondere a Vanessa che dovesse stare zitta, mentre la chiamava. O alzarsi e raggiungerla.
Ma non ce la faceva proprio.
Cazzo. Le formicolavano le mani. Doveva solo riposare, sicuramente era quello. Un giorno in più a Parigi non le avrebbe fatto male, no?

Si guardò le dita, erano rosse di sangue, anche il pavimento era sporco, le gambe. Sperò non si fosse macchiata la giacca di Aron, non aveva voglia di spiegargli quanto fosse stata stupida.
« Cass? »
« Sto pisciando, mi lasci stare? »
« Io chiamo l'ambulanza se non mi apri. »
« Chiama chi cazzo ti pare. »
« Chiamo Klaus, non scherzo, lo chiamo tra dieci secondi. »
Avrebbe voluto alzarsi, litigare, urlare. Invece rimase zitta. Si aggrappò al bancone del lavandino e si tirò su. Le girava la testa.
Cercò di sciacquarsi velocemente, quando ebbe le mani pulite si tolse la giacca facendo attenzione a non macchiarla. Poi aprí la porta.
Vide Vanessa già pronta con il telefono in mano.

D'istinto lo prese e glie lo tirò contro il muro.
« Sei una stronza! »
« Ti rendi conto che sanguini ogni cazzo di mattina da quanta cocaina t'infili nel cervello? Stai male, stai male di testa, questo viaggio doveva essere divertente, invece io non riesco a starti dietro e tu... » Aprí le braccia, non trovava le parole per descrivere quella situazione. « Tu ti stai auto-distruggendo. »
Cassandra ringhiò furiosa, si strofinò le mani nei capelli, in maniera nevrotica. « È un po' di cazzo di sangue dal naso, hai rotto i coglioni, impara a goderti la vita. Se ieri notte non avessi dovuto risolvere i tuoi casini avrei dormito e non sarei stata male. » Stava esagerando. Era completamente fuori controllo, cercava a tutti costi una liberà che si stava trasformando in ossessione, in una tortura.
Vanessa indossava ancora il pigiama, mentre parlava aveva iniziato a vestirsi per prendere il primo volo diretto in America. « I miei casini? Ho solo detto ad un cazzo di ragazzo chi fosse la mia migliore amica, non è colpa mia se la tua famiglia è piena di segreti! » Colpo basso, Vanessa.

« Fanculo Vanessa, vaffanculo! » Tirò un pugno contro l'armadio, si fece cosí male che dovette chiuderlo nell'altra mano subito dopo.
L'amica decise di non chiederle neppure se si fosse rotta qualcosa, stare con Cassandra era diventato impossibile. « Io me ne torno a casa, non ho più voglia. » Andò a raccogliere il cellulare, sperò non si fosse rotto. Aveva solo un angolo lesionato, funzionava ancora. « Non ho voglia di vederti star male. »
« Non sto male! » Lo urlò cosí forte che temette potesse arrivare qualcuno a chiedere loro di fare più piano. « La mia vita è perfetta, ho tutto quello che voglio, non sto male, sto benissimo. »
Vanessa sospirò esausta, stava infilandosi i calzini quando Vivian finí l'ultima frase. Le pareva in preda ad un assurdo delirio. « Non lo so che cazzo ti manca, ma qualcosa non va. »

Cassandra serrò i denti e poi pensò di sparare la prima cavolata che le venne in mente. « Ci vado da sola a Berlino. »
L'amica scosse il capo, quasi delusa. « Come ti pare. »
« Ci vado da sola, che tanto non ho bisogno di nessuno, neanche di te. » Che tanto lei era stata sempre sola, gli altri le davano solo fastidio.
Si chiuse nuovamente in bagno, sbattè con forza la porta e quando si osservò allo specchio si fece schifo. Le venne voglia di romperlo ma si trattenne. Urlò ancora, non era arrabbiata davvero con Vanessa, stava impazzendo. Stava male e non capiva perchè, pensava fosse colpa di Klaus, di Aron, di Vanessa. Non capiva.
E si odiava.

Vanessa se ne stava seduta sul letto, chiuse gli occhi e silenziosamente pianse. Una lacrima le accarezzò una guancia mentre si allacciava gli stivaletti di Chanel scuri.
Era impossibile starle dietro.
Quando sclerava in quel modo, poi, le faceva paura.

Cassandra continuò ad osservare il proprio riflesso anche mentre piangeva, lo faceva sempre per ricordarsi di quanto fosse brutta quando lo faceva, era un modo per costringersi a trattenere le lacrime. Non funziona. Non funziona più.
Il pensiero di perdere anche Vanessa la uccideva, eppure non sapeva come tornare indietro.
Forse meritava davvero la solitudine.
Sicuramente non un'amica come lei.

Sapeva che dovesse andare da uno psicologo, eppure aveva sempre evitato. Anche sua madre c'era stata e alla fine si era ammazzata, lo dicevano tutti, era una pazza, la terapia non poteva salvarla, niente poteva salvarla dalla tristezza che si portava dentro. E alla fine se l'era mangiata, l'aveva fatta impazzire fino a ficcarsi una pallottola in gola.
Si guardò allo specchio, le dicevano sempre tutti che si somigliassero, Cassandra non ricordava nulla di sua madre, sapeva che faccia avesse solo dalle foto. Ma era come un fantasma che tormentava i suoi ricordi, e non si palesava mai.

Aveva il terrore di finire come lei.
Di doversi ammazzare per stare bene.
Lei non era Klaus, non era mai stata forte, aveva un anno e lui tredici quando restarono con loro padre, e ne aveva quindici quando rimasero completamente soli. Suo fratello dovette fare la parte di entrambi, ma fu difficile.
A lui non era stato concesso il lusso di poter impazzire, si teneva tutto dentro, anche le cose belle. E Cassandra rimase pure senza fratello.
Per questo aveva iniziato ad andare malissimo a scuola, a frequentare le lezioni con Aron. Klaus non vedeva l'ora di togliersela dai piedi.
Anche lui aveva diritto a soffrire.

Sentí la porta principale chiudersi, Vanessa era andata via. Si tirò i capelli in alto, chissà se lo faceva anche sua madre in quel modo. Si struccò lentamente, la rilassava seguire sempre lo stesso procedimento meccanico e meticoloso. Era una cosa da psicopatica ma non le importava, la cura che dedicava al lato estetico era eccessiva, soprattutto se paragonata al marcio che aveva dentro. Passò l'ovatta impregnata di acqua micellare sugli occhi rossi, scoprí le occhiaie viola e pensò che forse con un po' di filler sarebbero sparite. Poi passò alle labbra, erano ancora soffici nonostante lo stato pietoso in cui si trovasse. Decise di bere dell'acqua dal rubinetto, le diede sollievo. Fanculo Berlino.
Sarebbe rimasta lí finchè ne avesse avuto voglia. La solitudine le dava pace.

L'apparenza era importante.
Era la cosa più importante.

💎💎💎
Hola!
Qui si capisce un po' (pochino) meglio che tipo di famiglia (non) abbia Cassandra, perchè ci sia questo rapporto di odio e amore con il fratellone e quali siano i vuoti che la tormentano.
Che ne pensate? Vi aspettavate una cosa simile?
Fatemi sapere! 💕

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