CAPITOLO 29

Passó un'altra settimana.

Aron non era mai stato bravo a mostrare le proprie emozioni, era una cosa che l'aveva sempre spaventato. Eppure adesso pareva impossibile camuffare il dolore che gli infliggeva la mancanza di Cassandra. Erano abituati a vedersi per sbaglio, nelle ore che riuscivano a rubare alle loro vite, a sentirsi sbagliati. Ma neppure i sensi di colpa erano tanto terribili quanto doverle stare lontano.

Il locale che avevano scelto per cenare era tranquillo, poco frequentato, piccolo e abbastanza intimo. Si trovavano proprio dove Aron era nato, o Polina aveva detto di averlo fatto nascere. C'erano tante cose del passato, degli anni che avevano passato separati, che Aron non conosceva di sua madre.
Dalle finestre entrava solo buio, non c'era troppa illuminazione per le strade e se questo poteva essere un male per i più timorosi, lui lo adorava. L'oscurità gli piaceva, muoversi nell'ombra, scomparire.
Stava mangiando dei pierogi ripieni, quando se li era visti davanti non pensava di poter ricordare il loro sapore, e invece quando li addentó scoprì che era sempre stato nella sua memoria, a riscaldare i ricordi più nascosti. Riuscì solo a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto poterli far assaggiare a Cassandra, che magari avrebbero trovato un'altro cibo che li unisse. Si ritrovó a sorridere come uno stupido, con il piccolo raviolo morso a metà fermo davanti al viso, tenuto con la forchetta argentata.

« A che pensi? »
Klaus stava finendo il suo piatto, aveva appena alzato lo sguardo e se l'era ritrovato davanti assorto a pensare a chissà cosa.
« Che mi ero dimenticato di quanto fossero buoni i pierogi. »
« Io non li avevo mai assaggiati. »
« Polina li sa fare. »
Quando erano scappati via si erano subito adoperati per dimenticare qualsiasi cosa riguardasse il loro passato, avvolto da un'ombra di tristezza e dolore. « Le chiederó di cucinarmeli spesso allora. »
« Non so se avrà voglia, è una di quelle cose che le ricorda il passato... »
« Magari se troviamo tua sorella il passato sarà meno brutto. »
« Decisamente, quando la troveremo lo sarà. »
Non contemplava neppure la possibilità che non riuscissero a trovarla, non poteva. Aveva fatto una promessa a sua madre, a se stesso, quando avega deciso di salvare tutta la sua famiglia. « Ho trovato l'orfanatrofio dove è cresciuta, forse lì possono dirci chi l'ha adottata. »
« E poi? »
« Poi andiamo a prenderla. »
Klaus annuì, era strano vederlo prendere ordini, eppure non gli dava fastidio, anzi, Aron sapeva che se avesse potuto avrebbe fatto molto di più. Non aveva idea di come avrebbe fatto a prenderla, ne parlava come se fosse facile, una specie di missione, non aveva realizzato che si stesse per infilare nella vita di una persona completamente ignara di tutto. Del male della sua vita, dei sacrifici, del denaro sporco e tutta la criminalità che loro davano per scontata.
Aron non considerava piú il modo in cui viveva diverso, era l'unico, forse anche il migliore.

« Magari prima proviamo ad avvicinarla senza dirle niente, per capire che tipo sia, che dici? »
« Tipo come? »
« Non lo so, ma non sappiamo come potrebbe reagire, magari se siamo troppo avventati l'allontaniamo. » Klaus aveva ragione, Aron alzó le sopracciglia e battè qualche volta le palpebre. Non pensava che avrebbe mai sentito delle parole tanto comprensive venir fuori dalla sua bocca.
Forse Lidia l'aveva aiutato davvero, gli sorrise.

« Hai ragione, da quando sei così sensibile? »
Scrolló le spalle. « A volte aiuta. »
« Non dicevi che era una debolezza? » L'unico essere al mondo che poteva provocarlo in quel modo, era il suo fidato Lupo. Erano tutte domande legittime, ma impensabili da fare al temuto Klaus Van der Meer. « Cioè come mai hai cambiato idea? »
« Perchè così riesco a studiare meglio le persone, capisco tante cose che prima non afferravo subito, tipo... » Infiló la forchetta in un raviolo, lo divise a metà prima di portarlo vicino alle labbra. « Quando qualcuno sta mentendo. »
Quella frase arrivó ad Aron come una minaccia, sebbene non lo fosse minimamente. Si sentiva un verme, sapeva di aver sbagliato. Improvvisamente fu quasi contento di trovarsi lì, lontano dai suoi peccati. Lontano da Cassandra. « Hai sentito Lidia? Come va a casa? » Che fa tua sorella? Come sta? Si era ripromesso di non nominarla, di non scriverle, di non pensare neppure a lei. Chiaramente non v'era riuscito. Si convinse che non ci fosse niente di sbagliato a voler sapere come stesse.

Annuì. « Si, mi manca molto. » Lo immaginava, lo vedeva, sentiva che ci fosse qualcosa di terribile a tormentarlo. « Infatti stavo pensando di tornare. » Anche quella notizia non lo sorprese, era giusto. Aron si limitó a prendere un altro raviolo e a dividerlo in due. « Ho preso già i biglietti. » Quello, invece, non l'aveva proprio immaginato. Di solito lo avvisava sempre prima, non dopo.
« Lo so che non te l'aspettavi, ma io ho bisogno di tornare. » Sempre per Lidia? « Sia per Lidia che per mia sorella. »
Allargó lo sguardo. Si preoccupó immediatamente e si pentì all'istante di essersi mostrato tanto preoccupato. « Non sta bene? »
« Non lo so, è strana, Lidia mi ha detto che le sembra strana. » Non era per niente un buon segno. Avrebbe voluto poterla chiamare, dirle di non preoccuparsi, che dovesse srare tranquilla perchè presto sarebbe tornato ma non poteva, e non poteva neppure tornare.
« Ma tu ci hai parlato? »
Klaus scosse il capo.
« No, sinceramente no. »
« Credi sia una specie di ricaduta? » Cercava di non sembrare preoccupato, di parlare con la solita calma che lo accompagnava sempre.
« Non ne ho idea, non lo so mai. » Un nodo fastidioso legò la gola di Aron, non riusciva a parlare, sapeva solo che desiderava con tutto se stesso di poterla almeno chiamare. Ma non era giusto, sarebbe stato molto peggio.

« Io comunque resto qui, se trovo mia sorella non voglio perderla di vista. » Davvero sarebbe riuscito a restare lí? La solitudine non era mai stata un problema per Aron, lui non aveva mai avuto una famiglia come quella dei Van der Meer, un cognome che lo unisse a qualcuno, un padre da temere. Al contrario, aveva tutto da dimenticare. La solitudine era stata la sua pace.
Eppure, adesso si sentiva solo.
L'amico gli sorrise, era quasi dolce. « Sono l'ultima persona al mondo che può dirti che sbagli. »
« Sono curioso di sapere che tipo è, sai? »
« Come te la immagini? »
« Non ne ho idea, non lo so davvero, spero... » Cosa stava per dire? « Spero che sia felice, che non abbia dovuto patire la fame, il freddo, che si sia dimenticata di essere stata abbandonata da sua madre. » Ma che diceva? Klaus non sapeva cosa rispondergli, Aron lo capí quando schiuse la bocca e allargò lo sguardo sempre attento. Voleva dargli ragione, doveva farlo ma come poteva?

« Non sarà facile. »
« Lo so, lo so. » Non sapeva neanche più perchè lo stesse facendo, se per se stesso, per Polly o perchè fosse solo giusto cosí, perchè era quello che tutti si aspettavano da lui.

Klaus allungò le braccia sul tavolo, poi si tirò indietro. « Comunque ho deciso, lo faccio. »
Aron era distante, perso da qualche parte nei propri pensieri. « Che cosa? »
« Voglio chiedere a Lidia di sposarmi, quando torno. »
« Sul serio? » Aron aveva sempre scherzato su questa cosa, ma non ci aveva mai pensato seriamente, anche se era decisamente ovvio che sarebbe finita in quel modo.
« Certo. » Parlava lentamente, come se si stesse riservando di dirgli tutto. Come se dovesse trattenersi, Aron odiava quando lo faceva. Significava che aveva un piano che gli viaggiava per la testa. « Poi quando torno decidiamo tutto, il giorno e... »
L'amico lo interruppe. « Dai per certo che ti dica di si? » Si misero a ridere entrambi, se non lo aveva abbandonato fino a quell'istante, allora gli avrebbe detto sicuramente di sí. Erano fatti per stare insieme, lui il diavolo lei l'opposto, si era innamorata dei suoi lati oscuri ed era riuscita comunque a salvare quelli ancora quasi innocenti.
« Beh, se non è scappata fino ad ora... »
« In effetti hai ragione. » Si pulí le labbra con un tovagliolo. Magari un evento cosí lieto avrebbe fatto bene anche a Cass, oppure l'avrebbe distrutta completamente. Non reggeva bene le feste, e neppure la rabbia che la distruggeva ogni volta che vedeva Klaus innamorato, mentre negava a lei la possibilità di ottenere la sua stessa felicità.
« Non voglio fare una cosa troppo in grande, mi piacerebbe un ricevimento a casa, in giardino, in famiglia. » Quale famiglia intendeva? Cosa, nella sua mente, aveva assunto la forma di quel concetto cosí tanto ripetuto, ma assolutamente poco familiare? Aron chinò il capo. Forse si riferiva a lui, Polly, i parenti di Lidia. Non aveva nessuno oltre loro.

« Si, concordo, senza troppi fronzoli. »
« Sempre se mi dice di sí. » Si guardarono per un breve momento, e sorrisero. Aron pensò che nonostante tutto, fosse grato all'universo per aver incontrato un amico come Klaus. Aveva mille difetti, ma nessuno era devoto e fedele come lui. L'amico più sincero che potesse avere, pensò di non meritarlo.
Davvero, dopo tutto quello che hai passato, Aron? Non trovava pace. Doveva pensare alla sua, di sorella. E moriva dalla voglia di conoscerla, ma ogni volta che trovava qualche novità gli veniva d'istinto di pensare a come avrebbe potuto raccontare tutto a Cassandra, poi si guardava intorno e vedeva Klaus. Quella lontananza glie la faceva desiderare mille volte di più.

« ...Sempre se dice sí. » Risero, e si dimenticarono per un attimo di chi fossero. « Mia madre si emozionerà tantissimo, e giuro di non averla mai vista commuoversi per niente. » Le uniche lacrime che aveva conosciuto erano quelle di tristezza, quando le avevano portato via i figli, l'amore, la vita. I sensi di colpa d'una madre mal riuscita.

« Dici? »
« Scherzi? »
« Magari da un'impronta nuova a casa Van der Meer, sono anni che voglio cambiarla ma non ho mai il coraggio. » Si tirò indietro, distolse qualche momento lo sguardo, come se temesse il giudizio di Aron.
« Si? » Non glie ne aveva mai parlato.
« Si, ogni tanto ci pensavo ma non trovavo mai il coraggio di... modificare le cose da come le aveva lasciate mio padre... e mamma. » La sua adorata mamma. Di suo padre gli mancavano i giudizi severi, il modo in cui era capace di indirizzarlo sempre verso la scelta giusta, mentre dell'altro genitore... gli mancava la sua mamma. La dolcezza, e i baci, le carezze dopo le botte.
« E ora? »
« Ora è diverso, adesso non mi sento più solo. »
« Non sei mai stato solo. » Suonava quasi come un rimprovero, in realtà voleva solo ricordargli che lui ci fosse. Che c'era sempre stato.
Klaus annuí, non s'irritò neppure un poco. Forse comprendeva. « Lo so, ma è una cosa diversa.
È tutto diverso. » Quando qualcuno ti ama? Alzò le spalle. Che strano sentirlo parlare in quel modo. Un tempo Aron gli avrebbe riso in faccia, gli avrebbe detto di cambiare idea finchè fosse in tempo, ma ora annuiva come se potesse capirlo.
In realtà puoi, Nowak.

Una cameriera li raggiunse per togliere i piatti vuoti, chiese loro se volessero altro e poi andò via. Qualche minuto dopo tornò con due bicchierini di vodka polacca, Aron non ne ricordava quasi più il sapore, ma l'odore, quello era impossibile da dimenticare. C'era una delle donne che lo seguivano nella casafamiglia che ne beveva sempre un po' dopo i pasti, era il figlio di un alcolizzato e avrebbe dovuto odiare quella bevanda, ma per fortuna, la collegava solamente al dolce viso della Pani Olga, paffuto e gentile, sempre caldo e affettuoso.

La giovane allungò i bicchieri sul tavolino e rivolse loro una breve occhiata. « Questi li offre la casa. » Poi si volse verso Aron, e restò qualche momento a guardarlo. Lui capí cosa volesse, le sorrise e scrutò il suo volto con lo sguardo, era bella, biondissima, gli occhi erano azzurri e i tratti cosí delicati che non sembrava vera. Klaus forse pensò di fargli un piacere, quando decise di richiamare la sua attenzione. « Perchè non bevi con noi? » Rivolse ad Aron uno sguardo d'intesa, lo vide titubante e si domandò probabilmente quanto dovesse averlo provato tutta quella situazione. Invece Aron pensava solamente che non avesse voglia di guardare nessuna che non fosse Cassandra, e la crrcava in ogni dettaglio di quella bionda, in ogni sguardo della gente intorno a lui, tanto gli mancava. « Solo uno, dai. » Si sentí costretto a rispondere in quel modo, la invitò con gli occhi a restare lí, a farlo sentire meno solo, anche se sperava davvero dicesse di no.

Quella si volse verso il bancone, controllò qualcosa e quando si fu accertata di poterlo fare, andò a prendere un altro bicchierino insieme alma bottiglia; si mise poi a sedere con Klaus e Aron, sembrava quasi contenta, ignara di trovarsi con gli uomini più pericolosi che avesse mai incontrato. Il polacco si alzò per prendere una sedia da un tavolo vuoto, poi la mise dietro di lei, in modo che potesse sedersi. « Grazie... » Lo mormorò piano, sorpresa che un uomo tanto sfacciato potesse essere anche cosí galante. Lui sorrise, piegò come faceva sempre un angolo della bocca e pensò che per una volta avrebbe potuto divertirsi senza pensare a niente, erano mesi che si dannava appresso a qualsiasi cosa.
Forse Klaus lo conosceva meglio di quanto credesse, lo capiva anche quando era incomprensibile.

« Mi chiamo Aron. »
« Joasia. » Klaus era probabilmente sorpreso che non le avesse parlato in polacco, forse non voleva svelarle subito chi fosse. Non le aveva detto il suo cognome.
« Lui è il mio amico Klaus. Siamo qui in vacanza. » Joasia si chiese probabilmente perchè mai qualcuno volesse andare in vacanza in quel posto, e non aveva tutti i torti. « Stiamo facendo il giro dell'Europa. » Che bugiardo. Lo disse un modo talmente convincente che per un momento ci credette anche l'olandese. Poi prese il suo bicchierino e buttò giù la vodka, era deliziosa. Invitò lei e lui con un cenno del capo a fare lo stesso. Il primo che obbedí fu proprio Klaus, Aron sapeva che non intendeva prenderne altri. Poi Joasia. Strinse un po' la bocca, forse era troppo forte per lei.

« Siete americani? »
« Più o meno. »
« In che senso? »
« I nostri parenti non lo sono. » Parlò come se fossero fratelli, con la stessa madre e lo stesso padre. Klaus non se ne sorprese, accadeva spesso tra loro due, a volte si dimenticavano di non avere lo stesso sangue. « Ma noi si. »
« Ah, ho capito. »
« E tu? Parli molto bene in l'inglese. »
« Mia madre era inglese, anzi, scozzese per la precisione. » Era? Non fece altre domande, non gli importava sapere chi fosse davvero quella giovane. L'occhio gli cadde sull'orologio di lei, era d'oro. Decisamente troppo costoso per una che lavorava un un posto simile, assottigliò lo sguardo. Lui e Klaus avevano pensato di linerarsi delle cose che avevano troppo valore, prima di entrare lí. Joasia invece idossava i suoi gioielli con una disinvoltura strana.

« Sapresti dirmi che ore sono? »
Quella piegò lo sguardo e tirò fuori il polso scintillante. Klaus e Aron si guardarono, qualcosa non tornava. « È un Cartier Panthère, giusto? »
Fu la Volpe a parlare per prima, sapeva sempre che cosa dire. Sfoggiò una pronuncia francese invidiabile. « Si, era di mia madre. » Si?
Improvvisamente lei si tradí, lo sguardo divenne imporovvisamente malizioso, forse aveva capito non fossero chi cercavano di sembrare. « Anche la mia ne aveva uno uguale, glie lo regalò mio padre, ricordo che impazzí per trovarlo. » Restò calmissimo, il busto si alzava e abbassava lentamente, nulla tradiva la sicurezza con cui parlava.
A quel punto si sentí di dover intervenire Aron. « Tu come hai fatto, Joana? »
Lei alzò le spalle. « Basta conoscere le persone giuste. »

Klaus e Aron si guardarono ancora, improvvisamente quella ragazza sembrò più interessante. Il polacco pensò che forse fosse davvero un buon modo per alleggerire la testa. Piegò l'angolo della bocca e allungò una mano verso il polso di lei. « Posso? »
Lei allungò il braccio e lo guardò languidamente, il biondo le accarezzò la mano lentamente e poi le avvolse il polso con le dita, in un modo cosí delicato che la sentí rabbrividire subito. « È proprio bello. » Risalí oltre il polso, sollevando leggermente l'orlo della maglietta.
Le labbra rosee della polacca si schiusero lentamente, stava trattenendo il respiro. Klaus invece se la rideva sotto i baffi, intanto si era versato un'altro sorso di quella Vodka particolare, e probabilmente stava solo pensando che sulle labbra di Lidia avrebbe avuto un sapore ancora migliore.

Non lo sapeva, ma Aron lo invidiava.
Aron lo capiva e non poteva dirglielo.
Strinse le labbra carnose e scaldò lo sguardo.
« Lo vuoi vedere meglio? »
Annuí. « Posso? » Raggiunse il punto in cui era legato, con le dita fece una leggera pressione e la chiusura scattò facilmente. Glie lo sfilò piano, e se lo rigirò tra le mani qualche momento.
Poi senza chiedere, tornò sul suo polso e lo chiuse delicatamente, solleticandole la pelle con i polpastrelli. Versò ad entrambi altro da bere, Klaus si dileguò in bagno con una scusa stupida e rimasero da soli.

Aron a quel punto si sporse oltre il tavolo. « Powiedz mi swoje prawdziwe imię. »
*Dimmi il tuo vero nome.

Lei ridacchiò, si sistemò i capelli dietro la schiena.
« Parli la mia lingua. »
« Parlo tante lingue. »
« Vediamo se riesci a farmi confessare la mia identità. »
« I miei metodi sono infallibili. »
Bevve ancora, con un gesto veloce portò il bicchierino alle labbra e la Vodka gli incendiò il petto. Ghignò, compiaciuta di essere riuscita suscitare la sua curiosità. Pensava di interessargli davvero? La poveretta non sapeva sarebbe stata l'ennesimo tentativo di Nowak di scordarsi di un'altra. « Vedremo. » Alzò le spalle e ritirò il braccio, come ad allontanarlo.
Lui cercò con disinvoltura un pacchetto di sigarette nella tasca del cappotto e lo tirò fuori: poi lo aprí e ne sfilò una con le labbra. Lo porse alla giovane. « Vuoi? »
« Mh. » Con l'indice e il pollice l'afferrò dal filtro giallino.

Si alzarono insieme e camminarono verso l'uscita. La bionda non doveva essersi resa conto di quanto fosse alto: lo guardò dal basso verso l'alto come si osserva una statua scolpita nel marmo, imponente e delicata, rara. Si spostarono fuori, lí faceva freddo, Aron pensò fosse lo stesso dannato freddo che aveva subito durante la sua infanzia, lo sentiva nelle ossa e gli mangiava la carne. Lui si spostò la sigaretta tra le labbra e quando furono lontani dalle luci dell'insegna poco luminosa fece scattare l'accendino, la fiamma bruciò il tabacco e la carta chiara, inspirò profondamente e poi lasciò andare una nuvola di fumo.

« Mi piace quando parli polacco, si sente che è la tua lingua. »
« Qui di mio non c'è niente. »
« Ci sei tu. »
E sono davvero di me stesso? Gli venne da ridere. Lei se ne accorse, inclinò il capo da un lato e accennò un sorrisino malizioso. « Stasera non ci sono. » Le si piantò davanti, e decise che davvero per quella notte non sarebbe esistito, o quantomeno ci avrebbe provato. L'alcol gli infiammava ancora le labbra e gli riscaldava il respiro, pesante.

La bionda fece un passo in avanti, serrò le labbra e poi le schiuse lentamente. « E dove sei? »
Non esisto. Non le rispose, spense il cervello e chinò il viso, inspirò lentamente e prese un ultimo breve tiro, prima di lasciare che il fumo abbandonasse un'altra volta i suoi polmoni. Assottigliò gli occhi e la baciò, solo per provare qualcosa di diverso, qualcosa che lo appagasse, anche solo per un momento, un secondo brevissimo. L'altra ricambiò il baciò, gli morse il labbro inferiore e gli accarezzò il petto con la mano libera. Aron avanzò senza pensarci, la spinse vicino al muro, dove la luce era ancora più bassa. « Vado a pagare e ce ne andiamo. »
Lei si alzò sulle punte, gli morse il collo e poi gli sfiorò l'orecchio con il naso. « Offre la casa. »
Posò nuovamente le labbra sotto il mento di Aron, le sfuggí una risatina divertita, vibrò sulla pelle di lui e lo fece sospirare piano.

Lui le strinse un fianco con tutta la passione che potesse, affondò le dita sopra il tessuto del cappotto di pelle, poi le infilò sotto, per accarezzarla.

Fu un attimo.
Un attimo, il tempo che gli ci volle per spegnere completamente il cervello, per spegnere tutto. Non sapeva se fosse merito di quella nuova conoscenza, del legame innegabile che li univa, le loro origini, una sorta di povertà, di voglia di riscatto, la semplicità di chi sapeva di dovercela fare a tutti i costi. Oppure il modo dolce in cui pronunciava il suo nome, lo sguardo languido e una specie di indecisione, quasi come se anche lei sapesse di star facendo una cosa sbagliata, di non avere alternative. Forse si fermarono in un altro locale, prima, forse aveva fatto in tempo ad avvisare Klaus o forse no, comunque non ricordava niente.
Niente, fin quando non si trascinarono nel primo hotel che si trovarono davanti -o forse era il secondo, o terzo?- e fu proprio lui, a tirare fuori una bustina di stagnola dalla tasca interna del cappotto. L'altra rise, era eccitata.
Si mise in ginocchio, la stanza non era calda ma l'alcol faceva ribollire loro il sangue nelle vene. Tirò in avanti un tavolino, o forse il comodino. Aron non capiva se fosse lontana dal letto, o in mezzo a delle poltrone. Forse erano una.
Comunque si fiondò su di lei ancora prima che potesse sistemare la coca sulla superficie liscia, l'afferrò da dietro, sedendosi alle sue spalle. Le alzò la maglietta e le morse il collo, vorace.
La sentí irrigidirsi e poi abbandonarsi completamente, sghignazzò sulla sua pelle ancora umida e decise che non avesse voglia di aspettare ancora. Si spostò e cercò il portafoglio, lei lo esaminò come se potesse aiutarla a risolvere chissà che enigma e poi lo vide tirare fuori una delle carte americane. La usò per trasformare in tante righe piccoline il loro bottino.

E ci si fiondò dentro, come un bambino sotto l'albero di natale a dicembre, come se fosse tutto quello che gli restava. Una scarica di adrenalina gli accese una fiamma che pensava di non avere più, e quando la bionda fu pronta, se la tirò addosso e caddero sul teppeto, come due animali in cerca di calore.

Le strappò via la camicetta, o forse se l'era tolta lei, non ricordava bene. Comunque il suo seno se lo ricordava, mentre si muoveva su di lui ogni volta che lei si spingeva in avanti.
Erano già nudi? La spinse sul letto e le fermò le braccia in alto, legandole ai polsi con la cinta dei pantaloni.

Non pensare a lei, non pensare a Lei, non...

Entrò tra le cosce della giovane di cui ignorava il nome quasi con violenza, come volesse scaricarle addosso tutta la sua frustrazione. E a lei piaceva, la rabbia di cui la stava ricoprendo, la eccitava da morire. Si chinò sul suo petto e le morse un capezzolo, non gli importò d'esser dolce, e quando lei provò a dimenarsi la fermò contro il materasso.
Decideva lui come, quanto, che cosa dovesse provare. La sentí gemere, pensò solamente che non fosse giusto quanto lei stesse meglio di lui, allora si allontanò dalle sue gambe e le sciolse la presa sui polsi. La biondina guizzò subito in avanti, si appropriò della cinta e glie la girò attorno al collo, ridacchiando fastidiosamente.
Aron stava per spostarla via, ma poi pensò che gli andasse bene cosí. La fece tornare sotto di lui e scese con la testa sotto il suo ventre, voleva sentirla tremare sulla propria lingua e cosí accadde.

Non pensare a Lei, non pensarci, non immaginarla...

Con un grugnito carico di frustrazione tornò con lo sguardo contro quello della cameriera, era cosí vuoto che gli mise paura. Si strusciò sulla sua entrata qualche attimo e poi tornò a muoversi in lei, come se gli piacesse davvero.
« Oh... » Avrebbe voluto urlare il suo nome, ma non era certa di ricordarlo. « ...Cristo... »
« Si. » Aggiunse lui, quando finalmente fu sazio. Sperò di non esserle venuto dentro. « Merda. »
« Tranquillo. » Prendeva la pillola? Sperò intendesse qualcosa del genere. Non aveva proprio capito un cazzo.
« Si. » Avevano ancora l'affanno. Aron si sistemò sul letto deciso a dormire, anche se non ricordava di chi fosse quella stanza. Era un albergo, no?
Forse proprio il suo. E Klaus?

Chiuse gli occhi e magicamente il suo cervello si riattivò, tutti i pensieri che aveva ignorato ed evitato fino a quel momento tornarono a galla, anzi, tornarono come un'onda enorme pronta a distruggere tutta l'eccitazione di prima. Aveva il corpo ancora caldo quando riconobbe il suo sguardo, era triste, ma era raro che gli occhi di Cassandra fossero felici.
Che cosa le aveva letto Polly nelle foglie?
« Dice che il nostro destino è legato, lo sai che significa vero? »
« Che significa? Perchè sei triste? » Erano nello studio, il tavolo di cristallo in disordine come piaceva a lei, la notte copriva già il cielo di New York e si mostrava maestosa dalla finestra del salotto di casa Nowak. La sua piccola Cassy sembrava ancora più esile, più sofferente. Si tirò una ciocca di capelli indietro, indossava i soliti abiti neri e aveva delle occhiaie impressionanti.
« Come stai Cass? Io voglio che tu stia bene, voglio che ti dimentichi di me. »
Lei non disse nulla, neppure quando lui si avvicinò, smarrito.
« Sai che significa... vero? »
Scosse la testa, non gli importava neppure. « Non lo so, che cosa vuoi dirmi? » Non rispondeva.
« Cosa vuoi dirmi, Cass? »

« ...Cassy... »
Aprí gli occhi, dove cazzo era? Accanto a lui la conquista della sera prima, alla fine non glie n'era importato niente di sapere come si chiamasse.
Per fortu a dormiva. « Chi è Cassy? »
« Chi? »
« L'hai nominata per tutta la notte, eri insoportabile. Parli nel sonno, sai? »
Solo quando sono a disagio. « Non esiste nessuna con quel nome. Forse è il tuo che pronunciavo. »
« Ma se neppure lo sai. »
« Non me l'hai detto. » Si volse su un fianco, gli faceva male la testa. Comunque guardò i segni dei morsi che le aveva lasciato addosso. Si mise ad accarezzarle un seno. Lei ansimò. « Non me l'hai chiesto. » Si chinò per baciarla dove prima la stava solo toccando con le dita, le succhiò il capezzolo e prese a stuzzicarlo con la lingua. Lei inarcò la schiena, offrendogli tutto il suo petto. Allora Aron decise di spostare il palmo della mano più in basso. « Come ti chiami? »
« Io... » Non finí neppure la frase, aprí le cosce per permettergli di sfiorarla con le dita tra le gambe. « Ah... Io sono... »
« Come? » Entrò tra le sue labbra con l'indice, la massaggiava piano. « Non capisco, hai detto qualcosa? »
« Do— » Soffocò un altro gemito nel cuscino. Solo quando venne, riuscí a completare il proprio nome. « Dominika. »

Scoparono ancora, solo per cancellare da quella giornata il nome di Cassandra.
Eppure, tornava sempre.

Tornò anche dopo, quando dovettero salutarsi, quando Klaus lo raggiunse e lo trovò con lei. A quanto pareva erano proprio nell'albergo che si era scelto per passare quel lungo soggiorno. Dove diavolo era stato Klaus? Forse aveva scelto solo di prendere un'altra stanza, per non disturbarli.
Comunque adesso era lí, e li guardava severamente, come solito.

« Deve essere molto fortunata, questa
Cassy. » Dominika lo sussurrò sulle labbra di Aron, come una sorta di saluto scontento.

« Che c'entra mia sorella? »
Aron sgranò gli occhi. Dominika alzò le sopracciglia, come se avesse inteso il motivo per cui non potesse parlare. « Che cosa c'entra
Cass? » Gli veniva da ridere, ignaro di che cosa avesse realmente udito. Il silenzio dei due lo insospettí, tanto che avanzó verso di loro e rifece la domanda. « Perchè è fortunata? »
« Non è tua sorella. » Fu la prima cosa che gli venne da dire. Accompagnò quell'affermazione con una risata poco convinta.

Klaus gli stava ancora concedendo l'opportunità di recuperare in extremis. « Non mi dire cazzate. »
« Si fa chiamare Cassiopea. »
« Chi cazzo sarebbe. »

« Ma perchè sei cosí incazzato? »
Non era una reazione sicuramente normale, quella di Klaus. La domanda di Dominika era legittima.

« Ci sono troppe cose che non mi racconti... e poi— » Si bloccò, come se avesse avuto un'illuminazione. Ecco che cosa intendeva Lidia. Il gelato.
Quel diavolo di gelato.

« Ti ammazzo. »
Aron lo sapeva che non scherzava. Per questo si buttò per primo su di lui, per evitare che facesse cazzate. « Mi fai schifo. » Gli sputò in faccia, nulla conteneva la sua rabbia. Aron urlò alla bionda di sparire, mentre Klaus riusciva finalmente a liberarsi dalla sua presa per rimettersi su e tirargli un pugno in pieno volto. Usò cosí tanta forza che lo vide barcollare. « Ti ho affidato mia sorella per proteggerla, pezzo di merda! » Lo fece cadere a terra con una spinta e lo riempí di calci. Aron non si opponeva, era una liberazione. Stava finalmente espiando le proprie colpe.

« E alzati, non fare quello che non risponde, con me non la fai la vittima del cazzo. »
Finalmente Aron si alzò, provò a parlare ma subito gli arrivò un destro sul labbro, spaccandoglielo. « Mi hai mentito. »
« Non è come pensi. »
« E come cazzo è? Non ti scopi mia sorella? »
« Non è come pensi ti ho detto. »
Allora Klaus si avvicinò di più e gli urlò contro il viso. « Allora come cazzo è? »
Gli buttò tutto addosso. « Io la amo, sono innamorato di tua sorella, e non posso farci un cazzo di niente. »
« Che cazzate. »

« Io la amo, la amerò anche se mi ammazzi di botte. »

💎💎💎
Fatemi sapere che ne pensate 😏

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