CAPITOLO 26


Please don't ever
become a stranger

Erano uno davanti all'altro, lo sguardo indagatorio, Aron cercava di sembrare tranquillo, invece l'ansia se lo stava mangiando. Fregare Klaus era impossibile, avrebbe dovuto prestare molta più attenzione. « Strano. » Il tono di voce era severo, quasi minaccioso. Sicuramente autoritario, come se volesse imporsi su di lui.
« Da quando l'ho provato ho scoperto che mi piace, non capisco perchè ti interessa tanto. » Davvero non capiva? Non poteva star insinuando altro. Non poteva aver già compreso ogni cosa. Non aveva avuto neppure il tempo di godersi i propri errori. La parte del finto tonto non gli si addiceva per niente.

Klaus rimase fermo, con la bustina di caramelle colorate tra le dita. Avrebbe voluto chiedergli dove fosse stato la scorsa notte, ma si vergognava, non poteva fargli una domanda simile e non voleva neppure sentire la sua risposta. Aron invece tremava d'ansia; Klaus era terribile quando tirava fuori il peggio di se'. « Non è che tu sai chi è quello con cui si vede? » Aron tiró un sospiro di sollievo. Siamo giá arrivati a questo punto, Van der Meer? Il biondo si domandó se gli avesse posto quella domanda solamente per dargli l'ultima occasione di essere davvero onesto.
Ma come poteva? Non gli uscirono neppure le parole di bocca.
Restó in silenzio, perchè mai avrebbe dovuto sapere una cosa simile. Lo squadró da capo a piedi, non riusciva a decifrarlo ed era una cosa decisamente strana. Lo metteva a disagio.
« Ma che stai dicendo. » Era raro che gli rispondesse in quel modo, tutta quella comversazione gli pareva assurda.
« Perchè sembri sempre così legato a mia sorella? »
« Perchè è tua sorella. »
« Non è vero, quando parli di lei sei strano. » Non poteva permettere si convincesse d'una cosa simile. Aveva sbagliato a parlarne, a pronunciare il suo nome in sua presenza. Era ovvio che si sarebbe accorto di qualcosa di strano. Lasció perdere la bustina, la molló sul bancone della cucina e incroció le braccia al petto.

Aron si massaggió una tempia con una mano, poi tiró indietro i capelli folti. « Ho letteralmente appena scoperto di avere una sorella gemella, mi concedi di essere un po' turbato? » parló con fare sarcastico, era nervoso, incazzato, e si sentiva un mostro. Non voleva mentirgli, eppure se solo pensava di doversi separare da Cassandra si sentiva morire. Eppure lo stava facendo. « Domani parto per la Polonia, non so quando torno, non voglio lasciarti così. » Che bugiardo! Pensava di risolvere tutto in quel modo, scappando; aveva finalmente un immenso problema con cui distrarsi, qualcosa di abbastanza importante da funzionare come diversivo ai sensi di colpa.

Klaus parve improvvisamente riprendersi, come se per qualche minuto si fosse perso nei suoi ragionamenti. « Hai ragione, hai ragione. » Serró i denti, sembró razionalizzare delle idee più logiche. Eppure le sue contorte congetture non erano certo tutte sbagliate. Mai avrebbe pensato, Aron, di ritrovarsi a raccontargli delle bugie in quel modo. « È che sono sopraffatto dalle cose, scusa. »
« Prenditi un momento per respirare, pensa a cosa direbbe Lidia. » Colpo basso. Metterla in mezzo solo perchè sapeva fosse il suo punto più debole.
Prese un respiro profondo. « Mi direbbe di lasciar perdere mia sorella, e che tutto si sistemerà. » Aron sapeva quanto fosse sopraffatto da tutto, quanto cercasse di tenere tutto in equilibrio, che peso avesse sulle spalle.
« Esatto. » Aron si allontanó un'altra volta, andó verso il divano e cercó di non guardarlo, odiava dovergli dire cavolate, nascondergli cose, anche se si trattava dei propri pensieri.

Klaus lo raggiunse. « Se vuoi ci vengo davvero con te, sarà difficile da solo. Partiamo stanotte, dopo che ho sistemato il carico. » Sembró quasi pentito delle insinuazioni che aveva osato fare. Quanto si sbagliava.
« So che sarà difficile, ma penso sia una cosa che devo fare per conto mio, è importante. » Doveva rimettere in ordine la sua vita, il modo migliore per farlo era scappare via. Da Cassandra, da Klaus, perfino da sua madre. E doveva farlo subito, senza dire niente, senza dare la possibilità a colei che amava di chiedergli di restare. Sarebbe bastato un suo solo pianto a fargli mandare tutto all'aria.

« Se hai bisogno chiama, davvero. »
Aron abbassó la testa. « Sai che non lo faró. Comunque se vuoi ti do una mano stanotte, parto dopo. »
Klaus scosse il capo. « Dovremmo essere abbastanza, non è necessario. »
« Tanto sarei partito comunque domani mattina. Non preoccuparti. »
La Volpe lo guardó ancora una volta in un modo strano, ma questa volta non gli mise paura: per la prima volta vide della tenerezza nel suo sguardo. Gli stava dicendo che gli sarebbe mancato, ma non riusciva a tradurre quell'emozione in parole. Non ce n'era bisogno. Strinse le labbra e pensó che sarebbe stata la prima volta in cui si sarebbero separati davvero.

« Magari ti vengo a trovare. »
« Dillo che senza di me sei perso. »
Ed era vero. Perchè mentre pensava ad occuparsi di tutti, era sicuro che Aron si preoccupasse sempre per lui, che se fosse successo qualcosa avrebbe sempre potuto contare su suo fratello.
E invece adesso gli mancava un pezzo.

Alzó lo sguardo al cielo.
« Ti faccio sorvegliare. »
« Hai paura possa fare qualche cazzata? »
« Certo. » Ho bisogno di te, ho bisogno di mio fratello. Si misero entrambi a ridere, poi Klaus si avvicinó a lui e lo abbracció, come se non dovesse partire il giorno dopo ma a momenti, e non dovesse tornare mai più.

« Lidia come sta? Come si trova a casa vostra? »
« Credo bene, da quando viviamo insieme è molto meglio. »
Rise. « Ti sopporta tutto il giorno? »
« E anche la notte. »
« E tu? »
« Io sto benissimo, vorrei rimanesse per sempre. »

A quel punto Aron pensó la cosa più naturale del mondo, chinó il capo e poi lo alzó lentamente, per fissare il proprio sguardo in quello di Klaus. « Potresti sposarla. » La volpe pensó in quel momento che ci fosse davvero una ragione, per cui loro due si fossero incontrati, per cui fossero diventati così uniti. Nessun altro gli avrebbe potuto dare un consiglio del genere, in quel momento. Al momento giusto.

« Hai ragione, hai proprio ragione. » Aron sorrise, contento che il suo migliore amico fosse felice. Non l'aveva mai visto così, dopo che erano morti entrambi i suoi genitori era piombato in un vortice di tristezza e rabbia. Se lo meritava, e non doveva assolutamente sapere di lui e Cassandra.
« Cerca di tornare per tempo, allora. » Aggiunse.
« Non mi perderei un giorno simile per niente al mondo. »

Aron sorrise, fantasticare di quelle cose con lui era surreale, eppure decisamente prevedibile. Se c'era qualcuno al mondo con cui si vedeva a fare discorsi del genere era proprio Klaus. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che la relazione disastrosa tra sua madre e il padre aveva avuto su di lui uno strano effetto: si era ripromesso di dimostrare al mondo e a se stesso che non dovesse essere per forza così.

Aron invece una cosa simile non se l'era mai immaginata, non sapeva neppure cosa volesse dire una famiglia. Qualcuno che lo aspettasse a casa, non essere solo. Sapeva voler bene, ma non in quel modo. « Spero che tu riesca a trovare tua sorella. »
« Si, anche io. » Tutto per costruire una famiglia, qualcosa che vi sonigliasse.
« Sai come si chiama? »
« Mia madre l'ha chiamata Marina, adesso non so quale sia il suo nome. »
« Marina e Aron. » Klaus li chiamó insieme, come se stesse ricordando il testo di una canzone, distrattamente. « Suona bene. »
Una risatina infastidita vibró sulle labbra del Lupo. « Suonano come i nomi di due figli di cui mia madre voleva liberarsi. » E non aveva tutti i torti. Si morse subito la lingua, odiava parlar male di Polina, non avrebbe saputo immaginare la sua vita senza di lei, eppure a volte non la capiva. Preferiva non pensare a quello che era successo quando era piccolo. « Come faccio a non darle la colpa. »
« Non lo so, è normale che tu voglia prendertela con qualcuno. »
« Di chi è la colpa. »
« Di tuo padre, Aron. È colpa sua. »
Fece qualche momento di pausa, ci furono dei secondi lunghissimi in cui nessuno disse niente.« Spero sia morto. » Aron non parlava mai di suo padre, spesso si comportava come se non ne avesse uno, e alla fine era così: non lo aveva mai incontrato. Per fortuna. « Spero davvero che sia morto. » Pareva un'ingiustizia dirlo davanti ad una persona il cui padre era morto davvero, ma non poteva fare a meno di odiarlo. Se lui fosse stato diverso sua madre non l'arebbe mai abbandonato, peró non avrebbe nemmeno mai conosciuto Klaus.

« Non sei mai stato curioso di sapere che faccia abbia? »
A quel punto si fece serio, immaginó per in momento di vederlo, di rivedersi nel viso di quell'uomo orribile. « Se dovessi scoprire che gli somiglio mi strapperei la pelle dal viso. »
Era difficile sentirlo parlare in quel modo, agitato, rabbioso. Tra i due era sempre Aron quello che manteneva la calma. « Ma non ne parliamo. »
« No, infatti. Ti va il gelato? Ho sempre pensato che mia sorella fosse pazza, ma voglio provarlo... quell'intruglio con gli smarties. »
« Sono le dieci di mattina. »
« Penso che mia sorella sarebbe capace di mangiarlo anche a quest ora. »
Aron rise. « Si, credo di si. » E l'aveva vista farlo, un sacco di volte quando era più piccola.

L'amico si alzó e andó verso il frigo, prese la vaschetta di gelato e l'aprì con un rumore secco.
Poi riempì due bicchieri e ci fece colare dentro la nutella, era quasi finita. Anche quella cosa gli sembró strana, ma non voleva tirare fuori discorsi spiacevoli, non era il momento. Non aveva idea di come affrontarli.

Mangiarono insieme come se fossero tornati piccoli per un momento, per scappare un istante alle responsabilità e ai guai che la vita gli aveva riservato. Poi tornarono a struggersi, a dannarsi per il carico di quella notte, per Andrea, Lidia, Polly, Cassandra. Aron prenotó il volo, mentre Klaus pensó a chiamare Irina per chiederle di aiutare la sorella di Lidia. Ognuno tornó alla sua vita.

I bicchieri vuoti restarono sporchi nel lavandino fin quando Aron non decise di pulirli, allora fu cancellata anche quella minima traccia della loro innocenza. Il polacco prese a cercare un modo per sbrigarsi a fare tutto. Voleva aiutare Klaus ma non era abbastanza coraggioso da vedersi scivolare Cassandra via dalle mani.

Anche in un momento simile, pensava solo a lei. A quanto sarebbe stato orribile averla lontano. Se chiudeva gli occhi riusciva ad immaginarla lì, davanti a lui, sorridente e serena. Lui gli stava chiedendo scusa, per aver permesso che potesse avvicinarsi troppo, per averle concesso di crederci. Era quasi ora di pranzo, decise che avrebbe fatto meglio a sbollire tutta quella rabbia da qualche parte: se fosse amdato al maneggio sarebbe stato sicuramente solo. A quell'ora non c'era mai nessuno, solamente Polly, ogni tanto. Pensó che fosse il momento migliore per farci un giro. Così indossó gli abiti adatti e salì in auto.
Ripensó alle parole di Klaus, a come avesse trovato il punto esatto in cui fosse andato a prendere Cass, gli venne da vomitare.

Arrivó a destinazione e, come pensava, c'erano pochissime auto fuori. Riconobbe quella di Polina, e altre di cui non conosceva i proprietari. Aron non era un amante dei cavalli, sapeva montare solo perchè glie l'aveva insegnato Klaus, per essere bravi in quel genere di cose bisognava nascere ricchi. Andó da sua madre, non bussó neppure prima di entrare, spalancó la porta e la trovó con il capo chino sulla scrivania, non stava lavorando, non stava leggendo niente. Pareva volersi nascondere, come se si fosse pentita di aver tirato nuovamente fuori quella cosa.
« Non devi più portarti dentro questo dolore da sola, mama. » Si mise seduto davanti a lei, aveva lo sguardo stanco, di chi ne aveva passate troppe.
« Non volevo che subissi anche questa, sono stata una pessima madre... ma almeno questa potevo evitartela. » A quel punto Aron allungó le braccia in avanti e le posó sul tavolo vuoto. Cercó quelle di Polly e le strinse tra le proprie. « Hai fatto bene, hai fatto bene, e ti prometto che la ritroveró. »
Finalmente lei alzó lo sguardo e incroció quello del figlio. « Non farlo. »
Lui non comprese subito. « Cosa? »
« Non promettermi niente, poi ti sentiresti troppo in colpa. » Vi fu un breve momento di silenzio.
Aveva ragione.

Si morse una guancia. « Parto domani all'alba, con il primo volo disponibile. » Sapeva cosa stesse pensando Polly: che avrebbe perso anche lui. Le si stava spezzando il cuore ma non poteva farci niente. « Non so quando torno, comunque ti aggiorno, va bene? »
« Voglio sentirti ogni giorno. » Il tono di voce era severo, anche lo sguardo, come se stesse provando a rimanere la stessa persona autoritaria di sempre. Ma non ci riuscì. Quando incroció lo sguardo di Aron le si arrossarono gli occhi, allora lui si alzó e la raggiunse, per abbracciarla.
« Guarda che torno, non vado via per sempre. »
« Lo so, lo so. » Si alzó e lo strinse forte, sarebbe stato difficile per entrambi, ma era giusto così.

« Senti, se la vedi non dire a Cassandra che parto domani, non dirle nulla. »
Polly non comprese. « E perchè? »
« Perchè sarebbe più difficile. » Lo ammise vergognosamente, come se stesse confessando il peggiore dei crimini.
« Non vuoi dirle addio... »
Gli veniva da vomitare solo a pensarci. « Non so se ne sono capace, è meglio così, sarebbe straziante. »
« Non sono d'accordo, ma faró come vuoi. » Non era giusto nei confronti di lei, ma forse in quel modo avrebbe imparato ad odiarlo. Bastava per non amarlo più?
« Non mi offri il solito te, oggi? »
« Non so se sia il caso. » Risero insieme, avevano lo stesso modo di incurvare stringere le labbra quando non sapevano cosa dire. Aron si allontanó con il viso e le lasció un bacio sulla fronte. « Non stancarti troppo mentre sono via. »
« Io non mi stanco mai. »
« Conceditelo, te lo meriti. »

Polly scosse il capo, facendo brillare gli orecchini d'oro che portava appesi alle orecchie. Non aveva idea di come si facesse.
« Perchè sei venuto qui? »
« Per distrarmi. »
« O perchè speravi di vederla. »
« Forse. » Alzó le spalle. Comunque non c'era.

« È andata via poco fa. »
« Meglio così. » E invece no.
Rimase ancora un po' lì, nella depandance con sua madre, poi pranzó da solo e decise di raggiungere Dominic per farsi spiegare cosa dovessero esattamente fare quella notte, anche se riusciva ad immaginarlo molto bene. Klaus era estremamente metodico e perfezionista, agiva sempre nello stesso identico modo.

S'incontrarono in uno dei locali che gestivano insieme, al Flame, era il primo che avevano aperto loro due. Lo usavano per ogni cosa, una specie di simbolo, erano comvinti portasse fortuna. Il posto era piccolo, scuro, le finestre coperte da delle tende pesanti, i tavolini di legno nero percorrevano il perimetro quadrato dello stanzone, al centro c'era un piccolo palchetto dove ogni tanto si esibiva Irina, o le sue amiche. Klaus lo aspettava già seduto, al solito punto.

Si guardó intorno e dietro, per assicurarsi che non vi fosse nessuno e poi si andó ad accomodare davanti alla Volpe. Le mani unite in avanti e lo sguardo attento. Dominic non c'era. Ma non era importante. « Dimmi. » Era già buio, probabilmente avrebbero cenato lì. « Al porto. »
Aron alzó le sopracciglia, solitamente approvava ogni sua decisione. « Ma sei matto? »
« No, se va bene non ci rompe nessuno, se va male sappiamo con chi hanno accordi. »
« Stai volutamente correndo un rischio grandissimo. »
Klaus lo inchiodò al suo posto con lo sguardo. « Lo sto facendo perchè serve. »
« A cosa? C'è il rischio che scoppi una guerra! »
Il giovane Van der Meer piantò una mano sul tavolo, in modo da sottolineare quello che stava per dire. « Quello succederà a prescindere, dobbiamo decidere che cazzo di ruolo prenderci. »
Aron si passò le mani sul viso, odiava non poterci essere, ma doveva andare. Sapere che potesse scoppiare un casino del genere e chelui non potesse esserci era una tortura. Eppure sua sorella aveva bisogno di lui. Klaus lo capiva troppo bene per fargliene una colpa. « Il porto è zona grigia, non potrebbe starci nessuno. »
« Tutto intorno non è dei De Vito. »
« Si, ti proteggi da loro ma hai la giungla intorno. »
« Se arrivano dalla giungla significa che li hanno fatti passare. »
« Dici che si stiano accordando tutti? »
« Secondo me stanno cambiando degli equilibri, e sinceramente non voglio finire nella merda. »
« Scusa non hai detto che Andrea lavorava per loro? »
« Si, e allora? »
« Non sa niente? »
Klaus serrò nervosamente le labbra.« Vorrei lasciarla fuori da questa cosa. » Poi si guardò intorno con fare sospettoso. Aron assottigliò lo sguardo e finalmente riconobbe il suo migliore amico. « ...Non ti fidi. »
Klaus arricciò le labbra. « Non lo so, ci sono delle cose che non mi tornano. Voglio farla lavorare qui. »
« Per studiarla. »
« Vediamo che combina, mentre Irina la sorveglia. »
« Hai convinto Irina a farle da balia? »
Klaus scosse il capo, divertito. « No, ci penserai tu. » Pensava di farlo divertire, di concedergli un regalino prima della partenza. Non sapeva di stargli creando un altro problema. Il lupo si sforzò di sorridere.
« Usi il mio corpo per soddisfare i tuoi scopi. »
« Il tuo corpo mi ringrazierà. »
E invece no. Avrebbe potuto usarla un'altra volta per cercare di dimenticarsi di Cassandra, ma non sarebbe stato giusto.

« Con chi stai pensando di allearti? » Per tornare alle cose serie. Voleva dargli gli ultimi consigli decenti, prima di partire.
« I Draper, mi sembrano abbastanza affidabili, e poi vogliamo le stesse cose. »
« Si, anche se tendono a litigare tra loro. »
« Il lato negativo di avere entrambi i genitori vivi. » Abbassò lo sguardo e rise, Aron si trattenne.
« Devi pensare ad un strategia. Cioè che succede se arriviamo lí e scopriamo che sanno tutto? Che possono farci saltare in aria? »
« Ci difendiamo. » Non faceva una piega. « Per questo andiamo anche io e te. »
« Comunque oltre a quello che volete, è importante che non vogliate le stesse cose. »
« Lo so. » In quel momento arrivò Dominic, non era in ritardo, Klaus e Aron arrivavano sempre troppo prima. Si mise a sedere senza dire niente, e ascoltò tutto quello che Klaus avesse da dirgli. Aron non osò contraddirlo neppure una volta, era importante non mettere mai in discussione la sua autorità davanti agli altri. Dominic non battè ciglio, eppure il polacco lo sapeva che stava morendo dentro. Aveva paura per sua figlia, se fosse morto sarebbe rimasta da sola.
Probabilmente se ne sarebbero presi cura i Van der Meer, che forse era ancora peggio.

« Adesso ceniamo. »
Fu l'ultimo ordine di Klaus, richiamò Irina con un cenno del capo, in modo che arrivasse a prendere i loro ordini. Annotò tutto sul tablet, ogni tanto lo sguardo cadeva involontariamente su Aron, forse era vero che ci fosse dell'altro oltre all'interesse per il denaro. La volpe se ne accorse, quando lei si allontanò fece cenno ad Aron di seguirla.
Lui annuí e si alzò, la raggiunse fin dietro al bancone, stava facendo finta di non vederlo. Era risentita? « Irina. » La chiamò da dietro.
Lei si volse per un istante, lo osservò e poi tornò alle sue cose. « Sto lavorando, Aron. »
Diabolico, allungò un braccio per sfiorarle un fianco. « Dai, aspetta un secondo. » La vide tesa, le piaceva troppo per ignorarlo.
Infatti, si fermò subito dopo aver consegnato le comande in cucina. « Che vuoi? »
« Mi dispiace per quello che è successo. »
Lei rise, si spostò i capelli dietro le orecchie.
« Si, come no. »
« Sul serio, non volevo che stessi male. Noi due ci siamo sempre divertiti, mi dispiace... »
A quel punto lei sentí il bisogno di avvicinarlo. « Tu tu sei sempre divertito, io a te ci tenevo, ti volevo bene sul serio. » Lo guardò dritto negli occhi, per poco non pianse, per fortuna era abituata alla gente che di lei se ne fregava.
« Anche io ci tengo, anche io ti voglio bene. »
A quel punto Irina assottigliò lo sguardo, lo rese tagliente da sotto la frangetta scura. « Ma a Cassandra di più. »
Aron volse subito il capo verso Klaus, dopo quello che era successo a casa sua non voleva sospettasse più di nulla. « Ma sei matta. » Che diavolo aveva in mente. « Certo che le voglio bene, è la sorella di Klaus. »
« A me non racconti cazzate, almeno sii
onesto. »
« Il rapporto tra me e te non c'entra nulla con lei, stai dicendo cose senza senso. »
« Se mi vuoi bene devi dirmi la verità. »
« La verità è che io a te ci tengo, e ti voglio bene sul serio. Lo sai che se hai qualche problema mi puoi chiamare, che non ti abbandonerei mai, non capisco perchè tu sia fissata con la sorella di Klaus. »
« Perchè sei innamorato di lei, e volevo capire che cazzo avesse di speciale. » Il tono di voce era rassegnato. Aron tremò all'idea che dovesse lavorare con Andrea. Non voleva diventassero amiche.
« Irina, smettila di dire cazzate. » Lei lo sapeva bene, che solo il sospetto d'una cosa simile lo avrebbe fatto ammazzare da Klaus. Alzò le spalle.
« Domani vado in Polonia, vorrei partire con l'anima in pace. » Quella notizia cacciò via tutta la rabbia. Sapeva che potesse significare solo problemi da risolvere. Che non sapesse quando sarebbe tornato.

Lei storse la bocca.
« Comunque mi mancherai un po'. »
« Anche tu, sul serio. » Allungò un braccio e lei si strinse a lui. Avevano fatto pace? « Per qualsiasi cosa potrai chiamarmi comunque, il modo di darti una mano lo trovo, anche da lontano. »
Irina posò il viso sul suo petto. Chiuse gli occhi, le era mancato da morire. Le sapeva di casa, le dava sicurezza. « Va bene. »
« Devo chiederti una cosa. »
« Che cosa? »
« Se puoi star dietro ad Andrea, la sorella di Lidia, Klaus vuole farla lavorare qui. »
« Vuole metterla alla prova. » Era davvero cosí prevedibile? Irina alzò il capo, cosí vicina ad Aron, le sarebbe piaciuto potelo baciare. Osservò le sue labbra carnose e pensò che fossero irresistibili. « Comunque va bene, non c'è problema. »

« Poi ti parlerà lui. Grazie. »
Lei rise. « Non fare cazzate in Polonia. »
« Non potrei mai. »
« Magari vengo a trovarti. »
« Non ti piacerebbe, non ho passato l'infanzia in un bel posto. »
« Neppure io, Aron. Non sono nata con il culo al caldo. » Per questo lo capiva meglio di molti altri.
Per questo odiava che gli piacesse Cassandra, la vedeva solo come la sorellina viziata di Klaus, che si lamentava del niente, che fosse più fortunata di quanto credesse. « Ora fammi tornare a lavoro, devo prendere i vostri ordini. »
« Si. »

Si lasciarono e lui tornò da Klaus, li aveva osservati tutto il tempo. Si era domandato il perchè di quegli abbracci affettuosi. Era strano.
« Risolto, puoi mandarle Andrea quando vuoi. »
« Perfetto. »
Dopo un po' arrivò la mora con i piatti tra le mani, ad Aron era passata la fame. Ma mangiò comunque. Aveva bisogno di energie, sarebbe stata una notte lunghissima.

Arrivò il buio, Klaus aveva deciso di non dire nulla a Cassandra del lavoro di quella sera, di non dire niente neppure a Lidia. Non avrebbe mai saputo niente nessuno, se solo Cassandra non l'avesse visto sgattaiolare via in piena notte. Stava scendendo le scale di marmo che portavano al piano terra, mentre teneva il cellulare premuto contro l'orecchio. Era agitato.

Aron? Vediamo di sbrigarci, cosí non perdi il volo.

💎💎💎
Hola!
Questa volta non vi ho fatto aspettare tanto ❤️

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