CAPITOLO 25


"You
make me
feel...you make me feel," he said quietly, fiercely,
"and I don't like it. I want it to stop. Now."

Klaus odiava svegliarsi tardi, lo faceva sentire come se gli mancasse un pezzo della giornata, come se avesse sprecato del tempo utile. Apriva gli occhi sempre prima della sveglia, prima dell'alba, e si compiaceva sempre come se fosse una sfida. Sorrideva al soffitto affrescato della sua stanza da letto e poi da un po' di tempo volgeva il capo verso Lidia, l'unico motivo per cui avesse mai desiderato in vita sua di restare ancora tra le coperte. Le lasciava un bacio sulla fronte e le dava il buongiorno cosí, senza svegliarla.
Poi si faceva la doccia e mentalmente rifletteva su tutte le cose che avrebbe fatto durante il giorno, era una routine sempre uguale, uno schema che lo aiutava a restare sereno nonostante il lavoro pericolosissimo che svolgesse.

Quando usciva dalla doccia si fermava nuovamente ad osservare Lidia, vederla tranquilla e al sicuro gli metteva calma, se lei riusciva a rilassarsi tra le sue lenzuola allora voleva dire che non stava sbagliando proprio tutto.

Subito dopo essersi rivestito, mentre faceva ancora colazione, era solito chiamare Aron, per aggiornarlo sulle ultime cose e chiedergli dove fosse, tanto già lo sapeva che non avesse dormito per niente, o che fosse già in macchina per raggiungere qualche posto. « Klaus? »
« Sei al maneggio? »
« Si, mia madre mi ha chiesto di raggiungerla, dice che deve parlarmi di una cosa urgente, tu ne sai qualcosa? »
« No, forse Cassandra lo sa, anche lei è lí. »
Ci fu un momento di silenzio in cui Aron realizzò improvvisamente che gli stesse tenendo nascosta una cosa importantissima. Serrò i denti e respirò profondamente. Klaus pensò solo fosse agitato per quella storia con sua madre. « Non credo. Penso che mia madre non accetti semplicemente l'idea che io voglia partire. »
« Quindi è deciso? »
Aron annuí. « Si, è deciso. » Non poteva continuare in quel modo, si sentiva un verme ogni mattina. Forse la lontananza da Cassandra lo avrebbe fatto sentire meno in colpa, come se soffrire fosse un modo per espiare i sensi di colpa.
« Non esiste niente che possa farti cambiare idea? » Oh, come se esiste... Aron dovette mordersi la lingua, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Klaus s'insospettì. Non immaginava minimamente dietro ci fosse sua sorella, ma un'esitazione era comprensibile, due non potevano essere un caso. « A cosa pensi? »
Aron trasalí. Gli tremarono le mani. « Niente, penso a mia madre. »
« Allora non è niente. »
« No, infatti. » Non sapeva proprio dirgliele, le bugie.
« C'è qualcosa che devo sapere? »
Non poteva permettersi di esitare ancora. « No. »
Fu la risposta meno convinta della storia, e infatti l'altro se ne accorse subito. Conosceva il Lupo troppo bene. « Ora devo andare, poi ti chiamo per raccontarti cosa si è inventata. » So schiarí nervosamente la voce.
« Si. » Lo disse piano, sospettoso. Era evidente che Aron avesse la testa da un'altra parte, e non volesse dirgli il vero motivo per cui intendesse partire cosí, improvvisamente. Doveva necessariamente essere qualcosa di grave, altrimenti non lo avrebbe mai abbandonato.
La vera domanda era, perchè non poteva confessarglielo? Si erano sempre detti tutto, ed i loro segreti non erano mai stati leggeri.

Lasció il ceulare sul tavolo e poi continuó a sorseggiare il succo di frutta. Avvolse il bicchiere di cristallo con la mano destra, l'anello d'oro di suo padre che portava sempre sull'indice ticchettì contro la superficie trasparente. Pensó che dovesse farlo pulire, non splendeva più come prima. Storse la bocca e si chiese chi potesse sapere qualcosa su Aron.

Lasció cadere la schiena all'indietro, odiava quando non gli veniva detta tutta la verità. Era ossessionato dalle bugie, un'altra cosa che Lidia non era riuscita a curare. La mania di dover controllare ogni aspetto della vita di chi lo circondava. E Aron questo lato di lui lo conosceva benissimo, sapeva quanto fosse pericoloso.

Tra Cassandra che non gli parlava e Aron che aveva deciso di andarsene, sentiva come se gli stesse sfuggendo qualcosa. Forse avrebbe dovuto parlarne con Lidia.
Ma doveva occuparsi di altre cose. Andrea era ancora una fuggiasca e loro la tenevano in casa come se non ci fosse alcun pericolo, non potevano nascondersi per sempre, eppure cosa poteva escogitare? Un'identità nuova era fuori discussione, Lidia non l'avrebbe mai abbandonata.

Gli piaceva ragionare nel silenzio della mattina, se Cassandra odiava quella casa enorme e vuota, lui adorava la solitudine. Da quando erano diventati in tanti aveva trovato difficile abituarsi a stare con qualcuno, eppure sentiva che ne valeva la pena. Non sarebbe riuscito ad allontanarsi da Lidia neppure volendo. Sarebbe stata una tortura troppo grande.
Gli sarebbe perfino piaciuto averla lì, solo per osservarla, bellissima. Allungó le braccia in avanti, poi si alzó lentamente, era ancora presto quando si sporse sul giardino perfettamente curato. Andó verso la solita palestra, sperava di trovarci Dominic, qualcuno con cui potesse parlare, dare ordini. Lo trovó intento ad allenarsi, si sfogava contro un sacco di pelle appeso al soffitto, la fronte imperlata di sudore. Quando vide Klaus si mise subito sull'attenti, il giovane se ne compiacque ma gli fece comunque cenno di rilassarsi. « Buongiorno. »
« Buongiorno, è qui per sua sorella? »
« No, no. Ora lei ha questa cosa del lavoro al maneggio, la lascio in pace. »
Quindi lui era davvero la sua punizione. Dominic non disse niente, pensó che solo una bestia potesse essere così crudele con sua sorella. Ma lui non conosceva Cassandra, e non sapeva niente neppure della famiglia di Klaus, delle loro menti contorte. Era l'unico rimedio da usare con la minore. Klaus camminó in avanti, erano da soli ma aveva imparato che non si era mai troppo prudenti, neppure tra le mura di casa propria.
« Stanotte ci portano un'altra consegna, ho scelto un posto diverso dal solito per sicurezza, ma so che se vogliono i De Vito ci troveranno comunque. Questa volta non dobbiamo sbagliare niente, ho già organizzato tutto, sarai tu a capo del lavoro. » Dominic annuì, aveva tutta la giornata per organizzarsi con gli altri, Klaus aveva fatto bene ad avvisarlo all'ultimo, così non correva il rischio che strane voci arrivassero dove non si dovesse. Nessuno doveva sapere nulla, neppure Lidia, neppure Andrea. Odiava non poter contare sul suo migliore amico, non gli era mai successo di non sapere cosa pensasse, di provare incertezza, insicurezza quando pensava a lui.

Era un altro problema.
« C'è anche Nowak? » Sapeva bene che in quel caso sarebbe stato lui a comandare.
L'altro alzó le spalle, non sapeva che rispondergli. « Non lo so, spero di si. » Dominic aggrottó le sopracciglia, ma non si permise di dire nulla. Era davvero strano che non facesse troppo affidamento su di lui. Si domandó cosa potesse essere accaduto ma non avrebbe mai potuto immaginare nulla che si avvicinasse anche solo minimamente alla realtá. « Comunque tu organizzati come se non ci fosse. Nel caso ci penso io. » Era un ordine. L'omone muscoloso si asciugó la fronte con l'asciugamano che portava attorno al collo e poi fece per rivestirsi, c'erano tante cose da fare, tante gente da richiamare.

Klaus lo osservó fare i soliti movimenti con la stessa calma di sempre, tutti in quell'ambiente avevano i propri malatissimi rituali. Raccolse la borraccia da terra, poi si sciolse le fasce di tessuto legate sulle nocche e le lasció in una tasca del borsone, quella a sinistra, esterna. Nella destra teneva sempre il portafoglio e una foto di sua figlia, non ne parlava mai, ma aveva inziato a fare quel lavoro perchè Klaus era stato l'unico che gli aveva dato una possibilità quando si era trasferito dalla russia con Katerina, il giovane Van der Meer non era neppure certo dell'etá che avesse ora. E non si domandava certo perchè non l'avesse mai fatta entrare nel suo ambiente, non voleva che fosse affascinata dalla vita del suo capo, che pensasse di poterci entrare. Doveva avere un'esistenza il più normale possibile, andare all'università e sposarsi con un bravo ragazzo, senza segreti oscuri, serenità. Qualunque padre avrebbe desiderato quello per i propri figli, qualsiasi tranne quello di Klaus.

« A dopo. » Andó via e si chiuse la porta alle spalle. Controlló l'ora, aveva tempo per dare il buongiorno a Lidia. Sorrise, tornó dentro, passó per il vialetto sul retro. Guardandosi intorno vide che quella parte della casa era un po' lasciata a se stessa, lì si affacciava camera di sua sorella. Alzó lo sguardo sulla finestra, dei rampicanti avevano quasi raggiunto il davanzale, rimase lì fermo, qualche secondo, come se si aspettasse di vederla da un momento all'altro. Pensó che tra tutti quei rametti sarebbe stato piuttosto facile scappare, e allora gli venne un'idea. Lasció perdere Lidia e velocizzó il passo, quando fu dentro invece che andare nella sua stanza da letto si precipitó in quella di Cassandra. Era stranamente in ordine, il letto rifatto, l'armadio chiuso, il bagno pulito. Era sempre così quando non c'era, per un attimo si sentì a disagio, si guardó intorno e ricordó di quanto le fosse mancata mentre girava per l'Europa. Scosse il capo, poi andó sul davanzale e aprì la finestra. Guardó all'esterno e sorrise compiaciuto, era evidente ancora il punto in cui aveva poggiato i piedi, la vernice del legno s'era scrostata tutta. Provó a uscire, prima con un piede, poi con l'altro, come avrebbe fatto lei. Nascosta tra le piante c'era una sporgenza su cui era facile poggiarsi con i piedi, poi bastava lasciarsi andare e non cadere troppo male. Molló la presa sui rampicanti e con un balzo fu in mezzo ai cespugli. Era così che scappava ogni volta... camminó ancora avanti, si sentì quasi uno stupido mentre s'inoltrava nel fango, e poi li vide: i segni di un'auto. Quindi si vedeva con qualcuno, chiunque fosse stato, era passato a prenderla dal retro perchè non voleva essere visto da nessuno. Ma come faceva a conoscere quel punto esatto della casa? Sicuramente gli aveva detto tutto Cassandra, come fare per entrare, passare inosservato e scappare dall'uscita sul retro, nel buio della notte, senza che nessuno li vedesse.

Era furba.
Si chinó per cercare di capire se avesse già visto i segni delle ruote di quell'auto da qualche altra parte, ma non gli venne in mente niente. E poi era passato troppo tempo. Si rialzó e tornó dentro, Cassandra era furba, ma non più di lui.
Tornó dentro compiaciuto, quasi non gli importava d'essersi sporcato le scarpe lucide. Se le tolse prima di entrare nella sua stanza, Lidia stava ancora dormendo. Qualsiasi turbamento lo abbandonó, si tolse la giacca e si mise vicino a lei, le bació piano il collo e la sentì fremere. Era sveglia, ma non voleva interromperlo.
Allora continuó a baciarla, le sfioró il mento con il naso e poi le posó una mano su un fianco. Gli dava le spalle, mentre teneva ancora gli occhi chiusi. « Buongiorno amore. »
Lei si volse, lo vide tutto vestito e quasi le diede fastidio, le piaceva quando era scomposto, tutto disordinato e assonnato.
Si sdraió, in modo che lui potesse sovrastarla. « Perchè sei vestito? »
Lui rise contro il suo collo. « Puoi sempre spogliarmi. » Lidia inspiró profondamente, era assurdo l'effetto che le faceva.
« Dai, sai cosa intendevo. »
« Dovevo fare delle cose. »
« Cosa? » Voleva sapere.
Klaus s'insinuó sotto le lenzuola leggere e le accarezzó una coscia, prima da fuori, poi scese verso l'interno. « Dovevo parlare con Aron, e con Dominic. » Le sfiorava piano la pelle, dolcemente. « Aron ha qualche casino per la testa, ne sono abbastanza certo. » Si spostó di più su di lei per poter avere le sue labbra davanti alle sue, senza che dovesse sforzarsi troppo per lambirle.
« Sta male? »
« È assente. »
« Strano, forse c'entra la Polonia. »
« Si, penso anche io. Chissà perchè deve andarci. »
Lidia lo afferró da dietro la schiena, da sotto la giacca scura. « Strano che non ti dica niente. »
« Si, questa è la cosa più strana. » Le allargó le gambe per farsi spazio in mezzo alle sue cosce, le coperte ormai erano state completamente spostate al bordo del letto.
Lei ansimó piano, mentre una mano di Klaus le afferrava un seno per stringerlo piano. « ...Magari non puó, magari si vergogna. »
« Non lo so. Magari non vuole mettermi nei casini. »
« Magari... » Dovette fermarsi, quando Klaus raggiunse il centro del suo piacere con le dita si dimenticó di cosa stesse per dire. Inarcó le schiena e schiuse le labbra, totalmente soggiogata dal suo tocco. « ...Oh. » Lui ghingó divertito, con la mano libera le afferró una coscia mentre il viso era chinato sul suo petto, per morderle un capezzolo. « Klaus... »
Lasció perdere il suo seno e le leccó languidamente il collo. « Dimmi, amore. »
« Ti prego... » Voleva che andasse più veloce, lo sentiva, non serviva neppure che lo dicesse. Esaudì i suoi desideri, e la sentì scaldarsi attorno alle sue dita.

Lei allungó le mani per togliergli la giacca, poi la camicia fin quando non riuscì a spogliarlo completamente. Affondó il viso nel suo collo, e lui pensó che non gli fosse mai successo di non riuscire a controllarsi in quel modo, come un sedicenne la sua prima volta. Le strinse i fianchi e la spostó su di lui, seduta sulle sue gambe mentre si muoveva lentamente, per far durare quel momento il più a lungo possibile.
« Ti amo. » Lo disse lui per primo, lo diceva sempre. « Ti amo, giuro che ti amo. » Le ringhió sulla spalla, mentre la teneva con una mano da dietro la schiena.

Lidia non riuscì neppure a rispondergli, ogni volta che si muoveva spingeva il seno contro il suo petto, gli mordeva le labbra e si aggrappava a lui disperatamente. Quando fu sul punto di venire si ritrovó nuovamente stesa sul materasso, non le avrebbe mai lasciato la possibilità di comandare troppo a lungo. Doveva decidere lui.
Si muoveva tra le sue pareti velocemente, le sentì stringersi e finalmente si lasció andare, preso da un'euforia che non avrebbe mai saputo spiegare.
« Anche io ti amo, Klaus. » Restarono abbracciati, lo facevano sempre dopo aver fatto l'amore.

« Dobbiamo prenderci una serata solo per noi due, lontano da tutti. »
« Ma hai detto che adesso sei incasinato... »
« Non faccio la fine di mio padre, il momento per noi due lo creo. »
« Io sono felice così. »
« Ma meriti di meglio. »
Restarono anbracciati un altro po', in silenzio. Poi Klaus diede voce ai propri pensieri.
« Ho scoperto che mia sorella è scappata, la scorsa notte. »
« Per andare dove? »
« Secondo me si vede con qualcuno. »
« E questa cosa come ti fa sentire? »
« Mi fa incazzare da morire. Vorrei chiuderla in camera sua per sempre. » Era sincero solamente con lei.
Lei gli accarezzó i capelli, piano. « Ma non lo farai. »
« No, peró mi sono incazzato comunque. » Lo disse come una confessione, come se parlarne con lei servisse a sollevarlo da qualche colpa. Le stava chiedendo aiuto.

« E poi le hai chiesto scusa? »
« No, in verità non sa neanche che ho scoperto come è scappata. »
« In che senso? »
« Ieri non la trovavo, sapevo solo fosse uscita. Mentre oggi ho visto come, ho provato a scendere dalla finestra della sua stanza, poi ho visto delle... tracce di pneomatici, di un'auto, di sicuro era lì per lei. » Era tutto sbagliato, tutto così orribilmente malato che per un momento Lidia non seppe che dirgli.
« Deve essere lei a confessarti le cose, quello che hai fatto è sbagliato, sei entrato in camera sua mentre non c'era, capisci? »
« Si, lo so. » Si rannicchió su di lei, quasi come un bimbo bisognoso d'esser confortato. « Peró io voglio sapere chi sia. »
« Per fargli cosa? »
« ...Non lo so, assicurarmi che... »
« Che sia come vuoi tu. »
« Nessuno è come voglio io. Io so quanto è fragile mia sorella, so quanto poco ci vuole a distruggerla, e so anche che— tante persone potrebbero approfittarsi di lei, sembra forte ma in realtà basta veramente poco per... »
« La vedi indifesa. »
« Per me sarà sempre indifesa. »
« La gente sa anche amare. »
« È raro. » Impossibile. « Oggi che fai? » Si tiró su per guardarla meglio, le spostó un ciuffo scuro dal viso olivastro.

« Lavoro. »
La strinse di piú senza dire nulla, era geloso anche di lei, del tempo che dedicava ad altri, di non averla sempre nella sua stanza. « Sei mai stata in Scozia? »
« No, mai, è bella? »
« Ti ci voglio portare, è stupenda. »
« Come mai ti è piaciuta tanto? »
« È maestosa, e poi è piena di castelli, sembrano messi lì sugli scogli per sfidare il tempo. »
« Ostile e maestoso. » Sottolineó lei, come se si riferisse ad altro.
« Si, lascia senza parole. »
« Chissà perchè non mi aspettavo ti piacesse tanto un posto tipo Parigi, o Roma... »
« Troppo accoglienti. » Si mise a ridere.
Lei lo tiró giù nuovamente. « Troppo calde. »
« Andiamo. »
« Penso a tutto io. » Le morse il labbro inferiore.
« Quando questo casino sarà finito... »
« Scappiamo via. » La strinse forte.
« Peró poi voglio vedere anche Parigi. »

Gli venne da ridere. « Come sei romantica. » Le bació il ventre liscio.
« Devo compensare in qualche modo. »
Aggiunse, sarebbero rimasti lì per tutto il giorno, se solo avessero potuto. Prima che potessero guardare l'ora, squilló il cellulare di Klaus. Era Aron, forse voleva finalmente raccontargli cosa gli passasse per la testa. Si alzó sulle braccia e si mise seduto, cercó i pantaloni a terra e recuperó l'Iphone. « Si? »
« Eri occupato? » Lo disse ridendo, sapeva già la risposta, sapeva già cosa stava interrompendo con quella chiamata.
« Ma sei scemo?
Hai chiamato per questo? » Klaus non riuscì neppure a fingere un tono infastidito, come un ragazzino che scherzava com il suo migliore amico, ridacchió spudoratamente.
« Magari, mia madre ha fatto un casino, devo raccontarti delle cose. »
« È in pericolo? »
« No, ma penso sia impazzita... »
« Vengo da te. »
Un'altra risata gli vibró sulle labbra carnose.
« Fai con calma Romeo. »
« Lo sai che hai trent'anni, vero? »
« Si, ti prenderó per il culo anche a cinquanta. »

Klaus si mise a ridere, si salutarono e poi rivolse a Lidia uno sguardo in cerca di comprensione. Era urgente, anche se dal tono di voce non si capiva, Aron aveva bisogno di parlargli. Forse così si sarebbe messo l'anima in pace. Almeno per un po'. « Ma che ti ha detto? » Lidia si sporse in avanti sul letto.
« Niente, cazzate. »
« Allora non è niente. »
Lui rimase fermo, pensó alla conversazione che aveva avuto con Aron quella mattina.
« No, infatti. » Si rivestì velocemente, la camicia era un po' sgualcita ma non importava, Lidia lo aiutó a chiudere i gemelli e a sistemare il colletto della giacca di sartoria. Odiava vederlo amdar via.

« Stavo pensando, non è che potremmo trovare un lavoro per Lidia? Giusto per tenerla impegnata. »
« Si, cosa sa fare? »
« Non ne ho idea in effetti, il suo sogno era fare la ballerina. » Suonava quasi assurdo, ora. « Credo abbia lavorato in qualche bar. »

Ci pensó su qualche secondo. Poi gli venne un'idea. « Mh, forse Irina potrebbe aiutarci. »
« Irina? »
Lui annuì. « Quella che Aron si è portato dietro per un po'. »
Lidia si mostró subito incerta. Non voleva che Andrea tornasse a fare l'accompagnatrice di qualche riccone. Non le piaceva. « E chi conosce? »
« Guarda che è una di cui ci si puó fidare, e poi se glie lo chiede Aron fa quello che vuoi. »
« Ma gli va dietro solo per i soldi o c'è altro? »
« Secondo me le piace da sempre, i soldi sono una cosa in più. »
« E lui? »
« Lui non è per queste cose, non ci sa stare con gli altri, peró insieme sarebbero perfetti. »

Lidia ne dubitava. Non le parevano fatti per stare insieme, in comune avevano solamente il fatto che non fossero nati ricchi, forse. Ma la perfezione era un'altra cosa. Lei gli sembrava l'opposto di Aron. Estremamente affascinata da tutte le cose che lui considerava inutili, stupide.
« Ma chi conosce, lei? »
« Lei lavora in uno dei nostri locali, fa la barista, Andrea potrebbe lavorare con lei. »
« Si, penso sia la cosa migliore. »
« Le parli tu? »
« Si, tu intanto avvisa Irina, o se vuoi ci penso io. Basta che mi dai il numero. »
Klaus sorrise. « Ma no, facciamola contenta, ci pensa Aron. »
Lidia alzó le spalle. Non era convinta che ci fosse del tenero tra loro due, differentemente dal compagno. « Va bene, speriamo bene... »
« Se vuoi venga controllata costantemente posso sempre trovarle un lavoro al maneggio, ma non mi sembra come Cassandra. »
« Cioè tu l'hai messa a lavorare lí... » Non si era neppure reso conto di quello che le aveva confessato. « Non le hai mai dato un briciolo di fiducia? »
Lui si spazientì presto. « Senti, io l'ho vista rischiare l'overdose, non iniziare. » A quanto pareva era ancora capace di sorprenderla. Con le scelte sbagliate, era chiaro. « L'ho lasciata lavorare in pace, ma avevo bisogno che ci fosse qualcuno come Polina a.... »
« A gestirla. » Il tono era di rimprovero.
Lui cercó di giustificarsi. « Fidati, tu mia sorella non la conosci ancora bene, vedi davvero come è fatta solo quando esplode. »
« Hai ragione, non la conosco. » Se solo avesse parlato con Vanessa, avrebbe avuto un'idea molto più chiara di come funzionasse la mente di Cassandra. Le era sembrata sempre troppo controllata, spesso di cattivo umore, ma non comprendeva ancora perchè tutti temessero le sue reazioni.

Non si dissero molto altro prima che Klaus arrivasse da Aron, parcheggió l'auto abbastanza vicino da non dover fare troppi passi verso il portone del grattacielo dove abitava il suo amico. Salutó il portiere e poi chiamó l'ascensore.
Quando arrivó all'ultimo piano suonó il campanello, l'altro era come al solito vestito come se fosse estate. Klaus entró nell'appartamento, faceva un caldo assurdo. « Come fai a vivere in questa sauna. » Si tolse il cappotto e anche la giacca. Per fortuna non indossava la cravatta altrimenti sarebbe stato un inferno. « Non scherzo, fa troppo caldo. »
Lui si limitó a rivolgergli un'occhiata annoiata, come se stesse per ribadire un concetto già chiaro. « Odio il freddo. »
« Lo so. » Klaus sapeva tutto. Sapeva di cosa avesse dovuto sopportare da piccolo e quanto la povertá lo avesse segnato. Si lasció cadere sul divano, lo sguardo puntato in avanti. « Che succede con Polly? » Non sapeva cosa aspettarsi.
Si morse una guancia. « Se te lo racconto non ci credi. »
« Addirittura? »
Aron lo affiancó, teneva i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani incrociate in mezzo alle gambe. « Ho una sorella. »
« In che senso? »
« Ho una sorella, una sorella che nessuno conosce e che mia madre sta cercando da anni... » Lo disse disperatamente, come se si fosse già rassegnato all'idea di dover soffrire.
« Ma come è possibile che tu non ne sapessi nulla? »
« Non l'ho mai vista, io non ho... » Si portó le mani sul viso, non sapeva neppure come immaginarsela. « Ho una gemella, una sorella identica a me di cui nessuno sa nulla... »
« Anche lei... »
« Anche lei è stata abbandonata da mia madre, solo che poi non l'ha più ritrovata. » Un risolino nervoso gli increspó le labbra arrossate. Klaus si era sempre domandato come avesse fatto a perdonarla. La verità era che non c'era mai stato un secondo in cui non avesse sperato tornasse, era troppo disperato per odiare. Aveva solo covato una sorta di strano e orribile risentimento nel corso degli anni, per cui si concedeva ogni tanto di volerle male, ma l'amava troppo per odiarla.

« La ritroviamo noi. » Klaus non ci pensó neppure un secondo, parló con una convinzione tale che riservava solo ai momenti davvero importanti, tanto serio da far tremare i muri. Posó una mano sulla spalla di suo fratello, e attese che si voltasse per guardarlo negli occhi. « La ritroviamo noi, Wilk. » Se solo avesse saputo quella fosse stata l'esatta reazione anche della sorella, avrebbe capito che oltre a tutte le cose negative, c'erano anche dei pregi che li rendevano simili: il senso del dovere, dare tutto per chi si amava. Erano tutti valori che gli aveva involontariamente trasmesso proprio lui, il mostro di casa Van der Meer. Aron rivide Cassandra nei modi di fare di Klaus, prima di quel momento non era mai successo, non così.

Aron sospiró, non se lo meritava un amico così. « È difficile, non farti carico anche di questo problema, Klaus. » Serró le labbra, lo sguardo era triste e l'altro si sentì come in dovere di farlo stare meglio. Era suo fratello, non si sarebbe mai permesso di lasciar perdere le sue sofferenze.
« Te lo prometto, la troveremo. » Lo vide sorridere, che aveva adesso da ridere? « A che pensi? »
« Niente, solo che... » Non sapeva se dirlo. « È strano, prima che morisse era tua madre che aiutava la mia a cercarla. Ed è stata tua sorella a tirare fuori questa cosa, ha scoperto... delle cose, poi ha convinto mia madre a dirmi la verità... » Sembrava destino che dovesse esserci a tutti i costi nella sua vita. L'aveva sempre pensata come una sorta di condanna, invece forse lo stava salvando.
« Sul serio? »
« Si, è assurdo. » Ancora di più se pensava al rapporto che avevano, e che nascondevano a tutti.
« ...Cassandra è sempre imprevedibile. »
« Tua sorella è fantastica. » Lo disse con troppa enfasi, troppo impulsivamente. Si morse la lingua e speró di non aver combinato un casino. « Si farebbe ammazzare per le persone a cui tiene, ed è sveglia, e non è vero che non glie ne frega niente di sua madre, ha scoperto questa storia perchè fruga sempre tra le sue cose. »
Klaus aggrottó lo sguardo, non sapeva la stimasse tanto. Poi pensó a cosa fosse successo alla serata di beneficenza, un brivido di gelosia gli fece tendere i muscoli. Ma cosa andava pensando. Avrebbe odiato vederli insieme, avrebbe detestato pensare che proprio il suo migliore amico avesse potuto pensare a Cassandra in quel modo.
Era una cosa troppo orribile da accettare per il cervello di Klaus, che ne aveva viste tante e sapeva mantenere la calma anche davanti alla morte. Ma Cass, era un'altra storia.
Pur di proteggerla l'aveva isolata dal mondo.

« Cosa sappiamo di tua sorella, invece? Da dove partiamo? » Aveva paura. Paura di chiedere, paura di indagare. Non voleva neppure domandarselo, se ad Aron interessasse Cassandra, non voleva collegare tutti i pezzetti del puzzle che aveva creato, sarebbe stato un inferno. Vi do il tempo di rimediare.
« Che mi somiglia, che è polacca, che è cresciuta in orfanatrofio... poi non lo so, niente. »
Annuì silente. Non trovó parole di conforto, forse non esitevano. « Domani partiamo. »

Aron scosse subito il capo, contrariato. « Ma qui hai un sacco di cose da fare, c'è Lidia, Andrea. Vado io, vado con mia madre. »
« Qui c'è mia sorella, mentre stavo male hai detto che se l'è cavata, no? »
« Ma c'ero io. » Klaus assottiglió ancora lo sguardo. Aveva ragione. « Le davo una mano, parlavo con i ragazzi, ti pare che la lasci da sola con Igor? Senza neanche mia madre, senza— » Senza che ci fosse lui. Non poteva dirlo. « Senza di te. »
« C'è Lidia. »
« Penso che sarà Cassandra a badare a lei. »
« Potreste andare voi due. »
« No. » Non dovette neanche pensarci. L'ultima cosa di cui avevano bisogno era un viaggio del genere, li avrebbe resi inseparabili. Gli occhi gli si riempirono di terrore.
« Sarebbe perfetto! Così smetterebbe anche di vedere il coglione con cui scappa di notte. »
Forse avrebbe dovuto ridere, e si stava anche sforzando. Ma quando udì quelle parole tremó di terrore. « Con chi scappa? » Sapeva tutto? E allora perchè era ancora vivo, tutto integro?
« Non lo so, ma so che la scorsa notte è scappata, e ho trovato dei segni di pneomatici sul retro... e non mi vuole dire con chi.
Sicuro è un ragazzo. » Aron pensó che dovesse assolutamente andarsene, quella storia della sorella era perfetta per scappare via.
Gli si strinse lo stomaco.
« ...Magari è solo andata ad una festa. »
« In quel caso non si sarebbe impegnata tanto a nascondermelo... e non sarebbe tornata. » Klaus si alzó dal divano, sfregó le mani tra di loro e prese a camminare lentamente per il salottino. Quella casa era davvero piccola, si era sempre chiesto perchè non ne avesse scelta una all'altezza delle sue possibilità. Ma poi pensó che non dovesse amare gli spazi vuoti.

« Hai qualcosa da bere? »
« Si, ho messo due birre nel congelatore. »
« Perchè non in frigo? »
« Perchè erano calde e volevo si ghiacciassero subito. » La volpe andó verso il frigo per aprirlo, Aron si poggió tranquillamente sul bracciolo del divano.

« Non ci credo, ancora mangi tutto quel
gelato? »
« Che gelato? » Quello che hai preso per Cassandra, genio. Trasalì. Gli mancó il fiato per qualche attimo, era davvero tutto reale. Si vedeva con la sorella del suo migliore amico, e glie lo stava nascondendo.
« Quello alla vaniglia. »
« Ah, si. »
« Mia sorella ci mette sempre sopra... » Si fermó un momento, Aron lo sentì armeggiare con qualcosa. « Nutella, eccola. » L'altro si sentì un verme, ed ebbe paura. Si alzó dal divano e lo raggiunse, perchè nascosti da qualche parte aveva anche gli smarties. « Anche tu? »
« Si. »
« E gli smarties... » Li trovó proprio dietro la nutella, in una bustina di plastica già aperta. Restó zitto, e l'altro pensó al peggio. Aveva collegato tutti i punti? « Quanto tempo ci ha passato qui mia sorella? »
« Abbastanza, mentre stavi male. »
Assottiglió lo sguardo. « Questi smarties non sono qui da così tanto tempo. » Si fece improvvisamente serio, come se non potesse più ignorare tutte quelle cose assurde che gli stavano capitando davanti agli occhi.

« Non è che li prendo apposta per lei. »
Ah, no? Klaus era troppo furbo per farsi fregare così.

💎💎💎
Io ve lo dico, da qui va solo peggio hehe

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top