CAPITOLO 24
Tell me every terrible thing you ever did, and let me love you anyway
Cassandra restó ferma, lo sguardo puntato sulla stagnola piegata nella spazzola. Ci avrebbe messo un secondo, se avesse voluto. Pensó a quanto fosse a pezzi, a come sarebbe bastato un attimo per tornare a mille, a nutrirsi di una specie di finta felicità che peró, prima di ammazzarti, funzionava bene. « Non lo so, ho paura che poi non riesco più a smettere un'altra volta. » Lo disse ad alta voce, come se davanti avesse davvero una persona di cui potersi fidare. Aveva appena fatto un errore imperdonabile, qualcosa da cui Klaus l'aveva spesso messa in guardia: aveva rivelato un suo punto debole, a qualcuno di cui non si fidava neppure. Si morse una guancia e sospiró piano, dovette metterci quasi tutta la sua forza di volontà per non cedere. Perchè si conosceva, lo sapeva che non sarebbe mai stata una volta sola.
« Senti qui è deprimente, conservala per quando andiamo da qualche parte. » Alzó le spalle, stava cercando di prendere tempo. Non voleva ripeterle quanto fosse sbagliato, le sembrava di fare la parte di quella stupida. E non le si addiceva per niente.
Andrea a quel punto fece una smorfia stranita. Come se non le credesse. « E quando? Non mi sembra che tu esca molto. » Ancora con questa storia? Allora forse Vanessa non aveva tutti i torti.
Cassandra cercó di non farsi prendere dall'ansia, dall'angoscia di non essersi resa conto di star diventando ancora di piú la stupida sorella di Klaus. « Il giovedì c'è sempre una serata al Jeffer. » E forse avrebbe fatto bene ad andarci.
Tutta la giornata vedeva solamente gente che le ricordasse Aron, e i posti erano gli stessi che frequentava lui. Forse la soluzione era ritornare come prima. « Sicuramente Vanessa e gli altri ci vanno, di solito non fa schifo. » Anche se non riusciva a ricordare chiaramente nessuna delle serate passate lí.
« Guarda che ci conto. Questa casa è bellissima, ma dopo un po' toglie l'aria. »
A Cassandra venne da ridere. « ...Lo so. » Poi sospiró sommessamente.
Vi fu un attimo di silenzio, come se Andrea fosse indecisa se parlare o meno. Si morse il labbro inferiore e poi si sporse per guardare se non stesse entrando nessuno. Si piegó verso il viso di Cassandra e assottiglió lo sguardo. « È per questo che ieri notte sei scappata? » Credeva davvero di poter uscire illesa da quella conversazione?
« Eh? » La bionda sgranó gli occhi scavati dal sonno.
La bruna sorrise compiaciuta, comunque era molto più furba di quello che sembrava. O dava a vedere. D'altronde per entrare nelle grazie del boss dei De Vito doveva esserlo per forza. « Ho trovato il biglietto, ti vedi con uno? » Cantinenó, compiacendosi.
Cassandra s'innervosì subito. « Che cazzo ci facevi nella mia stanza? » Una notte con Aron ed era successo tutto quel casino. Eppure, l'avrebbe ripetuta esattamente come era andata.
« Usavo il bagno, tranquilla, non ti spio. »
« Non mi vedo con nessuno, comunque. »
« Dai, a me puoi dirlo. »
« Non c'è niente da dire, sono uscita per conto mio. »
Andrea roteó lo sguardo, ma tutto quel nervosismo la incuriosì ancora di più. « Guarda che non dico niente a Lidia. »
« Dille quello che cazzo vuoi, io non ho niente da nascondere. »
« Sicura? Sicura che se faccio arrivare questo bigliettino... » Tiró fuori dalla tasca il foglietto spiegazzato con la calligrafia di Aron ben evidente. Klaus ci avrebbe messo pochissimo a riconoscerla. « Se lo faccio arrivare a tuo fratello non succede niente? » Glie lo sventoló davanti al viso.
A quel punto la bionda decise che fosse arrivato il momento di smetterla d'esser carina, che se proprio doveva essere fregata da qualcuno era meglio che quella persona fosse suo fratello, o addirittura lei stessa, ma non Andrea, la sorella stronza di Lidia. Assottiglió lo sguardo gelido e l'accoltelló con una occhiata. « Vuoi metterti davvero contro di me, Andrea? »
Quella non se l'aspettava, quell'impeto improvviso di rabbia. « Sto solo cercando di capire... »
« Stai cercando di farti i cazzi miei, se pensi che una ramanzina di mio fratello mi faccia paura non hai capito un cazzo. » L'avvicinó abbastanza da doverla far indietreggiare, in modo da sovrastarla completamente. « Non me me frega un cazzo di cosa tu abbia dovuto passare, non pestarmi i piedi perchè qui quella che ha il coltello dalla parte del manico sono io, questa casa è mia, il cibo che mangi è mio, i vestiti che indossi sono miei, se dico a Klaus che hai fatto un passo falso, ti butta in mezzo alla strada. »
Balbettó qualcosa di incomprensibile, poi si ricompose. « Ma che stai dicendo. »
« Non pensare mai piú di essere alla mia altezza, io e te non siamo uguali. » Detto ció, si allontanó e tornó alle sue cose. Andrea s'infurió, Cassandra non aveva idea del perchè si fosse comportata in quel modo, voleva forse dimostrarle di essere furba? O voleva fare quella forte? « Non sarai mai come me. » Aveva esagerato. Come al solito, come era successo anche con Irina. Quando si sentiva attaccata reagiva avvelenando chiunque avesse intorno. Come poteva sapere, Andrea, quanto peso avessero le sue parole mentre parlava alla bionda?
Andrea piegó gli angoli della bocca verso il basso. Voleva solo giocare, non farla arrabbiare. Eppure, senza volerlo, aveva toccato il peggior tasto che potesse. « Hanno ragione quando dicono che sei una stronza. » E chi lo diceva? Cassandra alzó le spalle, poi andó verso la porta.
Meglio essere temuta che debole. « Lo so. » Non è vero. Disse prima di chiudersela alle spalle. In realtà era una fifona, attaccava perchè si sentiva debole, vulnerabile. E non era mai stata capace di gestire niente, qualsiasi emozione troppo forte la sovrastava e la uccideva.
Quel posto stava diventando sempre più opprimente. Decise fosse meglio uscire, spostarsi in giardino, non c'era molto da fare ma voleva almeno leggere un libro in pace. Così andó nel salottino, si mise a cercare qualcosa che la ispirasse tra gli scaffali.
Piccole Donne, tiró verso di sè il libro facendolo scivolare piano sulla superficie lignea. Sembrava enorme. Aprì la prima pagina solo per vedere se ci fosse scritta una data, capire quanto fosse vecchio. Se l'avesse letto sua madre.
Una piccola fotografia scivoló giù sul pavimento di legno, la giovane aggrottó le sopracciglia e si chinó con ancora il libro aperto in una mano per raccoglierla. Si chiese che cosa raffigurasse.
Forse qualche suo parente, lei o Klaus da piccoli.
E invece, con grande sorpresa, si vide davanti, stretta tra le dita affusolate, la faccia della stessa identica bambina che aveva visto nel ciondolo di Polly. Giró la foto per capire se ci fosse spiegato di chi si trattasse, ma non c'era nulla, neppure una data. Solo un nome, Marina, e poi niente.
Avrebbe voluto chiedere a Klaus di chi si trattasse, ma non poteva, avevano appena litigato e sicuramente non era di buon umore. Forse la cosa migliore da fare sarebbe stata scrivere a Polly; chissà chi era quel volto, cosí importante da trovarsi tra i libri di sua madre. Forse le domestiche sapevano qualcosa, alcune erano lì da molti anni, dovevano per forza sapere che storie si nascondessero dentro quelle cupe mura. Chiuse il libro velocemente e tenne la fotografia sottile stretta contro il palmo della mano, poi uscì dal salottino elegante per cercare Greta, la governante che conosceva quel palazzo meglio di chiunque. Gli stivaletti scuri di pelle si muovevano incerti sul pavimento freddo, mentre la tuta di Aron le cadeva ogni volta che faceva un passo in piú. Si domandó come diavolo avesse fatto Klaus a non far caso a quel dettaglio.
Comunque scese le scale, perchè sicuramente Greta non era al piano di sopra. Forse si trovava in cucina. Come al solito.
Il marmo pareva piegarsi sotto la suola delle sue scarpe, l'atrio inghiottirla. Abbassó lo sguardo sulla copertina invecchiata del libro e decise che avesse bisogno di quella storia per distrarsi. Quindi avanzó fino in cucina, dove qualcuno stava armeggiando ai fornelli... o forse no. « Greta? » Stava pulendo delle stoviglie, alcuni piatti e sistemando alcune cose. Sembró non sentirla, quindi la chiamó ancora, sporgendosi verso di lei. « Greta? » Questa volta la udì bene, perchè si fermó e volse il capo verso la giovane Van Der Meer.
« Mi dica, ha bisogno di qualcosa? » I capelli crespi erano acconciati in modo da non caderle davanti mentre lavorava. Era stanca, si vedeva dallo sguardo. Cassandra pensó che non si fosse mai soffermata ad osservarlo bene.
« Si, tu lavoravi qui quando c'era mia madre, vero? » L'altra alzó le sopracciglia, prese uno straccio e si asciugó le mani, poi si mise comoda: come se sapesse che quella conversazione sarebbe durata a lungo.
« Si, certo. Conoscevo bene sua madre. »
Cassandra non parlava mai di lei. Perfino Greta sapeva quanto fosse inusuale quella domanda da parte sua.
« Sai perchè conservava questa foto? » Le allungó la fotografia rovinata, l'altra non comprese subito. Prima si allontanó, il suo istinto le diceva di tenersi alla larga da quella storia, e faceva bene. Poi si sporse con il collo in avanti e allargó lo sguardo. Strinse le labbra sottili, a cosa stava pensando? « Questa non è di sua madre... non so se posso parlarle di questa storia. » Serró le labbra, era impossibile rimanere fuori dai guai in quella casa, gli intrighi di famiglia divoravano tutti.
« Certo, questa foto è in casa mia, penso che tu possa spiegarmi cosa ci faccia qui. »
« Io so che sua madre voleva aiutare la mamma del sig. Nowak a fare qualcosa, e c'entrava quella foto. »
Cass piegó il capo da un lato. « Polly? » Non aveva idea di quale rapporto vi fosse tra le due, ma non se ne sorprese, non conosceva nulla della donna che l'aveva messa al mondo.
Greta annuì. « Si, la signora Nowak. Erano molto amiche, quella fotogtafia è sua. »
« E chi è la persona nella foto? » La domestica esitó ancora. Era davvero un segreto così importante? « Lo sai? »
« So che stavano ben attente a parlare quando nessuno le sentiva. » Quindi sì, era una di quelle cose che non dovevano essere rivelate a nessuno, per non distruggere l'equilibrio fragile su cui si reggeva quella specie di famiglia.
« ...Ma tu le hai sentite comunque? » Oh, si che le aveva sentite. Doveva solo scegliere cosa le facesse più paura, Polina, o Cassandra. La risposta era meno scontata di quello che sembrava, la giovane Van Der Meer non era perfida d'indole, ma quando pensava d'essere indifesa tirava fuori degli artigli che ferivano chiunque lei avesse a tiro. Mentre Polly non amava la vendetta, eppure Greta voleva comunque evitare di riesumare una cosa che per fortuna era morta. « Vero? »
« Io sento tutto. » Non poteva mica mentire.
Cassandra si spazientì. « E allora chi è? » Si spostó con il peso su un fianco, tutto quel silenzio non faceva altro che incuriosirla di più. Greta si morse il labbro inferiore, allungó verso di lei una mano. La giovane abbassó lo sguardo, le dita erano ruvide e piene di segni, poco curate, le unghie tipiche d'una che aveva lavorato tutta la vita. « Posso? » Le stava chiedendo la fotografia.
L'altra glie la lasció esitante, la osservó bene mentre se la rigirava tra le dita e scuoteva il capo, come a convincersi di non parlare.
« Chi è? »
« Lei sa mantenere un segreto, signorina Van der Meer? » Il tono di voce era sottile, quasi implorante. La stava preparando al peggio.
« A chi dovrei mentire? »
« Al signor Nowak. »
Quindi sentiva proprio tutto? La giovane serró la mascella, indecisa su cosa dire, quanto esporsi. Che ne sapeva lei di Nowak? Aveva sentito la conversazione con Cassandra? O addirittura loro due, mentre parlavano prima della cena con gli altri. Rabbrividì. Avrebbe potuto ricattarla in qualsiasi momento. Non posso mentire ad Aron.
Eppure se le aveva posto quella domanda significava che fosse una cosa estremamente importante, cosa c'entrava sua madre con quella di lui? « Non lo so, ma nel caso puoi star tranquilla, non verrà fatto il tuo nome. »
Lei sorrise, come sorpresa da quanto potesse sorprendentemente essere, ancora, rivelarsi ingenua. « Oh, non è questo che mi preoccupa, signorina. » Le venne quasi da ridere.
Cassandra allora comprese, stava per scoprire una cosa abbastanza oscura da cambiare per sempre le vite di tutti. « È ancora sicura di volerlo sapere? »
« Si, si. » Ed era anche certa che non sarebbe mai riuscita a sopportare quell'informazione senza sprofondare, qualunque essa fosse.
« È la sorella di Nowak, l'altra figlia di Polina. »
Cassandra aggrottó le sopracciglia. « Aron non mi ha mai detto di avere una sorella, anche Klaus mi ha detto... » Poi capì. Non lo sapevano, era un segreto. « Ma perchè non lo sa nessuno? »
« Perchè non si sa che fine abbia fatto, Polly la stava cercando disperatamente e tua madre le dava una mano. »
« ...È morta? »
Greta alzó le spalle da sotto la divisa scura. « Non si sa, credo che la signora Nowak abbia deciso di smettere di cercarla e convincersi di sì. Ma in realtá non si sa. » Andó a tormentare l'orlo del grembiule consumato. Parlare di quella storia non era facile. Era una tragedia.
Gli occhi chiari della giovane caddero verso la fotografia. « ...Questa foto deve sparire. »
L'altra glie la porse nuovamente. « Non sapevo si trovasse lì, probabilmente ce l'aveva messa sua madre. » La bionda esitó, come se temesse di toccarla. Poi la prese e la infiló nella tasca della tuta, pareva assurdo pensare che fosse proprio di Aron.
« Forse devo parlare con Polina. »
« Non so quanto sia disposta a parlarne. »
« Non posso... » Non poteva tenere nascosta quella cosa ad Aron. Si domandó come potesse non sapere, l'unica spiegazione era che dovesse essere molto più grande di lui. « Ma quanti anni avrebbe? »
« Non lo so, so che esisteva da prima del fratello. » Come poteva essere. Greta sapeva altro? Ora Cassandra era troppo scossa per parlare lucidamente. Sapeva cosa doveva fare. Eppure le gambe non si muovevano, i polmoni si alzavano e abbassavano lenti. Agonizzanti.
Forse avrebbe fatto meglio ad accettare il regalino di Andrea senza fare troppe storie. Si portó una mano davanti alla bocca. Sentiva di doversi reggere la mascella.
« Come fa Aron a non sapere niente, non ricorda? » Ma che poteva saperne lei. O forse no. Greta alzó le spalle, aveva già detto troppo. E Cassandra conosceva più di quanto potesse sopportare. « Giuro che il tuo nome non verrà fuori, dico che ho scoperto tutto da una lettera di mia madre. »
« Lei pensa davvero di poter mentire a Polina. »
« Nessuno è invincibile. » Per la prima volta fu Cassandra a dare a Greta delle informazioni utili. La domestica non se lo aspettava. Dalla sua posizione si era sempre vista estremamente debe rispetto a chiunque avesse intorno, eppure la bionda aveva ragione. Lo prese come una specie di compenso per averle raccontato tutte quelle cose. « Ti devo un favore, non è mica cosa da poco. »
« Un favore? »
« Si, sei stata onesta. »
« L'ho condannata ad accendere la scintilla di un incendio che ci farà stare tutti male. »
Cassandra restó zitta, non aveva tutti i torti. Poi scosse il capo e si convinse che in qualche modo non sarebbe stato così terribile. Fece per andarsene, poi si fermó sulla soglia della stanza e volse un ultimo sguardo alla schiena di Greta che era giá tornata a lavorare. « Pensi che ora stiano tutti bene? » Ancora una volta, non aveva torto.
Silenzio.
Cassandra aveva ancora tra le mani stretto il libro di sua madre. Pensó non fosse giusto che Polly non avesse mai ritrovato sua figlia, che dovessero cercarla ancora, che nessuno spariva all'improvviso e che poteva aiutarla lei, adesso che sua madre non c'era più. Così corse al piano di sopra e cercó un pantalone che le stesse, poi infiló la foto e il libro in una borsa, la solita verde e non si premuró neppure di avvisare Klaus che stesse uscendo. Al massimo l'avrebbe fatta seguire. Si lavó velocemente, solo per non apparire troppo stravolta e cercó l'autista per farsi lasciare al maneggio, tanto era sicura di trovarla lì.
Quando arrivó, l'aria le cadde addosso fredda, di più delle altre volte. Sembrava un altro mondo, quello distante dalla città. Gli stivali affondarono nel fango come al solito, si sistemó il cappotto di lana e andó spedita verso la depandance di legno dove c'era l'ufficio della signora Nowak. Piegó la maniglia e la spinse in avanti. Si ritrovó Polina dietro la scrivania, seduta, ferma come se niente potesse mai turbarla. Richiuse la porta alle sue spalle e aprì la bocca per parlare, si rese conto che non sapesse che diavolo dirle. La donna si accorse di quanto fosse turbata, pensando si trattasse di qualcosa che riguardasse la giovane Van der Meer si alzó per controllare che respirasse normalmente. E invece era proprio lei che doveva stare seduta.
« Devo dirti una cosa. »
« Stai bene? C'entra Aron? »
Cassandra restó silente, scosse il capo e mostró lo sguardo più impaurito e colpevole che conoscesse. Polina arrivava sempre ovunque prima di tutti, ma una cosa del genere proprio non la immaginava. « C'entra mia madre. »
« Ma che dici. »
« Stavo cercando tra i suoi libri, ho trovato questa. » Aprì la borsa lasciandola appesa sul braccio e con l'altro prese a frugare al suo interno. Raccolse la foto e la alzó davanti al viso della donna, non c'era bisogno che aggiungesse altro. « È la stessa che c'è nel tuo ciondolo. »
« Che ne sai tu. »
« L'ho trovato io, ricordi? »
« Cosa vuoi da me? » Non le chiese neppure come, tanto era provata. Sconvolta.
« Perchè Aron non sa niente? »
« Ci sono cose che non devono venire fuori, Cassandra. » Era la prima volta che la vedeva impaurita, neppure quando aveva saputo di lei e suo figlio aveva mostrato quello sguardo. « Lascia perdere. »
« Non puoi non dirglielo. »
Polina le ringhió contro, se avesse potuto se la sarebbe mangiata. « Non decidi tu cosa devo dire a mio figlio. »
« Io non posso tenergli nascosta una cosa del genere, non è giusto. »
« Soffrirebbe come un dannato se lo venisse a sapere. »
« Non è giusto che non conosca una cosa così importante. »
« Quella bambina... mia figlia è morta, molti anni fa. Non ha senso parlarne. »
« Come sai se è morta? » Cassandra allargó gli occhi chiari, si sporse in avanti convintissima di quello che stava dicendo.
« ...Sei proprio uguale a tua madre, sai? »
« Si, lo so, ma che c'entra. » Glie lo dicevano sempre tutti quanto si somigliassero, pareva avessero tagliato la testa alla prima per incollarla su quella di sua figlia.
Polina scosse il capo, i ricci scuri le ondeggiarono disordinati sulla fronte. « Non solo nell'aspetto, anche lei ci teneva tanto a questa cosa, ma io no, io non ce la faccio più. » Poteva davvero definirsi egoismo? Era distrutta dal dolore, chissà quanto doveva aver sofferto per decidere di non cercarla più, e quanto ancora aveva patito dopo la morte di sua madre, l'unica che condivideva con lei quel segreto enorme.
Cass a quel punto si morse una guancia, si domandó cosa le avrebbe detto lei, al suo posto. « Tu cosa senti, senti che c'è? » Le rivolse uno sguardo quasi dolce, comprensivo. Come se stesse parlando ad una mamma, quella che non aveva mai avuto. Si sporse verso di lei. « Senti che è viva, o che è morta? »
Polly chiuse gli occhi, l'ombretto scuro la rendeva spesso minacciosa, adesso pareva solo troppo triste. Una donna provata da una serie di cose che nessuno avrebbe mai dovuto subire. E Cass ne conosceva solo la metà. Piegó il capo verso il basso, poi guardó nuovamente la fotografia di sua figlia. « Non farmi questa domanda, non chiedermelo, Cassandra. »
« Non sei sola, ci sono io, e se lo racconti ad Aron avrai anche lui, non ti abbandonerebbe mai. »
« Non voglio che soffra. » La voce le graffiava la gola. « Almeno uno dei miei figli, voglio che sia felice. » Non aveva mica tutti i torti.
« Devi dirglielo. » Era la cosa più ovvia da fare. Polly tornó dietro la sua scrivania, le mani impegnate nelle scartoffie di prima. Stava provando ad ignorarla? « Sai che è la cosa giusta, lo sai. » Lei lo sapeva sempre. Come poteva essere così cieca, ora? Cass si sedette davanti a lei. La fotografia stesa sul tavolo di legno. « Cosa avevate scoperto tu e mia madre? »
« Sono passati troppi anni. »
« Che avevate scoperto? »
Sospiró. « Pensavamo fosse in Polonia. » Stava cedendo. Ma come poteva aiutarla, lei? « C'era una bambina... » Si fermó come se avesse paira di pentirsi delle proprie parole. « Pensavamo fosse creeciuta in una delle case famiglia a cui Aron manda spesso dei soldi. »
« Quindi è più piccola di lui. » Come se non lo sapesse già.
Annuì. « Erano gemelli. » Gli occhi le si arrossarono improvvisamente, stava piangendo. Cassandra allungó una mano per afferrare la sua, chissà da quanto non piangeva per quella storia, chissà da quanto tempo non ne parlava. « Non lasciarlo da solo, se dico questa cosa a mio figlio... lui avrà bisogno di te. »
« Io devo tornare a Londra. »
« Per il tempo che passerai qua, è importante. Lo so che state cercando di evitarvi, ma so anche che è impossibile. »
Glie l'aveva detto lui? Cassandra assunse un'espressione strana, forse troppo perchè Polina per poco non si mise a ridere. « Guarda che anche io sono stata innamorata, lo so come funziona. »
« Io no, veramente. »
« È normale, ed è anche normale tutto il resto. »
« Mi sento solo una stupida. » E perchè mai si stava confidando con lei?
A quel punto Polina sorrise sul serio, era riuscita a farle tornare una specie di buon umore. « Sono felice che mio figlio sia tanto amato, anche se mi fate incazzare. »
La bionda sorrise, un sentimento nuovo le scaldó profondamente il cuore. Che diavolo era? Tese i muscoli del collo. Durante tutta la sua vita aveva conosciuto solo lo strano e singolare amore di suo fratello, mai quello del padre, neppure quello di sua madre. « Lo sai che lo faró soffrire, vero? »
« So che soffrirai anche tu. »
Cassandra serró i denti e ritiró una mano per coprirsi il volto, le veniva da piangere al solo pensiero di doversi separare da lui. E poi c'era tutto il resto, i sensi di colpa, le bugie. Era troppo.
« È che più tempo ci passo insieme, più sarà difficile, poi... » Tiró su con il naso, non aveva mai detto quelle cose ad alta voce.
« Ehi, ehi... » Polina si alzó e le si mise accanto, fece per abbracciarla ma esitó un momento, non sapeva se l'altra volesse. Fu proprio la bionda a sporgersi verso di lei, a cercarla. Posó il capo sul suo ventre, fu la cosa più vicina ad una mamma che avesse mai avuto. Era tutto così sbagliato, e nessuno sapeva che diavolo fare. « Vedrai che ce la faremo tutti. » Non ci sperava per niente.
La bionda si asciugó il viso con una mano. « Dovrei essere io a farti forza. » Non ebbe neppure il coraggio di guardarla negli occhi.
La donna le accarezzó il capo con una mano.
« Ci sei riuscita, ci sei riuscita bene. » Gli anelli in oro scivolavano sui capelli chiari di Cassandra.
Pensó che dovessero trovare il momento giusto per parlare con Aron, lui le avrebbe aiutate sicuramente. E poi avrebbe detto tutto a Klaus.
L'unico problema, era che Cassandra ancora non sapeva niente dell'infanzia di Aron, e lui non aveva assolutamente intenzione di far venire fuori il discorso. Come se se ne vergognasse.
Polina sapeva anche quello. « Peró devo domandarti una cosa. Aron ti ha raccontato della sua infanzia? »
« Si, ha detto che eravate molto poveri... » Si allontanó da polina, speró di non averla sporcata di mascara. Fece mente locale per ripensare a cosa le avesse detto Aron. « Che non ha avuto una bella infanzia finchè non è venuto qui. »
« E basta? »
Cass aggrottó le sopracciglia. Un ciuffo crespo le infastidì la vista. « C'è altro? » Lo spostó dietro l'orecchio con una mano.
Polina scosse il capo con tranquillità. « Te lo dirà lui, non c'è fretta. » Come se non fosse una cosa davvero così grave. « Ora abbiamo tante cose a cui pensare. »
« Si, ripartiamo da dove avevate lasciato? »
« Si. »
💎💎💎
Hola!
Come va? So che pubblico poco, ma sono veramente impegnatissima a lavoro (e anche lì scrivo taaaanto)
Che ne pensate di come si sta evolvendo la storia? Fatemi sapere ❤️
E comunque io ADORO la coppia Polly - Cass ORA POSSO DIRLO
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