CAPITOLO 21


i'm scared as hell to want you.
but here i am,
wanting you anyway

Quando Klaus aprì gli occhi per chiederle un'altra coperta, Cassandra era tornata da un pezzo, eppure pareva che fosse scappata da casa di Aron solamente qualche attimo prima, tanto erano vivide le immagini di lui che aveva nella testa. Passò la notte a cercare di non pensarci, di non ricordare quanto le fosse piaciuto poterlo baciare, toccare, il modo in cui avessero capito come incastrarsi perfettamente l'uno all'altra. Era rimasta in tuta, se si concentrava sentiva ancora il suo profumo addosso. Ogni volta che le arrivava alle narici sorrideva, ma poi si sentiva un verme, perché non era giusto nei confronti di Klaus.
Che ore erano? Almeno le nove, pensò che sarebbe potuta rimanere da Aron ancora un po'.
Ma che vai pensando, piccola Cassy.

Era seduta sulla solita poltrona nella stanza di suo fratello, lo guardava dormire, per una volta pensó che dovesse essere lei a proteggerlo. Tenerlo alla larga dai suoi errori, dalla sua parte sbagliata. Si domandó cosa stesse pensando, sognando. Si disse che fosse un idiota, lui che poteva stare con Lidia, aveva deciso di tenerla lontana per chissà quale assurda convinzione. Eppure, di solito le stava incollato come una zecca, chissà che diavolo era successo, per costringersi a tenerla in un'altra stanza.
Allungó le gambe sul divano, forse avrebbe fatto meglio a farsi una doccia calda. Tiró su la coperta di lana, poi addormentó, avvolta da un tepore accogliente.

« Cass, perchè non vai nella tua stanza e
riposi? » Aprì gli occhi, non aveva idea di chi fosse, comprese solo dopo un po' che si trattasse della voce di suo fratello. Pensó che avesse voglia di abbracciarlo, dopo l'ansia della notte prima... e i sensi di colpa.
Si mise a sedere, i capelli scompigliati sul capo. « Come stai? » Passó una mano sul viso, non era pronta per iniziare la giornata.

« Io sto bene, tu invece mi sa un po' meno. »
Si chinó per lasciarle un bacio sulla testa, forse per quella mattina Polly avrebbe potuto fare a meno di lei.

Si stiracchió, mentre muoveva le braccia, la felpa si spostó lasciando entrare il freddo sotto il tessuto. Si rannicchió immediatamente.
« Lo dici tu a Polly che resto a casa? »
« Si, poi chiamo Aron, lui è più bravo a convincerla. »
Un brivido di disagio le scosse la schiena, sentirgli pronunciare quel nome fu strano. Realizzó che gli stesse davvero mentendo. « Allora io vado. »
Si alzó di scatto, rimase ferma qualche momento, come se non fosse ancora pronta.

Incroció le braccia al petto. « Devo portarti in braccio? »
« Sei proprio scemo. » Scosse il capo, poi tiró su con il naso e si mosse verso la porta. Trascinó i piedi nudi in avanti e gli passó accanto.
« Sei rimasta qui tutta la notte? » Serró i denti, abbassó lo sguardo e poi prese un respiro profondo.
« ...Si, si. »
Klaus si maledì mentalmente, pensó che non fosse giusto. Doveva essere lui a starle dietro. « Dai, vai a dormire. »

Cassandra tornó in camera, quando passó davanti al bagno peró sentì dei rumori, si ricordó di aver detto a Lidia e alla sorella di poterlo usare. Si sporse oltre con il viso e vide una sagoma avvolta in un accappatoio. « Cassandra? » Era Lidia.
« Si? »
Forse avrebbe dovuto domandarle se avesse fatto pace con Klaus, ma non ne aveva le forze. E poi sicuramente quei due avevano risolto, altrimenti lei non sarebbe stata ancora lì. « Grazie, davvero, anche da parte di mia sorella. »
« Figurati, restate quanto volete. » Tanto questa casa è abbastanza grande da far sentire tutti soli. Alzó le spalle e si diresse verso il letto, ci si lasció cadere sopra rilassata, non ebbe neppure la prontezza di infilarsi sotto il piumone prima di crollare in un sonno profondo. Prima di crollare pensó che sarebbe stato bello, se avesse incontrato Aron, almeno lì, nei suoi sogni, dove poteva creare un mondo in cui potesse restare a casa sua dopo che avevano fatto l'amore senza dover mentire al fratello.

E infatti, fu il primo volto che vide quando chiuse gli occhi, era seduto accanto a lei e le stava spiegando come si dicessero alcune cose in polacco, Cassandra non aveva mai sentito quella lingua se non le poche volte che era stata usata da Polina, e per lei le cose che diceva non avevano alcun senso.
Provava a ripetere i suoni pronunciati da Aron nello stesso modo in cui faceva lui, ma sbagliava sempre e poi rideva, gli piaceva quando era in difficoltà, sembrava innocente, un'altra persona. Era quella, la sua parte migliore.

Aveva le gambe incrociate, lo sguardo vispo scrutava quello di lui alla ricerca di qualche segno d'approvazione. « L'ho detto giusto? Ho parlato bene questa volta! »
Ma Aron rideva e basta, teneva le mani sulle sue ginocchia e il viso teso in avanti. « No, è sbagliato, sono due parole distinte! »
Cassandra non ci aveva mai fatto caso, ma quando parlava in polacco diventava estremamente affascinante, il suo subconscio aveva metabolizzato facendogliela sognare.

Aveva osato addirittura spazientirsi. « Ma scusa, parlo un francese decente e anche un po' di italiano, perchè mai dovrei avere problemi con il polacco? » Perchè non riusciva proprio ad impararlo?
Egli scosse il capo. « Perchè non c'entra niente con il francese o l'italiano. » Strinse le dita sulle gambe di lei, le piaceva quando le insegnava qualcosa di nuovo.
« Tu conosci altre lingue? »
« No, solo l'inglese e il polacco. »
« Allora potrei insegnarti il francese! »
« E perchè? »
Alzó le spalle. « Così, sperchè non lo sai, così capisci. »
« Non conoscevo neanche l'inglese, quando mi sono trasferito. » Quindi era lei la viziata impertinente.
« Giusto, hai ragione, me n'ero scordata. »
Lui parve quasi contento di quell'ammissione, allungó una mano e le alzó il mento con due dita. Fu dolce. « Devi trovare un modo per farti perdonare, sai? »
« Si? »
Annuì. « Necessariamente. » Sorrise come faceva lui, in un modo così affascinante che Cassandra si sentì morire. Non le importó piú del polacco, delle risate, si mise sulle ginocchia e lo raggiunse per baciarlo. Lui prima restó fermo, poi si sporse verso di lei e la strinse, avvolgendola da dietro la schiena con le braccia. Ricambió il bació con un altro, e poi un altro ancora. Le morse il labbro inferiore e poi lo tiró piano con i denti.
« È sicuramente un ottimo inizio. »
Poi scivoló con una mano sulla sua coscia e la fece mettere su di lui, mentre continuava a morderle il collo, a stringerla da dietro la schiena, come se temesse qualcuno potesse portargliela via. Cassandra andó ad incastrare le dita tra i suoi ricci biondi, s'inebrió completamente nel suo profumo e si perse, fino a scordare chi fosse e dove, fino a far sembrare quel sogno una cosa vera. « Peccato che ci vedremo mai più. »

Lei andó subito nel panico. « Ma che dici? »
Aron invece sembrava calmissimo, come se le stesse parlando della cosa più semplice del mondo. « L'hai voluto tu, io ti avevo chiesto di restare. »
« Ma cosa c'entra? Non potevo... »
« Io ti avevo chiesto di restare. »
Improvvisamente la lasció andare, e il mondo attorno a lei scomparve. Lui si alzó e cercó la felpa che si era tolto prima, poi s'infiló velocemente la giacca. « Ma dove vai? »
Alzó le spalle. « Devo andare Cass. » Lei sgranó lo sguardo, fece per alzarsi ma non riusciva a muoversi, era come se fosse bloccata sul letto.

Lo aveva urlato davvero? « Aspetta! » Aprì gli occhi e tastó il materasso accanto a lei. Era vuoto, e Aron? Ancora si ostinava a cercarlo, ci mise qualche secondo a capire che fosse stato tutto un sogno. Si portó le mani sul viso, poi crolló nuovamente con il capo sul cuscino. Qualcuno era passato a sistemarle meglio la coperta addosso, pensó fosse stata Lidia, o Klaus.
Comunque non aveva voglia di riaddormenrarsi, dar spazio ai sensi di colpa che a quanto pareva avevano trovato il modo di tormentarla quando abbassava la guardia. Si trascinó fuori dal letto, si sentì come dopo una serata passata a far festa, solo che non beveva da un sacco. Forse il lavoro peggiore, quando si trattava del suo malessere, lo faceva la sua mente, e non la droga o l'alcol.

Forse avrebbe fatto meglio ad andare da Polly. Controlló l'ora sul cellulare, era l'una ma non aveva fame, decise che avrebbe saltato il pranzo. Cercó tra le sue cose un pacchetto di sigarette, ne trovó uno quasi finito, ne restava una sola, dentro. La prese e se la mise tra le labbra. Poi aprì la finestra e rabbrividì per il freddo, decise che non le importava. Si mise la coperta sulle spalle e prese l'accendino che teneva solitamente nel cassetto del comodino.

Accese la Marlboro e si riempì i polmoni di fumo. Forse avrebbe fatto meglio a farsi un doccia. Dalla sua stanza si vedeva il giardino sul retro, era scappata da quella finestra così tante volte che ricordava il percorso a memoria, c'era una sporgenza appena sotto il davanzale che portava al terrazzino del salotto, e da lì scendeva ancora, poi si buttava giù sperando di non farsi troppo male. Negli anni, aveva rimediato al massimo qualche livido. Sputó fuori una nuvola grigia, si chiese se Aron fosse al maneggio, le venne improvvisamente ancora più voglia di andarci. Come sarebbe stato rivederlo?
Dopo quello che era successo la notte prima, temeva di non riuscire davvero più a stargli lontano.

« Ma quindi si puó fumare qui dentro? »
Una voce sconosciuta la fece voltare verso la porta, dietro di lei.
Era la sorella di Lidia. « Nella mia stanza, si. Vuoi? » Non aveva più i capelli viola, adesso erano quasi uguali a quelli della sorella. Si somigliavano molto, a guardarle bene.
Si spostó per farle spazio vicino a lei, purtroppo non aveva sigarette da offrirle.

« Si, decisamente. » Indossava la tuta che Cassandra le aveva dato l'altra notte, prima di scappare da Aron. Aveva già una sigaretta pronta tra le dita, l'accese velocemente. « Comunque mi chiamo Andrea. »
« Cassandra. » Le sorrise brevemente, poi si portó un'altra volta il filtro tra le labbra.
« Come stai? »
« In casa tua? Ho appena fatto un bagno caldissimo in una mega vasca, e c'è qualcuno che mi rifà il letto la mattina. Come potrei star male? » La bionda alzò le spalle. Imparerai, pensò. Ma non disse nulla.
« Bene. » Si poggiò al muro. « Se ti servono altre cose cerca nel mio armadio. » L'ultima volta che aveva proposto una cosa simile era finita in punizione. Le venne da ridere.
« Tuo fratello deve amare molto Lidia. »
« Si, è molto innamorato. » Le fece strano dirlo ad alta voce. Non riusciva a decifrarla, somigliava a Lidia ma aveva qualcosa che non le tornava. Come se nascondesse un segreto. « Non l'ho mai visto cosí. » Fu sincera.
« È molto difficile da decifrare. »
Le venne da ridere. « Si, poi ti abitui. » Non poteva prometterle che prima o poi avrebbe iniziato a comprenderlo, solo Lidia ci riusciva.
« Tu non lavori? » Le fece quella domanda perchè erano tutti spariti, tornati alle loro cose. Invece Cass e Andrea parevano non aver niente da fare.
« In realtà studio, però in questo periodo sto lavorando al maneggio, stamattina mi sono presa una pausa. »
« Che maneggio? »
« Abbiamo un maneggio, Lidia non ti ha detto nulla? »
« No, non parliamo molto. » Il modo in cui lo disse fu strano, a Cassandra ricordò molto se stessa, non le piaceva parlare di Klaus, soprattutto in passato, prima che ricucissero minimamente il rapporto che avevano. 
« Mh, capisco. Anche io e Klaus non ci siamo parlati praticamente per anni. »
« Davvero? »
« Si, vivevamo insieme ma eravamo su due mondi diversi. »
« Allora un po' mi capisci. »
« Però Lidia non mi sembra come lui, cioè è molto aperta... » Klaus era sempre stato chiuso, rispondeva ad ogni problema rifiutandola, allontanandola. Lidia le pareva l'opposto, ed era grazie a lei se erano riusciti a parlare, finalmente.
« ...Si, forse adesso, forse con gli altri. » Parlò con una punta di disprezzo. Cassandra non voleva farsi i fatti degli altri, meno che mai quelli di Lidia, solo che le pareva assurdo potesse avere un lato nascosto, cosí diverso da quello che mostrava fuori.
« In che senso? »
« Nella mia famiglia sono tutti dei cazzo di geni, super laureati, super tutto. Io volevo fare la ballerina, ero quella strana, quando abbandonai l'università Lidia fu la prima, a dirmi che fossi un'idiota. »
La bionda non disse niente, alzò solamente le sopracciglia. « Alla fine me ne andai di casa e basta. » E adesso che ci faceva lí? « Feci proprio in modo che non potessero più trovarmi. » La rabbia che alimentava quelle parole travolgeva Cassandra e, stranamente, la faceva sentire compresa. La riconobbe subito, perchè anche se in modo diverso, l'aveva provata anche lei.

« Anche io l'ho fatto, anche se sapevo che mi avrebbe comunque fatta seguire, non si sfugge a Klaus Van Der Meer. » Ricordò l'Europa, la droga, Parigi e il casino con Aron.
« Anche tu sei scappata per inseguire il tuo sogno? »
Abbassò lo sguardo. « ...No, io non avevo un sogno. Sono scappata e basta. » Non era permesso avere sogni, in quella casa. Il destino di tutti era stato già scritto dai loro genitori. Prese l'ultimo tiro di sigaretta.
« E poi? »
« Poi ho capito delle cose, alcune le ho risolte, altre no.
E poi fondamentalmente mio fratello... » Rimase zitta qualche istante, non ne aveva mai parlato con nessuno. « Ha capito delle cose anche lui, credo. » Non era stata molto chiara, ma la sua mente ancora non aveva ben realizzato cosa fosse successo. « Mentre Lidia? Con lei hai risolto? »
« Non lo so, non lo so proprio. »
Sopense la cicca finita sul davanzale. « Alla fine sei diventata una ballerina? »
Andrea si mise a ridere. « Una specie. » Cassandra non capí subito, poi realizzò. Non seppe cosa dire, si limitò a sorridere. « Meglio di niente. »
La bionda annuí, poi prese la sua sigaretta e la buttò in un piccolo cestino che aveva vicino alla scrivania. « Almeno sai cosa vuoi. »
« Tu no? »
« Ci sto lavorando. » Facendo uno sbaglio dopo l'altro. Aron era compreso in tutto quello? « Io ora però vado al maneggio, tu fai come ti pare, cioè fai come se fosse casa tua, sul serio, prendi quello che vuoi. » Le ricordò, ancora una volta.
Si allontanò dalla finestra, prima di chiuderla aspettò che Andrea finisse di fumare. Andò nella cabina armadio per cercare qualcosa da indossare, trovò dei Jeans stretti e un maglioncino a collo alto. Gli stivali da lavoro erano sporchi come al solito, decise di indossarli direttamente lí, per non riempire la casa di terra. Legò i capelli in una cosa spettinata, lasciò comunque dei ciuffi cadere sul viso. « Cioè tu pulisci le stalle? » Andrea la osservò per tutto il tempo, non potè fare a meno di pensare che fosse assurdo, che lei lavorasse quando poteva stare tutto il giorno in casa, a rilassarsi.
« Si, e ti dirò, mi piace anche. »
« Sul serio? »
« Non fare niente tutto il giorno è bruttissimo, pensi troppo e alla fine stai solo male. »
« Mh, capisco, quando rimani da sola con la tua testa. »
« Si, preferisco pulire i cavalli, piuttosto. »
Una risata leggera le vibrò sulle labbra, Andrea si mise a sedere sul letto dove prima era sdraiata Cassandra.

Si truccò usando i soliti colori scuri, quasi le piaceva quando le accentuavano il viso spigoloso, stanco. Si lavò velocemente e poi salutò Andrea. Si portò dietro gli stivali e la solita Goyard, l'autista non si aspettava di vederla.
La guardò da sotto i riccioli crespi come se dovesse scoprire qualcosa che non gli tornava, anche mentre guidava, ogni tanto la scrutava dallo specchietto retrovisore. Lei era tranquilla, non vedeva l'ora di avere ancora il cervello impegnato.

Gli stivaletti di pelle affondarono nel fango, si era scordata di cambiarli con quelli che usava sempre al maneggio. Adesso ne aveva due, sporchi. Sbuffò. Decise di cambiarseli comunque, i secondi erano salvabili. E poi erano di Chanel, non voleva rovinarli completamente.
Si sistemò la borsa sulla spalla e camminò in avanti, il cancello in ferro battuto era già aperto, ovviamente. Inspirò profondamente, si sentiva già meglio. Cercò subito Polly, in modo che le desse qualcosa da fare. Si era persa una mattina di lavoro, un pezzo di normalità.

Camminò fino al suo ufficio, poi bussò piano. Non rispose nessuno, cosí decise di piegare la maniglia della porta ed entrare comunque. « Polina arriva tra poco, la aspetti fuori. » Aron. Era seduto al posto di sua madre, i soliti fascicoli aperti davanti e gli occhi troppo assorti nella lettura per capire chi fosse entrato. Il tono di voce che usò era cosí autoritario che per un momento pensò di ascoltarlo, andare via e aspettare Polly fuori.
Invece rimase ferma, si mosse in avanti senza dire nulla, il legno scricchiolava fastidiosamente sotto il peso dei suoi passi. « Ho detto di aspettare fuori. » Fu solo dopo, che spazientito, alzò il capo e finalmente si accorse di chi fosse entrata.
Rimase zitto, incantato per qualche secondo, la bocca chiusa e la testa che gli urlava di mandarla via, mentre tutto il resto voleva solo stringerla a lui. « Che ci fai qui. »
« Ci lavoro. »
Si schiarì la voce, gli si era seccata la gola. « Pensavo che non saresti venuta, oggi. »
Alzò le spalle. « Ho cambiato idea. »
« Ah. » E ora? « Che ti serve? »
« Polina, in realtà. »
« Puoi aspettarla qui. » Non doveva più uscire? Non erano più importanti le cose che lui doveva fare?
Annuì. « Mi faccio un te. » Poi si spostò verso il bollitore. « Vuoi? » Si volse nuovamente in direzione di Aron. Lasciò cadere la borsa su una delle sedie davanti alla scrivania.

« Si, dai. » Si alzò anche lui, Cassandra dovette distogliere lo sguardo, perché rischiava di incantarsi. Quando l'affiancò per prendere due tazze, si sentì bruciare. Adesso sapeva cosa si provasse a baciarlo, resistere era molto più difficile. Le tremavano le mani e lui se ne accorse, perché allungò le sue per tenerle ferme, e accese il bollitore mentre ancora Cassandra stava cercando di restare sulla terra.
Che fastidio. Quando si toccarono lui serrò la mascella, si guardarono intensamente, sapevano benissimo entrambi cosa l'altro stesse pensando.
Ma come facciamo. « Ti piace il te nero? » Lui provò a rompere il silenzio.
« Si, senza zucchero. » Era impossibile distrarsi. Riusciva solo a concentrarsi sulle sue labbra, calde e morbide.

Lui cercò di spostare l'attenzione verso sinistra, ma poi fu costretto a perdersi ancora negli occhi imploranti di lei. Non era giusto, era tutto sbagliato, eppure dovette avvicinarsi di più, fino ad averla abbastanza vicina da poterle rubare il respiro. Sentirlo sulle labbra. Cass abbassò il capo, come se si vergognasse. « Avevamo detto... » Riuscì solamente a dire, piano.
Lui scosse la testa. « Lo so, so cosa avevamo detto. » Era sempre così, ogni volta che se la trovava davanti mandava al diavolo tutto il resto.
Allora lei si alzò leggermente sulle punte, i loro nasi si sfiorarono e ad entrambi si incendiò lo sguardo. « Stiamo sbagliando tutto. » Con una mano salì fino al viso di lei, qualche altro respiro e poi l'avrebbe baciata, resistere era una tortura.
« ...Non ce la faccio. » Chiuse gli occhi, mentre lei aspettava solo che si arrendesse. Era come se si stessero chiedendo scusa a vicenda.

L'avrebbe sul serio baciata, se non si fosse improvvisamente aperta la porta dell'ufficio; si allontanarono immediatamente, scattarono all'indietro con il rischio di far cadere a terra le tazze di ceramica che Aron aveva preso prima.
Quindi era quello, che li aspettava? Che stupidi. Una vita a nascondersi, come dei ratti.
« Che diavolo ci fate nel mio ufficio? » Era Polina, e per fortuna, forse, non aveva capito niente.

Fu Aron a rispondere per primo. « Stavo lavorando, controllavo... le cose della Polonia, i vari fondi. » Con un cenno del capo indicò i fogli aperti sulla scrivania, come se avesse bisogno di provare quello che stava dicendo.

« E tu, che scusa hai? » Merda. Piegò le braccia sui fianchi, Polina capiva sempre tutto prima degli altri.
Cassandra si guardò intorno, andò nel panico. « Veramente ti stavo cercando. » Alzò le spalle.
« È la verità, volevo sapere cosa ci fosse da fare, perché stamattina non c'ero. » Era sempre stata un'abilissima bugiarda, erano più le bugie che raccontava delle verità. Eppure, si sentì una sedicenne che doveva nascondersi dai genitori, una cretina. Sembrava che Polly quasi si stesse divertendo a vederli mentre si arrampicavano sugli specchi.

Spostò le braccia per incrociarle sul petto, i braccialetti d'oro scintillarono fastidiosamente.
Strinse le labbra, stava pensando. Era forse in difficoltà? Sospirò, sembrava scocciata, ma lo sembrava sempre quindi era difficile capire se lo fosse davvero. « Il bollitore è pronto, fate un te anche a me. » Aron e Cassandra si guardarono, che stupidi erano stati. Sarebbe bastato dire che si stavano facendo un te, c'era anche il bollitore acceso. « Si, ci penso io. » Fu Cass a parlare, fece cenno ad Aron di spostarsi, tornò a leggere i suoi fogli ma dovette mettersi a sedere sulla sedia davanti alla scrivania, perché Polly il suo posto non lo cedeva a nessuno.

La bionda si stava concentrando a ripetere i movimenti che aveva già visto a Polina. Quasi le tremavano le mani. Si aspettava di essere richiamata da un momento all'altro.
Ci ha visti, ci ha visti per forza.
Prese un piattino e la tazza, poi li mise davanti alla signora Nowak. « Ecco. »
« Fallo anche a voi due. » Era un ordine, più che in invito. Cassandra e Aron si guardarono un'altra volta, dove voleva arrivare? « Veloce. »
« Mh. » Annuí e tornò a versare l'acqua bollente in altre tazze, le lasciò vicine, sulla scrivania e attese ulteriori indicazioni. Come una stupida.

Lei il suo se lo stava già gustando, gli anelli scintillavano insieme al materiale lucido della tazza chiarissima. « Bevete. » L'unico che ebbe il coraggio di lamentarsi fu suo figlio, sbuffò scontento. Mollò i documenti sul tavolo e prese la propria tazza. Cassandra invece stava zitta. Forse aveva capito dove volesse arrivare.
Il silenzio se li mangiò fin quando non finirono di bere, solo a quel punto Polly rubò loro le tazze e fece la stessa cosa che Cass le aveva già visto mettere in pratica. « No mamma, no, lo sai che non ci credo in queste cose. »
« *Bądź cicho! »
*Fa silenzio!
Aron restò in silenzio, riprese i suoi fogli e decise di non prestare più attenzione a Polina. Gli dispiaceva solo per la bionda, doveva subirsi i deliri di una pazza. Non poteva certo sapere che Cass invece fosse molto curiosa di conoscere cosa avesse da dirle, che trovasse quel modo di pensare affascinante, considerando che Polly, alla fine, non sbagliava mai. La giovane si sporse in avanti con il busto, mentre la polacca esaminava il modo in cui le foglie si fossero posate sul fondo delle tazze delicate. « Lo sapevo. »
« Cosa? » Fu lei a parlare, quella domanda fu seguita da un'occhiata stranita di Aron. Sul serio le credi?
« È uguale, è uguale. » Il destino. Si agitò subito, qualcosa non andava, vederla in quel modo quasi spaventò Cassandra, sempre abituata a trovarla tutta d'un pezzo, sicura di sé.
Aron a quel punto posò i documenti e decise di intervenire. « Mamma smettila, sembri una pazza. » Ma non servì a niente, quella iniziò a scuotere la testa nervosamente. « Mamma, mamma, calmati. »
« Ti avevo detto di starle alla larga, te l'avevo detto, ma tu non mi credi mai. »
« Non è successo niente— »
« Non prendermi per il culo, non ti permettere Krzysztof! »
« Non alzare la voce. E non chiamarmi così. »
« Sono tua madre, io ti chiamo come cazzo mi pare. » Batté le mani sul tavolo, in un modo così carico di rabbia che fece scattare sull'attenti perfino Cassandra.

Aron notò quanto fosse a disagio, sospirò infastidito e si rivolse a lei, peggiorando ancora di più la situazione. Le mise senza pensarci una mano sulla gamba per calmarla, una specie di gesto protettivo che non passò inosservato agli occhi di Polina. « Sei un coglione. »
« Basta matka, basta. »
« Voglio la verità, state insieme? »
Magari. Lo pensarono insieme ma non ebbero neppure il coraggio di guardarsi.

Fu la bionda a rispondere. « Come potremmo mai? » Un finto disinteressamento misto a rassegnazione le colorava il tono di voce, spento.
Polly si sfregò la fronte con una mano. « Se vi devo coprire almeno voglio sapere cosa sto coprendo. »
« Mamma, non siamo niente. »
« Non è che se non gli dai un nome non esiste. »
Si rese conto solo in quell'istante di avere la mano ancora poggiata sulla coscia di Cassandra.
« E allora dillo tu, visto che sai tutto, che diavolo dicono le foglie? »
Lei rise. Ma che diavolo aveva per la testa?
« Non vuoi sentirlo. »
« Ti prego sii chiara e basta. »
« Io penso che voi due vi piacciate da morire, e che non riusciate ad evitarvi in nessun modo. »
Silenzio. Aveva proprio capito tutto. Alla giovane mancò il fiato, strinse le mani incrociando le dita tra loro, poi iniziò a guardarsi intorno, perché quella stanza all'improvviso le sembrava molto più piccola. « Penso che questa cosa possa solo finire male, ma tanto è più forte di voi. » Aron rimase in silenzio, forse sarebbe stato meglio se avesse detto qualcosa. Forse se avesse parlato, Cassandra avrebbe prestato attenzione a lui, e non ai propri pensieri. Si sentì il petto sprofondare sui polmoni, come se ci fosse un peso a schiacciarlo. Eccolo che arrivava.
Si sbottonò subito la giacca, non voleva impazzire davanti a Polina, fare la parte della sorellina scema e indifesa. E poi gli attacchi di panico erano un altro segreto che Klaus non doveva sapere, averla lì davanti le metteva ancora più ansia. Le veniva da vomitare.
Polina continuò a parlare, disse qualcosa su quanto fossero irresponsabili, stupidi e immaturi ma la voce arrivava alle orecchie di Cassandra come una cantilena incomprensibile. « Cassandra? » Stava chiamando lei?
« Cass, tutto okay? » Aron si aggiunse alla madre, era stato così impegnato a risponderle che non si era accorto del senso di angoscia che avevano buttato su di lei.

Annuì nervosamente. « Si, si. Però qui dentro mi manca l'aria. » Lo disse velocemente, poi si alzò, spinse la sedia all'indietro e uscì senza aspettare che nessuno dicesse altro. Quando fu fuori si riempì subito d'aria i polmoni, andava già meglio. Si poggiò con la schiena al muro della dependance e chiuse gli occhi, quella situazione era devastante. Non sarebbe mai riuscita a sopportarla. Aron la raggiunse subito, odiava vederla star male. « Cass, non è successo niente, respira piano... »
Polly osservò anche quella scena, pensò che forse quella che rischiasse di più fosse Cass, e poi ricordò di quanto potesse impazzire Klaus. Si erano cacciati in un bel casino. « Non preoccuparti, non dirà niente. » Lei scosse il capo. Polina aveva ragione su tutto, quella era una condanna. « Torniamo dentro, che se ci vedono... » Non riusciva a smettere di agitarsi, quando varcò nuovamente la soglia dell'ufficio si sentì nuovamente male. Non riusciva proprio a sostenere lo sguardo della signora Nowak.

« Io non dirò niente, ovviamente. Non so quanto possa durare questa cosa, comunque cercate di non farvi beccare. »
« Lo so che è sbagliato, che cosa crede che mi piaccia essere sempre la sorella stupida di Klaus? Quella incapace e... che lo delude sempre? Ha questa ossessione assurda per cui... quando ero piccola non potevo neanche avere degli amici, non so perché fa così, ma io non posso vivere nel modo in cui vuole lui, non è colpa mia... »
« Conosco bene tuo fratello, ha paura di perderti, di restare da solo. »
« E figurati se sapesse che sono proprio io quello per cui hai deciso di mentirgli. » Quindi è deciso.

Polly dovette prendersi qualche momento di silenzio per trovare le parole giuste.
« Lo prenderebbe come un tradimento, penso che... non lo so, impazzirebbe. »
« Comunque questa cosa finirà quando tu tornerai a Londra e io andrò in Polonia. »
Cass si allarmò subito. « Quando vai? »
« Presto, per quella storia dei fondi. »
« Ma da solo? » Da quello che sapeva non doveva essere stata proprio una passeggiata, la sua infanzia.

Sua madre si trovò stranamente d'accordo con la bionda, non le piaceva avere suo figlio troppo lontano. E poi lì c'erano troppi ricordi. « Ma vuoi tornare... » Stava per dire nella casa famiglia, credendo che l'altra sapesse. Lui la fermò prima.
« ...Dove vivevamo quando ero piccolo. » Allargò gli occhi, per farle intendere che dovesse stare attenta. Quante bugie, quanti intrighi.
« E tu pensi che così poi ti scordi di lei. » Il tono di voce piuttosto scettico. Non ne era convinto neppure lui, adesso che ci pensava bene. Ma che alternativa avevano? Perchè Polly non dava loro una soluzione? Ne aveva sempre una per ogni cosa.

« Non è che ci sia un modo migliore. »
Lei scosse il capo, guardò prima Cassandra, poi suo figlio.
« Avete lo stesso destino. »
« In che senso? » Aron le rispose abbastanza seccato da quegli indovinelli.
« Nel senso che sono due ma è un solo. »
Era quello che dicevano le foglie. C'era una sola linea, se soffrivano, lo facevano insieme, se uno non era felice, allora neppure l'altra.

« Mi sembra esagerato. » Cassandra aveva paura, non le piaceva star male, si conosceva ed era consapevole che non fosse capace di gestire le emozioni negative. « Il destino si crea con le decisioni che prendiamo, non è una cosa già scritta. »

Polly alzò le spalle, una smorfia sprezzante le accendeva l'espressione. « Puoi cambiare quello che fai, non quello che vuoi. » E come al solito, aveva ragione. Aron guardò cassandra senza dire niente, non riusciva ad immaginare un futuro in cui non la desiderasse più.

💎💎💎

In ritardo, ma sempre presente❤️
Fatemi sapere che ne pensate, di Aron, Lidia, Andrea e Klaus
Amerete Polly tantissimo

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