CAPITOLO 20


Sometimes it's not the butterflies that tell you you're in love, but the pain

Greta fece preparare subito le stanze come aveva chiesto Cassandra, Lidia stava stranamente in silenzio. Solitamente sapeva sempre che cosa dire. La bionda si avvicinó alla sorella, la vedeva troppo sconvolta, forse aveva bisogno di qualcuno che la mettesss a suo agio. Così decise di sorriderle. « Qui siete al sicuro, io sono la sorella di Klaus, c'è una stanza per te e se vuoi ti presto un cambio. »
« C'è una stanza anche per Lidia, occupatene tu, perfavore. » Lo disse con un tono di voce che solitamente riservava a lei, a quando lo faceva impazzire con i suoi giochetti. Cosa c'entrava Lidia? Perchè non la stava baciando come faceva sempre? Quell'evento avrebbe dovuto unirli.

Decise di non turbarlo con altre domande, forse era solo ancora preso dall'adrenalina per quello che era appena successo.
« Si, venite con me. » Fece cenno loro di seguirla, andó su per le scale e aprì due porte, una davanti all'altra. « Scegliete quella che volete, avete un bagno in comune, ma potete usare anche
il mio. » Il bagno a cui faceva riferimento, era due volte più grande della stanza da letto a cui Aphrodite era abituata. « Vado a prendervi delle cose pulite. » Senza fare altre domande, Cassandra sparì nella sua cabina armadio. Cercó due tute, dei pigiami, biancheria intima. Lasció tutto nelle due camere e poi pensó che fosse meglio dar loro un secondo di pace, farle ambientare. Guardó Lidia, glie lo si leggeva negli occhi che volesse Klaus, eppure non capiva, perchè non era lì. Forse c'erano altre cose da sbrigare, forse c'entrava Aron.
Non avere notizie di lui era un'agonia. Allora decise di parlare, solo con la riccia, quella che conosceva. « Lidia, ma Aron sta bene? »
Lei le sorrise come se avesse capito perfettamente il motivo per cui le avesse posto quella domanda. Annuì. « Si, è tornato a casa sua. » Grazie.
Era assurdo, ma non era stato torto loro un capello. Si chiese che diavoleria Klaus si fosse inventato per sfuggire alla perfidia De Vito.
Scappó al piano di sotto, ma non lo trovava. Allora andó nella sua stanza, ma non c'era neanche lì. Ebbe paura, per la prima volta quella notte, distinse bene l'ansia dalla paura.
Tornó giù, in cucina. Lo vide che stava pulendo le tazze lasciate prima. Ma perchè? Avevano delle domestiche che pensavano a tutte quelle cose.
« Klaus... » Si avvicinó a lui piano, indossava una camicia sgualcita, le maniche larghe arrotolate su fino a metà braccio. « Che succede...? » Silenzio.
Poi un rumore sordo la scosse e la fece scattare come una molla. Aveva rotto una tazza, lo vide cercare uno strofinaccio con le mani sporche di sangue. Si avvicinó solo per porgergliene uno, quello che avevano già usato prima. « Tieni. »
« È successo un casino. »
« Ma stiamo tutti bene, almeno. »
« Lidia mi ha mentito, e ha fatto una cosa pericolosissima senza dirmelo. » Perchè le stava raccontando quelle cose? Forse era così turbato, che aveva bisogno di buttarle fuori. Allora Cassandra restó in silenzio, e attese. « E per poco non finivamo tutti nella merda. » Si era legato lo straccio su una mano, in poco tempo aveva iniziato a colorarsi di rosso.
La sorellina avanzó, egli si volse e poi gettó uno sguardo nervoso sulla stoffa sporca. « Andiamo su, così ti pulisco questi tagli. » Gli accarezzó le dita delicatamente, quasi temesse potessero rompersi da un momento all'altro. Era teso, preoccupato, si vedeva che stava cercando di sopprimere una guerra interiore. Serró la mascella e abbandonò le tazze nel lavandino.
Che intendeva dire, prima? Cassandra non chiese nulla, ma sapeva quanto Klaus odiasse quando gli veniva omesso qualcosa di importante. Quindi era colpa di Lidia se erano finite nelle mani dei De Vito? E la sorella cosa c'entrava?

Andarono nella sua stanza, lei sapeva già dove fossero le cose per medicarlo, erano le stesse che aveva usato per Aron.
« Vieni qua. » Gli teneva la mano ferma, mentre con l'altra glie la bagnava di disinfettante. Il sangue colava rosso sul lavandino ancora una volta, si chiese quante altre ferite avrebbe dovuto medicare, quando sarebbe finita. « Non credo ci vogliano dei punti. » Prese a fasciarlo lentamente, cercando di non stringere troppo per non fargli male. Lui restò zitto, la osservò come se avesse realizzato solo in quel momento, che non fosse più una bambina, ma una donna.
« No, è tutto okay, almeno la mano. »
« Ti va di raccontarmi cosa è successo? »
« Mi sembra assurdo, comunque non ho capito bene neanche io, domani parlo con Lidia e poi ci pensiamo. Ora ho bisogno di riposare la mente, mi scoppia la testa. »
« Va bene, allora se vuoi io ho una cosa che ti fa addormentare subito. »
« Se è erba non voglio neanche sapere dove tu la nasconda. »
« Melatonina, mal fidato. » Gli strappò un sorrisetto divertito, poi gli lasciò la mano dopo aver fermato la garza di cotone.
« E che sarebbe? »
« Un integratore, sono pasticche, conciliano il sonno. »
« Allora mi sa che ne prendo una. » Si avvicinò di più a lei, pensò che sua sorella fosse l'unica di cui potesse davvero fidarsi, la sola certezza in mezzo ad un mare di dubbi. Se solo avesse saputo chi altro aveva medicato in quella stessa stanza...
Era stranamente seria. Klaus aveva bisogno di riposarsi, ancora la cicatrice sul fianco non si era rimarginata. « Poi te le porto, mettiti a letto. » Si stava sottoponendo a troppi sforzi.
Lui, invece, rise. « Ora dai ordini? » Scherzò, come se si fossero scambiati la parte.
« Ogni tanto, quando serve. » Alzò le spalle, poi gli indicò di spostarsi a letto con un cenno del capo, lo sguardo rivolto oltre la porta del bagno.
Inaspettatamente, fece proprio come lei gli aveva ordinato, forse perché era il modo giusto di procedere. Cassandra lo seguì, prese un'asciugamano e cercò poi nel cassetto gli antidolorifici che aveva già usato qualche tempo prima. « Usa questa se ti sporchi, e quelle medicine usale solo se stai morendo di dolore, ti vado a prendere la melatonina. »
Fu bello prendersi cura di lui, era come se stesse ricambiando un po' tutte le volte che si era trovata lei, al suo posto. « Non mi rimbocchi le coperte? » Era stato così facile fargli scordare di Lidia, dall'altra parte della casa? Forse avrebbe dovuto controllare come stesse.
Gli fece l'occhiolino, prima di sparire nella sua stanza. « Certo, dopo la favola della
buonanotte. » Prese a spostare vecchie cose, vestiti nascosti nei cassetti dei comodini e completamente dimenticati. Non ricordava neppure d'esserseli levati, forse perché quando l'aveva fatto era sotto l'effetto di chissà quali sostanze. Finalmente, trovò la scatola di melatonina che usava lei ogni tanto, tornò soddisfatta da Klaus, ma vide che stava già dormendo beato. Gli tirò su le coperte e glie le rimboccò davvero, accanto al viso, dal lato della mano ferita, l'asciugamano che aveva preso prima.

Spense la luce e decise di passare a controllare anche Lidia e la sorella, dormivano entrambe.
La casa era tornata silenziosa, a fare rumore erano rimasti solamente lei, e i suoi pensieri.
Avrebbe voluto sapere come metterli a tacere, e invece, urlavano e la torturavano. Adesso che non c'era più nulla da fare, riusciva a ricordare solamente il nome di Aron. Si chiese cosa stesse facendo, se anche lui la stesse pensando. Se anche lui, avesse temuto di non rivederla più.
Prese il cellulare e controllò se ci fossero dei messaggi, niente. Allora provò a scrivere lei, qualcosa. Non sapeva come cominciare, neanche se ne avesse il coraggio.

Senti ma cosa è successo? Qui sono tutti incazzati anche se stanno bene, beato te che sei lontano.

Che scusa banale. Si sentì una stupida, provò ad annullare l'invio del messaggio ma lui l'aveva già letto. Sgranò gli occhi.
Stava scrivendo.

Te lo dirà Klaus, sono cose sue. Io volevo il silenzio di casa mia.

E il gelato con gli smarties

Lo sto mangiando proprio in questo momento

Se fosse scappata in quell'istante, non se ne sarebbe accorto nessuno. Si morse il labbro inferiore, rimase con lo schermo illuminato e la chat aperta almeno per dieci secondi, prima di chiuderla e decidere di tornare nel mondo vero.
Stava per liberarsi dell'IPhone e andare a letto, quando s'illuminò ancora.

Ce n'è anche per te, se vuoi

Non se lo fece ripetere due volte. S'infilò le scarpe e prese le sue cose velocemente, non le importava che fosse in tuta, neppure che forse se Klaus si fosse sentito male avrebbe chiesto di lei.
E avrebbe capito in un attimo dove fosse.
Quando fu fuori, coperta nel cappotto pesante, si accorse che non avesse idea di come muoversi. Poi l'occhio le cadde sulla Jeep di Klaus. Ma che vuoi fare. Si volse indietro, scappò in casa e a prendere le chiavi, poi corse nuovamente fuori e cercò il modo di aprire quell'auto così preziosa.
Non usava la sua patente da mesi, ma ricordava abbastanza bene come si guidasse. Levò il freno a mano e si domandò se Klaus non avesse un modo per tenere traccia degli spostamenti della sua amata Jeep. Ormai era troppo tardi.
Sfrecciò sulla strada, le luci dei semafori le davano fastidio agli occhi, le mani le sudavano. Ma che stava facendo. Il cuore le batteva così forte che le mancava il respiro. Chiuse gli occhi quando si trovò davanti al solito citofono.
Si rivide bambina, e le venne da ridere.
Ma che stava facendo.

Fu davvero quasi sul punto di scappare, e lo avrebbe fatto sul serio, un breve momento di razionalità e di assoluta paura la bloccò davanti alla porta d'ingresso, non poteva premere su quel campanello. Non puoi.

Fu il destino, come avrebbe detto Polly, a spingerli ancora una volta vicini. Infatti lui aprì la porta, come se avesse percepito un'esitazione che non poteva sopportare; sapeva già chi si trovasse dall'altra parte, aveva ancora l'adrenalina a bruciargli il sangue e la paura di non poterla mai più vedere, di morire senza averla mai sfiorata gli trafiggeva il petto come tante lame. Cassandra aveva l'affanno, il cuore a mille e il viso sconvolto, ancora screpolato delle lacrime che aveva versato prima, miste al freddo di New York. Non sapeva che dire, cosa fare. « Io sono— » Non le fece finire la frase, Aron si sporse in avanti, le prese il volto tra le mani e la baciò come se non aspettasse altro da tutta la vita. Fu come assaggiare il miele più dolce del mondo, sentirsi a casa, dopo tanto tempo passato a vagare nel buio, nella solitudine.

Fu quando si staccò per respirare, che lei comprese che non ne avrebbe mai avuto abbastanza, si fiondò in avanti, si riprese le sue labbra e le accarezzò con la lingua, fu come trovare la pace.
Lui si allontanò. « Aspetta, aspetta, che cazzo abbiamo fatto... »
« Io non ce la faccio, non ci riesco. »
« No, io non li posso sopportare, i sensi di
colpa. »
« Perchè io si? Almeno però se devo sentirmi in colpa, voglio avere un cazzo di motivo valido per star male. » Si avvicinò a lui, Aron restò immobile, non riuscì ad allontanarsi. Lo baciò ancora, non si mosse, ricambiò quel bacio con più foga del primo. Le chiuse la schiena con le braccia e la spinse contro di lui, voleva che i loro respiri si scontrassero, che si confondessero come se fossero una cosa sola.
Ne aveva bisogno.

Cassandra si perse a giocare con la sua lingua, gli accarezzava il palato e poi scappava via, lui rise e le afferrò il labbro inferiore con i denti, poi glie lo succhiò piano e lo lasciò andare. Fu lei a prendere l'iniziativa, lo spinse in camera da letto che si era già liberata delle scarpe; e lui stette al gioco fino a farle credere che potesse realmente comandare così facilmente. Si mise a sedere sul materasso, quando lei provò a salire su di lui, la fermò da una gamba, lasciandola aperta a mezzaria. Le fece posare il ginocchio sul materasso senza permetterle di sedersi. Con la mano libera l'accarezzò lentamente tra le cosce, da sopra i pantaloni morbidi sfiorò la sua intimità facendo una leggera pressione nella parte più avanti. « Con me, funziona che decido io. » A lei non piaceva non poter fare quello che volesse, per questo si sporse in avanti e provò a baciarlo. Ma si scansò. « Stanotte non comandi tu, piccola Cassy. » Questo è tutto da vedere, Nowak. Un ghigno compiaciuto comparve sulle labbra di Cassandra, adorava le sfide, soprattutto quando aveva un degno avversario. Fu lui ad avvicinarsi nuovamente alle labbra di lei, tolse le dita dalla sua intimità e la vide storcere involontariamente lo sguardo. Le piaceva il modo in cui la toccava e non aveva intenzione di nascondergli quale effetto le facesse, si era trattenuta troppo a lungo.

Lui era già a torso nudo, Cassandra gli posò una mano sul petto per sentire il suo cuore mentre batteva, veloce, forte contro il suo palmo. Le mancò il fiato e lui se ne accorse, le sfilò anche il top e finalmente la ebbe nuda davanti a lui, bellissima. Si leccò le labbra, poi allargò le dita dietro la schiena di lei, in mezzo alle scapole per sorreggerla e si fiondò sul suo seno: prese a leccarle un capezzolo, come aveva previsto lei si spinse in avanti, inarcando il corpo come a volersi offrire completamente a lui. Sentiva la sua lingua calda sulla pelle, poi i denti morderla e si lasciò sfuggire un gemito esasperato. Si sistemò meglio sul bacino di lui, voleva sentirlo di più ed era il modo migliore che avesse per farglielo capire.
Ma lui lo sa già, piccola Cassy. Si allontanò da lei solo per bearsi ancora della bellezza del suo corpo, i capezzoli turgidi, induriti dal desiderio. E lo sguardo languido, implorante. La giovane Van Der Meer aveva davvero creduto d'esser più forte.

Stava tremando, e non per il freddo, ma per l'intensità di tutto quello che stava provando. Di solito riusciva a tenere a bada le emozioni, o meglio, non facevano parte di quei momenti: il sesso era un modo per distrarsi dalle cose che le frullavano in testa. Invece con Aron era diverso, completamente. Si piegó per leccargli le labbra, lui socchiuse gli occhi e poi la fece alzare, lei decise di divertirsi. Gli sfuggì mentre provava a riprenderla, indietreggiando tutta divertita. Quel gesto lo fece impazzire, insieme al modo in cui si tolse i pantaloni, da sola, e li fece cadere in mezzo alla stanza.
La fermó contro il muro, come se volesse davvero immobilizzarla. Cassandra inchiodó il proprio sguardo al suo, voleva sfidarlo, provocarlo nella maniera più sfacciata che conoscesse.

Indossava solo le sue mutandine di pizzo, Aron scese con una mano ad accarezzarle il ventre, poi prese a giocare con l'estremità degli slip trasparenti. « Non provare mai più a scappare da me, Van Der Meer. » La schiacciava con il proprio corpo, tanto da riuscire a sentire il petto premere contro il suo ogni volta che si alzava per inspirare.
Cassandra si avvicinò al suo ocrecchio, gli leccò un lobo, piano, poi lo sfiorò con il naso.
« Perchè, altrimenti che mi fai? »
Una risata calda esplose nel petto di Aron, che s'insinuò oltre il tessuto decorato con le dita, fino a raggiungere davvero, il centro del suo piacere. Lo sfioró piano, facendosi spazio con l'indice tra le labbra, erano calde, come se fossero già pronte ad accoglierlo. Quella sensazione gli fece perdere il controllo per qualche istante, si spinse ancora più dentro, lei lasció il capo cadere all'indietro, allargó le gambe per permettergli di toccarla meglio. Un respiro profondo le riempì il petto, poi uscì fuori contro la spalla di lui. Voleva che continuasse, ne aveva bisogno.
Eppure, si fermó. La mano che prima la stava torturando salì fino al suo volto, le accarezzó il labbro inferiore e lei decise di provocarlo, ancora.
Allungó la lingua e chiuse l'indice e il medio di lui tra le labbra, prima giocando con la punta, poi scivoló su tutta la loro lunghezza. Lo sguardo sempre fisso in quello di lui, mentre tirava indietro la testa e poi affondava nuovamente in avanti. Pensó di averlo fregato, di poter finalmente ribaltare la situazione, ma Aron sfiló le dita umide e tornó in basso, spostó il tessuto degli slip che le copriva l'intimità e con l'indice andó ad accarezzarle il clitoride, faceva dei piccoli movimenti circolari, estenuanti.
« Mmh... » Cassandra avrebbe voluto dirgli di non fermarsi, ma non vi riuscì. Potè solo assecondare i suoi movimenti con il bacino, e stringersi il seno con una mano. Lui a quel punto decise di spogliarla completamente, si spostò e s'inginocchiò davanti a lei, mentre le tirava giù gli slip costosi. Poi le alzò una gamba e se la mise sopra la spalla, finalmente poté baciarla dove desiderava, aumentava il ritmo a seconda di quanto la sentisse tesa, non voleva che venisse subito.

« Aron... » Udire il suo nome venir pronunciato da quelle labbra era meraviglioso. Cassandra stava cercando di restare in piedi con ogni forza, eppure le stava per cedere la gamba rimasta tesa. Quando fu vicina all'orgasmo si abbandonó completamente a lui, esausta, Aron la prese e la lasció sul letto, delicatamente. Quella premura duró il tempo necessario affinchè lei trovasse la voglia di spingersi nuovamente in avanti, allungare le mani verso i pantaloni di lui. Lo vide serrare la mascella, quando lo sfioró piano oltre l'elastico della tuta; bastó quello per farla riaccendere. Infiló le dita sotto i suoi boxer e si compiacque, notando che anche lui fosse al limite, glie li tiró via e lo udì mugugnare qualcosa di incomprensibile.

Si fiondó sul suo collo, le mani strette attorno ai fianchi di lei e i loro corpi caldi si spingevano a vicenda. « Non ho... »
Lo fermó prima che potesse continuare. « Non serve. » Non aspettó neppure un secondo, dopo quella rassicurazione entró in lei con una spinta forte, Cassandra si sentì piena, schiuse le labbra per dire qualcosa ma non aveva più il respiro.

Aron andó avanti per un po', poi aumentó la velocità dei movimenti e lei lo spinse, perchè le piaceva stare sopra, specialmente verso la fine. Allora lui l'accontentò, ma a modo suo. Si mise seduto e la fece mettere su di lui, le teneva i polsi fermi dietro la schiena, mentre si muoveva sul suo bacino. A Cassandra quel modo aggressivo non dispiacque, era intrigante, e incredibilmente eccitante il modo in cui volesse avere il controllo a tutti i costi. Quando fu sul punto di venire, si ritrovò nuovamente sotto di lui, era troppo presa per respingerlo, si abbandonò al volere di Aron Nowak. Solitamente quando si trovava in quelle situazioni pensava solo a se stessa, usava l'altro come un modo per star meglio, come fosse una droga, una sigaretta da consumare.

Invece si ritrovò ad abbracciarlo, a stringerlo senza rendersi conto del perché lo stesse facendo, del motivo per cui ne avesse bisogno. Lo guardava, con i capelli arruffati sopra la testa, alcune ciocche erano attaccate alla fronte dal sudore, e poi il profilo perfetto. Si sentì mancare il fiato, e quando egli alzò lo sguardo per incontrare il suo, ebbe paura. Lui sembrò capirla, forse perché preso dallo stesso terrore, allora la baciò come se potessero permettersi di piacersi sul serio. Scese con una mano sulla sua coscia, e finalmente raggiunsero insieme il culmine del piacere.

Aron si abbandonò su di lei per un istante, il corpo incastrato tra le sue gambe e il viso premuto contro il petto magrolino di Cassandra. Lei chiuse un braccio attorno alle sue spalle, poi gli accarezzò la chioma folta e non disse niente, qualsiasi parola avrebbe rovinato quel momento. Era come se fossero scappati dalla realtà per qualche ora, e l'impatto con il mondo vero li attendeva, pronto a distruggerli.

« ...Dovrei andare. » La voce le uscì sottile, come se odiasse le parole che stava pronunciando.
« Dovresti. » Devi. Mentre lo diceva, la stringeva ancora di più. Non era pronto a vedersela scivolare via dalle braccia. « Vuoi un po' di gelato, prima? » Gli venne da ridere, volse il capo per lasciarle un bacio sul petto, lei piegò le labbra in una smorfia divertita.

Ora che c'era silenzio, che l'istinto era stato soddisfatto, sentiva i pensieri tormentarla, le urlavano che presto sarebbe successo un casino, che fosse un mostro e che non riuscisse mai a fare la cosa giusta. La realtà su di lei aveva sempre un impatto più forte rispetto alle altre persone, non aveva idea del perché. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Doveva andarsene.
Ricordó di aver preso l'auto di Klaus, ed ebbe ancora più paura. Ma come diavolo le era venuto in mente? « No, sul serio, per venire qui ho usato la Jeep di Klaus, se scopre che non c'è... » Aron si spostò per permetterle di alzarsi. Era bellissima mentre cercava le proprie cose, nella sua stanza da letto. Pensò che gli piacesse averla lì, a gironzolare per casa. Peccato che non potrà mai realizzarsi, una cosa simile.
« Si, è meglio che vai. »

Non le era mai dispiaciuto lasciare nessuno, anzi, ogni volta scappava via, e pensava che sarebbe stato così anche con Aron. Si era tolta lo sfizio, no? S'infilò gli slip, poi cercò i pantaloni della tuta e il top. Per ultima s'infilò la felpa, e le scarpe comode. Aron avrebbe voluto rassicurarla, dirle che fosse tutto okay, ma non poteva, niente andava bene, avevano fatto la cosa più sbagliata che potessero. Un profondo senso di vergogna s'insinuò sotto la pelle di Cassandra, si portò una mano sulla bocca mentre cercava di dare un senso ai capelli in disordine. « Senti... » Fece per dirgli qualcosa, ma quando lo vide, ancora steso sul letto, con le coperte che gli accarezzavano dolcemente il busto, dimenticò cosa avesse pensato. Perchè tra tutti, proprio lui? « Niente, lascia stare. » Finì di sistemarsi e andò alla porta.

Aron si era infilato velocemente i boxer scuri, l'aveva raggiunta all'ingresso.
« Cass, aspetta. » Lei si fermó, incroció le braccia al petto e attese che continuasse. « Forse dovremmo parlare un secondo. »
« Per dirci cosa? » Cose già ovvie ad entrambi?
« Non lo so, cosa pensi? » Bella domanda, Nowak.
Lo guardò, riusciva a pensare solo che volesse baciarlo ancora. Poi cacciò quei pensieri dalla testa. « Non lo so, penso che abbiamo fatto una cazzata, e che mi faccio abbastanza schifo perché mi è piaciuto da morire, ed è come se mi fosse piaciuto far del male a mio fratello. » Aron non aveva mai pensato a quanto potessero essere contorti i pensieri di Cassandra, e invece eccole lì, un mucchio di sensazioni contrastanti, tra rabbia, disagio e inadeguatezza.
Temette che quella situazione potesse schiacciarla.

« Anche io sono stato bene, e sinceramente se non fossi dovuta tornare a casa ti avrei chiesto di restare... »
Lei scosse il capo. Lo fermò prima che potesse dire altro. « Questa cosa non si può fare, non si potrà mai fare, Aron. » Aveva ragione.
Lui non poteva contraddirla, si erano spinti troppo oltre. Solo non era certo sarebbe stato capace di fermarsi. « Quindi cosa facciamo? »
Si mise davanti a lei, il viso troppo vicino al suo.
La destabilizzò. « Facciamo finta che non sia successo nulla. »
« Nulla? » Chinó il capo da un lato, mentre lentamente azzerava le distanze tra loro.
« ...Nulla. » Lo mormoró piano, battè le palpebre e poi si ritrovó ancora con le labbra incastrate a quelle di Aron. Gli cinse il collo con le braccia e si lasció trasportare contro la porta, la teneva in alto e la stingeva dai glutei, mentre cedevano nuovamente ai loro desideri sbagliati. Deboli più che mai.

Le morse il collo. « Non ci riusciró mai. »
« Quando torneró a Londra sarà facile. » Lei gemette piano.
« Giusto. » Riuscì solo a pensare a quanto gli sarebbe mancata. La lasciò a terra. « Dai, torna da tuo fratello. » Dal suo migliore amico. Il tono di voce era estremamente triste, ma non pentito.

Lei alzò le spalle. « Mi dispiace... »
« Non è colpa tua, è una cosa impossibile. » Che senso aveva fare la cosa giusta, adesso?
« Lo sapevamo. » Si sentì una stupida, adesso aveva più paura di prima.
« Si, lo sapevamo. » Ma è difficile lo stesso.

Quella notte non dormì nessuno dei due, Aron restò ad osservare il panorama fuori dalla finestra, l'unica cosa a cui riusciva a pensare, era che sarebbe stato magnifico se Cassandra fosse rimasta, avrebbero mangiato il loro stupido gelato e si sarebbero messi a ridere per qualcosa che aveva detto Polly. E poi, avrebbero fatto ancora l'amore. Fu tentato di scriverle un messaggio, si raccontò fosse per assicurarsi che stesse bene, in realtà era solo lui che non riusciva a staccarsi da lei. Lasciò perdere, alimentare quella cosa gli avrebbe portato solamente guai.
Era la sorella del suo migliore amico, e gli piaceva da morire. Gli piaceva in un modo in cui non aveva mai pensato potesse nessuno.
Doveva scordarsela ad ogni costo.

Tornò il salotto, lo sguardo gli cadde sulla scrivania, perfettamente in ordine. Una pila di documenti occupava l'estremità a destra. Lesse la prima parola: Poland.
Forse sapeva come fare.

💎💎💎
E niente, ecco a voi il capitolo tanto atteso
Ho sofferto molto scrivendolo
Lasciatemi i vostri pareri, come pensate che si comporteranno in futuro?
Riusciranno ad evitarsi?
E cosa è appena venuto in mente ad Aron?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top