CAPITOLO 19
If I told you about
the darkness inside of me
would you still look at me
like i'm the sun?
Cassandra aveva passato la giornata, come al solito, al maneggio. Dopo il casino con Aron non aveva più osato bussare all'ufficio di Polly se non quando assolutamente necessario.
Era impazzita quando l'aveva visto con Irina, e non perchè odiasse lei o lui, o le desse davvero fastidio qualcuno facesse sesso in quell'ufficio che non era neanche suo. Era gelosa, gelosa di lui come se fosse qualcosa che le appartenesse, e invece di suo c'era solamente l'angoscia, il tormento, il modo in cui le scombussolava il petto ogni volta che le si avvicinava troppo.
Doveva toglierselo dalla testa, ci aveva provato dal primo istante in cui aveva capito per lei non vi fosse speranza, ma non riusciva, era come se fosse una parte di lei.
Aveva cenato con un'insalata: a furia di ordinare cibo d'asporto, sul viso le stavano venendo fuori dei brufoli che odiava. Aveva chiesto alla cuoca di prepararle qualcosa di leggero, che sapesse di salutare, peró la saziasse. Dopo, aveva pensato alle parole di Polina, quando le aveva chiesto se secondo lei fosse capace di fare un te, e le aveva risposto di sì, che non ci volesse nulla.
Era tardi, Cass era abbastanza certa che stessero tutti dormendo, l'unica cosa che non sapeva era se fosse rimasta a dormire Lidia, anche quella notte. Le piacque come cosa, significava che non avvertiva troppo la sua presenza, forse sarebbe potuta venire a vivere con loro.
Forse.
Si alzó dal divano dove amava cenare, davanti al caminetto acceso nel salottino di lei e del fratello. Indossava una delle tute che usava per allenarsi, da sopra una maglietta a maniche corte, coperta da una felpa nera che le stava sicuramente troppo grande. L'aveva fregata a qualche ragazzo, non ricordava neppure a chi, di preciso.
Se la sistemò meglio sulle spalle, e camminò, affondando i piedi nudi nel tappeto persiano. Cercò di non fare rumore, mentre si avviava verso la cucina. Forse, se fosse stato sveglio, avrebbe chiamato anche suo fratello, solo per offrirgli qualcosa fatto da lei; le stavano cominciando a piacere le loro chiacchierate notturne.
Arrivó fino al corridoio, oltre la porta. Il legno del parquet si piegó sotto i suoi passi, lenti. Quando giunse alle scale, sentì qualcosa. Si nascose, pensando di aver svegliato qualcuno a cui non volesse dare spiegazioni. E invece, mentre se ne stava con la schiena premuta contro il muro in una rientranza dove anni prima c'era un tavolino antico, vide passare Aron e suo fratello.
Che stavano tramando? Controlló l'ora sul cellulare, erano le undici passate.
Aggrottó lo sguardo, non erano affari suoi. Eppure, la tentazione era così forte che non riuscì a resistere, raccontó a se stessa che stesse andando in camera, a recuperare dei calzini da indossare perchè il marmo era troppo freddo.
Invece sperava di captare qualcosa delle loro conversazioni.
Andarono nel salottino dove prima c'era lei: Klaus si lamentó della ciotola sporca e delle posate che lei aveva lasciato lì, dopo aver cenato.
Invece Aron rise, Cassandra non lo sapeva, ma lui riusciva ad immaginarsela benissimo, mentre se ne stava seduta sul divano, a cercare qualcosa da guardare e intanto sgranocchiava la sua insalata.
« Le ho detto mille volte di non mangiare qui, è testarda da morire. »
« In caso contrario, non sarebbe tua sorella. »
Ormai lei era ferma, dietro la porta ad ascoltarli. Non si sarebbe mossa finché non avesse capito che diavolo stessero tramando.
Magari non tramano niente, è solo che ti piace ascoltare la voce di Nowak mentre parla di te.
Si chinó per stare più comoda. Klaus ricominció a parlare. « Senti, di questa cosa non sa niente nessuno, ho chiesto a te di occupartene perchè sei la persona di cui mi fido di più. » Sentì uno strano rumore, qualcosa che veniva poggiato sul tavolo.
Si sporse per guardare, senza farsi vedere.
Una pistola. Le tremarono le mani, si nascose subito, come se avesse paura di quell'oggetto.
Ma dai, non è la prima volta che ne vedi una, Cassy. Non era quella a terrorizzarla, ma la consapevolezza che dovessero fare qualcosa di rischioso, dopo che Klaus fosse quasi morto ammazzato.
« Ovviamente poi il locale e tutto quello che c'è dentro te lo prendi tu.
Ci fai quello che vuoi. » Se gli concedeva una cosa del genere, così grossa, significava che il rischio era altissimo. Le si aggroviglió lo stomaco.
« Se con lui ci sono altri, c'è la possibilità che ci sia più di una vittima. Sarà un bel casino da coprire. » Il tono di voce era sicuro, calmo come se stesse parlando di una sciocchezza.
« A quello ci penso io, tu devi solo liberarti di loro. »
« Consideralo già fatto. » No, no, no.
Si strinsero la mano, un gesto estremamente solenne. Poi Aron prese la pistola e se la nascose incastrandola tra i jeans, sotto il maglione.
Cassandra trasalì, tutto quello le ricordò di suo padre, del modo atroce in cui fosse morto e di come la sua mente cercasse ancora di dimenticare, senza riuscirci, l'odore del sangue, la disperazione della gente, il dolore di Klaus che non sapeva cosa fare.
« Grazie, sapevo di poter contare su di te. »
« Potrai sempre contare su di me, Klaus. »
Un brivido le chiuse la gola e le fece tremare le mani. « Allora domani notte, è deciso. »
« Si, così puoi andare subito a conoscere i tuoi suoceri. » Una risatina divertita vibró nel petto di Aron, e incuriosì la giovane. In che senso i suoceri?
« Mi ha detto che conosceró sua sorella. »
« Figurati se non ci sono anche i suoi, queste cose funzionano così. Non te ne accorgi, e in un attimo sei fregato. »
« Ho fatto cose più pericolose. »
« Gli farai conoscere anche Cassandra? »
« Ma sei pazzo. »
« Addirittura? »
« Ho sempre paura di come possa reagire alle cose, non lo so, mi sembra sempre così
fragile... »
« Non possiamo controllare gli altri e come ci fanno sentire. »
In realtà quello che Klaus temeva più di ogni altra cosa, era quanto potesse star male vedendo sua sorella soffrire, erano una cosa sola, si dividevano il peso della vita come meglio potevano. Cassandra facendosi schiacciare, Klaus provando a toglierle qualsiasi cosa rischiasse di distruggerla, caricandosela sulle spalle.
« ...Possiamo controllare cosa facciamo... »
Klaus continuó la frase.
« ...Ma non cosa vogliamo. »
La bionda li sentì ridacchiare, si chiese perché; non poteva sapere quella fosse una frase usata spesso tra di loro, la ripeteva suo padre in continuazione come una specie di monito, qualcosa di fondamentale da ricordare. Ovviamente solo a loro, Cassandra era troppo piccola -e soprattutto troppo femmina- per essere degna di tutte quelle attenzioni, non doveva essere addestrata ad essere il suo successore.
Intanto lei se ne restava lì, seduta a terra con le gambe piegate contro il petto, lo sguardo perso e l'espressione quasi sognante, come se stesse partecipando alla conversazione della Volpe e del Lupo.
« Senti, ma con Irina? »
« Cosa? »
« Eh, l'hai portata alla serata dell'altro giorno, è una cosa seria? »
A Cassandra si geló il sangue nelle vene, ricordó cosa l'altra le avesse detto in bagno, la litigata con Klaus e le bugie. Si morse una guancia, sentì Aron trattenere una risata. « Ma che seria, era così, per fare una cosa diversa. »
« Secondo me hai solo paura di impegnarti. »
« Non lo so, con lei mi ci trovo bene, quando scherziamo o parliamo ci capiamo subito, mi fido e poi... scopiamo che è una meraviglia. » Lo disse con una tale convinzione che Cassandra s'irrigidì sul posto, si chiese come fosse essere toccata da lui, che sapore avessero le sue labbra. Chiuse gli occhi e avvampó, aprì la bocca per prendere fiato. Non era giusto che le facesse quell'effetto, che pensasse certe cose.
« ...Ma? »
« Ma niente, è l'unica con cui abbia avuto rapporti che vadano oltre il sesso, deve essere per forza lei quella giusta. »
« Capirlo è facile. »
« Ora sei esperto? »
« Un pochino. »
« E come si capisce, sentiamo. » Non era serio, lo disse con lo stesso tono che usava mentre parlava dei tarocchi di sua madre.
« Quella giusta ti manca quando non c'è, è così che capisci che vuoi stare con qualcuno: non puoi farne a meno, è una cosa strana da spiegare. »
La giovane si sporse per origliare meglio, le si chiuse lo stomaco. A chi hai pensato, piccola Cassy? « Non lo so, ti è mai successo di trovarti da qualche parte, e pensare a cosa avrebbe fatto lei, o detto lei, o semplicemente... che avresti voluto fosse presente? » Oh, si. Ma non posso dirti a chi penso quando queste idee mi viaggiano per la mente.
Ci fu un momento di silenzio, Cass sapeva suo fratello fosse saggio, ma non così tanto. Pensava l'amore non fosse cosa da lui, e invece, eccolo lì a fare il grande romantico. Speró che non gli dicesse di sì. Sapeva che non avrebbe mai potuto pensare a lei, ma quella notte, non voleva che ammettesse d'esser perso per un'altra.
Si schiarì la voce, come se dovesse riprendere fiato. « Quella giusta è quella che ti fa stare bene, Klaus. » Non aveva il coraggio di dirgli di sì, di mentire. Lui non poteva sapere che dall'altro lato della stanza vi fosse Cassandra, e che mentre lui pronunciava quelle parole, lei stava sospirando, sollevata.
« Non mi hai risposto, eviti la domanda? »
Gli aveva appena affidato il lavoro più importante e delicato che avesse, non poteva permettersi di non essere chiaro, di cercare di sfuggire alle sue richieste. « Ti ho messo in difficoltà? »
« No, figurati. »
« Perchè non hai detto di no? »
« Non ho neppure detto sì. »
Klaus rise, risolvere gli enigmi che tormentavano le persone era divertente, il suo gioco preferito. Non capiva fosse una tortura, o forse si, forse era quella la parte che gli piaceva di più. « Allora è un no per Irina. » Silenzio. « Ma c'è un'altra, vero? »
Ancora silenzio, le parve di respirare a ritmo di quella conversazione. A Klaus non sfuggiva niente, e lei si sentiva un verme.
« C'è un'altra! » Lo incalzó ancora una volta.
« Irina serve per non pensare a lei, ho
capito! »
In tutta quella conversazione, Aron era rimasto zitto, Cassandra non sapeva neppure se avesse annuito o Klaus gli avesse semplicemente letto lo sguardo. Era assurdo che ancora non fosse arrivato a capire chi fosse l'altra, sua sorella. Forse era così assurdo, così inconcepibile che non gli era passato proprio per la testa; il suo cervello aveva pensato la scenata dell'altra sera gli fosse bastata. « Non sono cose importanti, queste. »
Lui alzó le spalle. « Perchè non ci provi? »
« Io non sono come te, Klaus, io non sono per queste cose, sono troppo complesse. » Se solo tu sapessi quanto. Una risata amara gli solleticó le labbra, lei teneva il mento poggiato sulle ginocchia, sarebbe rimasta lì all'infinito solo per sentirlo parlare.
« Sono più semplici di quanto credi. »
« Si, intanto pensiamo al lavoro. »
Klaus annuì, curioso di capire cosa avesse da dirgli. « Come pensavi di fare? »
« Di farmi trovare lì quando non c'è nessuno, una cosa abbastanza veloce, senza farmi riconoscere. » In realtà Aron voleva solo smettere di parlare di Irina.
« Perfetto. Ti serve qualcosa? »
« No, niente, te l'ho detto, consideralo fatto. »
A quel punto Cass decise che fosse giunto il momento di andare a letto, o prendere davvero quel maledetto te che non sapeva farsi da sola. Si alzó, silenziosamente come si era seduta e si allontanó, ripensando alla scenata al maneggio si sentì quasi in torto. Le dispiaceva per Irina, costretta a restare attaccata ad un uomo che le voleva bene, ma amava un'altra che comunque non avrebbe mai potuto avere.
Scese giù in cucina, non aveva neppure idea di dove si tenessero delle foglie di te, così cercó il cellulare nella tasca della felpa per trovare su internet la risposta, ma non era lì.
Roteó lo sguardo, scocciata. Forse le era caduto a terra mentre origliava la conversazione di Aron e Klaus. Che palle. Pensó che le servisse troppo, per poterlo lasciare lì. Quindi risalì le scale velocemente e lo vide subito, steso a terra, proprio davanti alla porta del salottino. Cercó di fare il solito silenzio, anche quando si chinó per raccoglierlo. Lo tiró su e pensó che fosse stata fortunata, a non incontrarli mentre se la svignava.
« Cassandra? » La voce già infastidita di Klaus le fece tremare la schiena. Era davanti all'arco che dava sulle scale, per fortuna non l'aveva vista mentre si allontanava dalla stanza dove avevano chiacchierato fino a quel momento.
Si giró subito. « Klaus? »
« Ciao Cass. » Aron la salutó da dietro, si finse indifferente, ma lo sguardo gli era già caduto più volte sulla vita bassa dei pantaloni di lei, e sul collo scoperto. Cosa avrebbe dato per poterlo baciare. Lei gli rispose con un cenno del capo.
« Che fai sveglia? »
« Non riuscivo a dormire, volevo farmi un te, tipo quelli che fa Polina, così, mi era venuta voglia.
Lo vuoi anche tu? »
Alzó le spalle, quasi contento di quella proposta. « Se concilia il sonno... Aron, resti con noi? »
Avrebbe dovuto dire di no, lo sapevano entrambi che se ne sarebbe dovuto scappare via, che se non ci fosse stata lei non sarebbe mai rimasto. Tentennó un attimo, la guardó e non riuscì a lasciarla. « Si, dai. Facciamo un brindisi in onore di Polly. » Cassandra fu scossa da un'ondata d'ansia, ma era comunque contenta, sarebbe stata una bugiarda se non lo avesse ammesso. Gli sorrise, fu una cosa involontaria e infatti si corresse subito, spostando lo sguardo sul fratello.
Non sembrava aver capito nulla.
Bene.
Cass si aggrappó al braccio di suo fratello mentre scendevano le scale, lo abbracció forte come a volergli chiedere scusa. Scusa per rubargli davanti agli occhi quegli attimi con Aron, perchè dovevano starsi alla larga, ma quei momenti li bramavano come l'aria per respirare. « Sei sicura di sapere come si
faccia? » Piegó il capo per lasciarle un bacio sulla fronte.
« No, ma Polly ha detto che posso riuscirci, quindi voglio provarci, così mi insegna a fare quelle cose che fa lei... »
Aron intervenne, sgranó gli occhi e cercó lo sguardo di Cassandra. « No, ti prego, mi mettono ansia. »
Lei gli rispose subito, super pronta a difendere quella donna così affascinante. « Ma dai, basta non prenderle troppo sul serio. »
Klaus saltó sull'ultimo gradino di marmo.
« E tu ci riesci? »
Tacquero tutti. La verità era che nessuno sapeva come diavolo fosse possibile, ma ogni volta che Polly prediceva qualcosa, si avverava sempre. Aron era convinto fosse perchè era una vecchia saggia, le carte c'entravano poco: vedeva sempre cose che gli altri non capivano, ignoravano, consideravano insignificanti.
Alla fine aveva sempre ragione.
Quando arrivarono in cucina, lei inizió ad aprire una serie di cassetti e mensole. Non sapeva bene neppure cosa stesse cercando. « Dove le teniamo le cose? »
Aron si poggió contro il bancone di marmo, divertito.
« Non ci credo, non hai mai cucinato? »
« No, non in questa casa. »
Dove hai cucinato, piccola Cassy? E per chì? A Londra le era capitato di doversi preparare qualcosa da sola, ma andava quasi sempre alla mensa del college.
« E in quale casa? » Klaus, geloso come al solito, intervenne.
« A Londra, ma riscaldavo cose già pronte, non era proprio cucinare. »
Aron restó fermo, scosse il capo e la osservó mentre tirava fuori da un angolo un bollitore. « Male, Cassandra, molto male. » Si grattó il naso, un gesto automatico, dettato dal nervosismo.
« E perchè? »
« Gli uomini si conquistano prendendoli per la gola. » Non l'ha detto davvero. Se non ci fosse stato Klaus, se solo lui non si fosse trovato in quella stanza con loro, lei si sarebbe girata, l'avrebbe raggiunto e poi gli avrebbe detto qualcosa di provocante, tipo che ci fosse sempre l'eccezione a confermare la regola.
Restó in silenzio, provó a incrociare il suo sguardo. Non si trattenne. « Io li prendo per la gola, nell'altro senso, peró. » Fece cadere una tazza, per fortuna l'afferró in tempo. « Vedessi, rimangono proprio senza fiato. » Chiuse un mobiletto con un calcio, pareva stesse cucinando la cosa più complessa del mondo. Lui si leccó le labbra, i modi che usava per rispondergli lo mandavano in estasi.
Klaus s'ingelosì ancora, odiava tutta quella intesa tra di loro. « Mia sorella non deve conquistare nessuno. » Il tono di voce era serio, severo, quasi, come stesse dando uno dei suoi ordini. Gli altri due scattarono sull'attenti.
Cass s'innervosì subito, la maggior parte delle volte non sapeva neppure il perchè dei suoi cambiamenti d'umore, questa peró fu diversa. « Klaus mi aiuti? Non capisco se il bollitore è acceso. »
« Si, ci penso io. » Gli piacque da matti poterla aiutare, gli faceva credere che in qualche modo fosse ancora la sua piccola sorellina che avesse bisogno d'aiuto. Si mise accanto a lei, davanti al bollitore pieno, forse troppo per tre persone.
« È acceso, devi solo aspettare un po'. » Posò una mano sul bancone di marmo. « Prendi le foglie, sono a destra, nel terzo cassetto in basso. »
Quanto gli piaceva dare ordini. Aron si avvicinò solo per porgergli e mettergli vicino le tre tazze che Cassandra aveva preso prima. « Tieni. »
« Grazie. »
Alla fine, come era prevedibile, fece tutto Klaus. Cassandra si limitò a passargli le foglie, ad appoggiarsi come al solito al fratello. Quello era uno dei motivi per cui credeva d'essere incapace, non faceva mai niente. Klaus era in buona fede, ma sbagliava. Era un modo di proteggerla decisamente eccessivo, ossessivo.
Si mise a sedere sullo sgabello davanti al bancone, i gomiti puntati sul marmo liscio e freddo. La bevanda le venne servita per prima, in una tazza di porcellana antica, sotto un piattino per non rovinare il tavolo. Si avvicinò la tazza, poi le venne in mente una cosa. « Voi lo conoscete Jasper Draper? »
« Si, da piccoli eravamo amici, poi ha deciso di farsi i cazzi suoi. » Klaus rispose subito.
Lei sospirò. « Beato lui. »
Il fratello la fulminò con lo sguardo, anche se lo sapeva pure lui, avesse ragione. « Ma perché? »
« Sua sorella piccola viene al maneggio, le ho fatto una lezione, la prima. Mi è sembrato molto gentile. »
Aron cambiò discorso. « Ma quindi ora sei tu che insegni? »
« Non lo so, non so se ho il tempo di farlo, però mi piace molto. »
Klaus invece ormai doveva saziare i demoni della gelosia che custodiva nel petto. « Ma che ti ha detto Draper? »
« Niente, che i suoi genitori sono morti, che ci pensa lui a sua sorella e vuole portarsela via prima che diventi come sua zia. »
« Che idiota. »
« Non è vero, è molto dolce, vuole prendersi cura di sua sorella, come hai fatto tu con me. »
Lui prese la propria tazza e cercò dello zucchero da metterci dentro. « Io non avevo alternative, non esisteva una zia che potesse badare ad entrambi, la sua è una scelta. » In quell'istante, Cassandra capì quanto dovesse essere stato orribile per Klaus non poter scegliere, doversi prendere delle responsabilità che non poteva rinnegare. Anche lui aveva perso qualcosa.
« Giusto, hai ragione. »
Le tiró una leggera gomitata.
« Come sempre. »
Lei gli sorrise, prese un sorso del suo te e poi restò in silenzio. A parlare fu Aron, stava scaldandosi le mani premendole a coppa contro la tazza calda. « Mah, avrei da ridire. » Era freddoloso. Aveva lo sguardo di chi la sapeva lunga. « Non puoi svelare i miei segreti. » Si finse minaccioso, risero tutti e tre assieme. Sembravano davvero un bel gruppo di amici, felici e ignari, che proprio in quel momento, Lidia stesse andando a parlare con Aphrodite, in un territorio che non poteva essere assolutamente calpestato dai Van Der Meer.
E che c'era il rischio scoppiasse una guerra, solo per quella sua mossa sbagliatissima, dettata dal profondo desiderio di ritrovare una sorella che aveva perso tanti anni prima.
Nessuno sapeva assolutamente niente, e si godevano quei momenti piacevoli, anche se tormentati dalla voglia di stare insieme Aron e Cass, dalla gelosia di Klaus. « Forse mi mancherete un po' quando andrò a Londra. »
La guardarono inteneriti, Klaus pensò che lì sarebbe stata molto più al sicuro, e che se davvero avesse continuato a comportarsi in quel modo impeccabile, avrebbe potuto presentarla anche alla sorella di Lidia, all'unica di cui gli aveva parlato.
« Allora laureati subito, così torni prima. »
« Non vedo l'ora, così organizzo una mega
festa. » E non solo una. Lui scosse il capo, ma tacque per non infrangere i suoi sogni.
Stava per finire il suo te, quando una chiamata gli fece squillare il telefono. Chi poteva essere a quell'ora di notte? Lo tiró fuori dalla tasca e fissò lo sguardo sullo schermo. Lidia?
« Lidia? Tutto bene? »
« Buonasera, Van Der Meer. »
Sbiancò, cercò subito lo sguardo di Aron, aveva bisogno di lui, che si attivasse prima di quanto stabilito. « Fabrizio De Vito. Che ci fai con il suo
telefono? »
De vito? « Oh, io non ho solamente il suo telefono, ho lei, e anche sua sorella. »
« Cosa vuoi per lasciarle andare? » Cassandra si domandò perché parlasse al plurale, poi pensò non fosse importante. Schiuse la bocca e si allontanò da Klaus, come se temette potesse scoppiare da un istante all'altro.
Cass non seppe mai cosa si dissero, comunque appena chiuse la chiamata, Klaus corse a prendere la pistola che teneva nella propria stanza da letto. « Aron, che succede? Non era domani notte che dovevate andare? » Glie lo domandò mentre Klaus era via, il Lupo di chiese come diavolo potesse saperlo. « E tu che ne sai? Comunque è saltato tutto, dobbiamo farlo stasera, e secondo me ci fanno un culo che non ce lo scordiamo più. » Con Lidia in ostaggio avevano perso ogni vantaggio, che avessero già anticipato i loro piani? Oppure Lidia era una spia. Forse Draper era una spia. Cassandra si sentì una scema, a fare congetture su chiunque, a pensare male di tutti.
« Ho origliato, ma loro lo sanno che andate adesso, se lo aspettano, vi ammazzano tutti e due! »
« Dobbiamo sperare che tuo fratello si sia inventato qualcosa di geniale, anche se con Lidia in ostaggio... dubito riesca a ragionare. »
Perchè avevano preso lei, e non Cassandra? Con la giovane sarebbero andati a colpo sicuro, voleva dire che non era nei loro piani, che fosse successo qualcosa che nessuno di loro immaginava.
Klaus era troppo fuori di sé per pensare che Lidia gli avesse confessato non di non avere sorelle a New York, era tutto troppo assurdo. Lo vide correre verso l'uscita con le chiavi della macchina in mano, appese alle dita. « Se non torniamo tra tre ore, avvisa gli altri. » E poi? Cassandra sgranò gli occhi, non stava succedendo davvero.
Li seguì fino all'ingresso principale, poi sparirono oltre la porta e per lei potevano essere già morti. Cadde sulle ginocchia e si portò due mani sul viso. Come doveva fare per avvertire gli altri? E poi chi diavolo erano? Conosceva solamente Dominic, forse sarebbe bastato lui.
Tornò in cucina, le tazze di te erano ancora sistemate sul tavolo, come se aspettassero di essere riprese. Erano i resti di un momento troppo spensierato, quasi magico, per quanto fosse raro. Cercò il telefono nella tasca della felpa, ma non c'era, evidentemente era sul bancone. E infatti, lo prese e si mise una sveglia che doveva avvisarla quando fossero passate due ore e mezza.
Il tempo non passava più.
Forse avrebbe dovuto avvisare Polly, lei avrebbe saputo cosa fare. Sospirò, forse voleva semplicemente non sentirsi così sola, e vuota. Senza Klaus la sua vita era un inferno.
Restò nel silenzio, ad attendere che qualcosa accadesse. Era straziante non poter fare nulla, tutta quella pressione le schiacciava i nervi e le faceva desiderare di non essersi mai ripresa.
A quell'ora sarebbe stata troppo stordita per capire certe cose, per essere preoccupata.
Passò un'ora, ancora niente.
Cassandra decise di trovare qualcosa per passare il tempo, allora andò in salotto, sempre portandosi dietro il cellulare, e cercò tra i libri da leggere, L'Iliade conquistò la sua attenzione. Sembrava un'edizione davvero vecchia, usata, sfogliata tanto.
La prese tra le mani e si mise a sedere sul divanetto. Quando provò ad aprirla cadde a terra un foglietto bianco, sembrava una pagina di un quaderno, strappata. La raccolse, pensava fosse semplicemente un pezzo del vecchio tomo che si era staccato, e invece quando l'aprì trovò un'altra cosa: una lettera, o una specie.
Lesse prima una sorta di titolo, "La Maledizione di Cassandra", le venne da ridere, pensando si trattasse di una coincidenza che fosse proprio il suo nome. Poi c'era una specie di storia, parlava di una Cassandra che aveva poteri divinatori, diceva la verità ma nessuno la credeva, meno di tutti la sua famiglia, e allora così scoppiava una guerra, o era già scoppiata ma quelli dalla sua parte la persero, perché non l'avevano ascoltata.
Pensò fosse una cosa molto triste, però le piaceva che il suo nome fosse accostato ad un mito simile, quello dell'Iliade. Chissà chi aveva scritto quelle cose, poi aprì davvero la prima pagina.
Quello che vi lesse la lasciò senza parole.
Lilith Janssen, era il nome di sua madre, quella era la sua firma. Era sparsa ovunque, anche nelle ultime pagine. L'unico nome che si alternava al suo, era quello di Cassandra, c'era proprio fissata.
La giovane non s'era mai commossa pensando a sua madre, era solo piena di rabbia ma perché non l'aveva mai conosciuta; eppure, leggendo quel bigliettino scarabocchiato, quegli appunti veloci di una Lilith più giovane, si sentì di appartenere a qualcuno.
Gli occhi le bruciarono, una lacrima le graffiò una guancia. Avrebbe voluto tanto conoscerla, e invece doveva accontentarsi di quelle cose, dei ricordi degli altri. Si chiese come fosse mentre scriveva quelle parole, se avesse mai pensato che sarebbero state l'unica cosa rimasta di lei a sua figlia, Cassandra.
Decise di nascondere quegli oggetti come li aveva trovati, certa che così nessuno sarebbe stato incuriosito, che sarebbero rimasti lì per altri anni.
Poi si asciugò le lacrime con il dorso della mano e tornò al suo telefono, ancora non si sapeva nulla di Aron e Klaus. Erano passate più di due ore.
Era pronta ad avvisare tutti, ad andare dove diavolo fossero diretti anche lei, piuttosto.
E invece, la porta si aprì con il solito rumore odioso e pesante. Squarciò il silenzio, sperò di non sentire urla. Corse sulle scale, c'erano tre persone. Klaus, Lidia, una donna.
E Aron? Si precipitò giù.
« Klaus! » Corse da lui, puzzava ancora di morte e sangue ma non le interessava. « Stai bene? State bene? » Voleva sapere se ci fosse bisogno di chiamare qualcuno per medicare delle ferite, un'ambulanza, l'ospedale.
Lui si limitò a scuotere la testa. « No, no. Chiama Greta, dille di preparare due stanze. »
E perché due? Lidia non dormiva con lui?
Guardò l'altra donna, era magrissima, alta e sembrava messa peggio di tutti. Si guardava intorno come se non avesse mai visto una casa. Indossava delle calze a rete e dei tacchi, una giacca di pelle nera, rovinata e poi la cosa più strana, portava una parrucca.
Una parrucca viola, a caschetto con la frangetta.
💎💎💎
E Aron?
E la sorella di Lidia?
Per chi è l'altra stanza?
E Polly che dirà?
Lo scopriremo nella prossima puntata 😏
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