CAPITOLO 17


I've never craved
Attention, until I
tasted yours

Klaus e Lidia erano tornati a casa insieme, questa volta peró Cassandra non era ubriaca, e sentiva tutto. « Klaus, ma che ti è preso? Ha solo fatto un complimento a tua sorella! » Le scuse che le aveva fatto prima, evidentemente erano solo un modo per non fare scenate davanti a tutti, per convincersi che fosse tutto okay.

Non era niente okay, non riusciva a togliersi la faccia di Aron dalla testa mentre guardava sua sorella.
« Una magnifica donna? » Urlava, lei lo sentiva dall'altra parte del corridoio, e piangeva. « Che cazzo significa, che la vede come una donna? Una donna che potrebbe... non lo so, una che gli piace, e poi... » Ci fu un frastuono troppo forte per non essere voluto. Klaus aveva preso tutto quello che c'era sulla scrivania e l'aveva buttato a terra. « Hai visto come cazzo la guardava? Io lo ammazzo! » Urló ancora più forte, Cassandra tremó. Per la prima volta in tutta la vita, ebbe paura di suo fratello.

« Klaus, tua sorella è una donna, non è che Aron la vede così, ha ventidue anni, lo capisci? » Lidia provava a farlo ragionare, era inutile.
« Se si fosse trattato di un coglione qualsiasi non me ne sarebbe fregato niente. » Certo, l'avrebbe ammazzato di botte prima che potesse chiederle di uscire. « Ma Aron, Aron è mio fratello, lo sa che queste cose mi danno fastidio, perchè l'ha fatto? »
Ottima domanda. Cassandra sentiva il cuore esploderle nel petto, stava morendo d'ansia. « Non lo so, non ci avrà pensato, tutti
sbagliano. » Uscì dalla sua stanza e vide che non avevano chiuso completamente la porta, c'era uno spiraglio aperto.
« No, non con me. » Cassandra sbirció, lui si era piegato per prendere la giacca dal letto, Lidia si era fiondata su di lui per fermarlo.
« Ma dove vai? »
Era impossibile farlo desistere quando si metteva qualcosa in testa. « A chiedergli spiegazioni. »
Si sistemó nervosamente il colletto della camicia, era ancora vestito di tutto punto.

Non era assolutamente il caso che Aron e lui si confrontassero, suo fratello era troppo arrabbiato, voleva litigare, il suo scopo era ben diverso dal cercare una soluzione. Voleva dargli una lezione.

Cassandra comprese che dovesse mettersi in mezzo, a costo di prendersi un ceffone, una qualsiasi punizione. Spalancó la porta, aveva ancora il vestito lungo ma cadeva a terra, sotto i piedi scalzi e sopra era coperta da un maglione lungo e caldo. « Klaus, ma che cazzo stai facendo? »
« È inutile che lo difendi, so quello che ho
visto. »
« No, non sai un cazzo invece, per una volta che una persona mi guarda con ammirazione fai 'sto casino. » Si avvicinó a lui, lo immobilizzó con lo sguardo, era furiosa. Le aveva rovinato una serata che doveva essere stupenda. « Non pensa che io sia una donna perchè sono bella, o vuole provarci con me, mi stima perchè ho fatto un buon lavoro, e tu, tu hai rovinato tutto con la tua gelosia di merda, te ne rendi conto? » Gli si fermó davanti, così vicino che riusciva a sentire il peso della sua rabbia addosso. Avevano gli stessi occhi, lo stesso sguardo, lo stesso dolore. « Era la mia serata, per una volta che sono stata brava, dai di matto. » Gli occhi le si riempirono di lacrime, lo stava odiando. In realtà quella serata era partita giá male, ma questo non poteva certo dirglielo. Non poteva dirgli che fosse gelosa di Irina, della conversazione che aveva avuto con lei in bagno, del modo in cui lei e Aron fossero inspiegabilmente legati, attratti costantemente l'uno all'altra. Abbassó lo sguardo, una lacrima scivoló giù, bagnó la mano di Klaus con cui reggeva i guanti. « Ma poi cazzo, dovevi vedere cosa ha fatto mentre non c'eri, ti è stato incollato tutto il tempo, come puoi... » Tiró su con il naso, non riusciva a finire un discorso. Non stava piangendo solo per i motivi che aveva appena spiegato, ma Klaus non lo poteva sapere. Lidia li osservava da lontano, Cassandra si chiese se non avesse capito, lei e quella sua laurea in psicologia, che diamine fosse successo. Comunque anche la mora ringrazió il cielo quando il suo compagno decise di abbandonare il piano che le aveva poco prima descritto, e allargare le braccia per avvolgere il corpicino magro di Cassandra.
« Scusa, ti prego perdonami, ti prego. »

Chissà cosa avrebbe fatto, se avesse scoperto che anche Cassandra gli avesse raccontato una verità a metà, che gli stessero mentendo sua sorella, e il suo migliore amico. Affondó il viso nei capelli biondi di lei, chiuse le dita nel tessuto del maglione largo. « Io voglio solo che tu sia sereno, mi sono ammazzata per mettere tutto in ordine prima che ti svegliassi, così non saresti stato... sommerso dal lavoro. » Tossì, la voce era rotta dalla disperazione. Piangeva per tutto, si sentiva un mostro. « Non voglio che tu ti agiti così. »
Lidia non si sentiva piú, Cassandra si sporse oltre la figura del fratello per controllare che fosse ancora nella stanza. E infatti, era seduta sul letto, le mani posate sul grembo e le gambe stese in avanti, sotto le coperte perchè aveva freddo.

« Andiamo a letto, Lidia sta morendo di sonno, già ha dovuto sopportare una serata infinita, evitiamole altre lagne. » Cercó di buttarla sul ridere, le labbra della mora si piegarono in un sorriso stanco, non poteva darle torto. Era contenta che Cassandra fosse intervenuta, anche se pure lei aveva i suoi dubbi. Avrebbe voluto parlarci da sola, domandarle cosa ne pensasse davvero, dell'atteggiamento di Aron, e in che rapporti fossero. Eppure era certa che non avrebbe mai detto la verità a nessuno, perchè era una cosa loro, che proteggeva senza volerlo.

« Sono orgoglioso di te, hai organizzato una serata fantastica, e sono stati raccolti tantissimi fondi. » Lidia potè giurare di aver visto un briciolo di commozione anche nei suoi occhi. Era un rapporto malato, il loro, avevano l'uno verso l'altra un attaccamento ossessivo e morboso che li portava ad odiare chiunque volesse inserirsi nelle loro vite, e se stessi per far spazio ad altre persone nel proprio cuore. Klaus non aveva presentato subito Lidia per quel motivo, lo stesso per cui Cassandra non si era mai fidanzata, mai nessuna storia seria o relazione troppo lunga. Tutto quello che aveva era per Klaus, era sua, e aveva bisogno che fossero sempre e solo loro due. Erano stati costretti a crescere in quel modo, soli, impauriti. Terrorizzati dalle cose brutte, ma anche dai cambiamenti belli.

« Grazie, e ricordati che io sono sempre con te, sempre dalla tua parte. » E non era una bugia. Avrebbe ucciso pur di renderlo fiero, felice.
Lui annuì, tornó indietro e si tolse la giacca, la fece cadere sul divanetto davanti al letto dove aveva dormito Cassandra la prima sera. Lo sguardo le cadde sulla poltrona, lì ci si era messo Aron. Ricordó di aver quasi assaporato il gusto delle sue labbra proprio lì, mentre Klaus dormiva.

Si sporse per salutare Lidia, doveva andarsene da quella stanza. « Notte. » Le sorrise, poi tornó nella sua camera, al sicuro. Si lasció andare sul letto, sprofondó nel materasso, schiacciata dai sensi di colpa.
Non doveva mai più parlare con Aron Nowak, non si dovevano neppure guardare per sbaglio, era necessario che tutta quella storia finisse presto. Era solo un maschio, ne era pieno il mondo.

Cassandra venne svegliata dal telefono che squillava. Cazzo, le lezioni al maneggio!
Che ore erano? Le otto, era ancora in tempo. Ci pensó solo dopo che non avesse controllato chi l'avesse chiamata. Si legó i capelli e cercó la divisa da lavoro: pantaloni per andare a cavallo e stivali di pelle alti, fatti a mano in Italia, ovviamente. Erano ancora sporchi dall'ultima volta che li aveva usati, si era scordata di chiedere di pulirli. Che palle. Li scrostó dal fango secco battendoli tra loro, sporcó la vasca da bagno, e fece ancora peggio quando provó a rimediare aprendo l'acqua, la terra si sciolse e rese tutto più schifoso.

Sbuffó, non aveva tempo. Fanculo. Prese una maglietta e un maglione di cachemire nero, la Goyard di sempre e speró di non essersi scordata niente, mentre scappava al maneggio. Si maledì per non avere un'auto, una bella Jeep come quella del fratello. Tanti soldi, eppure non le era mai passato per la testa.
« Finn devi andare velocissimo, sono un sacco in ritardo. » A lui venne da ridere, la osservó dallo specchietto retrovisore. « Sembra quando dovevo accompagnarla a scuola, era sempre in ritardo anche lì. » Forse era l'unica persona che aveva dei ricordi positivi della sua infanzia. Rise anche lei, andava a quella stupida scuola privata, un secondo di ritardo e non entravi più. Una vita piena di regole, passata a cercare di infrangerle tutte.

« Eh, ma questa volta è peggio, queta volta c'è Polina ad aspettarmi. »
Caló il silenzio, a volte si dimenticava che Finn non fosse suo amico, che avesse paura della sua famiglia come tutti. Si accese una sigaretta, ne aveva proprio bisogno. Si riempì i polmoni di fumo e poi lo buttó fuori, lentamente.

Intanto, decise di controllare chi l'avesse chiamata così presto. Prese il cellulare dalla borsa e guardó le chiamate perse, Vanessa. Perchè era sveglia a quell'ora? Decise di richiamarla.
Fece cadere la cenere della sigaretta consumata nel piattino della limousine e fece partire la chiamata. Teneva il telefono premuto contro l'orecchio, stava squillando.
« Cass... »
« Che c'è? Sto andando al maneggio, non ti ho risposto subito perchè ero in ritardo. »
« Ti volevo raccontare— aspetta! » Non si stava rivolgendo a lei, c'era qualcuno che la disturbava. Le venne da ridere. Alle fine fu contenta di non averla trovata la sera prima, le avrebbe rovinato una bella festa con i soliti suoi drammi.
Cassandra rise, scosse lentamente il capo e prese un altro tiro di sigaretta. « Salutami Ricky. »
« Ha detto che ti saluta... » Si sentirono altri rumori strani, poi un sospriro pesante.
« ...Ricambia. »
« Senti, facciamo che mi racconti dopo, non ho voglia di sentirvi mentre scopate di prima mattina. » Chiuse la chiamata senza che Vanessa potesse rispondere, come aveva previsto, poi non la sentì più per tutta la mattina.

Appena arrivó, camminó verso i box dove tenevano i cavalli per fare lezione, quelli da scuola, più tranquilli. Speró di non incontrare Polly, non voleva subire un'altra sgridata, dopo quella della notte prima. Lasció la borsa dove sempre, non era arrivato ancora nessuno. Decise che potesse prendersi un momento da sola, si poggió con la schiena al recinto di legno e pensó che non si fosse neppure truccata.
Chiuse gli occhi per un attimo, non faceva neanche freddo, si prospettava una bella giornata, soleggiata.

Sentì dei passi, si volse immediatamente.
Era assurdo, inconcepibile e incomprensibile, ma nonostante il casino del giorno prima, il suo cuore era impazzito al solo pensiero che potesse trattarsi di Aron Nowak. Non riusciva a non desiderarlo, poteva odiarlo, odiare suo fratello, se stessa, ma smettere di volerlo, era come provare a smettere di esistere. Pareva quel desiderio fosse legato indissolubilmente alla sua anima, non poteva spegnerlo senza morire lei stessa.

Polly. « Tra dieci minuti arrivano i bambini, cerca di darti un contegno, ci sono anche i genitori. »
Pensó che lei un genitore che l'accompagnasse da qualche parte non l'aveva mai avuto, c'era sempre e solo stato Klaus. Gli doveva tutto.
Indossava degli stivaletti di pelle e il solito completo elegante, al collo il medaglione che aveva ritrovato Cassandra. Comunque la bionda annuì, cercó la borraccia dell'acqua nella borsa e bevve qualche sorso, si pentì di non aver fatto colazione. Pensó a Vanessa, a quanto la invidiasse. E non perchè fosse innamorata, ma perchè poteva stare tutta la mattina a rigirarsi nelle coperte, a fare l'amore con qualcuno.

Polina le si avvicinó, aprì la bocca come se volesse dirle qualcosa, ma non trovava le parole. Cassandra speró non volesse commentare la serata del giorno prima. « Comunque ieri hai fatto un buon lavoro, sei riuscita addirittura a far parlare quell'orco di Aron, i prossimi eventi sono tutti tuoi, ti lascio un fascicolo con tutto quello che devi sapere nel mio ufficio. »
Lei era così, buttava le cose addosso alla gente e non dava la possibilitá di rispondere, non le importava ricevere alcun grazie da parte della giovane, non era per renderla felice che le aveva detto quelle parole, ma perchè fosse giusto farlo.

« Polly! » La donna stava per andarsene, era già girata di spalle quando Cassandra richiamó la sua attenzione. « Lo sai che a settembre me ne vado, giusto? »
Quella scosse il capo come se le avesse rivelato un'ovvietà. « Si, lo so, e infatti ti occuperai anche di trovare qualcuno che ti sostituisca. » E figurati se non aveva già pensato a tutto. Non le restó che annuire e obbedire.
La verità era che a Cass piaceva passare il tempo lì, e le piaceva perfino Polina Nowak, il modo assurdo che avesse di leggere le persone. Altrimenti non si sarebbe mai impegnata in alcun lavoro, si sarebbe rifiutata, avrebbe fatto un casino dei suoi. E invece, le pareva di aver trovato finalmente una famiglia.

Arrivarono i bambini, un gruppetto di quattro allievi accompagnati dai genitori. Lei s'incamminó affondando gli stivali nel fango per raggiungerli, salutarli. Si tolse un guanto e porse ad ognuno di loro la mano. « Buongiorno, mi chiamo Cassandra, sono l'insegnante dei vostri
figli. »
« Cassandra Can Der Meer. » E chi diavolo era, ora? Stava facendo mettere ad ognuno dei bambini il cap, quando uno dei presenti aveva deciso di chiamarla usando il suo cognome.
« Si, sono io, chi mi cerca? » Si alzó.
Un giovane le si avvicinó, non sembrava una faccia nota. « Sono Jasper Draper, ero nell'infinita lista di gente che aveva invitato alla serata di ieri, ma non mi ha notato neanche per un istante. »
Ah. Si pulì le mani sui pantaloni, poi si volse e disse ai bambini di aspettare cinque minuti, e di non toccare niente senza che lei fosse presente.
« Ero molto occupata, comunque, spero sia stato bene. » Non l'aveva mai visto, e Cassandra di eventi se n'era fatti tanti.
« Si, si vedeva che era organizzato da qualcuno... di diverso, non c'erano fronzoli e cose inutili. »
Lei alzó le sopracciglia. « Io sarei diversa? »
« Sembrerebbe. » Jasper annuì, sembrava divertito, e perchè le dava del lei?
« E da chi, secondo lei? »
« Le nostre famiglie. »
A quel punto si fece seria. « Klaus è la mia famiglia. »
« Appunto. » La Volpe. Ricordó cosa le avesse detto Aron, che fossero simili per qualche motivo. Peró era vero che per certe cose non si assomigliassero minimamente, e che sicuramente Klaus i fronzoli di cui parlava Jasper li conosceva bene.

« Allora diamoci del tu, siccome siamo diversi. »
Decise di sorridergli, forse le stava simpatico. Aveva i capelli castani e il viso olivastro, non sembrava proprio un Draper, tutti rossi con gli occhi azzurri. « Io peró adesso devo lavorare, mi trovi qui per qualsiasi cosa dopo le lezioni. »
Era tanto che non incontrava qualcuno di interessante. Ed era anche a corto di amici.

« Ci rivedremo sicuramente. »
Lo sguardo scuro di lui era malizioso, le piacque. Era troppo tempo che non veniva corteggiata, che non si sentiva forte. Aron la rendeva insignificante, incapace di ragionare e sicuramente una disperata alla ricerca di qualche specie di attenzione che non sapeva come ottenere. Con Jasper poteva sfogarsi nel rapporto strano che aveva avuto sempre con gli uomini, li usava. Si svuotava, restava sola.

Invitó i genitori a mettersi ai lati del recinto, possibilmente non troppo vicini per non disturbare i cavalli e la lezione. Fu divertente, insegnare ai bambini come si montasse correttamente: era la prima volta di tutti, quindi mise quello più bravo davanti e lo fece andare al passo per un po', giusto perchè tutti imparassero quale fosse la posizione corretta.
« La schena, Alice, dritta! »
Sorprendentemente, fu molto divertente. Anche se stare ferma tutto il tempo era noioso, e faceva freddo senza muoversi. Si sistemó il cappello sulla testa. Osservava i piccoli mentre cercavano di fare del loro meglio, spronati anche dai genitori che erano rimasti a guardare. Erano tutti nipoti e figli super benestanti, non quanto i Van Der Meer, ma abbastanza da potersi permettere una lezione lì.

Quando finirono l'ora, Cassandra li accompagnó a pulire i cavalli. « È importante che lo facciate bene, vi hanno trasportati per un'ora, è un bel modo per ringraziarli.
Prendersi cura di loro. »
Stava aiutando Timmy, gli spiegava bene come usare la spazzola per pulire il manto sudato.
« Tu hai un cavallo tuo? » Alice, la bimba di prima, le stava tirando la giacca.
Cassandra annuì. « Si, ne ho due, sono lì, da quella parte... » Indicó una fila di box dall'altra parte del maneggio. « Se vuoi dopo li andiamo a salutare, se i tuoi genitori vogliono. »
La bambina sembró turbata. « Vado a chiedere a mio fratello. » La bionda le sorrise.
« Prima finisci di pulire. »
E lo fece, mise addirittura tutto in ordine, era la più educata tra tutti i bambini. Gli altri erano amorevoli ma troppo viziati, se lo aspettava, anche lei era una rompi-scatole impertinente.
E poi odiava tutti. Si era portata una rabbia assurda dentro per anni, e ancora c'era qualche briciola che ogni tanto le dava fastidio e le pizzicava il petto.

Salutó tutti, ma quella piccoletta le rimase sempre affianco, zitta, aspettava il suo giro turistico. Cassandra non amava i bambini, non aveva mai pensato di averne e non le interessavano in alcun modo, eppure lei l'aveva conquistata. C'era qualcosa nel suo sguardo che la faceva sembrare familiare. La bionda si chinó sulle ginocchia e le accarezzó un braccio.
« Hai chiesto a tuo fratello? » Forse il fatto che l'avesse accompagnata il lui, e non un padre o una madre la faceva sentire come se avessero qualcosa in comune.

« Non ancora, è lì, è lui. » Lei aveva al massimo sette anni, i capelli biondi e la frangetta liscia le incorniciavano il viso da sotto il cap di velluto scuro. Stava indicando un punto dietro le spalle di Cassandra, si volse per guardare e vide che ci fosse proprio Jasper, allora era lui il fratello?
Sorrise. « Andiamo. » Si alzó e le porse una mano, quella sorrise contentissima come se le avesse proposto chissà che cosa. Era strano pensare che fino a qualche ora prima, Cass fosse nello stesso posto ma con un vestito da duemila dollari addosso. Si preferiva quasi sporca, con il fango incrostato sulle scarpe e il freddo a graffiarle il viso delicato.

Jasper allungó una mano per accarezzare la testa di Alice. « È stata brava? »
Annuì. Abbassó il capo per guardarla.
« La più brava, era l'unica che mi ascoltava subito quando spiegavo le cose, ha vinto un giro del maneggio con visita ai cavalli grossi. » Non pensava neppure lei di poter essere così dolce, le parve strano. Forse i bambini le piacevano.
Forse era solo Alice.

Lui si finse impressionato. « Posso unirmi? »
« Puó? » La voce di Alice era sottile, delicata e così dolce che Cassandra non sarebbe riuscita mai a dirle di no. La teneva ancora per mano, le piaceva il modo in cui stringesse leggermente le dita per richiamare la sua attenzione.
« Certo. »

Camminarono in avanti, c'era un altro campo dove tenevano i puledri d'estate, alcuni box separati e poi una fila di stanzoni in legno dove chiudevano i cavalli dei privati. Lì c'erano anche i suoi. « Come mai lavori qui? » Ottima domanda.
Cassandra sgranó gli occhi, in effetti non era tanto usuale vedere qualcuno come lei lavorare, o comunque svolgere quel tipo di lavoro.
Si prese qualche momento per riflettere, intanto che armeggiava con la chiusura di una porta per sbooccarla. Guardó Alice, pensó che non potesse raccontare tutta la verità davanti a lei, era troppo piccola per sentire certe cose.
« Diciamo che è iniziata come una punizione, poi mi è piaciuto e ci sono rimasta. »
Infatti, come aveva pensato, lei ascoltó ogni parola. « Una punizione? » Se ne stava ferma, immobile con le mani appese oltre l'orlo del cappotto.
Si bloccó, stava forzando l'ingresso spingendo la superficie di legno per farla scivolare sul fango. « Si, anche io ho un fratello più grande, mi sono comportata male e si è arrabbiato. » Alla fine dovette dargli una spallata, con l'umidità il legno si era gonfiato ed era più difficile muoverlo.
« E che avevi fatto? » Jasper inclinó il capo di lato, c'era qualcosa che mancava, nei suoi racconti. Per costringerla a lavorare lì doveva aver fatto qualcosa di molto grave, o essere stata ricattata abilmente. D'altronde era sempre della Volpe, che si stava parlando. Non osó chiederle se avesse bisogno di una mano, pareva una che volesse fare tutto da sola.
Infatti.

Un sorrisetto sghembo gli coloró il viso, quando la vide affondare lo stivale di pelle oltre l'ingresso del box. « Gli ho mentito. » E lo fai ancora.
Gli aveva nascosto metà della sua vita, dei suoi problemi. Si chiese se fosse giusto raccontare quelle cose a un Draper, poi pensó che non fossero importanti.

« Vieni, lui si chiama Crow, visto quanto è alto? » Era completamente nero, il manto, la pelle, gli occhi perfino. Cassandra l'aveva amato dal primo istante in cui l'aveva visto. Era grata a quel lavoro, le permetteva di passarci tanto tempo.
Alice invece sembró intimorita, con la sua altezza non arrivava neanche a metà zampa, lo vedeva come un gigante.
« È stupendo. » Jasper intervenne subito, si avvicinó per accarezzare il manto lucido. Se ne intendeva? « Un morello. » A quanto pareva, si.
« Si, esatto, è affascinante, vero? » Si fermó con lo sguardo verde scuro su di lei. La osservó bene, poi lasció un'altra carezza sulla schiena di Crow.
« Decisamente. »
« Ma io ci posso salire sopra? »
Jasper rispose prima che Cassandra potesse proporle di farlo. « Oggi no. » Il modo in realtà si poteva trovare, ma restava comunque pericoloso mettere una piccola inesperta su un cavallo del genere. Alice sbuffó, era scontenta ma non osó fare troppe storie.

La piccola andó a recuperare lo zainetto che aveva lasciato fuori, li aspettava.

Quando restarono soli lei gli fece una domanda che le ronzava in testa da prima.
« Ti occupi sempre tu di tua sorella? »
Lui sembró sorpreso. « Non lo sai? »
« Cosa? »
« I nostri genitori sono morti, siamo solo noi due. » Battè qualche volta le palpebre, le parve di rivivere una cosa già vista.
« Scusa, non lo sapevo, quindi i Draper che erano con voi alla festa erano... »
« I miei zii. »
« Scusa, è che sinceramente non ti ho mai visto, non so niente di te. »
« Perchè me ne sono andato, non mi piaceva il modo in cui vivevano i miei, troppo... »
Trattenne qualcosa, Cassandra sapeva bene cosa intendesse. Non l'avrebbe biasimato se avesse usato un aggettivo spiacevole.
« Rischioso. » Aggiunse lei.
Lui annuì. « Si, solo che non potevo abbandonare mia sorella con i miei zii, sto cercando di prenderla in affido. »
La sua storia era molto simile a quella di Klaus, solo che suo fratello era stato obbligato a sostituire il padre, non aveva mai potuto sognare di fare altro, neanche di scappare.

« Cassandra? »
La testolina di Alice sbucó dalla porta del box, la stava cercando. E aveva ragione. Fece cenno a Jasper di seguirla e la raggiunsero, si stavano dilungando troppo. « Ci vediamo la prossima volta? »
« In realtà io oggi sostituivo un altro maestro, di solito non mi occupo delle lezioni. » Vide lo sguardo triste di Alice sbucare da sotto la visiera del piccolo casco. Si sentì quasi in colpa.
« ...Peró sono sempre qui, quindi ci vedremo sicuramente. » Subito cambió espressione, forse se glie lo avesse chiesto Polly l'avrebbe messa anche lì. Solo che poi si accumulavano troppe cose, era impossibile.

« Lo spero. » Fu Jasper a mormorare quel saluto caldo, per un momento, mentre lo aveva vicino, la bionda pensó che potesse essere attraente.
O forse l'aveva conquistata il discorso di lui che voleva prendere la sorellina e probabilmente scappare dall'inferno che era Manhattan.

Sicuramente questa non è l'ultima volta che ci incontriamo, Draper.
Gli sorrise mentre se ne andavano, sventoló una mano e agitó piano le dita coperte dal guanto caldo. Non vedeva l'ora di tornare a casa, farsi un bagno caldo e far finire quella giornata.

Quando tornó doveva aveva lasciato la borsa, si accorse che non erano stati messi in ordine correttamente tutti gli utensili usati per pulire i cavalli. D'altronde, che si aspettava da dei bambini? Sospiró, comprese che dovesse pensarci lei. Quindi si tolse i guanti per far prima e prese insieme una serie di spazzole che andavano nella depandance, insieme alle briglie e alle selle.
Le sistemó ognuna dove dovesse e poi decise fosse arrivato il momento di fare colazione, chiamare Vanessa, magari.
Forse Polly le avrebbe offerto un altro te, non saziava ma era sempre meglio di niente. Sul retro c'erano anche delle macchinette, la giovane pensó bene di passarci per prendere qualcosa di dolce, un modo carino per invitare Polina a fare pausa con lei.

Compró dei biscotti al burro, perfetti con le bevande calde. Poi salì gli scalini di legno e bussó, non si premuró di cambiarsi le scarpe, l'altra volta era entrata così come si trovava in quel momento.
Nessuno le aprì, pensó che fosse inpossibile che non l'avessero sentita, forse Polly stava facendo qualcosa di importante per cui non potesse risponderle. Rimase un po' ad aspettare, solitamente quand voleva stare da sola lo diceva.
« Polly? Ho i biscotti al burro. » Sentì dei rumori strani, forse non stava bene? O magari non aveva voglia di passare del tempo con Cassandra.
Decise fosse meglio andarsene, il suo te l'avrebbe preso a casa.

Proprio mentre stava per scendere il primo scalino, sentì la porta aprirsi. « Pol— tu non sei Polina. »
« E tu... » Non sapeva cosa dire, era Aron. Schiuse la bocca, era palesemente in difficoltà. Cassandra lo vide incerto, e decise solo per quello di indagare. Ghignó maleficamente, si avvicinó allo spiraglio che aveva aperto, in modo da farsi vedere solo nel viso.
« E io sono Cassandra. » Finì la frase per lui, sembrava stanco. Aprì una mano sulla porta e poi ci poggió il gomito sopra, per fare pressione in modo da spalancarla. « Che stai combinando nell'ufficio di tua madre? » Lui non rispose, si schiarì la voce per prendere tempo. « Lo sa Polly che sei qui? »
« Io qui ci posso venire quando mi pare, sei tu la dipendente, nel caso te lo fossi scordata. » Chinó il capo per raggiungere il suo viso, le mormoró quelle parole lentamente, in modo che le si imprimessero bene in testa.
Lei tremó, le mancó il respiro. « Comunque non sei neanche tu che comandi, qui dentro. » Si alzó sulle punte per guardare cosa ci fosse dietro di lui, Aron si mosse con la testa per coprirle la visuale. Allora gli tiró una gomitata sul fianco, si piegó all'istante e lei entró indisturbata. Si chinó vicino a lui. « Te l'ho già detto, non scordarti mai chi sono. » Gli sussurró quella specie di minaccia all'orecchio. Rimase delusa quando vide che non c'era niente di strano, in quella stanza.
Proprio nulla.

Gli dava le spalle, quando si voltó vide che aveva la camicia fuori dai pantaloni, e i pantaloni sbottonati. Alzó le sopracciglia. Non ci credo.
Un'ondata di gelosia le scosse il petto e mandó infrantumi qualsiasi briciolo di ragione vi fosse nel suo cervello. Una risatina infastidita le scivoló sulle labbra. Le emozioni forti tiravano fuori il peggio di lei. « Irina? Dove sei?
Guarda che lo so che sei qui, dai che facciamo merenda insieme! » Era pur sempre una riccona viziata, sociopatica, con problemi di droga.
Non sarebbe bastato un lavoro a renderla più umana.

« Cassandra smettila. »
« Sul serio, ti scopi la fidanzata nell'ufficio di tua madre, ma quanti anni hai, quindici? »
Dai, che avresti voluto esserci tu al suo posto. Solo per chiamarla "fidanzata" dovette farsi incredibilmente forza.

A quel punto venne fuori lei, che non c'entrava niente, era solo, non per sua colpa, la prossima vittima della rabbia incontrollabile di Cassandra. « Scopare con te non deve essere troppo divertente, vero? » cantilenó, mentre si poggiava con la schiena al muro. La stava deridendo?
Indossava una gonna e il reggiseno da sopra, i capelli erano scompigliati e le calze... strappate. Immaginó Aron mentre afferrava i collant scuri e li tirava via, così forte da farli spezzare.
Si, avrebbe voluto decisamente esserci lei al suo posto.

Storse la bocca, essere una persona migliore era difficile. « A me piace farlo sui cuscini di seta, non in mezzo al fango. »
Usó l'unico punto debole che Irina si era permessa di mostrarle la sera prima, per ferirla, quella rimase con le labbra schiuse. La povertà, la differenza di classe. A Cass non fregava nemmeno niente di quella roba, sapeva solo fosse qualcosa di intimo e doloroso, Klaus le aveva insegnato a capire bene cosa usare contro i propri nemici.
Ma lei non è un nemico.

« Quello che dicono di te è vero.
Sei proprio una stronza viziata, ora ti sei messa a giocare, a fare la brava ragazza? Non ti crede nessuno Van Der Meer. »

Aveva ragione.
Cazzo se aveva ragione.

Che aspettarsi, dalla sorella più piccola della Volpe, se non le stesse tecniche di manipolazione?
« ...Scusa, scusa non volevo dirlo. »

Aron s'intromise.
« Cassandra, è meglio se te ne vai. »
Le crolló il mondo addosso. Lo sguardo si spense, perdere la stima di Aron fu come morire, come se tutti gli sforzi che avesse fatto fino a quel momento non fossero serviti a niente.
Bastava così poco per mandare tutto all'aria?

Andó via, chiuse la porta e pensó di licenziarsi, si fermó solo per prendere la borsa. Le veniva da vomitare.

Stava tornando.
Stava arrivando una delle sue crisi, identica a quella di Parigi.
Si fermó subito fuori al cancello principale, dovette piegarsi in avanti e vomitare. Patetica.

Cercó il telefono, forse avrebbe dovuto chiamare Lidia, forse quello che le serviva era una psicologa, ma lei non lo sapeva, voleva solo farsi del male, solo sfogare la sua rabbia da qualche parte e il modo migliore che conosceva per farlo era soffrire, buttarsela addosso.

Forse aveva l'occasione di essere forte davvero.
Chiuse gli occhi, pensó a chi fosse, a suo fratello, a Polly e poi realizzó che Irina di lei non sapesse un cazzo, che ad averla resa vulnerabile era stato quello stronzo di Aron, che a trentadue anni non era capace di scoparsi una senza fare il nome di un'altra. Si pulì la bocca con il dorso della mano.

Non avrebbe perso il suo lavoro per niente, neppure la fiducia di Polly e quella di Lidia.
Tornó dentro, il dispetto peggiore che potesse fare a Irina era continuare a girovagare nel fango. Continuare ad essere migliore di lei.

L'idea iniziale di chiamare Vanessa per procurarle della cocaina tramite Ricky svanì.
Ce l'hai fatta questa volta.

Vediamo alla prossima cosa combini.
Sei così vulnerabile, Piccola Cassy.

💎💎💎
Cassandra ha chiaramente bisogno di una psicologa, Irina è una stronza ma lei ha delle reazioni esagerate. Questa volta è riuscita a mantenere il controllo (per poco), pensate che ricadrà nelle vecchie abitudini? Oppure che non sia cambiata per niente?

Ricordate che Cassy è sempre la stessa ragazza del prologo...

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