CAPITOLO 15


He was a warrior
With a fighter's mind
And she was a battle
He lost every time

Cassandra il coraggio di entrare nella stanza dove riposava Klaus non l'aveva più trovato, neanche quando le avevano detto che stesse meglio, neanche quando glie l'aveva consigliato Aron, poi Lidia, anche Polly.
Suo fratello era sempre stato la sua unica e più grande certezza, vederlo crollare era devastante. Anche suo fratello aveva diritto ad essere debole, ma era difficile accettarlo.

Preferiva occuparsi delle cose che solitamente impegnavano lui: si era messa nello studio di Aron, e aveva chiesto ai suoi più fedeli se ci fossero cose urgenti da concludere, il primo a cui si rivolse fu proprio il Lupo, all'inizio le sembró di affogare in mezzo a un mucchio di cose che non capiva. Per la prima volta comprese come dovesse essersi sentito Klaus dopo la morte del padre, quanto potesse essere stato orribile doversi occupare degli affari mentre il mondo gli crollava intorno.

Sostituire suo padre senza poterlo piangere.
« Ci sono i Fernandez da pagare. » Cassandra aveva i gomiti puntati sul tavolo di cristallo, il viso spalmato sulle mani e gli occhi chiusi. « Che cazzo ne so di quanto avesse intenzione di pagarli mio fratello. » Le faceva male la testa, i Fernandez erano due gemelli, Klaus li aveva chiamati per ottenere delle informazioni su un imprenditore che aveva iniziato a fare troppi soldi tutti insieme, temeva fosse stato aiutato da gente che lui non voleva diventasse troppo forte. « Devi deciderlo tu. » Ma lei non voleva. Aron le stava accanto, l'unica che potesse parlare al posto di Klaus era sua sorella. « Guarda se ti sono stati utili, cosa hanno scoperto? »
« Hanno scoperto... » Sospiró, cercó tra le carte che aveva davanti, cosa avevano scoperto? Erano giorni che non dormiva per star dietro agli affari di Klaus. « Hanno scoperto che... » Spostó altri documenti, che diavolo avevano scoperto? Perchè non c'era suo fratello, ad aiutarla?
Adesso oltre alla paura di perderlo c'era quella di non poter essere mai alla sua altezza. La vita le aveva mostrato quanto fosse fragile, anche lui, il fratello invincibile. « Ecco! Hanno scoperto che i negozi di questo tizio sono gestiti da una società, cioè lui fa il prestanome per una società che è gestita da... » Tiró un pugno sul tavolo. « Che pezzi di merda, i De Vito, hai capito? »
Aron sgranó gli occhi. « Sono quelli che hanno provato a fregarci il carico di cocaina. »
« Sono loro che hanno corrotto quelli che avevamo chiamato noi? » Cassandra inclinó il capo, doveva pagarli profumatamente, i Fernandez, se non voleva che quelle informazioni viaggiassero nei posti sbagliati.
« Si, si. Sono loro. Stanno provando a toglierci di mezzo. »
« E che facciamo? »
« Aspettiamo che Klaus si svegli, e poi ci penso io. » In che senso? Come faceva a non capire. Serró la mascella, era così bello visto dal basso verso l'alto. Le occhiaie lo rendevano quasi più affascinante, e il modo in cui si capivano al volo era eccitante, non le era mai successo con nessuno, le piaceva da morire. Ci avrebbe passato tutto il giorno.

Aron non potè fare a meno di pensare a quanto fosse sempre disordinata; da piccola, le diceva ogni volta che il casino che aveva in testa le rendesse mille volte più difficile capire concetti che in realtà erano comprensibilissimi. Gli venne da ridere, gli piaceva vederla in casa sua, parlarle di lavoro, perfino quello diventava sopportabile quando c'era lei. Scosse la testa per cacciare via quei pensieri, mentre lei provava a dare una specie di ordine alle scartoffie sul tavolo.
« Lascia stare, faccio io. » Le si avvicinó e mise le mani sul blocchetto di fogli, pensava che lei l'avrebbe mollato ma non lo fece. Anzi, lo tenne ben stretto tra le dita. « Non preoccuparti. »
« Hai l'ansia di dover mettere tutto in ordine come dici tu. »
« Sono solo ordinato. »
Cassandra assottiglió lo sguardo cristallino e lo provocó, tagliente. « Maniacale. »
« Non è vero. » Che bugiardo. Intanto non scollava le mani dai fogli, col cavolo le avrebbe permesso di disturbare la perfezione del suo appartamento.
« Allora lasciami fare. » Alzó il capo per fissare bene la propria espressione nella sua, Aron si chinó. Erano troppo vicini, e lei lo sapeva bene cosa rischiassero, di ritrovarsi come qualche sera prima, nel bagno di Klaus. Era una lotta infinita tra la razionalità e la voglia incontenibile di riprendere da dove fossero stati interrotti.

« Dai, lascia stare. » Sospiró, tirando verso l'alto tutti i documenti. Cassandra allargó la presa per lasciarli scivolare via.
« Non ci riesci proprio. » Si spinse indietro sulla sedia e si alzó, per fare posto all'altro. Lui subito chinó il capo per soddisfare tutte le sue ossessioni, aveva nel cassetto un ferma carte che si abbinava perfettamente all'arredamento semplice; era importante che i fogli fossero perfettamente allineati, stette almeno dieci secondi ad aggiustare gli angoli piegati. Se l'intenzione della bionda era inizialmente quella di sbeffeggiarlo, poi s'incantó come una stupida ad osservarlo mentre si concentrava sui suoi rituali. Si domandó se anche lei avesse delle fisse simili.

« Senti io mi sa che vado, sono stanchissima.
E devo ancora sistemare alcune cose del tuo evento, quello al maneggio. »
Improvvisamente Aron si destó dalla scrivania trasparente. « Ma fallo domani, ora hai il cervello distrutto. »
« No, poi si accumulano troppe cose. Devo anche studiare, a settembre ricominciano le lezioni e poi gli esami... » Si massaggió la fronte con una mano, sentì il bisogno di mettersi sul divano. Piegó le gambe e sprofondó sul cuscino di pelle. C'erano troppe cose da fare, e Klaus stava ancora male. Aron la raggiunse, le si mise accanto e incroció le braccia al petto. La squadró, gli sembrava fragile e invece si stava dimostrando forte, pensó che suo fratello forse non avesse sbagliato proprio tutta la sua educazione.
« Una cosa alla volta, all'evento ci penso io, cosa manca da fare? » Allungó una mano sulla spalla di lei, Cassandra chiuse gli occhi e improvvisamente divenne meno tesa.
« Decidere i posti degli invitati, la scaletta di quelli che suonano, dare l'okay al menù. »
« Ci penso io. »
« Guarda che ce la faccio. » Odiava dover essere sempre quella che aveva bisogno di aiuto. Per un momento si scordó che Aron non fosse suo fratello, che non dovesse dimostrargli nulla.

« Lo so, lo so che ce la fai. »
« Sicuro di voler sistemare seicento persone? »
« E che sarà mai. »
« Metà non si sopportano, metà penso abbiano fatto sesso tra loro e un'altra metá sono
parenti. » Era importante rimanere aggiornati sugli ultimi gossip dell'alta società, serviva molto in quelle occasioni. Volevano che la gente stesse bene, e per farlo doveva essere circondata dalle persone giuste. Allungó le gambe oltre il divano.
« Devo chiederti un altro favore. »
« Quello che vuoi. » Proprio tutto quello che desideri.
Aron si chinó in avanti, come se stesse ancora valutando qualcosa. « Alla fine viene con me Irina, l'ho invitata, solo che non conosce nessuno, non è che potresti metterla con te e Lidia? »
Cassandra non rispose subito, rimase qualche istante zitta, a farsi schiacciare dal silenzio. Ma cosa pensava, che sarebbero stati loro due anche lí? Ti aiuta per pena, perchè sei la sorellina di Klaus che non ce la fa mai da sola.
« Si, certo, starà con noi. » Non ebbe il coraggio di chiedergli se fosse una cosa seria, alla fine era stata lei a consigliargli di invitarla. Che stupida.

Si alzó e sistemó la giacca calda sulla schiena. Lo guardó e improvvisamente tornó ad avere sedici anni, ad essere l'insicura ragazzina senza genitori che sbavava dietro al migliore amico di suo fratello, mai abbastanza per essere considerata diversamente da una specie di orfana per cui provare pena. « Io torno a casa, ci sentiamo. »
Sollevó lo sguardo in alto per un istante, poi camminó nei jeans larghi fino alla cucina, dove aveva lasciato il cappotto pesante.
Si sentì fuori posto, pensó che non c'entrasse niente con le cene, gli inviti, gli eventi. Che sarebbe stata per sempre la sorella scema di Klaus. Ma che stava cercando di fare.
Lo fai per lui, perchè sta male. E anche un po' per dimostrare agli altri che potesse farcela, no?

Aron la raggiunse da dietro. « Ma scusa resta a cena, ormai è tardi. » Non riusciva proprio a lasciarla andare. Avrebbe voluto restasse con lui per sempre, ci sarebbe dovuta essere lei al posto di Irina.
Cassandra alzó le sopracciglia, si giró con fare teatrale. « Dipende. »
« Da cosa? »
Alzó le spalle come se stesse per dire la cosa più ovvia del mondo. « Hai il gelato? »
Lui piegó le labbra in una smorfia divertita, Aron non poteva saperlo, il motivo per cui Cassandra avesse inizialmente rimosso le loro cene dai suoi ricordi. E forse non lo sapeva neppure lei, che quando era piccola lui avesse trovato senza volerlo l'unico modo per farle mangiare qualcosa in più a cena.

Insieme ai propri genitori, la piccola sorellina di Klaus aveva perso anche l'appetito. Non se n'era accorto nessuno, tutti troppo impegnati a cercare il modo meno dannoso di sostituire Klaus con il padre nella gestione degli affari di famiglia. Inconsapevolmente, l'unico che l'aveva aiutata era stato Aron, con i suoi gelati e la sua poca voglia di cucinare.

Lasció perdere il cappotto.
Lui le si avvicinó piano, ormai conosceva bene il modo in cui camminava, lento, come se volesse farsi attendere. « Vaniglia e smarties. »
« Allora rimango volentieri. » Se ne pentì quasi subito, mentre lui si piegava per raggiungere il cassetto del freezer e lei restó dietro, a pensare che fosse sexy qualsiasi cosa facesse. Serró la mascella, se chiudeva gli occhi era ferma al momento in cui le loro labbra si erano sfiorate.

Dentro quella casa maledetta faceva caldissimo, si tolse la giacca e restó con la maglietta di cotone leggera. Cercó un elastico sul polso per legarsi i capelli in una coda disordinata, quando Aron si alzó per posare la vaschetta di gelato sul tavolo, lei teneva le braccia alzate per sistemare la chioma dorata, l'orlo della maglia si era alzato oltre l'ombelico. Pensó che avesse voglia di baciarla proprio lì, sul ventre piatto e teso.
Forse avrebbe fatto meglio a non chiederle di restare. Eppure non ci riusciva, la cercava continuamente senza farlo di proposito.

Si volse per prendere due bicchieri di vetro, Cassandra tornó ad osservarlo, a cercare qualcosa di lui che non lo rendesse irresistibile, che non le facesse continuamente mettere in discussione la sua voglia di ricucire i rapporti con Klaus.

Decise di distrarsi guardando il cellulare, aprì instagram e il primo post che le apparve fu uno di Vanessa, risaliva alla sera in cui Klaus era stato ferito. Alla fine lei e Ricky c'erano andati a ballare, e si erano anche divertiti. Un po' li invidiava, anche se sapeva prima o poi le responsabilità l'avrebbero richiamata all'ordine, non pensava così presto, in quel modo.
Scivoló con il pollice sullo schermo, era una sequenza di foto e video, nella terza c'era lei che beveva lo spumante che colava da una bottiglia aperta dal suo amico. Si chiese se tra quei due non ci fosse qualcosa. Fece lo screen e lo inoltró subito a Vanessa.

Hai qualcosa da dirmi?

Sei arrabbiata?

No, perchè?

Perchè mi sa che mi piace Ricky

Cassandra sorrise, non era per niente arrabbiata, anzi, quasi contenta di sapere che a Vanessa finalmente piacesse qualcuno di giusto.

E perchè dovrei essere arrabbiata?

Non ti ci vedevi tu?

Ma quando?

Pensavo vi frequentaste

Non frequento nessuno, siamo stati insieme un paio di volte ma oltre quello c'è solo amicizia, è un bravo ragazzo

Si, lo so

Venite insieme all'evento al maneggio?

L'unica cosa che le dispiaceva, era che dovesse trovare altra gente per divertirsi.

Credo di si!

Spero anche che andiate via, insieme

Che romantica

Bloccó il telefono e lo lasció sul divano, non aveva nessuno che potesse cercarla, non aveva senso tenerlo vicino. « Cass, vieni? » Lo raggiunse in cucina, le sorrideva, era poggiato al bancone con il fondischiena, teneva nella mano destra il bicchiere con il gelato dentro. Sulla parte superiore ci aveva fatto cadere degli smarties, fingeva fosse un caso, ma Cassandra ricordava bene che per una sua strana fissa non sopportasse quelli gialli, li toglieva ogni volta.

« Vuoi sapere l'ultimo gossip? »
« Ti aggiornano sempre subito? »
« Di solito mi ci trovo in mezzo senza volerlo. »
Sul tavolo aveva poggiato il bicchiere di lei, lo chiuse tra le dita. Poi prese un cucchiaio e notó ci fosse anche della nutella, sopra. « Non ci credo, ti sei ricordato... »
« Certo che mi sono ricordato. » Alzó le spalle, affondó il cucchiaio nel gelato e poi se lo portó alla bocca.

Sexy. Cassandra s'incantó ad osservarlo mentre lo tirava via con le labbra. Perchè era così gentile con lei? Se fosse stato uno stronzo sarebbe stato molto più facile.

Distolse l'attenzione e decise di mangiare anche lei. « Allora, vuoi saperla l'ultima? »
Lui ridacchió. « Sentiamo. »
« Vanessa e Ricky, a quanto pare tu e Irina non sarete l'unica nuova coppia. »
« Io e Irina non siamo una coppia. »
« Penseranno tutti che lo siete se vi presentate insieme. » Il tono di voce era quasi infastidito, anche se non aveva alcun diritto di mostrarsi irritata.
« Penseranno che ho messo la testa a posto. » Era quello il suo obbiettivo? Far credere a tutti che si fosse sistemato?
Lei pensó che fosse uno stupido, che capisse tanto di alcune cose, ma per altre restava sempre l'amico scemo del fratello. « No, non glie ne frega un cazzo a nessuno di chi mette la testa a posto, penseranno solo che state insieme. »
« E tu che ne sai. »
« Nessuno mette mai la testa a posto, tu pensi che Elijah sia cambiato solo perchè si è sposato? E mio fratello? Non ci crede nessuno. »
« Klaus ha sempre avuto la testa a posto. » Certo, mica ce l'aveva avuto il tempo di fare il Don Giovanni, lui. Aveva dovuto fare da padre a Cassandra, non poteva.
Lei esitó un momento, come se stesse per rinunciare a dire quello che aveva per la testa.
« E mio padre? Lui aveva messo la testa a posto? » Caló il silenzio, se Cassandra parlava poco di sua madre, parlava ancora meno del padre. Non ricordava nulla di lui, e non perchè non l'avesse conosciuto, ma perchè quelle poche cose che le aveva lasciato erano così orribili che ik suo cervello si era deciso a rimuoverle. « Una donna accanto non cambia nessuno. »

Nascose lo sguardo nel bicchiere sotto di sè. Si mise seduta sullo sgabello; i gomiti poggiati sul tavolo. Da fuori si vedeva la notte, l'ampia vetrata del salotto dava sulla città. Aron si era scelto un grattacielo altissimo come casa, diceva che lo faceva sentire libero. Lei si alzó e raggiunse il vetro della finestra. « ...È meraviglioso. »
« Manhattan di notte. »
Alzó le spalle, era rilassante. « Vista da qui sembra quasi magica. » Da lontano non si vedeva il marcio che la infestava.
Aron le si mise accanto, lentamente le spostó una ciocca di capelli dietro l'orecchio per scorgere meglio il suo profilo delicato. « Ma lo è, è stupenda. » Poi serró le labbra, si costrinse a chiuderle a forza. Non poteva permettersi di dire altro.

Cassandra rabbrividì, il suo cervello andó in estasi, per un attimo le sembró di volare davvero. Voleva implorarlo di toccarla ancora, di posare di nuovo le mani su di lei e non staccarle più.
Inclinó il capo, il respiro si fece lento. « Solo quando la guardi da lontano, se ti avvicini troppo... » Ansimó sommessamente. « Ti distrugge. »
« Ti ammazza anche restare fermo a guardarla, senza fare niente. » E allora non c'era una soluzione. Non stavano parlando del panorama, non stavano parlando di New York. Era un discorso tutto loro, in un altro mondo, in un'altra dimensione dove potevano permettersi di stare così vicini, di sfiorarsi, quasi. Era sbagliata, quella intesa involontaria. Era tutto sbagliato.

Serró le mani attorno al bicchiere, si era sciolto perfino il gelato. Fu lei ad allontanarsi, quella situazione era così assurda che le faceva male.
« Io devo andarmene, devo andare via. »

Lui rimase immobile, fermo con i pugni stretti. « Si, devi proprio. » Cassandra abbandonó la sua cena sulla cucina e recuperó velocemente il proprio cappotto. Se lo infiló, tremante di tensione e poi cercó la sua Goyard verde, quella che usava anche per andare ad allenarsi.

Camminó fino all'uscita da sola, aprì il portone e se lo richiuse alle spalle. Quando fu fuori le prese una rabbia strana, non era giusto che provasse quelle sensazioni, maledì ogni cosa e anche se stessa. E poi perchè? Perchè lui?
Chiamó l'ascensore e attese, era impaziente di scappare ma ogni tanto guardava la porta per controllare se Aron non uscisse all'improvviso.

Il Lupo, quello fedele.
Stava mandando a puttane tutto, in altri contesti le sarebbe piaciuto riuscire a corrompere l'animo di un uomo, ma ora no, ora si odiava perchè era troppo coinvolta.

Tornó a casa, si mise alla stessa scrivania che usava per studiare quando era piccola e inizió a scrivere al computer tutti i nomi degli invitati. Si fece uno schema con i tavoli, ad ogni tavolo potevano sedere massimo in sei.

E lei? C'erano Lidia e Klaus, Aron e Irina, Ricky con Vanessa. Poteva mettere Vanessa con la sua famiglia... forse era meglio unire la famiglia di Vanessa e quella di Ricky. O magari sistemarli lontani, visto che la cosa non era ufficiale.
Pensó prima alle cose facili.
Lei sarebbe stata tra Lidia e Irina, poi Polly, e gli altri due. Si chiese se un giorno anche lei avrebbe trovato il coraggio di portare qualcuno, se esistesse qualcuno nel mondo che non fosse terrorizzato dalla sua famiglia.

Dopo due ore riuscì a dare a tutti una sistemazione definitiva, anche se era sempre possibile fare dei cambiamenti, all'ultimo. Salvó il file e ne stampó quattro copie, una per lei, una per Polly e chiunque dovesse occuparsi di sistemare i tavoli e un'altra per Aron. L'altra la tenne in più per sicurezza. Le invió alle stesse persone anche per mail, poi crolló sulla sedia, non riuscì neppure ad arrivare al letto. Vestita, con il trucco ancora sul viso e i capelli legati.

Quando aprì gli occhi era sul suo letto, Aron le accarezzava i fianchi e la stava per baciare. Avrebbe voluto dirgli di smettere, di levarsi da sopra di lei ma non ci riusciva. Allargó le gambe e si aggrappó alla sua schiena. « Mi piaci da morire. » Glie lo mormoró piano sulle labbra, prima di morderle e tirarle verso di sè. Nascose il viso nell'incavo del suo collo e lo leccó piano.

« Io invece ti odio. » La voce non era più quella di Aron, alzó il volto immediamente, su di lei c'era la faccia di Klaus. La guardava con tutto il disprezzo che poteva, Cassandra lo spinse via e scivoló lontano; si rannicchió dall'altra parte della stanza.

« Scusa, scusami, ti prego perdonami! »
« Pagherai, pagherete entrambi. »
« Che vuoi fare? » Si buttó alle sue caviglie, in ginocchio. Lo vide ghignare dal basso verso l'alto.
« Già fatto. Magari così impari a fare la
puttana. » Lei sgranó gli occhi, subito le lacrime andarono a bruciarle le iridi azzurrine. « Che cosa? Che hai fatto? »
Si alzó e gli tiró la giacca, aveva lo sguardo infiammato di rabbia, dalla vendetta.

Che hai fatto?
Cosa hai fatto Klaus?

« Cass... » Lidia stava provando a svegliarla con tutta la dolcezza del mondo, ma lei saltó comunque come una molla sotto il suo tocco gentile.

Alzó la testa e cercó Klaus davanti a lei, c'era solo il muro. « Cosa gli hai fatto? » Lo disse senza accorgersene, realizzó solo dopo d'essere nella sua stanza, ancora seduta sulla scrivania, con i fogli degli invitati sotto le braccia. Abbassó lo sguardo, piu scosse il capo.

« Era solo un incubo, ti sei addormentata mentre lavoravi. » La voce dolce di Lidia non la calmó, si massaggió un occhio con una mano, poi se la scoprì sporca di nero. Non si era neppure struccata. La mora era chinata su di lei, le massaggiava la schiena, sembrava stare molto meglio rispetto a qualche giorno prima.
La differenza tra chi sapesse elaborare il dolore, che chi cercasse d'evitarlo ad ogni costo. Cassandra alla fine si era distrutta da sola pur di non farsi annientare da lui. Lidia l'aveva elaborato.

Ma c'era dell'altro, quella assurda situazione con Aron.

Era certa si fossero trovati troppo spesso insieme, troppo fragili, la voglia di piangere su qualcuno li aveva portati ad avvicinarsi troppo. Era solo il dolore che li teneva uniti, la perdita di Klaus. La paura di non risentire più la sua voce. O no?
Doveva essere così per forza.

« Klaus si è svegliato. »
« In che senso? » Per un attimo pensó che allora fosse davvero lui, nel sogno. Le era apparso in tutta la sua rabbia.
L'altra le sorrise. « Si è svegliato, tuo fratello. »
« Quando? »
« Ora, dieci minuti fa. »
« E che ha detto? »
« Perchè non vai da lui? »
Perchè aveva paura, di non riconoscerlo, di vederlo fragile. « Si, così lo aggiorno su alcune cose. » Su alcune cose di lavoro, intendeva. Lidia non disse nulla, aveva capito quale fosse il loro modo di comunicare, di connettersi. Per quanto sbagliato, era inutile mettersi in mezzo, almeno mentre Klaus era in quelle condizioni.

Cassandra si alzó e sistemó il trucco sciolto sotto l'occhio, aveva ancora la bocca impastata di smarties e nutella. Chiuse gli occhi, ricordava bene cosa avesse provato quando Aron le aveva spostato i capelli dal viso. Lo odió.
Si sciacquó i denti solo per prendere tempo, Lidia se n'era già andata. Menomale. Alla fine era rimasta davvero, aveva usato la stanza degli ospiti e non s'erano neppure quasi mai viste.
Forse non era così fastidiosa la sua presenza in casa, l'avrebbe detto a Klaus.
Andó fino alla sua stanza, ai piedi gli stivaletti di pelle del giorno prima.

Lo vide steso, lo stomaco le si attorciglió e le venne da vomitare.
Fece qualche passo indietro. Forse era meglio lasciarlo riposare. Fece per andarsene, da brava codarda, ma sentì una mano sfiorare la propria.
« Cass... » Era lui. Si voltó nuovamente, ma prima ricacció indietro le lacrime.
Lei provó a cercare le cose giuste da dire, ma le veniva solo da piangere. Si abbandonó sul letto e lasció che le emozioni prendessero il sopravvento. Era troppo stanca. « Che cazzo di spavento mi hai fatto prendere... »
« Il linguaggio. »
« Io e Aron abbiamo fatto quello che dovevamo, è tutto in ordine, devo solo pagare i Fernandez. »
« Che ti hanno detto? »
« Che ci sono in mezzo di De Vito, stanno provando a fregarci. Che l'imprenditore è un prestanome, lavora per loro. »
« Di ad Aron che ci deve pensare lui. »
In che senso? Cassandra aggrottó le sopracciglia, non capiva in che modo potesse occuparsene lui.
« Cosa deve fare, che gli dico? »
« Digli... mi ha detto Klaus che devi pensarci
tu. » Si sistemó meglio sul letto, non sembrava agitato. Forse incazzato, avrebbe voluto poter partecipare a tutti quei casini. Invece era inchiodato a letto. « Devi dirglielo subito. »
« Si, dopo lo chiamo. »
La Volpe assottiglió lo sguardo, aveva capito qualcosa? Cassandra aveva detto quella cosa con una disinvoltura nuova, come se fosse abituata a parlarci. « All'evento di Aron invita anche i Draper. » E cosa c'entravano? Voleva forse usare quella serata per farsi nuovi amici? Avrebbe voluto biasimarlo, ma non poteva. Era proprio quello a cui servivano eventi del genere.
« Va bene. » Pensó solo alle ore che aveva impiegato a sistemare la gente ai tavoli, doveva fsre tutto da capo.
Lui la osservó, lo sguardo stanco e provato dal sonno. Sorrideva. Era strano vedere quell'espressione sul suo viso. Sembrava finta, le mise paura. « Sei stata brava. »
« Ho solo pensato a come avresti fatto tu. »
« Eri sola, non avevi nessuno e non avevi mai visto come lavorassi, sei stata brava. »

« Volevo chiedere a Lidia se avesse voglia di accompagnarmi a scegliere un vestito per l'evento. »
Lui sembró addirittura rilassarsi, abbandonare definitivamente l'espressione corrucciata che lo seguiva costantemente. « Penso che sarebbe contenta. »
« Così diventa tipo un rituale, una cosa di
famiglia. » Usó quella parola di proposito. Più che Lidia, aveva capito le piacesse vedere suo fratello felice. E se per farlo doveva accettare un'altra persona, era disposta a provarci.
Klaus cercó la mano della sorella e la strinse debolmente, sapeva lo stesse facendo per lui, che si stesse sforzando tantissimo. « Peró muoviti a tornare in piedi, sono settimane che non vado ad una festa. » Le venne da ridere, in effetti tutta quella storia del lavoro l'aveva resa davvero più inquadrata, non vedeva Ricky e Vanessa da un sacco e non ricordava l'ultima volta che si fosse fatta una riga di coca.

Lui rise ancora, pensó che se essere stato malissimo in quel modo fosse servito ad averla più vicino, allora ne era valsa la pena. Si sarebbe preso altre mille coltellate.

💎💎💎
La situa si sta scaldando
A voi i commenti, fatemi sapere che ne pensate❤️

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