CAPITOLO 13


And this urge to run away from what I love is a sort of sadism I no longer pretend to understand

Come se non fosse successo niente.
Cassandra aveva costretto la sua testa a dimenticarsi dell'incontro con Aron, delle cose che avesse provato quando stavano per baciarsi, dell'attacco di panico. Era quella, la cosa che l'aveva terrorizzata di più: da piccola ne aveva sofferto per anni, dopo la morte dei genitori era stato un continuo sentirsi male, ovunque, arrivavano all'improvviso; con il tempo aveva imparato a riconoscerne i sintomi e li gestiva abbastanza bene, ma era comunque una sensazione terribile. Decise di tenerlo nascosto, Klaus avrebbe insistito per mandarla da qualche psicologa o, ancora peggio, avrebbe chiesto aiuto a Lidia. Era tornata a casa, se ne stava nel salotto del piano superiore, quello che usavano loro due per passare il tempo e stava scorrendo su Netflix alla ricerca di qualcosa da guardare. Nulla riusciva a suscitare in lei alcun interesse, pensò che fosse meno noioso il tempo che passava al maneggio. Controllò dal cellulare le mail per guardare se Polly le avesse mandato qualcosa, nulla. Le gambe erano stese in avanti sul poggia piedi, la schiena abbandonata contro i cuscini antichi del divano. La stanza era illuminata solo dalla luce calda del camino, e dal lume in ceramica poggiato su un tavolino accanto.

Davanti a lei, su un altro tavolo, il sushi avanzato. Aveva deciso che se l'era meritato, ma ne aveva ordinato troppo. « Cassandra. » Klaus entrò, era visibilmente stanco ma sapeva bene che lei non potesse chiedere perchè. Le avrebbe risposto male, o non le avrebbe risposto proprio.
« Mh. »
« Che storia è quella del maneggio? Ora fai l'assistente di Polly? » E figurati se era contento.
« Si, mi piace. »
Lui incrociò le braccia al petto. Non si aspettava una reazione simile, o che a Cassandra piacesse lavorare. « Ti piace? » Forse non era stata una cattiva idea quella di farla stare con Polina.
« Si, è quello che ho detto. »
« E di cosa ti occupi? » Nella voce gli lesse il tono di uno che non si fidava, chissà che diavolo pensava lei avesse architettato, pur di sfuggirgli.
« Devo darle una mano con un evento, mi deve ancora mandare i dettagli ma è uno di quelli per le associazioni che interessano al tuo amico, Aron. »
Lui sembrò non crederci. Alzò le sopracciglia. « Cioè ti mette a fare una cosa cosí
importante? »
« A quanto pare l'unica che pensa che io sia una stupida incapace sei tu. » Non lo guardò neppure, rimase con l'attenzione ferma sullo schermo della tv, fu tagliente, voleva che si sentisse uno schifo.
« Non penso che tu sia una stupida incapace, è che— »
Non gli fece terminare il discorso, si voltò per agredirlo. « Mi dici sempre che devo diventare responsabile, tutte 'ste cazzate, mi trovo un lavoro, ti dico che mi piace e non va bene? »
« Non è quello. » Cosa, allora? Di che aveva paura, Klaus? Che Cass diventasse davvero indipendente, che non avesse più bisogno di lui?
« E allora cosa? »
«Niente, poi fammi sapere se hai bisogno... »
« Non ho bisogno del tuo aiuto, ho bisogno che ti fidi di me. » Fu strano dirglielo, era una delle cose principali che distruggeva il loro rapporto ma non aveva mai trovato il coraggio di spiegarglielo.
Era difficile.
Adesso si sentiva più leggera, anche se non era certa lui avrebbe compreso. Anche La Volpe aveva dei limiti, forzarli non era mai giusto. Stette zitto, darle ragione sarebbe stato troppo, eppure era quello che pensava. Forse parlare con Lidia era stata davvero la cosa migliore da fare.

« È avanzato del sushi, se lo vuoi. » Lui fece per risponderle male, dirle che non fosse opportuno mangiare in salotto, sul divano. Poi ripensò alle parole di Lidia, quel sushi se lo sarebbe mangiato a forza. Doveva smettere di pensare a Cassandra come una cosa da proteggere, una neonata, una responsabilità e vederla come un essere umano.

« Si, dai. » Si tolse la giacca e piegò le gambe per raggiungere l'altezza del tavolino. Prese le scatolette di plastica trasparente e le bacchette che lei aveva usato e lasciato tra gli avanzi. Forse un momento cosí non l'avevano mai vissuto. Era come se non fossero mai stati amici.
Lei divenne tesa per qualche secondo, d'istinto le venne di allontanarsi, poi lo guardò e pensò fosse suo fratello, la persona che più di tutte l'aveva protetta, aiutata, ad ogni costo. Sempre.

Prese una fettina di salmone con le bacchette, lo sguardo vagò per un momento sullo schermo della televisione, non stava guardando niente. E a che pensava? Avrebbe pagato tutto l'oro del mondo per scoprirlo. Nella scatoletta c'era anche il contenitore quasi vuoto della salsa di soia. Intinse il pesce nel liquido scuro, quando lo portò alle labbra fece una smorfia strana. « Hai messo il wasabi nella salsa? »
« Si, mi piace cosí, lo sai. »
« Ma cosí— » Lei lo fermò prima che potesse terminare la frase.
« Cosí rovino il sapore, e che ci posso fare, mi piace rovinato. » Alzò le spalle, lui scosse leggermente il capo, divertito. Poi tornò al sushi. Si tolse le scarpe spingendo con i piedi sul tallone, erano di cuoio durissimo, caddero sul parquet con un tonfo fastidioso.

« Che volevi guardare? »
« Non lo so, non so scegliere. »
« Perchè ci pensi troppo. »
« Eh, ma hai visto quante alternative ho? » Indicò la televisione con il telecomando.
Lui si portò un altro pezzo di salmone vicino alle labbra. « Devi scegliere la prima che ti ispira, d'istinto. » Allungò il mento per dare enfasi al discorso.
Cassandra assottigliò lo sguardo, lui la faceva sempre cosí semplice, sapeva ogni volta cosa fare. Lo invidiava. « Ma se poi non mi piace? »
Lui piegò gli angi della bocca verso il basso. « Torni indietro e cambi. » Giusto. Mica era la fine del mondo, lei era fatta cosí, s'incasinava nelle cose semplici.

« Allora scelgo questa. » Premette su Mercoledí, era uscita da un po' ma non l'aveva ancora vista, ogni volta s'era bloccata prima di farla partire. Era un brutto vizio che aveva da sempre.
Quando Klaus le diceva cosa fare era tutto più semplice. Partí la prima puntata, piegò la testa e la poggiò distrattamente sulla spalla del fratello. Stava per addormentarsi, il lavoro al maneggio era sfiancante. Lui restò immobile, aveva il terrore che qualsiasi cosa potesse fare avrebbe rovinato il momento. Era come se avessero iniziato a costruire il loro rapporto da zero, e anche a fare tutte quelle cose che sarebbero dovute accadere durante l'infanzia, di cui soprattutto lei aveva bisogno.

« Klaus... »
« Mh? »
« Chiedi a Greta se ci porta una coperta? » Sbadigliò il capo ancora piegato sulla camicia di Klaus.
« Si, mi alzo un secondo. »
Ne approfittò per abbandonare le scatolette vuote dove era conservato il giapponese, richiamò la prima domestica che vide nel corridoio. Si chiese come facesse Cassandra ad avere tanto freddo, con il camino acceso accanto. Doveva essere la stanchezza. Tornò da lei, si rimisero come prima, vicini, mentre la puntata della serie scelta da lei andava avanti da sola. Klaus prese il telecomando e abbassò il volume in modo che rimanesse solo una specie di sottofondo rilassante, insieme al rumore del legno che si piegava nel camino.

La domestica che aveva chiamato tornò con una coperta di cachemire in mano, lui aprí gli occhi e le fece segno di stare attenta a non svegliare sua sorella. Si portò l'indice sulla bocca e indicò alla giovane di lasciargli l'oggetto caldo. La ringraziò con un cenno del capo, poi la lasciò andare via. Non avevano bisogno d'altro.

Aprí la coperta in modo da mettergliela sulle gambe, non ricordava l'ultima volta che l'avesse fatto. Gli sembrava ancora piccola e indifesa, se ripensava alla cocaina che aveva trovato nella sua stanza si sentiva morire. Chinò il capo per baciarle la testa, mentalmente le chiese scusa.
Per tutte le volte in cui non era riuscito a starle vicino, tutte quelle in cui l'aveva isolata ad ogni costo, pur di proteggerla.
Rimasero cosí qualche ora, Klaus non voleva addormentarsi, temeva che il sonno potesse rubargli quegli istanti. Combatteva sempre contro qualcosa, lui. O contro se stesso, contro il tempo, contro la voglia di lasciarsi andare. Non sapeva esistere senza conflitto, senza un tormento da gestire, senza rabbia trasformare in qualcosa.

Quando Cassandra si svegliò però era crollato. Perchè come aveva detto Aron, nessuno era invincibile, neanche suo fratello. Non sapeva da quanto si fosse assopito, comunque aveva il sonno cosí leggero che appena si mosse per sgranchirsi i muscoli, aprí gli occhi. « Non lo ricordavo cosí comodo questo divano. »
« Io invece me lo ricordavo, infatti ci riposo su spesso. »
Klaus sorrise, pensò che lui non staccasse quasi mai, era impossibile per lui riuscire a scollegare il cervello. Cassandra si tirò su la coperta, non ricordava di essersela portata dietro, mostrò uno sguardo strano ma decise di non fare domande.
Cercó il cellulare, tastó con le mani il divano per vedere di trovarlo, quando lo ebbe stretto tra le dita controlló l'ora: era tardissimo. E l'uscita con Ricky? Forse per la prima volta in tutta la sua vita non aveva voglia di mettere piede fuori da quel salotto. Sbuffó. L'aveva chiamata Vanessa senza successo tre volte. « Tutto okay? » Klaus non sapeva se fossero affari suoi, era quasi certo lei si sarebbe infuriata, o avrebbe reagito male.
Invece non fu cosí.

« Si, è Vanessa, vuole sapere se ci sono per uscire con loro ma io non ho tanta voglia. »
Lui alzó le sopracciglia, si domandó per un momento se non stesse sognando. Gli stava chiedendo un consiglio? Gli stava davvero dicendo cosa le passasse per la testa? « Se vuoi restare a casa, c'è ancora un po' di crostata in cucina. » Alzó le spalle in maniera teatrale, a Cassandra si illuminó lo sguardo. La stava davvero considerando? Allora aveva ragione Aron, aveva ragione anche Polina, i tarocchi e quelle foglie nel te. Annuí e lasció perdere Vanessa.
« Mi sa che allora resto, ne approfitto. »
Che chissà quando ricapita. Alzó le spalle come se si vergognasse, ci fu un attimo in cui sembró essere quasi a disagio. Aveva desiderato tanto avere un fratello così, adesso che problema c'era?
Klaus notó qualcosa di strano, ripensó alle parole di Lidia, ci voleva tempo, e loro, lui, ne aveva perso tantissimo.

Si meraviglió di quanto fosse facile, tenderle una mano, starle vicino. Si maledì per non averlo fatto prima. Bastava così poco. Non chiedeva mica poi così tanto, la piccola Cassy. « Andiamo. » Si alzó per primo, aveva le gambe intorpidite, se le sgranchì sistemandosi i pantaloni stropicciati.
Cassandra si tiró dietro la coperta, aveva ancora freddo. Il camino si era quasi spento, quella casa era troppo grande, troppo fredda.
Eppure era ancora troppo presto per pensare ad un'altra persona che potesse viverci, insieme a loro. Camminarono nel silenzio fino in cucina, lei si sistemó nello stesso identico posto dell'altra volta e Klaus cercó negli scaffali la torta che avevano mangiato insieme l'altra volta.
Prese due forchette, solo un coltello. Avrebbero mangiato dallo stesso vassoio. Le piaceva infrangere le regole insieme a lui, solitamente Klaus era molto severo sui modi, su come si dovesse mangiare, stare composti, parlare, ogni dettaglio era pianificato in modo maniacale.

Vederlo così umano riusciva a farla sentire legata a lui. Si sentiva sua sorella, la sua famiglia.
Incroció le gambe, si mise tutta storta, con i gomiti sul tavolo. « Lo sai che oggi è successa una cosa strana. » Klaus fece per riprenderla, poi pensó che non avesse senso. Si piegó in avanti, spezzó un pezzo di crostata con la forchetta. I gomiti puntati sul marmo. « Che cosa? »
« Mentre pulivo ho trovato un ciondolo, sai di quelli vecchi, che li apri e hanno le foto dentro, capito? » Mimó addirittura con le mani un ciondolo che si apriva. Lui annuì, allora continuó a parlare. « Era della mamma di Aron, dentro c'erano due foto: una del tuo amico, l'altra di una bambina. »
« Una bambina? »
« Mh. »
« Sarà una parente, forse era Polly da piccola. » Ovviamente, lui era riuscito a trovare immediatamente una serie di spiegazioni assolutamente plausibili, non a caso lo chiamavano volpe. « Comunque è troppo
strano. »
« Si, lo penso anche io. »
« No ma che hai capito, è strano che tu abbia pulito. » Scoppió a ridere, lei si trattenne ma poi lo imitó, cercando di non fare troppo rumore. Come se temesse d'esser sentita. Delle risate in quella casa non si vedevano da anni.

« Dai, sono seria, è un mistero. »
« Ma sarà una nipote, non è importante, magari è una cosa sua privata. » Alzó le spalle, la forchetta ondeggiava a mezz aria. Klaus era il tipo che se c'era qualcosa di cui preoccuparsi riusciva presto a trasformare i problemi in preoccupazioni inutili, non aveva senso indagare su tutto. « Se fosse stato importante l'avrei saputo. »
« Da Aron? »
« Certo, le cose importanti me le dice sempre, e anche io. » Lo disse con una solennità tale che per poco non le fece paura. Si fidava ciecamente del suo amico. A Cassandra venne in mente che peró l'amico non gli avesse raccontato di Parigi, di come l'avesse trovata dopo la lite assurda con Vanessa. Si sentì in colpa, come se avesse rovinato il rapporto perfetto che li legava.
Nessuno è super pulito.

Annuí. Volle cambiare discorso. « Ma Lidia non viene più? » O preso da una rabbia incontrollabile era stato lui, a dirle di starle alla larga. Cassandra non si sarebbe sorpresa.
« Vorresti che venisse? » Aveva lo sguardo carico di speranza, le voleva davvero bene. Si vedeva dal modo in cui reagiva ogni volta che udiva il suo nome.
Alzó le spalle. Forse si, forse la mattina dello shopping erano partite con il piede sbagliato. Soprattutto lei. Forse avevano due caratteri troppo diversi, Lidia troppo espansiva, Cass chiusa sempre a riccio. Solo Polly era riuscita a sbloccarla, ma perchè sapeva come si vivesse in quel mondo. Non la compativa, non aveva bisogno di capire niente, conosceva già tutto.
« Si, dai, peró dille di non provare a fare la psicologa con me. »
Non poteva darle torto. Si mise a sedere anche lui, lo sguardo chiaro puntato in quello identico di Cassandra. « A volte non lo fa di proposito, è tipo deformazione professionale. »
« Lo so, peró non mi piace, mi fa sentire come se dovessi difendermi, e io voglio andarci d'accordo, perchè se piace a te significa per forza che è una persona giusta. » Klaus alzó le sopracciglia, davvero sua sorella aveva quella considerazione di lui? Doveva essere straziante tenersi dentro tutte quelle cose. La mente della bionda era piena di pensieri, che si attorcigliavano e scontravano tra loro, continuamente.

« Va bene, le diró di stare attenta. » Cassandra aveva ragione, i modi che usava Lidia non riuscivano a farla fidare di lei. Non comprendeva se le parlasse davvero a cuore aperto o volesse solo capirla, per aiutare Klaus.
Cosí si perdeva la parte migliore della giovane Van Der Meer, quella leggera, amichevole. « Potremmo vederci fuori, fare qualcosa insieme, che ne dici? »
Cassandra sembró entusiasta da subito, prese un altro pezzetto di crostata.
« Si! Andiamo al maneggio? »

Klaus serró le labbra, tornó teso e allungó una mano sul viso. Sapeva quanto adorasse quel posto, lui invece non riusciva proprio a metterci piede, gli ricordava troppo suo padre. Evitava qualsiasi cosa gli facesse tornare alla mente i suoi genitori, il dolore che aveva provato quando era rimasto solo, quando era stato più debole che mai. « Lidia non sa andare a cavallo. » Taglió corto, gli stava passando la fame.
Lei non avrebbe mai potuto capire. « Meglio, così posso insegnarle. » Le sembrava davvero un'idea meravigliosa, sapeva che a Klaus non piacesse tanto quel posto, ma ne ignorava completamente i motivi. Anche perchè a Klaus non piacevano tantissime cose.

« Senti, non mi va di portarla nel fango, e poi a me il maneggio non piace, lo sai. »
« E che vorresti fare? »
« Non lo so, pranzo fuori? »
« Un po' noioso. »
Lui sbuffó, peró la sorella aveva ragione. « Barca a vela? »
« E chi ci sa andare. »
« Io, io so andarci. »
« E da quando? »
« Ho degli hobby anche io, eh. »
« Ma abbiamo una barca? »
« Si, ce l'ho. »
« E io perchè non lo sapevo? »
« Perchè non volevo che diventasse l'ennesimo posto per ubriacarti e fare stronzate con i tuoi amici. »
Cassandra schiuse la bocca per rispondergli, per dirgli che si sbagliasse ma non poteva. Aveva ragione, l'avrebbe usato come nascondiglio per passare le serate con Vanessa, con qualche ragazzo e con chiunque le andasse di passare il tempo. « E ora? »
« Ora ho deciso che mi fido. »
Suonó quasi come una minaccia. Come un non farmene pentire. Cassandra non ricordava d'esser mai stata in barca a vela, non era neanche tanto brava a nuotare, il mare le piaceva solo per prendere il sole e bere drink sulla spiaggia.
La neve era meglio, sapeva perfino sciare.

« Addirittura. » Lo prese in giro, finì l'altro pezzo di torta e poi si tiró meglio sulle spalle la coperta.
« Magari mi piace. »
« Secondo me si. »
Si scambiarono uno sguardo d'intesa, era davvero tardi. Klaus si alzó per rimettere in ordine il solito vassoio. Si lasció sfuggire uno sbadiglio. « Dai, andiamo a letto. » Si stropicció gli occhi, doveva aver lavorato tutto il giorno, sembrava stanchissimo. Cassandra annuì e scivoló giù con le gambe che teneva incrociate sulla sedia.

Mentre stavano per varcare la soglia della cucina, squilló il cellulare di suo fratello. Lo osservó fare un'espressione orribile, sapeva chi fosse senza neppure che ci fosse bisogno di guardare il nome sul display. Tiró fuori l'Iphone dalla tasca del pantalone, si fermó, Cassandra con lui.
« Dimmi. »
Silenzio. Lei lo guardava dal basso all'alto, una strana ansia si era impossessata del suo petto, le formicolavano le mani. « Ci sono problemi? »
Ancora silenzio. « Cazzo. Dobbiamo muoverci, sto arrivando. » Di cosa parlava? Lei avrebbe voluto domandarglielo ma non ne ebbe il coraggio, si limitó a sprofondare nel pavimento, sparire.
Klaus la guardó in un modo che lei non capì, profondamente, sembrava si sentisse in colpa di qualcosa. Chiuse la chiamata e lei sbirció il nome sullo schermo. Wilk. Nowak.
Una voragine le risucchió lo stomaco, dovette prendere un respiro profondo.

« Tutto ok? »
« Tranquilla, è tutto sotto controllo. »
Cosa? Cosa è sotto controllo, Klaus? La guardó come se fosse indeciso se spiegarle tutto o meno. Ma che senso aveva se tanto a breve avrebbe risolto ogni cosa? « Va bene, peró ti aspetto. »

Klaus si sentì morire. Stava provando una sensazione nuova: quando non parlava con Cassandra, non doveva neppure preoccuparsi che lei stesse male, che passasse la notte preoccupata, di non tornare a casa troppo presto.
Annuì. « Non ti stancare troppo, domani devi svegliarti presto. »

Sparì così, Cassandra restó nuovamente da sola. Provó ad andare in camera sua, a mettersi il pigiama, a guardare un po' instagram. Non serviva, più passava il tempo e più le mancava l'aria. Si rigirava nelle coperte ma era sempre scomoda. Il soffitto sembrava volerle crollare addosso, nella testa una voce urlava il nome di suo fratello, un'altra provava a pronunciare quello di Nowak. Ma Cassandra non glie lo permetteva, non poteva star male per due persone, già una era troppo.

Allungó il braccio e cercó il cellulare sotto al cuscino, le dita scivolarono sul lenzuolo di seta e afferrarono il telefono. Ancora nessun messaggio di Klaus. Dove cazzo sei. Si maledì per non averglielo chiesto. Dovette alzarsi, camminava nervosamente nel corridoio buio, consumando i piedi sul tappeto polveroso. Magari non è niente, ti aveva detto di stare tranquilla, devi stare tranquilla.

Odiava quell'ansia, si sedette a terra, vicino al bordo delle scale, come faceva sempre quando era piccola. Si addormentó lì, con le gambe stese in avanti e la testa poggiata sul marmo freddo. Si sveglió solamente quando sentì la porta sbattere forte, non capì subito se qualcuno fosse entrato o uscito.

Non ricordava neanche perchè si trovasse lì, poi le tornó tutto alla mente, piano. Si mise con i gomiti sul corrimano e spió oltre l'ingresso. C'erano due figure, una reggeva l'altra. Chi?
Si sporse più che poteva, uno si tolse il cappello, quello che stava in piedi da solo. Non era suo fratello. Restó immobile, gli occhi le bruciavano e il respiro le moriva nei polmoni, non arrivava neppure alla gola.

Aveva solo suo fratello, senza di lui era niente. Sgranó gli occhi, avrebbe voluto correre giù ma la paura la pietrificava. Riuscì solo a tirare l'orlo della solita camicia di seta leggera, non sentiva più neanche il freddo.

Greta stava aiutando Aron a portare su Klaus, lei indietreggió, come se si dovesse preparare.
Nessuno si era accorto di lei, solamente Nowak, quando la ebbe difronte, alzó lo sguardo per un attimo e lei lo vide, che si stava quasi sforzando per dirle qualcosa, ma non gli venne fuori niente.

Suo fratello invece era piegato verso il basso, da sotto la giacca aperta si vedeva la camicia macchiata di rosso. I loro occhi si incrociarono, non voleva che lo vedesse in quello stato.
Questa volta il sangue era suo.

Era tutto veloce eppure tutto pareva rallentato, i passi sordi e impauriti, l'odore pungente del dolore, il buio e il silenzio forzato.
Le venne da vomitare.

Entrarono nella sua stanza, lei invece restó fuori, non chiusero neppure la porta. Camminó in avanti per sbirciare, Klaus era a petto nudo sul suo letto, non capiva perchè non stessero chiamando un'ambulanza. Si sentiva un fantasma che girava nella vita di un'altra persona, sbirciava in silenzio, non esisteva.

La camicia era arrotolata a terra, rossa, e anche le lenzuola, si stavano sporcando. Ma quanto sangue stava perdendo? Non aveva il coraggio di guardare la ferita. Si portó una mano sulla bocca, sul fianco sinistro un taglio troppo profondo gli squarciava la pelle. O era una coltellata? Serviva qualcuno che gli sapesse mettere dei punti.

Perchè nessuno faceva niente?
Dal piano inferiore sentì la porta aprirsi e poi chiudersi. Era Polly, il suo viso le mise una strana tranquillità, come se con lei fosse piú probabile che venisse trovata una soluzione. Cassandra si nascose in camera sua, non seppe neppure lei perchè non avesse voglia di farsi vedere.
Indossava un cappotto lungo, era impeccabile anche in quelle condizioni, in una situazione così assurda.

Quando fu dentro la stanza di Klaus, Cassandra tornó a sbirciare, poggiata ad uno stipite.
Non l'avesse mai fatto.

Polina si tolse il cappotto, i guanti, accese tutte le luci e poi cercó qualcosa da fargli mettere tra i denti. Si chinó su di lui per dirgli qualcosa, poi si poggió con le ginocchia sul tappeto per poter osservare meglio la ferita. Greta le faceva da assistente, aveva preparato una specie di tavolino con delle cose che le sarebbero servite.
Perchè non chiamate l'ambulanza.

Pulì la ferita meglio che potè.
Prese ago, filo e inizió a ricucire la pelle di suo fratello. Battè più volte le palpebre, per assicurarsi che non fosse un incubo. Aron lo teneva fermo, mentre le mani attente di Polina lo curavano lentamente. C'era sangue ovunque.
Cassandra si sentì inutile. Se avesse potuto prendersi il suo dolore l'avrebbe fatto.
Non si era neppure accorta di avere il viso bagnato dalle lacrime.

Pensó a come fossero stati bene quella sera, non voleva perdere suo fratello. Sapeva che facesse cose pericolose, ma vederlo era tutt'altra storia.
Quando la mamma di Aron finì, gli diede qualcosa per lenire il dolore, per farlo dormire. Gli bendó i punti e poi disse qualcosa a Greta, forse delle indicazioni su come medicarlo.

« Deve riposare, lasciamolo in pace. »
« Ma è grave? » Riconobbe la voce di Aron. Era in piedi davanti al letto.
« No. »
Grazie al cielo.

Quelle parole la riportarono in una dimensione dove poteva respirare, desiderare d'esser viva. Un'esistenza senza suo fratello era peggio della morte. Fu Aron il primo a cercarla, a ricordarsi che ci fosse anche lei, dopo essersi accertato delle condizioni del suo amico, uscì dalla stanza da letto e le si mise davanti. Anche lui era sporco di sangue, peró sembrava incrostato, nulla che richiedesse una visita di sua madre. Un taglio sul collo, proprio sotto il mento gli macchiava il cappotto e i capelli biondissimi.

Finalmente lei riuscì a parlare.
« Che succede? » Lo guardava negli occhi e lo implorava di dirle la verità.
Aron le prese i polsi, aveva le mani ghiacciate, non se n'era accorto subito, ma erano anche sporche del sangue di Klaus. « Sta bene, deve solo riposare. » Abbassó il capo, aveva fatto una cazzata. Cassandra si guardava le maniche del pigiama impiastricciate e le venne voglia di strapparselo di dosso. « Cass, guardami negli occhi, guardami. » Fece come le aveva detto, incastró lo sguardo chiaro in quello di lui, non riusciva a consolarla. « È tutto okay, tuo fratello sta bene, è tutto okay. » Lei scosse il capo, non era tutto okay, non c'era niente che andasse come doveva.

In quel momento arrivó Polly, la osservó e si chiese come avesse fatto a non notarla, poi vide il modo in cui suo figlio la teneva per le mani, si preoccupava per lei. Arricció le labbra.
« Aron, ci penso io. Stanotte resto qui. „
« Mama, resto anche io. » Lo disse senza pensarci, preso da un vortice di emozioni che non riusciva a capire, e che lo spaventavano. Non riusciva ad andarsene e lasciare la piccola Van Der Meer da sola.
Klaus avrebbe voluto che tu restassi.
Sicuro sia solo per Klaus?

Cassandra inclinó il capo da un lato. Toccava a lei decidere qualcosa. « C'è posto per tutti. Usate le stanze che volete, tanto sapete dove sono. » Quella casa era sempre stata troppo grande. Solo quel corridoio contava quattro camere da letto. Tre bagni.
Non voleva restare da sola.
« Io vado a dormire, bisogna fare dei turni per controllarlo. »
La giovane si era dimenticata d'esser sporca di sangue, di non indossare neppure dei pantaloni sotto la camicia larga e che stesse morendo di freddo. « Inizio io, posso farli io. »
« Anche io, tanto sicuramente stanotte non dormo. » Polly serró i denti, Aron ancora non se ne accorgeva, non lo sapeva che si stava comportando esattamente come al matrimonio di Elijah. Non riusciva a mollare quella ragazzina, e la cosa peggiore, secondo Polly, era che Cassandra non lo provocasse mai, non cercava le sue attenzioni, a legarlo a lei c'era altro: odiava vederla star male.

Polina scosse il capo, raccolse le sue cose e scomparve in una delle stanze, tutta impettita come al solito.

« Senti, io fino ad ora ho dormito, puoi riposarti, Aron. »
« Non ci riesco, non riuscirei mai. »
« Va bene, va bene. »
« Io vado, tu perchè non ti cambi? Non hai freddo? »
Guardó le gambe nude di Cassandra e si sentì un mostro a pensare che fossero bellissime, mentre suo fratello dormiva sedato, con una ferita aperta su un fianco. « Si, si. Ci metto un secondo, »

Andó nella cabina armadio e lasció cadere la camicia a terra, trovó un top e dei pantaloni di una tuta, simili a quelli che usava per andare in palestra. Si coprì con una felpa e poi tornó da Aron, non si era ancora lavato.
Era fermo, davanti al letto su cui riposava Klaus e lo osservava, era distrutto anche lui. Forse più abituato a gestire tutto quello stress, ma sicuramente provato. « ...Aron. » Lo raggiunse da dietro, posó una mano sulla sua spalla.
« Mh? » Si volse per cercare il suo sguardo, temeva sempre avesse bisogno di qualcosa.

Lei invece voleva confortarlo. « Starà bene, me l'hai detto tu, tua madre è stata brava. »

💎💎💎
Hola!
IO VI DICO SOLO CHE LA NOTTE È ANCORA LUNGA

Con questa vi saluto

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