CAPITOLO 12


Sometimes the people we love the most
Are the one's we're best without

Cassandra non amava lavorare, non l'aveva mai fatto in vita sua e credeva di non doverlo mai fare, perchè non ce n'era bisogno, perchè era una cosa da poveri. Eppure, Klaus aveva creduto che il suo problema fosse proprio quello: non aveva nulla, nessuno scopo, nessuna scaletta di cose da eseguire durante le giornate.

Quando era arrivata al maneggio, si era ritrovata la madre di Aron in veste di capo, era molto peggio che come contabile. Le aveva ripetuto che dovesse muoversi tutto il giorno, che non potesse pensare alle unghie rotte mentre puliva le stalle, mentre toglieva il letame e lo sporco in attesa che arrivasse la gente a controllare che i propri puledri vivessero in ambienti controllati.
Cassandra pensò che fossero troppo esigenti, poi ricordò di essere una di loro. Indossava un Barbour verde, dei pantaloni scuri che solitamente usava per montare e un cappellino nero, stretto sulla testa. Era strano vedere un'impiegata lavorare nel letame con almeno mille euro di vestiti addosso.

« Guarda che c'è da rimettere in ordine il capanno degli attrezzi, e la depandance dove ci sono tutte le cose per pulire. Muoviti! » Polly battè le mani per esortarla a fare prima. Si era aspettata tutto il giorno una risposta strana da Cassandra, di vederla sbuffare o lamentarsi. E invece quella faceva esattamente ogni cosa che lei le diceva. Si vedeva che fosse abituata a prendere ordini, li eseguiva in silenzio senza neppure provarci, a ribellarsi. Klaus era riuscita a renderla un soldatino, represso, frustrato e triste.

Continuò a spalare nel box dove c'era il cavallo Ricky, li tenevano tutti lí. Sperò che non venisse mai a trovarlo, che non la vedesse mai in quel modo. Spostava lo sporco da terra ad un carretto che aveva messo lí accanto. Puzzava di schifo, non vedeva l'ora di farsi una doccia.
« Senti tra quanto hai finito?
Vorrei montare. » Una voce familiare la richiamò da dietro, chiaramente non era stata riconosciuta.
Serrò i denti e si sistemò il cappellino in testa. Prese la pala, il carretto e si spostò.
« Prego. » Era Ricky, ovviamente.
Lui non la ringraziò neppure, camminò con gli stivali di pelle fino al box di Macchia, il suo cavallo. Solo quando le fu abbastanza vicino da poter sentire il suo odore disgustoso, capí che davanti avesse Cassandra. Restò fermo, pensò di avere le allucinazioni.
« Ciao Ricky. »
« Perchè stai pulendo? »
« Mio fratello si è inventato una nuova punizione, sono ufficialmente la pulisci stalle di questo posto. »
« E non ti sei incazzata? »
« Non ha senso arrabbiarsi con lui, o non ti ascolta, oppure decide di aumentare la punizione, fa sempre cosí. »
« Per quanto resterai qui? »
Lei alzò le spalle. « E che ne so, fin quando non sbollirà. »
« Ma che hai fatto? »
« Niente, ha trovato un po' di cocaina nella mia stanza ed è impazzito. » Sembró capire. Forse era successo anche a lui.

« Stasera che fai? »
« Mi laverò, spero. »
« Sono serio, perchè non usciamo? Cosí non pensi per un po' a tutto questo. Magari chiamiamo anche Vanessa. »
« Si, penso sia tornata. Dai, ci sta. »

« Cassandra! » La voce fastidiosa di Polina la richiamò all'ordine. « Si? »
« Ti ho detto che devi mettere in ordine il capanno, che stai facendo? »
« Il signore mi ha chiesto di fargli prendere il suo cavallo. »
Guardò Ricky per dirgli di stare zitto, non voleva sapesse che si conoscessero, avrebbe pensato che si fosse messa a chiacchierare per perdere tempo. Cosa che corrispondeva alla verità.

Lui si volse verso la donna. « Buongiorno. »
« Ma voi due non eravate amici? Vi ho visti al matrimonio. A me non le racconti le cazzate, Van Der Meer. » Era peggio di Klaus, molto peggio. Lei la osservava davvero, si ricordava cosa faceva e le cose che diceva. Battè gli stivaletti di pelle nel fango, nervosamente.

Il suo amico se ne andò, lei finí di pulire il box e poi rimise tutto in ordine. Cercò nella solita Goyard l'acqua che si era portata dietro, la teneva appesa ad un gancio nel box. Poi si spostò verso il capanno degli attrezzi, chi c'era stato prima aveva fatto un casino immenso. Roteò lo sguardo e iniziò a mettere in ordine, voleva sbrigarsi, cosí avrebbe fatto ricredere la mamma di Aron.
Prese a spostare tutto, a rialzare le scope e le altre cose poggiate a terra.
Ad un tratti vide qualcosa brillare nella polvere, non sembrava un attrezzo, forse era un chiodo, o qualcosa che si era rotto. Si chinò sul pavimento di legno per raccoglierlo, era un ciondolo.

Sembrava prezioso, se lo rigirò tra le mani e pensò fosse una fortuna l'avesse trovato lei, altri l'avrebbero potuto rubare. Lo strofinò con i guanti per pulirlo, sopra, sul retro, c'erano incise delle inziali, PN, aggrottò le sopracciglia. Si tolse i guanti e vide che era uno di quelli che si aprivano, antichi o comunque vecchi.

Lo aprí, dentro c'erano due foto, un maschio e una femmina, due bambini. Il primo era chiaramente Nowak. Collegò subito il cognome all'incisione, Polina Nowak. Doveva averlo perso.
L'altra bambina non la ricobbe, forse era una cugina, eppure Aron non le aveva mai parlato di alcun parente oltre sua madre. Sorelle non ne aveva, forse era qualcuno più legato a Polina, una zia. Comunque non erano affari suoi. S'infilò il ciondolo in tasca e andò verso l'ufficio di Polly per consegnarglielo.

Bussò un paio di volte, quando le aprí era nervosa, lo vedeva dallo sguardo che ci fosse qualcosa che non adava. Restò zitta. Magari il ciondolo le avrebbe tirato su il morale.
« Che vuoi? »
« Ho trovato una cosa che penso sia sua. »

Frugò nelle tasche ed estrasse l'oggetto in oro. Glie lo porse gentilmente, Polina sgranò lo sguardo, forse credeva non l'avrebbe mai più ritrovato. Sembrava quasi commossa.
Si portò le mani davanti al viso, doveva tenerci proprio tanto. « Si, si. È mio, pensavo di averlo perso per sempre. Grazie. »
« Si figuri. » Si sentí quasi a disagio, forse Aron sapeva perchè ci tenesse tanto. Poi glie l'avrebbe domandato. « Torno a lavorare. » Era cosí felice che si era dimenticata di urlarle di sbrigarsi, smise addirittura di considerarla. Se ne andò dietro la scrivania e iniziò a pulire quel gioiello come se stesse accarezzando una persona.

Cassandra alzò le spalle e tornò alle sue cose, quella donna era davvero strana. Il pavimento marcio scricchiolava sotto la gomma delle scarpe ogni volta che si muoveva per mettere in ordine qualcosa. Aveva iniziato a sentire caldo, tanto che per un momento pensò di togliersi il cappello.
Quando anche l'ultimo cacciavite fu messo nel suo cassetto, tornò alla sua borsa e decise che potesse concedersi una pausa, prima di riordinare la depancance.

« Menomale che qui dovevi lavorare. » Nowak. Non era raro vederlo lí.
« Ho messo in ordine il capanno fino ad ora, non rompere Aron. » Era impegnata a controllare le notifiche su instagram, altrimenti si sarebbe ricordata di domandargli del ciondolo di Polina.

« Dici cosí anche a mia madre, quando ti riprende? »
« Sono ancora viva, quindi, no. » Con le mani s'indicò il volto arrossato dalla fatica e dal sudore. Lei si odiava in quelle condizioni, Aron invece s'incantò come uno stupido.

« Per caso hai una sorella? »
Lui si accigliò immediatamente, si mise addirittura sulla difensiva. « Perchè questa domanda? »
« Perchè pulendo ho trovato un ciondolo di tua madre, quelli vecchi che si aprono e ci sono delle foto dentro, c'eravate tu e un'altra bambina. »
« No, io non ho sorelle. » Tagliò corto, Cassandra era quasi certa ci fosse dell'altro ma aveva imparato presto che spesso non fosse il caso di insistere. Si faceva solo peggio. « Comunque menomale che l'hai trovato, mi ha rotto una settimana perchè l'aveva perso, ora dirà che se l'hai trovato tu è un segno, cose del genere. »
« Crede in queste cose? »
« È fissatissima, se glie lo chiedi ti legge la mano e ti fa i tarocchi. »
« Allora quando finisco qui glie lo chiedo. »

Aron non aveva mai creduto a quelle storie, ma stava sempre per attento a cosa chiedere a Polina. Forse era solo suggestione, il modo in cui era cresciuto, ma non ci scherzava troppo. « Però attenta. »
« A che? » Lei si poggiò con la schiena alla ringhiera in legno del box.
« Non sempre dice cose belle. »
Posò il cellulare nella borsa. « Io lo so già quali sono le cose brutte della mia vita. »
« Che devi fare ancora? »
Sospirò. « Mettere in ordine la depandance, qualche idiota ha lasciato tutto incasinato. »

« Dai, ti do una mano. » Si sistemò i guanti sulle mani e senza dire altro camminò verso il luogo dove tenevano tutte le spazzole e le selle dei vari cavalli. Lei avrebbe dovuto dirgli che non fosse necessario, ma non ce la faceva più, voleva tornare a casa il più presto possibile.

Entrarono insieme, lei da una parte a mettere nel giusto contenitore ogni tipo di spazzola, lui metteva le selle nell'ordine giusto. Doveva aver passato parecchio tempo lí dentro per sapere dove andasse tutto precisamente, tanto almeno quando Cassandra. « Come mai sei passato? »
« Ti ricordi quella cosa che ti ho detto sulle associazioni? »
« Si, certo. » Lui aveva finito, la raggiunse per aiutarla a sistemare le ultime cose. C'era addirittura uno shampoo per cavalli. Qualche scemo se l'era scordato. « Tutta la contabilità la tengo qui. » Ecco perchè ci andava quasi tutti i giorni.

Lei ghignò, malefica. Era chinata verso il basso, si alzò solo per guardarlo negli occhi. « Allora a quanto pare ci vedremo spesso. »
Lui non riuscí a non rispondere a quello sguardo malizioso, si sporse in avanti con il capo, in modo che fossero troppo vicini. « A quanto pare, sono la tua punizione. »
« Sei fortunato, non tutti hanno la fortuna di passare tanto tempo con me. » Glie lo mormorò cosí vicino che sentiva il suo respiro sulla pelle, di solito sfidare gli altri le piaceva, era come giocare come un gatto con i suoi topi. Eppure, le parve solo di essersi messa in gabbia da sola.

Cazzo. Le mancò il fiato, dovette sbattere le palpebre qualche volta per restare collegata al presente. Schiuse le labbra, ma non osò avvicinarsi. Lui la guardava come si guarda una cosa rara, d'istinto allungò il collo, ma si fermò, appena prima di sfiorarle la bocca con la propria.
Ma che stai facendo Nowak.

Si scansò immediatamente, per poco non perse l'equilibrio all'indietro. « Senti, qui è quasi finito, io devo controllare delle cose. » Si schiarí la voce perchè dalla tensione gli era andata via.

Lei distolse immediatamente lo sguardo. Prese a pulirsi freneticamente le mani sul pantalone, sporcandolo ancora di più. « Si, si, vai. » Lei cercò qualcosa che la occupasse subito, stava per fare lo sbaglio peggiore di sempre, Klaus non l'avrebbe mai perdonata, e avrebbero litigato tutti.

Non è successo nulla, non è successo niente.
Continuava a ripeterselo mentre spostava freneticamente le cose, aveva in mano quel dannato shampoo, non sapeva dove diavolo andasse e s'innervosí, tanto che le mancò l'aria e iniziò a tossire. Tutto per uno stupido shampoo.
Si sbottonò il capotto pesante e tirò con un dito il collo del maglione di cachemire perchè si sentiva soffocare. Non le veniva più un attacco del genere da anni, a stento ricordava cosa dovesse fare. Cercò di calmarsi, si mise seduta a terra e iniziò a fare dei respiri profondi, allungò le gambe e provò a concentrarsi su altro. Le veniva in mente solo quell'idiota di Nowak, e più ci pensava, più le mancava l'aria. Le venne da piangere, stava impazzendo, proprio come sua madre.

Iniziò a contare le tegole di legno che formavano il pavimento.
Uno, due, tre, quattro...
Stava funzionando.
Cinque, sei, sette, otto...
Il cuore riprese a batterle normalmente, il respiro tornò lento. « Cassandra? »
Che palle. Ma perchè le stava sempre dietro. Non rispose. Sperò che bastasse stare zitta per farle smettere di gridare il suo nome. « Cassandra! »
Si sentiva tipo Cenerentola, piegò le gambe al petto e lasciò cadere la fronte sulle ginocchia. Tanto non poteva licenziarla. E poi il suo lavoro l'aveva fatto tutto, non poteva lamentarsi di niente.

La porta della depandance si spalancò. « Cass—Cassandra? » Il tono di voce cambiò a autoritario a sorpreso, quando la vide seduta a terra, con le braccia conserte. Si guardò intorno: ogni cosa era messa al suo posto. Bene. « Che ci fai qui? »
« Ho appena finito di sistemare, volevo rilassarmi un secondo. »
Polly la guardò, aprí la bocca per dire qualcosa poi pensò che non ve ne fosse bisogno. Per quella giornata era stata brava. « Dai, vieni nel mio ufficio, ci prendiamo un te caldo. »
Oh, si perfavore!

Scattò impiedi, le gambe sottili sembravano ancora più snelle quando spuntavano dal cappotto largo. Sfregò le mani sui pantaloni per pulire i guanti e seguí la donna, prima però passò a recuperare la sua Goyard. « Non dovresti lasciarla in giro. »
« Ma chi mai ruberebbe ad una dipendente? »
« Qualcuno che sa quanto costa quella borsa. »
« E quanto costa? »
« Non lo sai? »
« No. »
« Cioè tu compri le cose senza sapere quanto spendi? »
« Si. » Lo disse come se fosse la cosa più normale del mondo. Perchè, gli altri come facevano?
Polly scosse il capo e pensò che non potesse essere colpa sua, e forse neanche di Klaus. Non poteva sostituire i genitori che non aveva mai avuto.

Erano sedute nell'ufficio di Polina, Cassandra sulla poltroncina riservata ai clienti, l'altra sul sul trono. Stava cercando qualcosa nei cassetti, poi tirò fuori delle foglie scure chiuse in un sacchetto di stoffa trasparente.
« Ti piace il te nero? » Si alzò, a sinistra c'era un tavolino dove si appoggiava un bollitore già pieno. Lo fece partire premendo un pulsante sul manico.
« Si, si. »
« Ci vuoi zucchero o altro? »
Cass scosse il capo. « Mi piace amaro. »
« Mh. » Annuí come se avesse detto qualcosa di interessante. Prese una tazza bianca e una scura. Ci mise dentro delle foglie e poi l'acqua bollente.

Era uno strano modo di prepararlo, non rimanevano tutti i pezzetti dentro, poi? Cassandra accettò un po' sorpresa. « Grazie. » Si era già tolta i guanti, il calore della porcellana bollente le scaldò subito le mani. Fu piacevole poterne godere dopo una giornata di lavoro.
« Allora, che hai fatto per far incazzare cosí tanto tuo fratello? » Tornò a sedersi, lo sguardo puntato in quello della bionda.
« Ma no, non è cosí tanto arrabbiato. » Non aveva voglia di dirle della cocaina, non le andava di subire la solita ramanzina anche da lei. Avvicinò le labbra al te, si bruciò.
« L'ultima volta che l'ho sentito diceva che il lavoro era per quelli che non potevano permettersi altri che lavorassero al posto loro. » Quindi assolutamente denigrante.
« Vabbe, dice un sacco di stronzate. »
« Ma anche qualche verità. »
« Perchè non lo chiede a lui? »
« Perchè voglio saperlo da te. »
« Ha trovato... » Prese un respiro profondo, odiava dover parlare quando non ne aveva voglia. « Ha trovato della cocaina tra le mie cose, ma era poca. »
Lei non fece la faccia che Cassandra si aspettava, restò molto tranquilla. Semplicemente, Polly non era ipocrita. Tutti si erano scagliati contro di lei ma chiunque aveva provato a drogarsi in quell'ambiente, perfino il suo amato figlioletto, Aron. « Mh. Una volta io scoprii Aron e tuo fratello, nello stesso modo. »
« Non ci credo. »
« Mi incazzai tantissimo. »
« E io che pensavo fossero super puliti. »
« Nessuno è super pulito, come dici tu. »

Il te si era un po' raffreddato, prese a berlo lentamente. Era buono, forte come piaceva a lei, intenso. Socchiuse gli occhi, beandosi del calore che le regalava in tutto il corpo.
« È proprio buono questo te. »
« Io metto le foglie direttamente nella tazza, le lascio stare lí. »
« Devo dire a Greta di farmelo cosí. »
« O potresti provarci tu. »
« Dice che ci riesco? » Cassandra non si era mai fatta nulla da sola, un po' perchè non aveva voglia, un po' perchè non si era mai sentita capace di riuscire a stare al mondo senza una domestica che le spiegasse come fare.
« Certo. »

Accavallò le gambe, il te nella tazza era quasi a metà. « Lei sa per quanto dovrò lavorare qui? »
« No, non mi è stata data alcuna informazione, ma non credo per troppo tempo. »
Sorseggiò ancora la bevanda. « Ah, quasi mi piaceva. » Risero entrambe, avere uno scopo nella giornata non era cosí male. Tenersi impegnata era un bel modo di passare il tempo. Magari in mezzo a meno fango, e poi il maneggio le piaceva. Le era sempre piaciuto.

« Se vuoi posso trovartelo davvero, un lavoro qui, qualcosa che ti piaccia. » C'era qualcosa in Cassandra, qualcosa che la incuriosiva, che le faceva pensare ne valesse la pena. Forse era il motivo che attraeva la gente, e suo figlio.
« Tipo? »
« Qui gestisco tutto io, una mano mi farebbe comodo. Mi potresti aiutare con gli eventi, ad organizzare un po' tutto, gli incontri con i clienti. » Gesticolò, quando sollevò le mani verso l'altro Cassandra notò tutti i bracciali d'oro che teneva ai polsi.
« Tipo segretaria. »
« Una specie. » Annuí, facendo oscillare i cerchi che le scintillavano appesi alle orecchie.
L'altea esitò un attimo.
« Secondo lei a Klaus va bene? » Non gli piaceva quando faceva di testa sua, non aveva voglia di farlo arrabbiare ancora di più.

Scacciò via le parole della giovane con un gesto della mano. « A tuo fratello ci penso io. »
« Allora va bene, mi piace questo posto. »
Polly si prese un momento di silenzio, bevve il suo te e poi sollevò lo sguardo. « Lo so. »

Le venne subito in mente un'altra cosa. « Ah, mi ha detto Aron che fa delle donazioni a delle associazioni... » Non ricordava di preciso di cosa si trattasse, sapeva solo c'entrassero i bambini e la Polonia. « Mi ha detto che ci tiene molto, potrei aiutare anche lui, visto che tanto tiene tutto qui, che ne pensa? »
La donna andò subito in allarme, come se avesse sentito qualcosa di assurdo. Ma Cassandra in realtà non sapeva niente. « ...Che ti ha detto Aron? »
« Che fa queste donazioni, mi ha detto che quando eravate in Polonia ha sofferto la povertà e ora fa queste cose qui... » La bionda non sapeva avesse vissuto in casa famiglia, che Polly lo avesse abbandonato per otto anni, fin quando suo padre finalmente non era finito in carcere, e poi era scomparso.
« Ah, si, si. Le donazioni. » Era strano che lui le avesse raccontato quelle cose, e poi quando l'aveva fatto? Si erano visti? Erano cosí in confidenza? I tarocchi non sbagliano mai.
Cass prese altri sorsi di te, sul fondo rimasero solo le foglie che Polina aveva usato per aromatizzare l'acqua. Risaltavano tantissimo sulla porcellana bianca della tazza.

« Hai finito? »
« Si. »
« Passami la tazza perfavore. »
Allungò un braccio in modo da invitarla a fare come le aveva detto. La bionda restò un po' perplessa, ma l'accontentò. L'altra prese ad armeggiare con l'oggetto tra le mani, poi lo capovolse su un piattino che aveva preso prima per poggiarci sopra la propria tazza, era concentratissima. Cassandra rimase quasi incantata. Picchiettò tre volte sul retro.

Sollevò la tazza e la posò nuovamente sulla scrivania. Lo sguardo serissimo, impegnato ad analizzarne l'interno. « C'è tanta solitudine nella tua vita, tesoro. » E lei che ne sapeva? La bionda si sentí presa alla sprovvista, si resse alla sedia spingendo i polpastrelli sul il bordo. « Interessante... »
« Cosa? » Ma tanto tu non ci credi a queste cose, vero?
« C'è un pericolo, qualcosa a cui devi stare attenta, una specie di prova, e poi... ah, questa cosa è strana davvero. »
« Che cosa? » Cassandra ripensò a quello che le aveva detto Aron. Si sporse in avanti con il collo, come se potesse capirci qualcosa dei simboli che Polina le stava leggendo nel te.
« Amore, Van Der Meer. »
« Magari è mio fratello che mi perdona. »
« Potrebbe, forse la prova difficile è il tuo percorso qui. » Anche se la donna stava già pensando ad altro. L'ultima volta che aveva fatto una lettura simile la ricordava bene, perchè era quella di suo figlio. Lui si era messo a ridere e le aveva detto che fosse vera, che ogni s'era s'innamorasse di una diversa, e che l'unica donna della sua vita fosse lei, la sua Polly.
Quella storia non le piaceva per niente.

La voce della giovane la rubò ai suoi pensieri. Per fortuna, a volte erano una tortura.
« Può insegnarmi a fare questa cosa? »
« La tasseomanzia? »
« Si, sembra interessante. »
Non se lo aspettava, la signora Nowak alzò le sopracciglia come se si fosse appena resa conto di qualcosa. Poi tornò seria.
Arricciò le labbra dipinte di rosso scuro e cercò nel solito cassetto una sigaretta da accendersi.

« Vediamo, vediamo. » Quelle cose si tramandavano di madre in figlia, non aveva mai pensato di poter insegnare l'arte della profezia a qualcuno, meno che mai alla sorellina dell'amico di suo figlio. Tutto quello che sapeva l'aveva imparato da sua madre, che aveva imparato da sua nonna.

Ma la vita sapeva essere imprevedibile.
E forse Cassandra non era solo una ragazzina viziata.
Quella peste le stava piacendo più di quanto avesse pensato, e aveva paura, perchè i grossi cambiamenti si portavano sempre dietro qualcosa di brutto da affrontare. « Per il momento, vediamo come te la cavi con la serata di domani, è una finta cena di beneficenza per raccogliere i fondi da dare alle associazioni di cui si interessa Aron. »
« Perchè finta? »
« Tutti saranno qui per fare relazioni sociali, a nessuno frega niente di quelle associazioni. »
Cassandra comprese subito, abbassò il capo e parlò da sola. « Però faranno a gara per chi offre di più. » Chi poteva essere più adatta ad occuparsi di quelle cose di una che conosceva alla perfezione l'ambiente? « Ho un budget? »
« Si, poi ti mando per mail tutti i dettagli, scrivimi il tuo indirizzo qui. » Le passò un foglio, mentre teneva accesa a mezz aria una vogue sottile. A Cassandra sembrò elegantissima. Prese una penna da un vasetto lí vicino e scrisse la sua mail nella maniera più chiara e ordinata che potesse.
Era la sua occasione per mettersi alla prova, voleva crederci, nella lettura che le aveva appena fatto Polly, e per lei non aveva nessun altro significato se non quello del perdono del fratello.
Anche se chissà cosa poteva riservarle il destino.

💎💎💎
Questo capitolo è uno dei miei preferiti, adoro la madre di Aron e adoro lei con Cassandra.
La storia sta cominciando a prendere forma, che ne pensate fino ad ora? Cosa vi aspettate succeda in futuro?
Secondo voi il rapporto tra Klaus e Cass andrà meglio o peggio?
E Lidia, che ruolo avrà?

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