CAPITOLO 11


Everybody has a chapter
They don't read out loud

Aron non aveva più tirato fuori il discorso Cassandra, con sua madre. Polly aveva dato il suo giudizio, e valeva come una sentenza. Di solito non sbagliava mai, suo figlio non aveva mai capito come facesse, parlava sempre di tarocchi e pietre ma lui non ci aveva mai dato peso. Pensava solo fosse estremamente saggia, che sapesse guardare oltre, meglio di chiunque. Vedeva cose che gli altri ignoravano, e poi finiva sempre che erano quelle più importanti. Per questo non capiva come mai si fosse fissata con la sorella minore di Klaus.
Era sempre stata con loro, Polly la conosceva da prima che nascesse, non gli aveva mai intimato di stare attento. E poi perchè credeva avessero scopato?

Quel pomeriggio non aveva nulla da fare, cosí si era messo a controllare le ultime donazioni che aveva fatto ad un'ente in Polonia che si occupava di minori senza famiglia, se l'affare con Vincent fosse andato bene come sperava, avrebbe dovuto fare molti meno casini per far arrivare correttamente il denaro. Avere una base che gli riciclasse il denaro in Europa era fondamentale.
Era seduto nello studio di sua madre, i documenti della contabilità erano tutti lí.
« Non ti fidi del mio lavoro? » Lei lo incalzò mentre stava risistemando dei fogli, Aron non avrebbe mai dubitato della precisione di sua madre.
« No, è che volevo mandare qualcuno sul posto per verificare, voglio capire se tutto quello che gli mando lo usino davvero per migliorare le strutture, e i servizi. »
« Perchè ci tieni tanto a questa cosa? »
« Lo sai perchè ci tengo. »
« Non guarirai le ferite del passato... »
« Senti mamma, lasciami stare, lo farò finchè avrò voglia. »

Rimise in ordine alcuni fascicoli, poi controllò il cellulare, un messaggio di Klaus. Roteò lo sguardo, se scriveva aveva sempre qualcosa di negativo da raccontargli. Qualche piano da architettare. Almeno avrebbe trovato da fare.

Mi serve che mi trovi un lavoro per una persona, tua madre al maneggio ha bisogno di qualcuno?

Aron aggrottò le sopracciglia, perchè non poteva prendere quella persona a lavorare direttamente con lui? Poi pensò che volesse trovarle qualcosa di legale, Klaus si occupava principalmente dei lavori sporchi. Comunque, non era un problema.

« Mama, riesci a trovarmi un lavoro al maneggio per una persona? »
Lei assottigliò lo sguardo. « E chi sarebbe questa persona? » Vero, Aron non si era posto neppure quella domanda. « Che sa fare? Io un lavoro glie lo trovo, ma devo sapere dove metterla. »
Lui alzò le spalle. « È per Klaus, mi ha chiesto un lavoro, se non ha detto altro significa che puoi metterla anche a pulire le stalle. »
« Mah, lo capisci solo tu. » Si portò una mano su un fianco. Non le piaceva quando non poteva fare a modo suo.
« Allora? »

« Comincia domani alle sei, ci parlo io. » Aron roteò lo sguardo, ancora. Era molto più facile comprendere Klaus che quella matta di sua madre.
« Dziękuję. »
*Grazie.
« Guarda che lo faccio per te, quel tuo amico, Alopex come lo chiami, non mi fido, non lo capisco. »
Aron sospirò, allungò le mani sulla scrivania. « Tu non ti fidi di nessuno. » E poi sapeva volesse bene a Klaus, l'aveva in qualche modo cresciuto anche lei.
Era solo diffidente, e le piaceva stare sulle sue.
Polina si accigliò, lo fulminò con lo sguardo.
« E faccio bene. » Poi battè con il palmo della mano sul tavolo. « E alza il culo dalla mia scrivania. »
Lui alzò le braccia e allargò gli occhi, si alzò immediatamente. « Agli ordini. »
« Comunque vedi di non fare casini, con quella storia dell'associazione. » Serrò i denti, si mise dall'altra parte della srivania. Al suo posto.
« Non pensarci troppo, Polly. » Polina aveva cercato in tutti i modi di farlo staccare da quel posto, da un passato che nessuno di loro voleva ricordare. Eppure Aron sembrava non aver trovato pace ai suoi tormenti, e questo distruggeva sua madre, prima di tutto. E poi a che se stesso. Non capiva cosa sperasse di ottenere, quali colpe espiare.

Uscí dall'ufficio di sua madre, una mano cercò il cellulare nella tasca del Barbour, mentre gli stivaletti di pelle scivolavano nel fango.
« Nowak. » L'accento inconfondibilmente francese di Vincent gli rispose quasi subito. « Immagino tu voglia sapere cosa ho deciso di fare con la tua proposta. »
« Esattamente. »
« Puoi mandarmi i soldi, ho deciso di accettare. D'altronde ti chiamano Wilk perchè sei fedele, vero? »
Lui sorrise, pensando che quello era il modo in cui Klaus lo chiamava da piccolo, se l'era inventato proprio il maggiore dei Van Der Meer, e Aron gli aveva dato il suo, Alopex. L'aveva sentito ad una sua compagna di scuola, era greca, gli era piaciuto. « Si, dicono cosí. Avrai tutto entro questa settimana. » In che guai ti stai cacciando, Aron? E Tutto per non incassare neppure un dollaro. Solo per quella stupida associazione.
« Au revoir, Nowak. »
« *Dopóki znów się nie spotkamy. »
*Arrivederci.

Chiuse la chiamata, poi inviò un messaggio a Klaus.

Polly ha detto di mandargliela domani alle sei.

Anche Klaus la chiamava in quel modo carino, alla fine aveva fatto da mamma un po' ad entrambi, solo che quando Klaus aveva dovuto prendere il posto del padre, l'aveva perso completamente di vista. Era passato da essere l'innocente amico del figlio, al capo del clan più spietato di New York, e non lo capiva più.
Ma gli voleva bene.
Un altro messaggio da Klaus.

Agli ordini.

Aron rise leggendolo, si divertivano a farla impazzire, era sempre stata molto autoritaria, con entrambi. Non volle chiedergli di chi si trattasse, non era importante, si fidava.

Il giorno dopo si svegliò prima per andare in palestra, negli ultimi giorni c'era passato il pomeriggio, ma quel giorno non poteva, aveva da sbrigare alcune cose per velocizzare le pratiche con cui mandare il denaro a Vincent. E poi doveva trovare un modo per capire se i suoi soldi venissero usati come volesse, in Polonia.
Si aspettava di trovare Dominic con Cassandra, invece non fu cosí. Quando aprí la porta a vetri che dava sull'ampia sala, rimase quasi deluso, come se ci sperasse. Lasciò il borsone con il cellulare e le sue cose a terra e andò ad allenarsi, come faceva sempre.

Il suo modo preferito era tirare pugni contro il sacco, il metodo migliore per sfogare la tensione, le ansie, le preoccupazioni. Odiava che sua madre non appoggiasse le sue idee, lo faceva solamente perchè aveva paura del passato.
Invece Aron voleva affondarci dentro, guarire e farsi ancora più male. Non era mai stata una storia facile, quella della sua famiglia. I primi anni di vita lui li aveva passati in una casa famiglia in Polonia, suo padre non l'aveva mai visto in faccia e da quello che gli raccontava Polly era una benedizione. Lei era riuscita a riprenderselo solo quando era diventato più grande, aveva otto anni, la conosceva come una signora che gli volesse bene, che lo andava a trovare spesso. Ogni tanto gli portava dei vestiti nuovi, qualche regalo per renderlo felice.
Non si era mai chiesto perchè.

Poi una mattina, gli avevano detto che fosse sua madre. E lui era stato davvero contento, non era più un orfano, aveva qualcuno. Solo da grande aveva avuto il coraggio di domandarle perchè diavolo l'avesse abbandonato.
Lei aveva risposto che fosse stata colpa di suo padre, era un violento e la picchiava, aveva paura che potesse far del male anche a lui. I vicini avevano chiamato gli assistenti sociali ed erano finiti in quel casino, ma non era arrabbiata, gli raccontò che per fortuna qualcuno avesse avuto il coraggio di avvisarli.
Non parlava volentieri della sua vita prima, di polacco le era rimasto solo l'accento, qualche tradizione. Ma sapevano tutte di povertà e disperazione.

Aron si era domandato spesso perchè ripudiasse tanto le sue origini. A cosa davvero non volesse pensare. Anche lei a volte era incomprensibile.
Lui la casa famiglia dalla testa non se la riusciva a togliere, l'odore di umido, il freddo e il cibo scaduto. Non avevano niente, neanche le medicine per curarsi, neanche i fazzoletti per soffiarsi il naso quando colava.
E allora voleva che chi fosse ancora lí, la gente a cui fosse toccato il suo stesso destino, non soffrisse come aveva sofferto lui. Che il suo riscatto sociale avesse un senso.

Quando erano scappati a New York aveva fatto amicizia con Klaus quasi subito, si erano incontrati per caso a Central Park, quando dei tizi si erano avvicinati per picchiarlo. Nowak aveva visto la scena da lontano e si era subito messo in mezzo per aiutarlo, anche se non lo conosceva, anche se avrebbe dovuto odiarlo perchè aveva tutto quello che lui non possedeva: un padre, soldi, un bel cappotto. Il signor Van Der Meer era rimasto nascosto, aveva visto dei bulletti avvicinarsi a Klaus, voleva che imparasse a cavarsela da solo. Quando vide il modo in cui Aron intervenne, la rabbia con cui aveva colpito i suoi nemici, pensò che dovesse metterlo alla prova con qualche lavoretto.
Fu cosí che iniziò tutto.

Da quel momento divennero Alopex e Wilk, inseparabili. Non avevano nessun altro oltre che loro, l'amicizia che li legava.
« La faccia di chi stai immaginando al posto del sacco? »

Era cosí perso nei suoi pensieri, che non si era accorto di Klaus. Gli sorrise. « Che domande, fratello. La tua. » Poggiò una mano su un fianco, raccattò l'asciugamano per togliersi il sudore di dosso. La poggiò attorno al collo, poi si fregò i capelli ricci.
« Grazie per quel lavoro. »
« Figurati. Mi dispiace solo per il tizio a cui hai fatto il favore, dovrà subirsi mia madre. »
Si chinò per prendere una bottiglia d'acqua dalla borsa, la svitò velocemente e la portò alle labbra.
« Ci avevo pensato, la persona che le ho mandato non è un tizio, è mia sorella. »
« Scherzi? » Non si era mai rifatta neppure il letto della sua stanza, Polly l'avrebbe massacrata.
« No, non scherzo. »
« E perchè? »

Klaus si massaggiò una tempia. « Perchè l'altro giorno ho trovato della cocaina nel suo armadio, ecco perchè le sanguina sempre il naso. » Aron era l'unico suo confidente, non parlava con nessun altro in quel modo. Se solo avesse saputo che lui lo sapeva già da Parigi. Si sentí uno schifo, non aveva mai mentito ad Alopex.

« E quindi dici che lavorando smette? »
« Intanto si responsabilizza, non ha mai lavorato un giorno in tutta la sua vita, magari cambia qualcosa nella sua testa... non lo so. »
Non aveva mai idea di come comportarsi con Cassandra, ogni cosa che faceva era sempre peggio. « Secondo me Polly ha le potenzialità per rimetterla in riga. »
Aron rise. « Polly rimette in riga chiunque. »
« Lidia pensa che potrebbe farle bene. »
« È psicologa, no? Se lo dice lei è giusto. »
« Sai quanti ne ha visti mia sorella? » Si mise seduto sulla panchina vicino ad Aron, il volto rassegnato. Forse Cass non ricordava neppure quello, ma da piccola ne aveva cambiati almeno sei. Nessuno capiva quale fosse il problema.
« Non lo sapevo. »
« Mio padre voleva che restasse un segreto, che gli altri non pensassero ci fossero problemi. » Forse era proprio quello il problema, Klaus. Era stato lui, il primo ad insegnargli che spesso fosse meglio tacere, i segreti erano più facili della verità.
« Mi ricordo che una volta le venne un attacco di panico, cosí, senza motivo, mentre giocavamo insieme. »
« Eh, quando era piccola ne soffriva. Non so neanche se se lo ricorda. »
« Pensi che il suo cervello abbia rimosso tutte quelle cose? »
Annuí. « Si, ed è colpa mia. »
Lui gli si avvicinò da dietro, cercò di confortarlo con una mano sulla spalla. « Dai, Klaus, avevi appena ventidue anni, non potevi fare meglio di come hai fatto. » Improvvisamente fu contento di non avergli raccontato di Parigi, avrebbe sofferto molto di più. « Vedrai che mia madre la saprà gestire. »

Klaus nascose il capo, si chinò verso il basso. « Non lo so, ho paura che finisca come la mia, nessuno ha mai capito cosa avesse in testa. »
A quel punto Aron gli si mise davanti, cercò il suo sguardo e provò a infondergli tutta la sicurezza che potesse. « Cassandra non è sua madre. » Lo disse con una tale convinzione che riuscí a ridare un po' di vita anche all'espressione persa del suo amico. « Hanno lo stesso viso ma non sono la stessa persona. »
« Giusto. » Non sembrava ancora sicuro. E come poteva?

Aron gli prese il volto tra le mani, per costringerlo ad ascoltarlo. « Senti, se vuoi mi faccio dire da mia mamma come si comporta, cosa ne pensa, okay? »
« Si, lei capisce sempre più di tutti. » Klaus lo ammise, aveva uno sguardo che andava oltre le cose. Lui sapeva essere furbo, Polina vedeva la verità. « Forse con una figura femminile è diverso, forse l'ascolta. »
« Magari si sente capita. » Klaus non ne aveva davvero idea. Era anche convinto che neppure Cassandra sapesse la ragione del suo malessere, soffriva e basta, come se le piacesse.

« Si, magari. Stasera io e Lidia volevamo andare a bere qualcosa, vieni anche tu? »
Aron si mise a sedere accanto a lui. « Mi sa che sarei di troppo. » Rise, si tirò dietro il borsone per cercare la maglietta che si era tolto per non morire di caldo.

« Viene anche una sua amica, dai, almeno ci distraiamo un po'. » Magari.
Lui assottigliò lo sguardo. « Stai cercando di farmi accasare, Alopex? »
« Tranquillo, so che sei un Lupo solitario. »
« Allora vada per stasera, anche io ho bisogno di staccare la testa. »
« È per quella storia di Vincent? »

« Si, più o meno. »
Aron era un tipo solitario, appunto, come un lupo. Potevi confidargli qualsiasi cosa, ma era impossibile che condividesse con chiunque i suoi tormenti, fin quando non aveva bisogno di aiuto.

Klaus si alzò. « Allora ci vediamo stasera. » Non c'era bisogno che lo ringraziasse per averlo fatto sfogare, funzionava cosí tra loro. C'erano sempre.
« A stasera, Volpe. » Quando quel soprannome lo pronunciava lui, perdeva tutto il significato minaccioso. Una cosa cosí paurosa per gli altri, tra di loro era un modo per tornare bambini.

Continuò ad allenarsi ancora per qualche ora, poi pensò fosse il caso di mettersi al lavoro. Riprese le sue cose e andò a farsi una doccia, gli piaceva quando era ghiacciata, lo faceva sentire vivo.
Uscí e la prima cosa che fece fu controllare il cellulare, aveva sei chiamate perse da Polly. Gli venne da ridere, pensò che Cassy le avesse dato filo da torcere. Si asciugò i capelli e poi la richiamò.

« Meglio tardi che mai. »
« Allora? Che devi dirmi di cosí urgente? »
« Tu lo sapevi che la persona era Cassandra? »
« No, l'ho saputo poco fa. Ma perchè, è un problema? »
Ci fu un momento di silenzio. « Che diavolo avete in mente tu e Klaus? »
« Lui sta cercando di... gestirla, ha fatto un po' di cazzate, pensa che un lavoro possa responsabilizzarla. »
Lei sospirò. « Pensa che sia una punizione, lo sai? »
« Più o meno lo è. »
« E perchè ha fatto queste cazzate? »
« E io che ne so. »
« Non glie l'avete chiesto, è diverso. »
Aveva ragione, come al solito Polly non ne sbagliava una. Forse avrebbe dovuto parlare con Klaus. Poi ricordò dell'incontro che avevano avuto a Parigi, gli aveva confessato che nessuno le avesse mai chiesto perchè odiasse tutti.

Le labbra di Aron si allargarono in un sorrisetto malizioso. « Adesso la difendi? Pensavo ti ci sarebbe voluto più tempo per farti affezionare. » Stava cercando il cambio, il telefono in vivavoce.
La sentí sbottare. « Ma che difendo, sono solo oggettiva. » Riusciva perfino ad immaginarla mentre gesticolava. « Quella ragazza... non lo so, c'è qualcosa che non mi convince. »
« Stacci un po' dietro, se riesci. »
« Io sto dietro a tutto quello che succede nel mio maneggio. »
Lui ghignò, era sempre la solita. Alla fine non ce la faceva mai a non farsi coinvolgere. « Allora meglio cosí. »

Chiusero la chiamata e Aron finí di prepararsi, doveva assolutamente risolvere la questione Polonia. Tornò a casa e si mise a cercare i primi voli per Cracovia, o Varsavia. Gli bastava anche qualcosa che non fosse in prima classe, a differenza di Klaus lui non c'era nato nella ricchezza, era questo che lo rendeva spesso quello con i piedi per terra. Sapeva come ragionassero le persone fuori dal loro mondo. E Cass viveva nella bolla che Klaus le aveva costruito attorno.

L'appartamento in cui viveva era piccolo, non gli piacevano gli spazi enormi e vuoti. Era stato abituato alle case minuscole con tanta gente dentro, non riusciva a concepire un'abitazione non a misura d'uomo, gli pareva uno spreco, tutte quelle stanze, e dentro non c'era nessuno. Era una cosa che non si toglieva dalla testa.
Era composta da un breve ingresso, un salottino, poi c'erano lo studio e la cucina, tutti in un grande open space, i colori predominanti erano il bianco e il nero. Anche in camera da letto.

Se ne stava dietro la scrivania con le mani poggiate ai lati del computer. Lo sguardo attento sui giorni e gli orari. « Forse se parto domani... »
Parlava da solo, aveva perso la cognizione del tempo. Solo quando iniziarono a bruciargli gli occhi si allontanò, poggiando la schiena indietro. Che ore erano? Sera, non se n'era neppure accorto, non aveva neanche pranzato.

Si alzò per cercare qualcosa in frigo. Nulla.
Sbuffò, aprí il congelatore, era avanzata della carne. Alzò le spalle, se la sarebbe fatta andare bene per quella sera. Gli era rimasto l'odio per lo spreco, aveva molti soldi, ma non li buttava mai. Aveva vissuto troppa povertà per potersela togliere dai modi di fare. Non sarebbe mai stato come Cassandra. Anche se lei aveva avuto altri casini. Ad ognuno i propri guai.
Indossava il sotto di una tuta e girava a petto nudo, casa sua era caldissima, odiava il freddo. Quella era un'altra cosa che aveva patito troppo.

Andò verso la cucina e cercò una padella, le teneva chiuse nel forno. La posò sul piano a induzione, poi prese la carne e la lasciò fuori per farla scongelare. Sarebbe venuta una buona bistecca. Nell'attesa decise di mettere in ordine lo studio, controllare il cellulare.
C'era un messaggio di sua madre.

Che hai mangiato a pranzo?

Roteò lo sguardo, gli venne da ridere. Sempre troppo apprensiva. Anche lei viveva di sensi di colpa, si malediceva ogni giorno per non essere riuscita a viversi suo figlio sin dalla nascita. Anche se Aron sentiva ci fosse qualcosa di più, qualcosa di peggio che non volesse confessargli.

Un panino con il prosciutto.

Mentí solo perchè non aveva voglia di sentirsela, tanto gli avrebbe risposto comunque che fosse troppo poco.

Cioè niente, non puoi allenarti tutto il giorno e non mangiare niente.

Rise ancora, aveva trentadue anni e gli mandava gli stessi messaggi che leggeva quando aveva diciannove anni. Lui glie lo lasciava fare, perchè ne aveva bisogno, per rimediare a delle colpe che si era data da sola.

Devo mantenere la linea. Se poi ingrasso alle ragazze non piaccio più

Lo disse apposta per provocarla, sapeva quanto fosse gelosa, e quanto odiasse la vita da scapolo che faceva. Se proprio doveva immaginarlo con qualcuna gli avrebbe visto bene accanto una ragazza pacata, dolce, pronta a servirlo e riverirlo come, secondo lei, meritava.

Sei proprio stupido

Scoppiò a ridere con il cellulare in mano. Decise di non risponderle più, aveva altre cose da fare. Tornò nello studio e iniziò a mettere tutto in ordine, minuziosamente, come piaceva a lui.

Era molto rilassante, trovare il posto esatto e la posizione corretta ad ogni oggetto. Non c'era nulla nelle sue stanze che non avesse un suo spazio. Perfino il portapenne di pelle doveva avere una certa angolazione, le cose nei cassetti, l'intensità della luce e quel fermacarte d'oro che gli aveva regalato Klaus quando avevano concluso il loro primo grosso affare.

Quando ebbe finito guardò la scrivania di cristallo tutto compiaciuto, era cosí pulito che pareva gli oggetti fossero sospesi in aria, si vedevano bene le gambe in acciaio e la sedia in pelle nera dietro.
Erano già le sette e mezza, la sua carne non era ancora pronta per essere cotta.

Si mise al telefono, controllò che non vi fossero altri messaggi e poi pensò che leggere fosse una buona idea. Di solito rileggeva più volte gli stessi libri, gli piaceva quando conosceva già come finissero. Quella sera però volle provare altro, Guerra e Pace lo attendeva pesante sul tavolino davanti al divano. Era di marmo, nero, cosí pesante che aveva dovuto metterci un tappeto sotto. Anche quello, posizionato in modo tale da dargli una specie di soddisfazione interiore.
Era maniacale.

Neanche il tempo di aprire la sua lettura, che s'illuminò il cellulare che aveva poggiato al posto del tomo. E chi era adesso?
Cassandra. Aggrottò lo sguardo.

« Si? »
« Non sei felice di sentire la mia voce? »
Sorrise. Era felice. « Che hai combinato? »
« Niente, non è che se ti chiamo ho per forza combinato qualche casino. »
« Ha fatto qualcosa mia madre? »
« No, no, anzi, è molto gentile. »
« Polly, gentile? » E poi con lei, che aveva sempre fatto credere di detestare?
« In confronto a Klaus, è una passeggiata. »
« Non saprei. »
« Klaus è gentile con voi, con i suoi amici, con me è un sergente. »
« Ma perchè hai chiamato? »

Esitò. « Eh... per chiederti un consiglio. »
« Su cosa? » Gli venne difficile pensare a qualcosa per cui potesse chiedergli un parere. In comune non avevano nulla.
« Klaus te l'ha detto che cosa è successo, no? »
« Della cocaina nell'armadio? Si, so tutto. »
« Come faccio a rimediare? Si rifiuta di parlarmi, non mi guarda neanche in faccia, già prima praticamente non esistevo, adesso ancora meno, per una cazzata, poi. » Sul fatto che fosse una cazzata aveva da ridire, ma non erano fatti suoi.

Si mise a sedere sul divano, più composto, come se lei potesse vederlo. « Io lo so che non te l'ha mai dimostrato, ma per lui sei sempre stata importantissima, sei fondamentale, è terrorizzato dall'idea di poterti perdere. » Non sapeva neanche perchè si stava mettendo in mezzo a quella storia, erano cambiate tante cose da quando Klaus aveva deciso di andare da Lidia, e ora che ci stava insieme, gli equilibri si stavano riorganizzando. Era difficile. « Devi dargli tempo, e magari non fare più cazzate, tipo quella al matrimonio di Elijah, o... » Doveva dirglielo? Ma si. « Quella a Parigi. »
« E tu che ne sai di Parigi? »
« Ho incontrato Vanessa mentre andavo via, mi ha implorato di aiutarla. »
« A fare cosa? »
« A starti dietro. »
« Che stronza. »
« È l'amica migliore che potessi avere, ti vuole bene da morire. »

« E perchè non hai raccontato nulla al tuo Alopex? » Il tono di voce era indispettito, provocatorio. Quando faceva cosí gli sembrava una bambina.
« Perchè avrebbe reagito male, avrebbe fatto peggio. »
« Ah. Grazie. »
« Fagli capire che ti sei resa conto di aver sbagliato. »
« Dici che funziona? »
« Si, penso di si. È spaventato, è solo spaventato. »
« Lui spaventato? »
« A te fa vedere che è forte, in realtà è fragile, Cassy. » Come tutti, del resto. Nessuno amava mostrare le proprie debolezze.

« E anche tu lo fai? » Quella domanda lo sorprese, di solito lei non ne faceva mai.
Si accigliò qualche momento.
« Che c'entro io. »
« Niente, sono curiosa. »
Decise di dirle la verità. Era pur sempre la sorella del suo più fidato amico. « Certo, nessuno è invincibile, neanche io. »
La sentí ridacchiare dall'altro lato del telefono, sorrise, non se ne rese neanche conto. « Sembri un po' tua madre quando parli, sai? »
« No, ti prego, anche io sparo sentenze su chiunque? »
« No, ma sembri saggio ogni tanto. »
Lui si compiacque di quel commento.
« Ogni tanto. »
« Si, ogni tanto. »
« Tu invece sai a chi somigli? » Sapeva già si aspettasse una risposta diversa.
« Si, a mia madre, me lo dicono tutti... »

« No, somigli tanto a tuo fratello. »
« Lui è pieno di amici, fidanzatissimo, tutti lo adorano o lo temono.
Non mi sembra proprio. »
« Prima che morisse tuo padre era diverso. »
« E chi se lo ricorda. »
Aron sospirò. « Io, io me lo ricordo bene. » Si stese sul letto. Aveva sonno? O era solo rilassante la voce di Cassandra?
« E ti ricordi anche mia madre? »
« Si, certo, avevo dieci anni ma qualcosa ricordo. »
« E com era? »
« Klaus non te ne ha mai parlato? » Si portò la mano libera sul petto, scansò completamente il libro che aveva intenzione di leggere.
« No, non gli piace parlarne, io di lei non so niente. »
« Tua madre era bellissima, era gentile, ti dava sempre una mano se ne avevi bisogno. Io e Klaus ne combinavamo di ogni, ci copriva sempre per non far incazzare tuo padre. E poi cucinava divinamente, c'era quella crostata... Klaus la sa cucinare bene, è una cosa olandese, non mi ricordo come la chiamate... »
« Appeltaart? »
« Si! »
« Dicevi... ? »
« Era buonissima. Ce la cucinava sempre per colazione, anche mia madre le voleva bene, lei se la ricorda di sicuro meglio. »
« Era felice? »
« Non ne ho idea, penso che fosse troppo buona, credo che fosse quello il suo fardello. Polly dice cosí. »
« Cioè stava male per tutto? »
« Si prendeva a cuore troppe situazioni, avrebbe voluto salvare il mondo, ma non si salva il mondo, è impossibile. »

« È strano immaginarti a dieci anni. »
« Pensa che non parlavo neanche bene l'inglese. » Si rese conto solo dopo di cosa le avesse detto. Stette zitto qualche secondo, non aveva mai parlato con nessuno della sua infanzia.
« Perchè, a quanti anni ti sei trasferito? »
Il tono di voce divenne più freddo. « Otto, avevo otto anni. »
« E quando hai conosciuto mio fratello? »
« A dodici, circa. »
« Quindi quando io avevo... »
« Due anni. »
« Si, due anni prima mamma che morisse. » Lo disse senza tristezza, a lei quella donna non era mai mancata, perchè era come se non l'avesse mai avuta. « È stato difficile? »
Lui si accigliò. « Che cosa? »
« Venire qui, in un posto nuovo, dove nessuno ti capiva quando parlavi. »
« No, faceva cosí schifo il posto dove ero prima che qui mi sembrava il paradiso. »
« Dove vivevi prima? »
« In una città che si chiama Lublino, in Polonia. »
« Ed è cosí brutta? »

Aron stette zitto qualche istante, non aveva il coraggio di dirle quanto fosse orribile il suo quartiere, e che non avesse neppure una casa vera. « È molto povera, a te farebbe schifo. »
Lei non capiva, ovviamente. « Non lo so, non l'ho mai vista, ho visto Varsavia e mi è piaciuta. »
« Appunto, hai visto la parte più ricca. »
« Allora la prossima volta vedrò Lublino. »
Gli venne da ridere. « Scapperesti subito. »
« Non sfidarmi, Nowak. » Era proprio come suo fratello.
« Non ti sto sfidando, è la verità, la gente non riesce ad arrivare alla fine del mese, a comprare le medicine per curarsi. »
La prima cosa che pensò fu perchè esistessero situazioni simili, poi si chiese che ci facesse lí Aron, il più benestante dopo suo fratello.
« Anche tu hai vissuto cosí? »
« Si, anche mia madre. »
« Mi dispiace. »
« Non dispiacerti, ce la siamo cavata bene. »
« Chissà se si può fare qualcosa per queste situazioni, tipo delle donazioni, cose cosí. » Lui rimase scioccato, tanto che alle affermazioni di lei seguí qualche momento di silenzio. Non la faceva cosí sensibile, attenta al prossimo. Pensò che fosse proprio come sua madre.
« Si, ci sono, io ogni tanto faccio delle donazioni. »
« Ci sei mai tornato? » Era una domanda scontata, lui si rilassò sul bracciolo del divano.
« No, non è un posto che mi piace. »
« Magari da quando sei qui è un po' migliorato. »
« Quei posti non migliorano mai, Cass. »
« E allora perchè fai le donazioni, se pensi non possa cambiare nulla? »
Ottima domanda. Era intelligente. « Ci spero. »
Oppure hai paura. Cassandra sbadigliò, la giornata di lavoro l'aveva stancata. « Mia mamma ti ha distrutta oggi? »
« Si, abbastanza, penso che mi addormenterò a breve. »

« Che ore sono. » Non era una domanda, staccò il telefono dall'orecchio, avevano chiacchierato almeno un'ora. « È tardi, ci credo che sei stanca. »
« Mi piace parlare con te, Nowak. » La voce era assonnata, lui non poteva sapere che uno dei più grossi problemi di Cass fosse l'insonnia, non prendeva mai sonno, neppure quando non dormiva i giorni prima. Parlare con lui l'aveva rilassata tantissimo. « Si? Non me l'aveva detto nessuna prima d'ora. » Gli venne da ridere, in realtà non aveva mai parlato in quel modo con altre se non Cassandra. Non se n'era neppure accorto.

« Buonanotte Aron. »
« Notte piccola Cassy. »

💎💎💎
Io lo so che state morendo
Che volete la continuazione
Ma dovrete aspettare hehehe
Comunque come vi sembrano questi due?
E Polly?
Che cosa potrà mai succedere in futuroo?

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