CAPITOLO 10
Klaus
⚠️Avviso: smut⚠️
They made you into
A weapon and told
You to find peace
Klaus si svegliò accanto a Lidia, lei gli cingeva il petto nudo con un braccio, avevano fatto l'amore tutta la notte. Ella schiuse gli occhi scuri e volse il capo leggiadro per lasciargli un bacio dolce.
Lui allungò le gambe sotto le coperte, le accarezzò la schiena, lentamente.
« Vorrei svegliarmi cosí tutte le mattine. » Sentí una risatina divertita vibragli sul petto, lei si spinse in alto per raggiungere l'altezza del suo viso.
« Anche io. » Allungò una mano per sfiorarle il collo, le spostò i capelli dietro la spalla. « Ci sto lavorando. » Le morse il labbro inferiore, l'attirò su di se, i loro corpi s'incastrarono perfettamente.
« Si? » Si stese su di lui, le gambe ancorate ai suoi fianchi.
Si sporse con il busto in avanti. « Si, assolutamente. » Le strinse le cosce da sotto le coperte e si soffermò ad ammirarla, nuda su di lui. Bellissima. « Voglio averti sempre qui, sempre con me. » Si mosse in avanti con il viso e le baciò il seno. Lidia inarcò la schiena, scivolò con una mano dietro la sua nuca, incastrando le dita tra i ricci biondi.
Sapevano entrambi quale fosse il problema: Cassandra, un'incognita ogni volta, per ogni cosa, non si capiva mai se fosse felice o sull'orlo di un esaurimento nervoso. Rifiutava di aprirsi con chiunque, ed era piena di segreti. « Tua sorella che ne pensa? »
« Mia sorella... » Si staccò da lei per guardarla negli occhi. « Non lo so, non parla, hai visto come fa, è cosí da sempre. Non ho mai saputo gestirla. » E non aveva sinceramente idea di come fare. Neppure dopo un anno di terapia.
Lidia provò a spiegargli l'ovvio. « Magari prova a volerle bene e basta, senza provare a gestirla. »
Per Klaus era impossibile. Lui scosse il capo, si fece subito più serio. « Ma hai visto che era sparita? E ti ho raccontato cosa ha fatto in Europa, quella se non la gestisci va fuori di testa. » Aveva il terrore che potessero farle del male. Aveva passato tutta la vita a controllarla, senza mai premurarsi di dimostrarle quanto bene le volesse, aveva ottenuto una ventenne piena di complessi, problemi a relazionarsi con gli altri, che non ricordava nulla della sua infanzia. La verità era che Klaus aveva bisogno di sua sorella, cosí tanto che la costringeva a non vivere per stargli dietro.
« Allora stalle vicino, non lo fai mai. »
« Ma se le sto sempre appiccicato. »
« Si, per controllarla. Ieri sera... forse si era solo appartata con un ragazzo, è una cosa normale. »
Lui si trasformò in una versione di se stesso che Lidia aveva conosciuto tante volte, durante i loro incontri. « No, sotto il mio naso nessuno si prende mia sorella. » Non accettava il fatto di doverla dividere con qualcuno, o che altri potessero prendersi cura di lei. Era ossessionato da Cass, dal doverla controllare in maniera ossessiva, eppure era incapace di mostrarle qualsiasi tipo di affetto. Gli ricordava troppo sua madre, e un passato che non era pronto a rivivere. Era stato uno sforzo immenso quello di farle assaggiare la sua crostata preferita.
Le aveva rubato l'infanzia, la vita.
« Nessuno si prenderà mai tua sorella. Nessuno te la porterà via Klaus, però se fai cosí sei tu che l'allontani. » Gli accarezzò una guancia, lo amava da morire.
Egli posò la fronte sul petto di Lidia. Il vero problema era un altro. « È identica a lei, anche nei modi di parlare, quando si arrabbia... anche quando ride, sembra proprio mia madre. » Era il motivo principale per cui all'inzio non fosse riuscito a starle vicino, aveva bisogno di lei, ma non ce la faceva. La spediva da Aron, dalla madre di Vanessa, da chiunque potesse togliergli la faccia di sua mamma dalla vita. Era un tormento, non dormiva, non riusciva neppure a parlarle. « Più cresce... più è uguale a lei, e non lo sa neanche. Cioè lo sa perchè glie lo ripetono tutti, ma non ricorda niente, perchè tra i due quello che ha avuto dei genitori sono solo io, lei... ha solo me. » E questa cosa lo mandava fuori di testa, si sentiva responsabile della sua vita come un padre, una madre e di doverle dare insieme anche l'affetto di un fratello. Come si poteva? « Ha un'idea cosí sbagliata di famiglia che ho paura non ti accetterà mai. » Le aveva sempre insegnato la solitudine, ad essere forti, a non aver bisogno di nessuno. La famiglia non era qualcosa di rassicurante, ma doveri e responsabilità. Sacrificio. Aveva sbagliato tutto.
« Intanto fatti accettare tu, Klaus. L'hai isolata dal mondo, è chiaro che impazzisce quando ha un minimo di libertà. »
« L'ho protetta, non isolata. » Il tono di voce cosí severo che per un momento rimise al suo posto perfino Lidia.
« Non ha amici, lo sai vero? »
« Ha— » Stava per risponderle che avesse lui, che contasse solo quello. Poi comprese le parole di Lidia. Aveva ragione, come al solito. « E io cosa dovrei fare? Ieri le ho chiesto che serate frequentasse... mi evita. » Sospirò quasi rassegnato, odiava quando non riusciva ad ottenere quello che voleva.
« Ci vuole tempo, anche a te, vedrai che con calma si sistemerà tutto. »
« Non lo so, ormai è grande, queste cose andavano risolte prima. » Gli era andata bene con il dolce, era riuscito a farla socializzare con Lidia ma poi era cambiata ancora. Forse c'entrava il fatto che non potesse andare a cavallo, o che dopo la morte di suo padre Klaus non avesse più messo piede in quel maneggio, mentre lei ne era diventata ossessionata.
Lidia si chinò per baciargli il collo, riusciva sempre a calmarlo quando si agitava. « Andrà tutto bene. » Glie lo sussurrò piano contro l'orecchio. Lui socchiuse gli occhi, scivolò con la schiena contro la parete e sorrise. « Dillo ancora, ti prego. » Lei gli morse lo spazio sotto al mento, sistemandosi in modo che i loro bacini potessero incontrarsi. « Andrà tutto bene, Klaus. »
Egli ghignó compiaciuto, cercò l'interno della coscia di lei con le dita. « Dillo ancora. » Lidia sospirò tremante, allargò le gambe come a implorarlo di non fermarsi. « Dillo, mi piace da morire quando lo dici. »
Klaus si spostò sulla sua entrata, prese a sfiorarla lentamente, facendole tendere i muscoli e schiudere lievemente la bocca. « Andrà— » Non ebbe il tempo di finire la frase, lui aveva giá preso a giocare con il suo clitoride. « Non ho capito. »
Lidia abbassò il capo e si poggiò contro la sua spalla, la morse disperatamente intanto che lui continuava a torturarla. « Andrà tutto— » Si fece spazio dentro di lei con un dito, ella muoveva il bacino seguendo il ritmo dettatto da lui. Gli piaceva da matti comandare. « Non capisco tesoro. » Andò improvvisamente più veloce, lei ormai non capiva più niente, non era capace di parlare, pensare, formulare alcuna frase. Voleva solo che Klaus non si fermasse, che continuasse fin quando non avesse raggiunto l'orgasmo.
Le leccò un seno, avidamente, voleva che chiunque passasse vicino alla sua stanza potesse sentirla godere, solo per mostrare a tutti che fosse sua, soddisfare le manie di possesso che lo tormentavano da sempre, e di cui alla fine, Lidia s'era pure innamorata.
Restarono tutta la mattina chiusi nella stanza di Klaus, a soddisfare le loro voglie, ad amarsi come non pensavano d'essere capaci a fare. « Prima o poi dovremo uscire da qui. » Lei era stesa sotto di lui, aveva il viso disordinato e il corpo bollente, lo sguardo carico di lussuria e desiderio tradiva qualsiasi briciolo di razionalità potesse esserci nei suoi discorsi. « Prima o poi, si. » Klaus si chino su di lei e strinse un fianco, gli piaceva toccarla, sentire che fosse sua, sua e basta. Le lasciò un bacio languido tra i seni e poi risalí, la guardò negli occhi e poi le prese una gamba per farla stendere meglio sul materasso.
Entrò in lei lentamente, godendosi ogni secondo che passavano uniti, come fossero una cosa sola.
Ansimò forte sulle sue labbra, le morse e lei si aggrappò prima alla sua schiena, la graffiò appena iniziò ad andare più veloce. E alla fine quasi urlò, quando venne per la terza volta tra quelle lenzuola.
Non sarebbe mai riuscita ad andarsene.
« Ti amo. » Glie lo mormorò piano contro le labbra gonfie, calde. Lei gli rispose leccandogli le sue. « Anche io ti amo Klaus. » Cazzo se ti amo.
Odiava doversi allontanare da lei. « Oggi devo lavorare, se vuoi puoi restare qui, cosí quando ho finito stiamo insieme. »
Non le stava chiedendo direttamente di vivere con lui, ma più o meno era quello che intendeva. Pensò che il resto dovesse andare al diavolo, e che con Cassandra avrebbe trovato una soluzione. Ti sei scordato tutti i discorsi di prima?
Lidia si tiró su. « Anche io devo lavorare, nel caso ci sentiamo più tardi. »
Era seduta sul bordo del letto, il busto piegato verso il basso e le gambe aperte, stava cercando i suoi vestiti. Lui la raggiunse da dietro, le baciò la schiena. « Sono geloso degli altri pazienti, possono comprare il tuo tempo. » Sibilò languidamente contro la sua pelle. La gelosia incurabile era un altro dei mostri che Klaus si portava dentro, doveva essere tutto suo, solamente suo.
Lidia scosse il capo. « Comprano le mie competenze, non il mio tempo. » Si ricordò che avesse solo il vestito della sera precedente, nessun cambio. « Senti non è che tua sorella ha un cambio da prestarmi? Se no mi tocca uscire di casa con il vestito di ieri. »
« Si, avoglia. Dico a Greta se glie lo va a chiedere. » Si alzò dal letto, non si premurò neppure di arrotolarsi nelle coperte per coprirsi, tanto la domestica l'aveva visto cosí tante volte che non c'era più imbarazzo. « Posso domandarglielo direttamente io. »
« Se ti va di subirla appena sveglia. » Non era proprio una passeggiata, anche se a volte dimenticava stesse parlando ad una psicologa.
Lidia non aveva paura della mente degli altri, più era oscura più la trovava affascinante. « La sua stanza dove si trova? »
« Dall'altro lato del corridoio. » Klaus cercò una sigaretta nelle tasche del pantalone lasciato a terra, aveva un portasigarette identico a quello di Aron, solo che sul suo c'erano incise le iniziali di sua madre. Yves Van Der Meer.
Lidia realizzò solo in quel momento, che probabilmente Cassandra li avesse sentiti tutta la notte. Cazzo. « Quindi... »
« Quindi potrebbe aver sentito tutto, se vuoi vado io. » Non potevano sapere che fosse collassata quasi subito, sul letto.
Per la primissima volta da quando era lí, si sentí a disagio. « Si, dai. » Anche se non era proprio giusto, prima o poi avrebbe dovuto vederla.
« Anzi no, vado io, non è una bambina... e neanche io. » Klaus alzò le spalle, Cassandra aveva visto e sentito di peggio nella sua vita.
Era impiedi, ferma davanti all'armadio di lui. Stava cercando qualcosa che potesse usare per attraversare il corridoio. Decise di raggiungerla e avvolgerla da dietro, non riusciva a non starle attaccato. « Tanto non è la prima volta, sai con quante altre mi ha sentito? » Con donne diverse, intendeva. Voleva provocarla, e ci riuscí, perchè Lidia s'indispettí un po' e si volse per mordergli il labbro. « Vuoi che faccia la gelosa, mh? »
« Lo sei? »
« Nemmeno un pochino. » Invece si, lo era da morire. Il giovane glie lo leggeva nello sguardo, infiammato di passione.
« Nemmeno un po', addirittura? » La sua voce calda le scaldò il bassoventre, facendola tremare.
« No. » Risero, e tornarono a baciarsi. Klaus la spinse contro il muro, lei avrebbe voluto respingerlo, dirgli che fosse tardi, che avesse dei pazienti da sentire e le lezioni all'università. Ma non ce la fece, gli offrí il suo corpo perchè ne fscesse quello che desiderava. L'alzò su di lui, in modo che potesse chiudere le gambe dietro la sua schiena, da avere il suo seno schiacciato contro il petto che si muoveva lento ad ogni spinta.
Quando raggiunsero il culmine del piacere si abbandonarono contro il muro, Klaus non riuscí a staccarsi da lei neanche a quel punto. Neppure mentre si rivestiva, neanche mentre cercava la stanza di sua sorella.
Era fatto cosí, e Lidia lo amava.
Indossava una maglietta di lui e dei pantaloni di un pigiama di seta, arrotolati in vita perchè troppo larghi, blu. I piedi scalzi, i capelli messi in ordine come poteva. Bussò alla porta della stanza di Cassandra, piano, aveva paura stesse ancora dormendo e non voleva svegliarla bruscamente.
Eppure era tardi.
« Cassandra, sei sveglia? »
Nessuna risposta. Serrò le labbra e decise di tornare da Klaus, non poteva certo infilarsi in camera sua di nascosto. Un rumore sordo le fece pensare che forse non stesse ancora a letto.
« Posso chiederti se hai qualcosa da prestarmi? Sai, per tornare a casa, non ho vestiti oltre quello di ieri sera... » Stava per contiuare aggiungendo che le dispiacesse di averla disturbata, ma fu interrotta. Dietro di lei, Klaus. La guardò scuotendo il capo, lui aveva altri metodi per svegliare Cassandra. Prima che potesse spalancare però la porta, dovette ricredersi.
Quella infatti venne aperta lentamente, un cigolio accompagnò il movimento silenzioso dell'anta di legno. « Entra, la cabina armadio è la porta a destra, prendi quello che ti pare. » Aveva i capelli sciolti, disordinati. Il trucco tolto a metà e addosso ancora i gioielli della sera prima, era troppo ubriaca per sistemarsi decentemente prima di dormire. Il pigiama era una camicia di seta vecchia che non usava più.
Aveva lo sguardo basso e teneva una mano davanti al naso. Il fratello aggrottò le sopracciglia, non si era accorto che avesse bevuto tanto, era diventata brava a farlo di nascosto. Decise di non dire nulla, non aveva voglia di litigare. Era ancora buio, nella stanza c'era puzza di chiuso. Lei tornò a chiudersi nelle coperte, nascondendo il viso sotto il cuscino. A Klaus venne da ridere, dormiva cosí anche quando era piccola, diceva che si sentiva più rilassata.
Lidia aprí la cabina armadio, era davvero grande. Non sapeva da dove cominciare per cercare le cose, le serviva solo una maglietta e dei pantaloni. La maggior parte degli indumenti le sarebbero andati stretti, Cassandra era magrissima, molto più di lei. A seconda delle giornate sembrava una modella, o una malata.
« Non posso garantire la presenza di vestiti normali. » Si mise a ridere, Klus prese a spostare dei cappotti, poi cercò tra i jeans, sua sorella aveva uno stile tutto suo: diceva che si sentiva una diva, con quei pantaloni a vita bassa e i top striminziti. « Questa potrebbe starti bene? »
Tirò fuori da un mucchietto di maglie impilate una della nuova collezione della Diesel, nera con il logo stampato davanti. Lidia pensò subito che dovesse costare veramente tanto, e che lí non ci fosse nessun abito sotto i trecento dollari, almeno. « ...Si, credo di si. »
Annuí, poi cercò tra i Jeans appesi qualcosa che potesse starle. Mentre spostava le grucce di ferro le cadde qualcosa sul braccio, pensò di aver fatto casino, quindi si mise a cercare sul fondo dell'armadio cosa si fosse smontato. Quello che vide la fece morire, perchè era la prova di quanto fosse incasinata la storia di Cassandra.
Una pallina di stagnola, di quelle in cui si conservava la cocaina. Evidentemente si era scordata di averla messa in tasca. Si volse per cercare lo sguardo di Klaus. Era il caso di dirglielo? « Klaus, vieni qui un secondo. »
Era cosí di buon umore che le dispiaceva dovergli mostrare cosa avesse trovato. « Se mi stai proponendo di scopare nell'armadio di mia sorella, non so se mi va. » Ella posò una mano sul suo petto, prese un respiro profondo. Bastò quello per fargli capire che qualcosa non andasse.
« Che hai? »
« Senti, non dare di matto, promettimi che non dai di matto. » Già con quella premessa stava per impazzire. « Ho trovato questa, è caduta da uno di questi pantaloni. » Indicó con un cenno del capo la fila di pantaloni appesa alla sua destra. Lidia lo riconobbe subito, lo sguardo infuocato di Klaus, comprese immediatamente che non esistesse nessun discorso, nessuna parola che in quel momento avrebbe potuto farlo ragionare. Si rigirava la pallina tra le mani, la chiuse in un pugno tanto forte che gli si arrossarono le nocche.
Diede le spalle alla sua compagna, deciso ad inveire contro la sorella.
Le strappò via il cuscino dalla faccia, quello che vide lo sconvolse a tal punto che dovette stare zitto qualche secondo per non urlare subito.
« Dammi una giustificazione valida, se esiste. »
Il solito sangue le colava dal naso e macchiava il materasso. Le succedeva spesso da un paio di mesi, ma lui non lo sapeva. Fanculo. Cassandra non sapeva che dire, doveva vergognarsi?
Lei si rigirò nel letto. « Non devo dirti proprio un cazzo. » Le faceva male la testa, si portò una mano sulla tempia. Voleva solo dormire.
Serrò la mascella, lo sguardo lugubre di lui si fece più sottile. « Hai finito, hai finito Cassandra. » E non scherzava, se Klaus Van Der Meer decideva di rovinare la vita di qualcuno lo faceva. Ancora di più quando era arrabbiato. Lanciò il cuscino contro il letto, aveva tutti i muscoli tesi, la sorella non aveva paura, questo lo mandò ancora di più fuori di testa.
Beffarda, volle provocarlo ancora. « Che cosa, cosa ho finito? Che tanto mi hai già tolto qualsiasi cosa. »
Klaus drcise di tornare fermo, impassibile. Tanto che Lidia ebbe paura. Si pentí di aver scatenato quel casino. « Tutto. » Ringhiò nella penombra.
Fece cenno a Lidia di recuperare le cose che aveva trovato, e andarsene. Si chiuse la porta alle spalle sbattendola forte, poi si grattò il mento nervosamente.
« Come stai? »
Ignorò la domanda di lei, le rivolse uno sguardo severo, impenetrabile. « Hai capito perchè deve essere gestita? » Doveva calmarsi, parlargli in quel modo era impossibile. Cassandra aveva chiaramente dei problemi e quello era il peggior modo di risolverli. « Hai capito che cazzo fa? »
Indicò con un gesto della mano la porta che aveva appena chiuso. « Se non fossimo mai entrati nel suo armadio non ce ne saremmo mai accorti, lo capisci quanto è grave? » Si era agitato cosí tanto che aveva l'affanno. Dopo che lo investí la prima ondata di panico arrivarono i sensi di colpa. Se era giunta a quel punto probabilmente il responsabile non poteva che essere lui, il fratello più grande che avrebbe dovuto badare a lei, e l'aveva protetta da tutti, tranne che da se stessa.
Si portò una mano sul viso. « Come... come si risolve una cosa del genere? »
« Non sai se è una bravata di una sera o una cosa più seria... »
« ...Da come le sanguinava il naso penso proprio non fosse stata solo la pazzia di una sera, Lidia. »
La rimproverò quasi, lei si sentí una stupida. Ma come poteva sapere tutte quelle cose? Immaginava la vita di lui fosse incasinata, ma non cosí tanto. Non tutti possono essere salvati.
Si portò una mano sul viso, poi si rese conto che forse fosse troppo. « Senti, torna a lavoro e non pensarci, queste sono cose di cui non devi preoccuparti. »
« No, io ti sto vicina. » Scosse il capo convinta, poi gli prese la mano libera e intrecciò le sue dita alle proprie. Sembrò calmarsi, l'abbracciò e le lasciò una bacio sul collo, il suo profumo riusciva sempre a calmarlo. « Grazie. » I muscoli si rilassarono. La voce divenne più dolce.
Lidia andò via dopo qualche ora, Klaus dovette sistemarsi prima di incontrare un tizio con cui si era messo d'accordo per degli affari. Si stava sistemando la cintura davanti allo specchio, essere impeccabile lo rendeva estremamente sicuro di se, e donare tutte quelle attenzioni all'apparenza era un'ottima distrazione da Cassandra, dal lavoro, da tutto. Ecco perchè l'apparenza era la cosa più importante.
Si sistemò la giacca elegante sulle spalle e i gemelli d'oro, uscí dalla sua stanza, prima di scendere le scale lanció una breve occhiata alla camera della sorella. Non si era mossa da lí per tutto il giorno.
Scese al piano inferiore, i suoi ospiti lo attendevano nel salotto a destra, subito di fianco all'ingresso. « Buongiorno. Mi scuso per l'attesa, spero abbiate gradito i sigari che vi ho fatto portare. » Quelli tremarono sul posto, la calma con cui Klaus affrontava ogni situazione era inquietante. Emanava qualcosa che spingeva gli altri ad allontanarsi.
« Si, molto. » Erano piccoli e insignificanti, due contro uno, eppure venivano entrambi sovrastati dall'oscurità del maggiore dei Van Der Meer. Sorrideva, ma il modo in cui lo faceva era forse la sua caratteristica più inquietante. Il camino acceso riscaldava la stanza ma non riusciva a far calare il gelo che teneva sospeso il loro respiro; le fiamme rosse illuminavano i volti dei due uomini, mettevano in risalto i visi stanchi, non dormivano da giorni e gli occhi urlavano tutta la loro paura.
Padre e figlio, gestivano un'attività, una pasticceria molto famosa a Manhattan. Quando erano andati in crisi Klaus si era prontamente offerto di aiutarli, e quando non avevano saputo risarcire i loro debiti e gli interessi che aumentavano ogni mese, lui aveva fatto capire loro che dovessero artivarsi per sdebitarsi in altro modo. « Allora, come vanno gli affari? »
Il primo a rispondere fu il vecchio, il figlio accanto gli diede il coraggio di aprire bocca.
« Bene, molto bene. » La voce era roca, ruvida. La bocca rinsecchita, piena di rughe. « Ci chiedevamo per quanto dovremo ancora lavorare per voi. »
« Avete i soldi che vi ho prestato? » Klaus si avvicinò a lui lentamente, guardò prima il figlio e poi il genitore. Si somigliavano.
Tremava. « Si, abbiamo ripagato la somma che ci avete dato l'anno scorso. » Si schiarí la voce perchè gli si era seccata la gola.
L'altro inclinò il capo da un lato e annuí piano. Si volse lentamente e cercò su un mobiletto di legno una bottiglia in cristallo dove conservava il whisky. « E la protezione, e gli interessi? E il resto, come lo volete ripagare? » Se ne versò un po' in un bicchiere, lo fece ondeggiare. Il liquido dorato brillò, illuminato dal fuoco. Sembrò prendere vita tra le dita di lui.
« L'attività sta andando bene, riusciremo a ripagarvi. » Klaus rise, prese un sorso.
« E a me chi lo garantisce? »
Il figlio era meno paziente del padre, più impetuoso, non seppe tenere a freno la lingua. « Non vogliamo più lavorare per voi, forse non è chiaro. » S'intromise nella conversazione in modo brusco, sporgendosi in avanti con il busto, per costringere Klaus a guardarlo. Lui non si mosse di un passo. Restò immobile a squadrarlo, il vecchio lo tirò indietro.
« E che fai prima ti prendi i soldi, poi schifi da dove vengono? » Avanzò di un passo, per poco l'altro non cadde all'indietro. « Non funziona cosí, non te l'ha spiegato tuo padre? » Quello chinò il capo, ci fu un momento in cui il silenzio sembrò inghiottirli. « Io vi ho aiutati, adesso voi aiutate me. E vi conviene cosí. »
« Altrimenti? »
Klaus si sporse in avanti.
« Chiariamo una cosa. » Si sistemò i gemelli, poi si mise a sedere su una poltrona di pelle, pareva un trono mentre si sistemava comodo. Ordinò ai due di mettersi a sedere con un cenno del capo, quelli scattarono sull'attenti. « Io lo dico per voi, perchè ci metto tre ore a trovare qualcuno che vi sostituisca, ma poi non posso rischiare la gente pensi che con me possa fare come vuole. Capite? »
Elegante anche mentre li minacciava, strinse le labbra e fece finta di essere sovrappensiero. Picchiettò con l'indice sul mento, li stava prendendo in giro. « Poi mi toccherebbe trovare una soluzione. » Alzó le spalle. I due sbiancarono, contro di lui non avevano niente.
Lo sguardo divenne profondamente cupo, con le dita andò ad avvolgere il bracciolo della poltrona, le gambe erano aperte, i piedi puntati a terra.
« Senti me, torna a casa e continua a fare quello che stavi facendo, andate a pranzo in un bel posto e ripensateci. »
Il tono di voce era lugubre, oscuro. C'era un mostro che viveva dentro l'anima di Klaus, una creatura che si nutriva delle sue emozioni peggiori e lo rendeva il più spietato imprenditore di Manhattan. Con la mano libera si sistemò il colletto della camicia, l'anello d'oro con lo stemma di famiglia risplendeva prepotente sull'anulare della destra.
« È un consiglio. »
Una minaccia. I due si guardarono, furiosi, compresero che l'unico modo per smettere di avere rapporti con i Van Der Meer fosse chiudere l'attività per cui avevano sacrificato tutto. Soprattutto il padre. Erano immigrati italiani, il nonno era riuscito ad affermarsi negli anni sessanta, il figlio non era stato capace di gestirla come lui e si erano trovati nei casini.
« Dai papà, andiamo. » Saggio. Klaus restò seduto, fuori dalla porta arrivò ad accompagnarli Greta verso il cancello principale. Fu cosí gentile che sembrò assurdo lavorasse per un tale uomo.
Egli non si sentiva in colpa, anzi, era molto orgoglioso di star portando avanti l'attività di famiglia, quella di suo padre. Prese un altro sorso di whisky, gli bruciò la gola. Lasciò il bicchiere sul tavolino di cristallo accanto alla poltrona e pensò che ora potesse occuparsi del vero problema.
Cassandra. Quelle cose gli sembravano cosí facili, rispetto a sua sorella. Suo padre l'aveva cresciuto a sua immagine e somiglianza, prima di morire si era assicurato un degno erede, le uniche cose che gli aveva insegnato erano come terrorizzare la gente, ed essere sempre il più forte.
Devi essere sempre sopra gli altri.
Lo chiamavano Alopex perchè dicevano fosse furbo come una volpe, a quanto pareva, non abbastanza da comprendere lei.
💎💎💎
HOLA! Beeeeh? Che ne pensate?
E di Lidia?
Secondo voi che cosa farà Klaus? (vi anticipo che farà una cosa molto toxic maaaaa si impegnerà per aiutarla)
Comunque Klaus è un gran figo, peccato che è un sociopatico inguaribile che ha fregato anche la sua psicologa
Pss Alopex in greco significa volpe. È il soprannome di Klaus e ne hanno tutti uno, prossimente scoprirete quello di Aron
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