Capitolo 51.

Una stanza vuota.
Quattro pareti bianche.
Una scrivania di finto legno.
Due poltrone: una rossa e una nera.
Una libreria.
Due donne.

-Quante volte hai sperato di essere felice?
-Tante-
-Quante volte credi di esserci riuscita-
-Mai-
-Pensi lo sarai mai?-
-No-
-Vuoi provare ad esserlo?-

Spostò gli occhi verso la donna seduta dall'altra parte del tavolo. Teneva una postura scorretta, le gambe divaricate per lungo, davanti la scrivania che le separava, le mani dentro le tasche della sua felpa grigia. Indossava lo stesso paio di jeans strappati, da una settimana, non li cambiava perché pensava non fossero ancora pronti.

-Scherza?-

La donna sollevò lo sguardo dal suo taccuino guardando Carla con estrema professionalità. Da settimane rimanevano ferme sulle stesse domande: stanca di sentirsi ripetere se avesse voluto provare, ormai non riteneva più opportuno risponderle con un'affermazione negativa o positiva.

-No- Rispose la donna.

La dottoressa non aveva un nome né questo era importante ai fini professionali per cui era stata assunta. Seguiva Carla, passo dopo passo, pagata per aiutarla a superare i suoi problemi.

La donna posò la pena al lato del taccuino, congiungendo le mani quando poggiò i gomiti sul tavolo, si avvicinò con la schiena in modo da sfiorarsi il viso con le mani.

-Vuoi andare via Carla?-
-Voglio che lei faccia ciò per cui è stata pagata-
-Immagino di si, ma tu vuoi comunque andare via?-
-Si-
-Dove?-
-Dove è chi è felice-
-Chi pensi sia felice?-
-La gente attorno a me-
-Chi pensi allora stia bene senza di te?-.
-Tutti-
-Vuoi dirmi i loro nomi?-
-No-
-Vuoi andare via Carla?-
-Voglio...-. Le parole le morirono in gola, immaginò di vedersi li a coccolare chi avrebbe dato al mondo, se quel giorno quelle scale non fossero state li, se quella canzone non fosse diventata un tormento dentro la sua testa.

Attese qualche secondo, vide lo sguardo di Carla perdersi in uno dei suoi ricordi.
Attese permettendole di elaborare senza fretta, aveva bisogno di tempo.

-Per oggi abbiamo finito- Si voltò a guardarla, sollevandosi quando udì tali parole. –Buona giornata Carla- Le disse ancora.

Non rispose. Un "Grazie" sarebbe stato superfluo, un "anche lei", invece, privo di verità.

Non le interessava di nessuno.

Ad attenderla c'era la solita auto nera e Carlos, poggiato su di questa, affiancato da un uomo robusto e lo sguardo vigile su chiunque avesse tentato un approccio con Carla Sassi. Nelle ultime settimane, la sicurezza era aumentata: a nessuno era concesso toccarla, salutarla, correrle incontro. Aveva predisposto tutto e Carlos aveva assecondato il suo volere come sempre.

Erano passate esattamente due settimane, sei ore e ventiquattro minuti dal suo ultimo incontro con Stefano e anche se aveva promesso che ci avrebbe provato, non riusciva a farlo. Un peso dentro le impediva di provarci. Cosa fosse non lo sapeva, eppure la reprimeva, la obbligava a sentirsi inadatta e infelice.

-Fa freddo, dovresti indossare un cappotto- Si preoccupò di dirle, aiutandola a salire in auto. Lei non ascoltò, semplicemente si mise seduta con il solito sguardo rivolto al mondo fuori da quell'auto.

-Come è andata?-
-Come sempre-
-Ti ho portato la solita acqua che il dottore vuole tu beva- Le consegnò quanto le aveva detto, attendendo che lei la prendesse. –Devi berla tutta, ha detto che ti fa bene-
-A cosa?-

-Alla salute- La risposta che le diede servì affinché si convincesse.

-Stasera mi porti fuori a cena?-
-Dove vuoi andare?-
-Ovunque, un posto vale l'altro, penso ci sia una festa in seconda serata voglio andare anche li-

La voce di Carla era spenta, parola dopo parola, venivano pronunciate con lo stesso ritmo: secco e privo di emozioni. Una macchina umana. Gli occhi cerchiati di nero e le labbra, del cui colore, sembravano esserne prive.

Carlos recuperò il suo telefono. –Prenoto in un locale tranquillo, raggiungeremo una festa privata in seconda serata-
-Bene-

Carlos guardò con la coda dell'occhio il corpo privo di forze di Carla, lo sguardo  perso nel vuoto, la sensazione che lentamente stesse smettendo di vivere gli fece paura: Carla, oramai, sopravviveva. Tuttavia, nonostante tale sentimento, continuava a fare quello che pensava fosse giusto, cioè prendersi cura di lei facendo si fosse solo sua.

La vedeva, la ammirava e continuava a pensare gli appartenesse. Prima o poi si sarebbero amati, era l'unica consolazione che poteva avere.

Aprì la porta di ingresso continuando a sperare non vi fosse nessuno, rivedere Benny non era il momento. Da giorni, non aveva sue notizie considerando la cosa in modo positivo pensando fosse giusto così.

Poggiò le sue chiavi sul mobiletto, sapendo che li sarebbero rimaste perché non vi avrebbe messo più piede.

Aveva deciso di prendersi una casa per se con i pochi risparmi che si era portata dietro. Un gruzzoletto sufficiente da prendersi una stanza in un appartamento condiviso. La sua vita sarebbe stata più difficile, ma almeno sarebbe andata avanti.

Fabrizio le aveva suggerito quanto meno di provare a vivere anche senza di lui, i suoi genitori le avevano detto lo stesso dopo la notizia della loro separazione. Fortunatamente erano andati via prima della grande tempesta, questa aveva permesso sia a lei che a Stefano di poter gestire da soli i loro problemi senza dover rendere conto a nessuno.

-Chi è?-

Una voce giunse dall'altra stanza e all'improvviso tutto si bloccò, quando i loro occhi si incontrarono.
Benny, vedendola, non parlò e lo stesso face Sofia. Continuarono semplicemente ad aspettare che uno dei due facesse la prima mossa o parlasse.

Benny stava bene. Lo vide un momento prima sorridere, quello dopo incupirsi: era evidente che la sua presenza in quella casa non era gradita. Capì da sola che l'aveva dimenticato e non le avrebbe perdonato ciò che aveva compiuto.

Quel giorno in ospedale decise di abortire.

Non lo aveva incluso, pensava fosse una sua scelta. Lei non lo voleva quel bambino, non era ancora pronta ad essere madre né tanto meno moglie o compagna di vita per sempre.

-Cosa vuoi?-
-Devo prendere le mie cose-

Annuì lasciandola andare dritta in camera del fratello e prendendo ciò per cui era venuta. Attraversando la sala e raggiungere la stanza di Stefano fu costretta a passare al suo fianco, le loro spalle si sfiorano.

Per diverse ragioni nessuno dei due aveva più voglia di amare l'altro.

Benny si sentiva tradito. Aveva creduto che sarebbero sempre rimasti uniti.

Sofia sapeva di non desiderare quanto lui avrebbe voluto avere: una famiglia, dei figli, una casa felice e il lieto fine tanto sperato.

Recuperò la roba necessaria, infilando tutto dentro un borsone scuro trovato nel medesimo armadio. Buttava tutto dentro in silenzio, senza pensare, meccanicamente recuperava le sue cose e le buttava, svogliatamente, dentro la borsa. Faceva tutto di fretta, desiderosa di lasciare quella casa il prima possibile.

Attese che questa tornasse fermo al suo posto; per ragioni a lui del tutto ignare voleva vederla ancora una volta mentre lasciava quella casa e lui per sempre. Aveva bisogno di vederla andare, così da poter definitivamente ricominciare o riprendere quanto aveva lasciato prima del suo arrivo.

Quando tornò in sala passò di nuovo al suo fianco con lo sguardo rivolto verso il basso, ancora una volta si toccarono ma nessuno dei due provò emozioni.

Arrivata davanti la porta di ingresso rimase ferma sul posto, voltandosi quando ebbe il coraggio di dirgli addio. -Ciao Benny-

Seguì i suoi movimenti attentamente, la osservò per l'ultima volta con lo sguardo di un uomo che aveva amato, desiderato e odiato quella donna. -Ciao So, stammi bene-

Serrò le labbra annuendo, sperando davvero di riuscire a stare bene anche senza di lui. Il rumore della porta che si chiuse suggellò quella separazione. Entrambi avevano compreso che quella fosse stata una parentesi, la loro relazione rappresentava una parentesi della loro vita che adesso andava chiusa. Non avrebbero mai dimenticato cosa li avesse legati, ma per motivi diversi, anche loro, erano convinti di non poter rimanere legati. Strano come l'amore potesse decidere di unire due persone che non sarebbero dovute stare insieme, quasi fossero stati un esperimento: unirli e poi separarli, mostrare al mondo che si poteva amare anche chi non ti saresti mai aspettato. Si sentirono due topini dentro un laboratorio, come due esprimenti falliti.

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