Look [Love story]

Un laser giallo fluo mi colpisce in pieno viso, riuscendo quasi ad accecarmi. Sbatto le palpebre più volte, e mi chiedo per quella che deve essere la millesima volta in un paio d'ore il motivo per cui sono venuta qua. Poi vedo due chiome, una rossiccia e una castana agitarsi davanti a me e mi ricordo che avevo promesso a quelle due idiote che le avrei accompagnate. Vorrei solo avere avuto il coraggio e la sfacciatezza di Amanda e Caroline che erano riuscite a reclinare l'invito per una meravigliosa maratona di Harry Potter. Dio solo sa quanto le invidio in quel momento. Poi però il mio sguardo viene attirato da un'altra chioma di un arancione innaturale. E mi balza alla mente l'idea che forse, ma solo forse, potrebbe esserci anche un'altra ragione per la quale sono uscita dalla mia amata tana, altrimenti nota come mia stanza. La mia cotta londinese di sempre. In realtà ero andata un po' anche perché mi si spezzava il cuore alla sola idea che di lì a due giorni non avrei più potuto stalkerarlo per il campus, scrutarlo di nascosto a mensa, sedermi nel tavolo vicino al suo nello Starbucks del campo, scegliere "casualmente" le sue stesse attività di sera e fingere che mi servano le cose più assurde, pur di seguirlo nei negozi in cui entra. In questo mese, probabilmente il più bello della mia vita, di cose folli ne ho fatte, ma non sono mai riuscita a trovare il coraggio di rivolgergli la parola. Mi sento troppo insignificante, troppo stupida, vuota, e, beh, si, come ogni ragazza, troppo brutta per lui. Mi piace in tutto e per tutto. Oltre i capelli, mi affascinano i suoi occhi, acquamarina. Sembrano trasparenti, ti illudi di potergli leggere dentro, ma le poche volte che avevo avuto la possibilità di guardarlo da vicino, avevo solo capito che sarebbe stato impossibile comprenderlo veramente senza prima conoscerlo bene perché ha semplicemente eretto troppe barriere. E poi ho un debole per le sue labbra rossissime e carnose, grandi al punto giusto, per le sue mani da musicista, per il fatto che suoni la chitarra, da sempre il mio strumento preferito, dopo il pianoforte, per le sue braccia che sembrano tanto forti, per il suo profumo. Ho un debole per il suo modo di vestirsi: ogni giorno una maglietta di una band diversa leggermente consumata dal tempo, abbinata a dei jeans un po' sdruciti o a dei bermuda. Ho un debole per la sua camminata sicura e per la sua espressione sfacciata, che fa sospirare gran parte della popolazione femminile e anche una minima percentuale di quella maschile del college. Ho un debole per il fatto che si vede a miglia di distanza che disprezza dal profondo tutti quegli idioti che lo circondano e ammiro che non abbia apparentemente bisogno di compagnia, eccezion fatta per la musica. Ho un debole per il fatto che non si nasconda e che dichiari apertamente di essere bisex. E, infine, ho un debole per il fatto che quando ama lo fa e basta. Ho visto l'amore nei suoi occhi quando una volta lo avevo seguito fino al Prato dove si svolgevano le attività sportive. C'era andato per incontrare un ragazzo e li avevo osservati da lontano mentre si baciavano, da buona masochista. Dopo un po', però, avevo deciso di tornare in camera, e quella sera, a mensa, li avevo visti salutarsi e avevo letto un interesse reale negli occhi del ragazzo dai capelli arancioni, che avevo scoperto qualche giorno prima chiamarsi Michael. Qualche giorno dopo il ragazzo con cui si vedeva, però, venne ritrovato nei bagni della barca-discoteca sul Tamigi, ubriaco, mentre si strusciava su una ragazzo. Ho ammirato che non avesse fatto trapelare alcuna emozione, ma mi sono preoccupata e arrabbiata comunque parecchio. Penso di aver sclerato con Caroline per almeno tre giorni. I miei pensieri vengono interrotti bruscamente da uno strattone, e maledico mentalmente gli idioti che non guardano mai dove agitano le braccia. Improvvisamente però mi rendo conto che c'è qualquadra che non cosa. La musica assordante, composta da parole senza senso, non sta più suonando. Continuo a sentirmi trascinata in avanti. Mi guardo intorno e sbianco. La stretta si allenta e vedo Madge lasciare il centro del cerchio, in cui mi trovo in questo momento per tornare da Leila. Mi giro e vedo Michael al centro della folla, con uno sguardo confuso quasi quanto il mio. A quel punto avvampo. Subito dopo parte la musica. All'instante capisco perché ci troviamo in quella situazione. Penso di essere diventata viola. Michael, intanto però, prende confidenza con l'imbarazzante avvenimento di cui siamo i protagonisti e si avvicina a me, con un finto ghigno sul volto. Fa per poggiare la sua mano sul mio fianco per iniziare il lento che ci tocca ballare, ma io istintivamente indietreggio, maledicendomi subito dopo. Lui non si perde d'animo, riprova e questa volta riesce nel suo intento.

Sai che non ho l'ebola, vero? – dice a voce alta abbastanza per permettere soltanto a me di sentirlo.

Chi me lo assicura? – ribatto.

Lui si limita a scuotere leggermente la testa e sorridere, mentre cominciamo a muoverci. Sono sempre stata un disastro a ballare, e lui deve essersene accorto, perché è palese che il ballo lo sta conducendo il meraviglioso rosso che sta davanti a me. Riesco, stranamente, a non inciampare e la canzone, anche prima di quando avrebbe dovuto, finisce. Sorridiamo entrambi, ma quando i nostri occhi si incontrano scoppiamo entrambi a ridere. Prima che possa anche solo pensare a cosa dirgli, però, viene trascinato via da un suo amico, mio malgrado. Leggermente delusa, decido di andare a prendere un po' d'acqua (Embè, si sono io l'unica sfigata che va in discoteca e beve acqua), per poi cercare Leila e Madge, e andare via, anche a costo di prenderle a calci fino alla nostra casa. Prendo la bottiglietta d'acqua congelata che mi porge il barman e frugo nelle tasche dei jeans (si ho ballato un lento con i jeans), alla ricerca di qualche spicciolo con cui pagare, quando, improvvisamente il denaro che cercavo si materializza davanti ai miei occhi.

Pago io per lei – dice una voce profonda, che immediatamente riconosco. Non dico niente, semplicemente guardo Michael interrogativamente. Lui capisce la tacita domanda nei miei occhi e scuote semplicemente le spalle.

Volevo solo andare a prendere una boccata d'aria, mi accompagni? – dice con tono apparentemente indifferente.

Se lo faccio non ti sarò piu debitrice di 70 penny? – chiedo con finta voce preoccupata. Lui scoppia a ridere.

Direi di no. –

E sia per la boccata d'aria allora. –

Raggiungiamo il balcone del locale, e ci appoggiamo all'inferriata. Rimango incantata dalla vista che mi si pone davanti. "È stupendo," penso. Sento un mugugno provenire dalla persona accanto a me, e mi rendo conto di aver pensato ad alta voce. Arrossisco senza un vero motivo, la vicinanza di questo ragazzo mi fa male. Michael si gira verso di me, e si china leggermente, data la differenza di altezza notevole.

È bello si – dice. – Ma personalmente, preferisco le bellezze non convenzionali. Quelle che non percepisci a prima vista. –

Sorrido.

Sei il primo ragazzo che incontro che non bada ad "altro", sicuro di essere reale? – gli rispondo avvicinandomi anche io.

Beh sono un ragazzo anche io, gli ormoni a volte mi giocano brutti scherzi. –

Complimenti, hai appena rovinato un'ipotetica bellissima amicizia. – dico mentre lui si avvicina ancora. Mugugna nuovamente.

Non è propriamente una cosa brutta. – afferma. Faccio per ribattere, ma un paio di labbra sulle mie non mi permettono di parlare. È un semplice bacio a stampo, non troppo lungo. Ma parla di cuori spezzati, di voglia di ricominciare, di amore e di rassegnazione. Mi stacco solo per dire,

Non è decisamente una cosa brutta. – prima di prendere il viso di Michael tra le mani e riprendere a baciarlo, questa volta più profondamente. E, in questo minuto, ci scommetto, entrambi sappiamo che quello che sta succedendo non corrisponde con ciò che è giusto che succeda. Ma, per quanto mi riguarda, decido che se mi fa stare così bene, almeno per ora, non può essere sbagliata.


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