Carnival
La villa era sempre stata impregnata da un alone di mistero e lusso sfrenato, così come lo era ciò che caratterizzava quelle feste in maschera uniche, dai colori vivaci, le luci brillanti e intense, i suoni limpidi provenienti dal tintinnare dei calici di champagne che scorreva a fiumi, in quelle occasioni.
Come molti altri prima di me e, probabilmente, altrettanti dopo, non ero altro che uno degli innumerevoli invitati il cui nome era comparso su una lunga lista forse per caso, forse semplicemente perché uno dei miei amici aveva messo una buona parola per me con l'organizzatore dell'evento, riuscendo a rimediarmi la partecipazione.
Euforico, non mi ero lasciato perdere l'occasione e avevo raggiunto la villa in men che non si dica quella sera, ritrovandomi sulla scalinata all'entrata ancora prima di potermene fisicamente rendere conto. Ero talmente preso dalla cosa che le ore erano trascorse senza che me ne accorgessi e in parte nemmeno mi rendevo conto di come fossi riuscito a raggiungere il luogo così velocemente, tanto da mettere a fuoco i miei vestiti, un classico completo da pinguino bianco e nero, solo una volta giunto all'ingresso, al di sopra dell'enorme scalinata che avevo superato a grandi falcate. Diedi il mio nominativo al gentiluomo all'ingresso che, dopo aver controllato la lista, mi lasciò entrare nell'edificio, lasciandomi giusto il tempo di ringraziarlo velocemente, tanta era la mia eccitazione in corpo.
Un sorriso, un "grazie mille, signore" veloce e in qualche secondo mi ero ritrovato ad ammirare il soffitto a cupola dell'enorme sala che caratterizzava la sezione centrale dell'edificio, spesso adibita a sala d'incontro per membri illustri dell'alta società, talvolta teatro di eventi di beneficenza forse, o chissà che altro. Immaginavo una vita di quel tipo per gente di simile stampo, ma detta onestamente per una persona qualsiasi come me tutto ciò che avrei potuto immaginare rimaneva, appunto, solo nella mia mente, senza mai incontrare una certezza vera e propria.
Ciò che tuttavia mi attirava maggiormente in quel posto non erano il lusso ostentato e lo scarso senso della decenza che aleggiavano in quel posto come un sottile velo appena percepibile, confermato solo da sussurri lievi tra un invitato e l'altro, quasi come una cantilena, un ulteriore invito a qualcosa di proibito, al di là delle comuni regole sociali, no. Ciò che mi rendeva euforico, agitato, era l'alone di mistero che il luogo suscitava a chiunque, ma che forse nessuno aveva mai osato sfidare apertamente.
Di cosa si trattasse di preciso? Semplice: ad ogni invitato, per accedere al salone principale della villa in cui aveva luogo la serata, veniva data una maschera creata su misura per il volto di chi l'avrebbe portata, con uno specifico disegno o intaglio, a seconda dell'indossatore. Mi avevano raccontato che ve ne erano di ogni tipo, da quelle candide, dal pattern minimalista, in stile teatro Nō giapponese, fino alle maschere veneziane dalle forme originali ed eleganti, passando per uno stile messicano che ricordava i famosi alebrijes, sgargianti, talvolta intimidatorie, ma spesso allegre e appariscenti. La mia ricalcava uno stile moderno misto allo steampunk, un classico delle fiere contemporanee e mi copriva la parte superiore del volto fin sopra al naso, su cui era apposto un elaborato pezzo di metallo in filigrana, che faceva coppia con i due ai lati della maschera, all'altezza delle corde che si allacciavano dietro alla testa. Attorno agli occhi una decorazione nera, dello stesso colore della base, ornava l'accessorio, rendendolo di una semplice eleganza non pomposa, smontata sottilmente dalle piume sulla parte superiore. Scure, lucide, bellissime, erano apposte verso l'alto in modo che, partendo dalla fronte, coprissero la parte frontale della testa, mischiandosi con i capelli in una colorazione più o meno verosimile, quasi come a fondersi con chiunque l'avesse indossata. Al centro della fronte, per concludere il tutto, era presente una gemma rosso vivo intagliata sottilmente per conferirgli una forma ovale, dal fondo piatto, in modo che aderisse perfettamente al supporto in metallo che la custodiva, anch'esso in filigrana elaborata nello stesso colore del pezzo che poggiava sul naso. L'eleganza di quell'accessorio, a parer mio, era senza pari.
Guardandomi attorno potevo scorgere gli altri invitati, ognuno con la propria maschera e un fare più o meno festoso, insicuro, tenebroso a seconda del personaggio che andavano interpretando, tuttavia qualcosa nella mia mente mi diceva che uno o più di noi, me compreso, era fuori posto.
Era come se quelle maschere avessero avuto un ruolo più grande di quanto pensassi. Mi dava l'impressione che le persone avessero dovuto nascondere il viso per una causa ben precisa, ma la mia era solo una sensazione, nulla di più.
Ormai era risaputo che le maschere andavano indossate in ogni circostanza dato che le feste di quel tipo organizzate alla villa, infatti, riportavano una sola, sacra e unica regola: non togliersi la maschera e non lasciare il grande salone, in nessun caso. Io ero sempre stato curioso, forse troppo, e volevo scoprirne il perché.
Sapevo solo di non potermi togliere la maschera per nessuna ragione al mondo, quando ero ospite dei loro balli. Non sapevo cosa avrebbero potuto farmi se avessero visto il mio volto, era così e basta.
Da sempre.
Eppure qualcosa mi aveva indotto a non seguire quell'unica ma importante regola e senza far caso a dove il mio corpo e i miei piedi mi avessero portato, mi ero ritrovato a spiare da una porta, dopo aver seguito delle voci.
Non riuscendo a vedere bene ero scivolato silenziosamente dietro a una tenda. Ciò che vidi in quel momento mi atterrì letteralmente e riconobbi alcune di quelle creature, un kitsune, un phooka e...quella è una banshee! Cosa stava succedendo?
Ascoltami.
Non erano le maschere quelle che le figure stavano indossando, ma i loro volti, ad avermi impietrito. Dentro di me urlai a squarciagola, ma non uscì un solo suono reale dal mio corpo. Osservai la maschera nella mia mano e per un istante mi chiesi se fosse giusto ciò che avevo fatto. La curiosità aveva vinto contro ogni logica e ciò che ora sostava davanti ai miei occhi era molto più di quanto potessi immaginare.
Realizzai di non essere solo, o meglio, che qualcun altro oltre a me forse aveva provato a togliere la maschera, dirigendosi in quella sala, laterale rispetto al salone centrale, ma loro erano diversi da me. Io ero umano, certamente umano, mentre quelle creature...che diavolo erano?
Iniziai a entrare nel panico, percependo il battito del mio cuore darmi alla testa, così come la mia stessa voce riecheggiare per i meandri del mio cervello, ora apparentemente vuoto, senza più un briciolo di forza di volontà e trattenni un conato di vomito.
Il mio corpo fremeva. Non seppi ben dire da cosa, se dell'eccitazione di star facendo qualcosa di proibito, se dal terrore di essere scoperto o dall'ansia di star rischiando, irrimediabilmente la vita.
Prendimi.
Sentii qualcosa rompersi dentro di me. Se la mia vita fosse stata in pericolo, come ne sarei uscito? Avrei dovuto trovare una soluzione, al più presto. La tenda non mi avrebbe protetto ancora a lungo e tutto ciò che la mia mente avrebbe potuto architettare, al massimo, era la fuga.
Sì, dovevo fuggire prima che qualcuno si accorgesse di me. Eppure qualcosa mi attirava ancora verso quelle persone dall'aria misteriosa, innaturale, inumana che fino a pochi istanti prima avevo cercato di evitare come la peste.
Forse sarei potuto rimanere lì ancora un po'. Sì, avrei fatto così!
Scostai leggermente la tenda per dare un'altra occhiata nella sala, riconoscendo le creature di poco prima ancora intente a fare salotto. Il kitsune stava agitando le code, sorridendo in allegria, mentre il phooka dalle fattezze leprine, con le lunghe orecchie pelose e il musetto allungato, sostava in piedi accanto all'altro. Mi chiesi quanto sarebbe durato, date le circostanze. Insomma, una volpe accanto a una lepre troppo a lungo poteva avere solo una conclusione...
Mi accorsi di stare sbavando.
Stringimi.
Nella mia mente mi pulii la bocca, ma dopo pochi secondi mi chiesi se lo avessi fatto davvero, quasi come se mi fossi dimenticato di aver realmente eseguito il gesto. Capitava a volte. Si sta facendo qualcosa e dopo due secondi ci si chiede se ci si è ricordati di fare ciò che si stava facendo o meno, giusto? Stava. Fare. Facendo.
Tutto quel rimuginare di parole simili nella mia testa non aveva senso ora, dal momento che, come pochi minuti prima, ero ancora indeciso sul da farsi. Scappare o rimanere a guardare.
Non che ci fosse molto di speciale in quel gruppo: fattezze sovrannaturali a parte sembrava un'allegra combriccola di persone intenta a festeggiare come tutti gli altri nel salone principale! Che stessi iniziando ad annoiarmi?
Doveva esserci una spiegazione al perché quel gruppo se ne stava lì in disparte e la mia curiosità era davvero combattuta. Un po' mi infastidii quella sensazione, quasi come se la mia alta aspettativa fosse stata smontata in due secondi da un interno e irrazionale "ah sì, sono solo creature sovrannaturali che si sono allontanate dagli umani per fare salotto". Qualcosa non andava, decisamente.
Fui sul punto di muovermi quando da forse un metro di distanza sentii qualcuno cacciare un urlo di terrore, e pensai di aver capito a chi o cosa si stesse riferendo.
Lasciami!
Il mio cuore sussultò a quel suono, facendomi raggelare e impietrire di colpo. Ero stato scoperto e il terrore di finire nelle grinfie di quegli esseri si fece vivido più che mai.
Il mio corpo si mosse da solo, uscendo allo scoperto senza che io potessi fare nulla per impedirlo. Sotto agli occhi di tutti, rimasi a osservare la gente che mi guardava come se qualcuno o qualcosa avesse improvvisamente fermato il tempo.
In una frazione di secondo potei vedere ogni singola espressione, percepii un forte odore darmi alla testa e i muscoli del mio corpo s'irrigidirono, forse donandomi un aspetto più deciso di quanto in realtà pensassi nella mia testa. Mi sentii diverso senza capire perché.
Udii qualcuno ridere e cercai di voltarmi per capire chi mai potesse essere così stupido da tentare un'azione tanto azzardata in un momento simile, ma non vidi nessuno. Un'aria gelida pervase la stanza e mentre qualcuno aveva tentato di darsi alla fuga, vidi le due porte della sala chiudersi con una violenza inaudita, provocando l'ennesimo forte rumore. Lo stesso trattamento fu riservato alle finestre dalle grandi vetrate, che rimasero impenetrabili anche laddove qualcuno avesse tentato di sfondarle con la magia.
Ovviamente le creature sovrannaturali nella stanza erano dotate di poteri magici o ad ogni modo paranormali che andavano ben al di là della mia più fervida comprensione e più di uno di loro aveva cercato di ricorrere a trucchi o veri e propri incantesimi pur di fuggire da quel luogo terrificante.
Forse ero salvo.
Udii di nuovo la risata di scherno, seguita da un ringhiare sommesso, per poi scaturire in un latrato agghiacciante che si riversò per tutta la sala. Un ruggito forte, in un rumore a metà tra il felino rabbioso e il lupo sul piede di guerra.
Inutile dire che si scatenò il panico, già ben percepibile fino a poco prima, ora molto più evidente, avrebbe attanagliato le viscere di chiunque in quella sala, insinuandosi sotto alla pelle come un cancro silenzioso, per poi graffiare e penetrare la carne della sanità mentale, distruggendola completamente.
Se fino a due secondi prima avevo pensato di essere salvo perché forse quelle creature mi avevano confuso per uno di loro, ora mi sentii perso. Al centro della sala, non potei fare altro che rannicchiarmi su me stesso, cercando di non andare nel panico più di quanto già non fossi. Sentii una crescente rabbia in corpo che si dissipò in un attimo, dopo di che vidi la prima vittima cadere inerme ai miei piedi. Quella banshee immobile, dallo sguardo assente, era ora riversata in una pozza di sangue che mi lasciò senza fiato nel notare che la sua gola era stata squarciata e ora la trachea era ben esposta, visibile come se non fosse mai stata contenuta all'interno di un involucro di carne vivente. Lasciata lì in una posa innaturale, venne poi raggiunta da un tengu, una creatura umanoide dalle fattezze di corvo, le cui ali erano state spennate poco prima che toccasse il suolo, lasciandolo in fin di vita, seppur con un enorme squarcio sulla schiena che lasciava parte della spina dorsale in vista.
Non riuscii a distogliere lo sguardo. Rimasi a fissare i cadaveri delle creature che cadevano uno a uno accanto a me, percependo l'odore di sangue e di morte che si riversava nel salone come un fiume in piena, lasciandomi attonito. Ciò che stava avvenendo in quella sala era un vero e proprio massacro.
Mi chiesi come facessi ad essere ancora vivo. Forse ero ancora nella mia stanza e stavo immaginando tutto. Doveva essere così, altrimenti non avrebbe avuto alcun senso.
Non seppi dire come o perché ma tutto attorno a me si fece improvvisamente buio e persi i sensi quando percepii l'ennesima zaffata di morte pervadermi l'anima, oltre a uno schizzo di sangue sul viso che se non mi avesse steso, mi avrebbe fatto vomitare.
Quando rinvenni mi accorsi di essere in una stanza che non avevo mai visto prima, o almeno fu ciò che pensai nel notare le pareti scure e nient'altro che una minuscola finestra chiusa da cui sembrava provenire una voce.
"Bravo il mio cagnolino" disse. La riconobbi come una voce maschile, ma non seppi dargli un volto. Non ve n'era nessuno, da nessuna parte.
Ma qualcuno c'era, giusto? Avrebbe potuto aiutarmi!
"Ehi, aiuto! Mi sente? Qualcuno può aiutarmi?" chiesi a squarciagola, avvicinandomi alla finestra, seppur troppo alta per vedere fuori.
Nessuno rispose.
Fui sul punto di riprovare quando udii una voce alle mie spalle.
"Dove sono?" chiese, rintontito.
Nel guardarlo bene notai che si trattava del kitsune di prima. Un ragazzo dall'aspetto giovane, i lunghi capelli scuri e le tre code ora immobili sul pavimento.
"Non ne ho idea. Mi sono ritrovato qui all'improvviso dopo una festa finita male, ma non so dirti altro" dissi.
Certo, detta così suonava come una semplice sbronza dopo una festa alla confraternita del college, ma non ci diedi troppa importanza. Iniziai a sentire delle fitte di dolore provenire dal mio corpo, localizzate un po' ovunque e la testa iniziò a girare vorticosamente, lasciandomi rintontito. Così, all'improvviso, senza una logica.
Iniziai ad avvertire una fame spropositata e la gola si seccò talmente tanto da farmi desiderare una goccia di acqua più di qualunque altra cosa al mondo. Sentii di aver dimenticato qualcosa.
Chi ero? Come mi chiamavo? Cosa facevo prima di finire lì?
Tutte domande che non trovarono risposta. Mentre io caddi sul pavimento della stanza chiusa, apparentemente con solo quella minuscola finestra a dare sul mondo esterno, sentii il kitsune riprendere le forze, quasi come se i nostri ruoli si stessero invertendo. Più io mi indebolivo, più lui si rafforzava.
"Fammi vedere chi hai tenuto con te questa volta" riprese la voce e la finestra si aprì.
Vidi comparire un occhio e ne se guì una risata. Qualcuno osservava dall'esterno.
Rimasi pietrificato, per quanto quella condizione mi consentisse, poi udii il kitsune sospirare.
"Non temere, andrà tutto bene"
Lui sembrò aver capito qualcosa che a me ancora sfuggiva.
"Come fai a dirlo?!" chiesi nel panico.
"Ciò che provi non è reale" riprese.
Lo guardai perplesso, sentendomi sempre più debole, tuttavia volevo sapere.
"Spiegati meglio" incalzai.
Lui per un attimo mi guardò, sospirò di nuovo e iniziò a parlare con tono grave, rassegnato.
"Siamo all'interno di un Divoratore di Anime. E' una creatura ancestrale che insegue le sue prede su ordine di qualcuno e ne mantiene una al suo interno per non perdere la lucidità mentale. Sei stato mandato alla festa con l'intenzione di darci la caccia e la maschera conteneva un sigillo che serviva a contenere la vera natura della creatura in cui ci troviamo. Una volta tolta, il sigillo si è spezzato e mentre la creatura riprendeva fisicamente il controllo, tu sei tornato a dormire"
Lo guardai assente, senza sapere cosa dire. Se ci trovavamo dentro a una creatura, forse sarei potuto uscire. Non sapevo come, ma avrei potuto tentare. Fui sul punto di comunicarlo, ma l'altro scosse la testa e per un attimo percepii i suoi pensieri dentro ai miei. Se prima le forze stavano iniziando a passare da lui a me, ora anche i pensieri iniziarono a fluire all'unisono e sentii la mia sanità mentale abbandonarmi.
Sentii i suoi pensieri fondersi con i miei, io diventare un tutt'uno con quella creatura sovrannaturale che, dentro di sé, mi stava donando forse l'ultimo barlume di coscienza umana.
"Non preoccuparti, so cosa stai pensando. Non puoi, anzi non possiamo uscire di qua perché la verità è che noi non esistiamo già più. Andrà tutto bene, non preoccuparti, questo è solo un incubo. Perché tu sei già morto giorni fa"
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