Bimba

Mi avevano avvertita. Io avevo promesso che non ci sarei caduta, l'ho giurato fino a perdere la voce, insistito che non sarei diventata vittima delle sue filastrocche, del suo canto.

Eppure, ho mentito. Anche quando dicevo che non sarei finita nelle sue braccia, mentivo. Spudoratamente.

Pensavo che tutti gli altri avessero torto, che non fosse così male, che quei capelli a spazzola e la giacca di pelle avessero un loro fascino.

La prima sigaretta, il primo peccato.

Non avevo mai fumato prima di allora, non ci avevo nemmeno provato, anche solo pensato di farlo. Andavo in Chiesa, aiutavo mia madre con le pulizie, mi assicuravo di essere sempre pulita e pettinata quando uscivo di casa, andavo a trovare la nonna e darle la torta di mele che avevo preparato la sera prima.

Quando inalai la prima nuvola di nicotina, mi sentii libera. Potente. Nonostante mi stesse soffocando. Nonostante esso fosse stato il mio primo errore.

Eppure, non potevo saperlo. Avevo tredici anni, in fondo. Innocente, piccola, indifesa. Bimba nel corpo e nell'anima con la voglia di impressionare lui, così grande, così adulto.

Funzionò. Iniziò a lanciarmi occhiate ammiccanti nei corridoi della scuola, lo sentii parlare di me con i suoi amici. "Lei? Oh, me la porterei a letto subito". Non sapevo cosa significasse, ma volevo che lo facesse.

Altre sigarette arrivarono. Le ragazze che mi avevano presa in giro non osarono più dirmi nulla. Ero la sua ragazza, adesso. Non me lo disse mai in modo esplicito, ma sapevo che era così.

I miei voti iniziarono a calare, non prestavo più attenzione allo studio, perché avevo lui, e mi bastava. Era più che sufficiente. Prima era euforia essere la più brava della classe, i complimenti dei professori, della famiglia. Ma poi, perché avrebbe dovuto interessarmi di imparare, quando lui aveva la motocicletta, le sigarette, le riviste esplicite?

Diceva che studiare era inutile, che non mi avrebbe portatata a nulla, ero intelligente, ma "quella gente lì" mi avrebbe fatta fallire, dovevo andarmene, scappare con lui.

Lasciai la scuola a sedici anni, senza rimorso alcuno, senza pensare alle conseguenze.

Ci sposammo contro il volere dei miei. Mi abbandonarono, mi dissero che ero una poco di buono, che non ero più la loro principessa, e che avrei dovuto cavarmela da sola.

Lui c'era, quando litigai con la mia famiglia. Mi disse che avevo fatto bene, che non avrebbero mai capito, non mi avrebbero mai capita.

Andai a vivere con lui in una fatiscente casa nella parte più malfamata del quartiere. Fui entusiasta di questo. Avevo sedici anni, ma mi sentivo molto più grande, più adulta.

La nostra situazione economica era critica, quindi fui costretta a cercare un lavoro. Venni assunta come segretaria in uno studio legale. La paga non era altissima, ma ci permetteva di condurre una vita dignitosa.

Mi sembrò strano anche allora che assumessero una sedicenne senza alcuna esperienza, che aveva mollato gli studi. Chiesi informazioni, e mi risposero che, finché avessi lavorato senza creare problemi, età ed esperienza non importavano.

Lui insisteva sempre nell'accompagnarmi, poiché aveva paura che qualcuno mi aggredisse. Trovai che fosse davvero premuroso e gentile, quindi lo lasciai fare.

E cominciò il declino. Iniziò a passare tanto, troppo tempo fuori, e tornava in uno stato pietoso. Io cercavo sempre di aiutarlo, ma lui mi scacciava, dicendo che non aveva bisogno di me. Mi ferivano, queste parole.

Eppure, il giorno dopo chiedeva scusa. Un mazzo di rose, "perdonami, bimba, non volevo", un bacio. Lo perdonavo sempre. Il ciclo continuava, un cane che si morde la coda.

Avrei potuto andarmene, avrei dovuto andarmene. Eppure, rimasi. Rimasi fino alla fine, fino a quando non diventò troppo tardi per scappare.

Diventò violento. Mi metteva le mani addosso, mi faceva male, io piangevo e lui mi urlava di stare zitta, che ero una semplice donna, che mi meritavo tutto.

E il giorno dopo, come sempre, mi chiedeva scusa. Un mazzo di rose. Un bacio. E io lo perdonavo.

Iniziai a ricevere lettere su lettere di parenti e amici preoccupati, alcune dalla mia famiglia. Chiedevano scusa, volevano che tornassi a casa, perché non avevano più notizie di me.

Inizialmente le ignoravo, perché avevo paura che lui potesse reagire male. Quando glielo confessai, fu orgoglioso di me. "Brava, bimba, non lasciare che ti intortino con delle bugie. Dai, dì loro che stai bene, e di non contattarti più".

Eseguii. Risposi a tutte le lettere, ordinando che non mi contattassero più. Stavo bene.

I miei colleghi iniziarono a chiedermi se mio marito mi trattasse bene, poiché avevano visto i lividi sul corpo. Io rispondevo, un sorriso cucito, che sì, mi trattava bene. Mi amava tanto. Non c'era nulla di cui preoccuparsi.

E ora, con questo coltello in mano, dietro di lui che guarda le prodezze di Nadia Comăneci in televisione, posso dire che sì, va davvero tutto bene.

Tag doverosi:
PMillerEunaNotte
secretmephoenix
crilu98

Nessuno ha indovinato la canzone, perciò posso considerare questa One Shot un successo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top