Cyrano De Bergerac (Frerard)
《 E che cos'è un bacio? Un apostrofo rosa fra le parole t'amo, un segreto detto sulla bocca.》
Così recitava Cyrano, parlando per l'amico Cristiano, alla donna che anche lui amava segretamente e tutte le parole che ha suggerito a lui, e anche quelle che, grazie all'oscuritá è riuscito a pronunciare egli stesso, tutte quelle parole erano vere, erano l'esternazione dei sentimenti che da sempre aveva provato per l'amata cugina.
Ed io adesso mi sento proprio come Cyrano, combattuto fra l'amicizia che mi lega a lei e l'amore segreto che provo per lui.
Vi starete chiedendo chi sono io e perchè mi sto paragonando a Cyrano de Bergerac, ma se avrete pazienza vi spiegherò tutto.
Il mio nome è Frank, un nome di cui non vado molto fiero, ma ognuno ha quello che i genitori decidono e deve accontentarsi, così io mi sono accontentato di questo nome che non mi è mai piaciuto e di un sacco di mille altre cose.
Ho passato la mia vita ad accontentarmi di tutto quello che gli altri non volevano, o che non riteneva abbastanza bello da tenere in considerazione.
È così che ho conosciuto lei, ma non saltate a conclusioni affrettate, non ci siamo mai amati come due amanti farebbero.
Lei è stata come un raggio di luce penetrato attraverso i miliardi di strati dell'oscuritá in cui mi ero nascosto da sempre, scappando dalla vita e dalle battaglie, costringendo me stesso a lascir vincere gli altri a tavolino, abbandonando la partita senza alcun motivo apparente.
Ma l'unico motivo per il quale non ho mai lottato per qualcosa è perchè non ho mai avuto qualcosa di così importante per cui combattere con tutte le mie forze e con tutte le forze che non ho.
Poi, come ho giá detto, è arrivata lei, correndo su una tavola da skateboard per le strade sterrate del quartiere di periferia in cui i miei sogni per il futuro erano annegati ancora prima di nascere.
Come una ventata di primavera ha illuminato i miei giorni bui, trascinandomi fuori dalla scorza in cui mi ero chiuso, mostrandomi il mondo attraverso i suoi occhi, che racchiudevano tutta la bellezza e la leggerezza delle cose.
Ho sempre sognato essere come lei, ma la mia anima è grigia, mentre la sua è fatta di pura luce divina, come potrei mai essere al pari di un essere tanto leggiadeo quanto gentile.
Ho ringraziato Dio per così tanto tempo per avermi donato una persona come lei, che era riuscita a portare un minimo di gioia nel mio mondo buio.
Lei mi proteggeva dai mostri sotto al letto.
I mostri con cui vivevo, che mi trattavano come uno schiavo, come feccia, come se la mia vita non contasse niente in confronto a quella di qualsiasi altro essere vivente e non.
Mi sentivo più morto che vivo, non sapevo cosa voleva dire vivere, non avevo mai vissuto, mi avevano tolto tutto: la libertá, la felicità, la dignità, tutto.
Odiavo loro e tutto quello che mi facevano pensare di me, perchè con il tempo finisci per crederci davvero a tutte le cose terribili che ti dice la gente.
Ed io ormai ci credevo così tanto, che avevo pensato di farla finita.
E per poco non c'ero riuscito, dico davvero.
Ero lì, sul tetto della mia scuola che dava sulla discarica, il vento che mi sibilava nelle orecchie con forza e il cielo plumbeo che niente aveva da dire di fronte a un tale sacrilegio.
Neanche al cielo importava della mia vita.
Poi lei è arrivata e ha detto un sacco di cose, la maggior parte delle quali non ho capito, mentre io stavo aggrappato alla ringhiera, con un piede nel vuoto, pronto a mettere fine a tutte le sofferenze, a tutti i sensi di colpa, a tutte le loro parole, alla mia misera vita senza futuro.
Ed io sono tornato indietro, non per quello che aveva detto lei, ma perchè lei era lì e mi stava impedendo di fare quello che chiunque altro mi avrebbe lasciato fare, magari anche spingendomi con forza a lanciarmi nel vuoto.
Così lei è entrata nella mia vita e, come se volesse impedirmi di tentare il suicidio un'altra volta, ha iniziato a mostrarmi il mondo attraverso i suoi occhi.
E il mondo mi è sembrato così bello, quando era lei a parlarmene.
Io ero soltanto una misera mosca in un mondo così grande pieno di giganti che mi avrebbero schiacciato per tutta la mia vita e lei era una bellissima farfalla dai colori vivaci e dalla risata contagiosa.
L'unica cosa che volevo fare era sdebitarmi.
Lo è sempre stato, ma non ho mai trovato il modo di farlo.
E poi, dopo anni, si è finalmente presentata la possibilitá di farlo.
Successe che un ragazzo si trasferì nella nostra scuola, uno sfigato in tutto e per tutto, fu subito preso di mira dai peggiori bulli della scuola, tutti quelli che si divertivano a infilarmi dentro gli armadietti e nei bidoni della spazzatura: "Fra i tuoi simili Iero."
Lei se me innamorò perdutamente, non so come e non so assolutamente quando, ma so che ne era perdutamente innamorata.
All'inizio non capivo perchè, neanche dopo avermelo presentato lo avevo capito.
Ma con il tempo iniziai a capire.
Gerard era fantastico e quando dico fantastico intendo fantastico veramente.
C'era qualcosa di speciale in lui, una scintilla di determinazione nel suo sguardo, che attirava la mia attenzione e che mi lasciava immobile a fissare.
Lo avevo visto sdraiato per terra, sanguinante e ammaccato, ma non lo avevo mai visto effettivamente a terra.
Gerard si rialzava sempre, era sicuro di quello che era e di quello che voleva essere, a lui non importava cosa pensavano gli altri: sapeva chi era e non aveva bisogno che fossero gli altri a dirglielo.
Lui era come lei.
Io ero il terzo in comodo.
Guardavo il loro amore crescere di intensitá giorno dopo giorno e ne ero felice, come avrei potuto non esserlo, lei era felice, una felicitá che io, nonostante avessi voluto, non avrei mai potuto darle.
La felicitá dell'amare e dell'essere amati.
Io vivevo nell'infelicitá di amare e di non essere amato a mia volta.
Mi innamorai di lui con il passare delle stagioni, passo dopo passo.
Mi innamorai dei suoi occhi che brillavano nella luce gialla del sole, che riflettevano tutto quello che viveva all'interno della sia anima combattiva, uno spirito guerriero degno di Foscolo.
Mi innamorai del suono della sua risata, simile al cadere delle foglie d'autunno e a quello della pioggia estiva, una risata contagiosa come quella di lei.
Erano perfetti l'uno per l'altro, allegri, determinati, combattivi e coraggiosi.
Io ero il contrario di tutto quello che loro rappresentavano.
Codardo, infelice al limite della depressione.
Io ero soltanto un ragazzo solo e triste che aveva trovato rifugio in tragedie e poesie, recitavo a memoria versi di Dante e poemi epici come se fossero le tabelline.
A lei piacevano le mie poesie, quelle che scrivevo prima di incontrarla e che esprimevano tutto il mio dolore e il mio desiderio di mettere fine a tutto quanto, quelle che scrivevo dopo aver incontrato lei, piene di una ritrovata speranza e illusione che non mi appartenavano.
Non le feci mai leggere quelle che scrivevo per lui.
Non avrei mai potuto.
Arrivò poi il giorno in cui lei decise di dichiararsi a lui, dopo anni in cui si erano amati di nascosto, senza mai esplicitare direttamente i loro sentimenti.
Ed io la aiutai.
Le dettai parole d'amore dal buio di una siepe, mentre lui la guardava dal davanzale della sua finestra, in un gioco di ruolo invertito in cui lui era Giulietta e lei Romeo.
Io?
Io ero soltanto l'amico.
Le dettavo i versi che provenivano dal profondo del mio cuore, lá dove erano annidati tutti i sentimenti che provavo da sempre per lui.
Ma che lui non provava per me.
Per lui ero soltanto l'amico con cui passare il pomeriggio d'estate sdraiati all'ombra di un albero di noci.
L'amico con cui poteva parlare dell'amore che provava per lei.
Ed io soffrivo.
Soffrivo così tanto, che a volte piangevo sotto le coperte maleodoranti del mio scomodo letto, nella mia stanza buia, aspettando che una luce di speranza illuminasse la mia vita.
Ancora una volta.
Le dettai i versi che Cyrano dettò a Cristiano.
Soffrii come lui nel vederla arrampicarsi fino al davanzale di lui, come un agile gatto.
Poi lo aveva baciato.
Ed era felice.
Lei era felice grazie a me, grazie all'aiuto che, finalmente, le avevo dato.
Avevo assolto tutti i miei compiti.
Il senso di dovere che sentivo nei suoi confronti era sparito, avevo finalmente saldato il mio debito per la felicitá che lei mi aveva portato.
E ho rinunciato a colui che ho amato veramente.
Quel giorno ho rinunciato all'unica persona che avrei voluto al mio fianco per tutta la vita, perchè avrebbe potuto portarmi attraverso le insidie e le sofferemze, tenendomi per mano e guidandomi come Virglilio guidò Dante all'Inferno.
E non avrei più avuto paura.
Alla fine glielo dissi, che l'amavo, quando ormai eravamo vecchi e non potevamo fare altro che aspettare l'ora della morte con un sorriso stampato sul volto.
Avevo avuto una vita relativamente felice, tenendo conto del fatto che avevo tentato di suicidarmi pensando che non sarei mai riuscito a fare niente di buono.
Ma dal giorno in cui avevo aiutato lei ero cambiato.
Ho vissuto tanto, più di quanto avrei fatto se mi fossi buttato da quel tetto, tanti anni fa.
Sono felice, veramente felice, di non averlo fatto.
E adesso che l'ora della morte è vicina, non ho rimpianti.
C'era solo un'ultima cosa che dovevo fare.
Dovevo dire a lui che l'amavo, che l'amavo più du ogni altra cosa e che non mi importava cosa pensasse lui di me e dei miei sentimenti nei miei confronti.
Lo amavo davvero e ormai ne ero sicuro.
Così glielo dissi e lui mi sorrise, con le lacrime agli occhi, quegli occhi che brillavano della stessa determinazione di quando era un ragazzino, anche se ricoperti di rughe.
Lo aveva sempre saputo.
Era ancora così bello.
Ma non rimpiangevo di averlo lasciato andare.
Non rimpiangevo più niente.
Lui mi baciò dolcemente sulle labbra ed io ritornai a quell'estate di tanti anni fa, mentre i suoi capelli diventati nuovamente neri e lunghi mi solleticavano il volto e le sue labbra giovani e rosee si posavano sulle mie.
Lo avevo sognato per così tanto tempo, quell'apostrofo rosa fra le parole ti amo.
E lasciai la vita così, con il sapore di Gerard ancora impresso sulle labbra, chiudendo lo spettacolo della mia vita, che non siera rivelata affatto misera come avevo sempre immaginato, inchinandomi di fronte alle mie vittorie e alle mie sconfitte e chiudendo il rosso sipario di velluto su tutte le gioie e i miei dolori.
Come il più grande degli attori.
《 Io non vo' che tu pianga meno il tuo seducente,
il buono, il bel Cristiano. Io voglio solamente
che, quando le mie vertebre avrà dóme il gran gelo,
un duplice tu dia senso al tuo nero velo,
e che il suo lutto sia anche un poco il mio lutto.》
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Salve!! So che la storia in se non ha molto senso, ma mi sono innamorata della storia di Cyrano (si) QUINDI dovevo scriverla assolutamente.
[E tanto qua ci posso scrivere qualsiasi cosa no sense quindi rido]
Spero vi piaccia e addio.
~bye
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