Rage room.
Realizzare di essersi innamorato di Simone, per Manuel, non è stato facile.
È stato un percorso lungo, faticoso, in cui è stato costretto a venire a patti con se stesso, ad accettarsi, capirsi, ad ascoltarsi.
A prendersi del tempo per conoscersi, e conoscersi davvero.
Lui che aveva sempre lasciato poco spazio all'introspezione, si era rassegnato per la prima volta nella vita alla necessità di rispondere davvero alla domanda "chi è Manuel?"
Manuel è un ragazzo in gamba, che non ama studiare ma si sta impegnando, che lavora da qualche mese in un'officina vicino casa, che ama la musica rock, che sogna di laurearsi in filosofia, diventare docente e che ama Simone.
Manuel ama Simone.
Lo ama profondamente, intensamente, con ogni fibra del suo corpo.
Lo ama tanto da volerlo proteggere, da voler essere quell'angolo sicuro di mondo che Simone, forse, non ha avuto mai.
Lo ama in modo passionale, tanto che i suoi baci non bastano mai e le mani sembrano impazzire ogni volta che i loro corpi si avvicinano.
Lo ama tanto da passare a trovarlo ogni sera, dopo il lavoro in officina, anche quando finisce tardi, con ancora indosso la tuta e le mani sporche, solo per un bacio veloce e un «Ti amo» detto sottovoce, davanti casa, che i ti amo veri non vanno mica urlati.
Lo ama tanto che la sua felicità dipenda esclusivamente da quella dell'altro. Che il sole riscalda un po' di più quando Simone è felice e le nuvole sembrano d'acciaio quando è triste e spento.
Certo, capitava spesso che i due litigassero.
Anche per i motivi più banali.
I litigi duravano poco, erano solo dei battibecchi e piccole frecciatine che finivano presto col trasformarsi in baci, arrabbiati sì, ma pur sempre baci.
Ed era sempre Manuel il primo a cedere, per quanto amasse vedere il viso imbronciato di Simone, aveva una matta paura di farlo soffrire.
Quindi abbassava la voce, si avvicinava piano e ,con l'aria di un cane bastonato e gli occhioni grandi, chiedeva piano "amore, facciamo pace?" , al quale seguiva tempestivamente un secco "no" da parte del minore che, al contrario di lui, era molto più bravo a tenere il broncio, ma cui corazza crollava presto quando il maggiore faceva labbruccio e lo chiudeva in un abbraccio sussurrando un "dai amore, ti prego" tra piccoli baci.
Quel sabato mattina però, il battibecco sta andando per le lunghe e la protagonista è, come al solito, la gelosia di Simone.
La sua enorme, immensa, infinita, ingestibile, irrefrenabile gelosia.
«Allora? Cos'è questa?» chiede Simone, lanciando all'altro un'occhiata di fuoco.
Gettato sul tavolo il proprio cellulare dove appare lo screen di una storia Instagram presa dal profilo di Aureliano, in cui si vede lui, in primo piano, abbracciato a Monica.
Dietro però, si scorge la figura di Manuel che abbraccia una ragazza.
Manuel raccoglie il cellulare e quasi viene accecato dalla luminosità dello schermo. Strizza gli occhi per mettere a fuoco l'immagine.
«'Na storia de Aureliano, Simó.» risponde vago.
È stanco e non ha voglia nemmeno tutta 'sta voglia di stare a parlare.
Men che meno di litigare.
La sera prima era stato trascinato da Aureliano, Monica e Matteo a fare un giro per i vicoletti di Roma e per bere una cosa. Simone non poteva esserci perché impegnato con gli allenamenti di rugby e Manuel non aveva trovato una scusa che reggesse davvero per poter convincere gli altri che avrebbe tanto voluto unirsi a loro ma purtroppo non gli era possibile.
Quindi, una volta terminato il turno in officina, era passato prima a trovare Simone agli allenamenti per un saluto veloce e poi era corso a casa, a fare una doccia e cambiarsi per poi raggiungere gli altri.
Era stata una serata piuttosto tranquilla, una passeggiata per qualche chilometro per poi fermarsi ad un pub, dove aveva bevuto una birra, mandato qualche messaggio a Simone nei momenti morti ed ascoltato i millemila racconti di Matteo, fingendo interesse.
«Ti sbrighi che così usciamo? Pe' cortesia Simó, te prego.» spegne dal tasto laterale il display del cellulare di Simone e lo restituisce al proprietario, facendolo scivolare sulla superficie del tavolo. Incrocia poi le braccia e si curva tuffando la testa nel mezzo, com'è solito fare sui banchi di scuola.
«La smetti di fare il cretino? ci sei pure tu in questa storia» lo rimbecca subito Simone, tenta di nascondere quanto la gelosia lo stia letteralmente divorando ma viene tradito dall' ennesima occhiata di fuoco lanciata verso la figura di Manuel, che è ancora ricurvo sul tavolo e non sembra avere intenzione di rialzarsi.
«Ce so pure io. Eh. E che faccio?» mormora il maggiore, Simone distingue a stento le parole perché la voce è impastata prima con il sonno e poi la manica del giubbotto che indossa.
«Stai tutto abbracciato a 'na ragazza, Manuel»
«Capirai..lesa maestà.»
«Manuel, io sono serio. Ora tu mi spieghi cortesemente chi cazzo è quella e perché cazzo ve stavate ad abbracciá.»
Tira fuori una sedia e prende posto, di fronte a Manuel.
«Avanti, spiega, ti ascolto» picchietta nervosamente le dita sul tavolo, in attesa che l'altro lo degni di uno sguardo e delle spiegazioni che pretende.
Manuel non si smuove minimamente dalla sua posizione, resta lì. Finge quasi di dormire, pur di non affrontare l'argomento. Peccato per lui che Simone non sia proprio dello stesso avviso e non abbia alcuna intenzione di lasciar scivolare la cosa, non che questo lo stupisca, a dirla tutta.
E infatti, passa meno di un secondo prima che Simone scuota il suo braccio.
«oh! Ma me stai ad ascoltà, Manuel?»
Manuel sospira profondamente, chiamando a sé tutta la pazienza di cui è capace, realizza ancora una volta che Simone non mollerà la presa.
«Se chiama Sofia.» borbotta appena.
«Bel nome. E quindi?» lo rimbecca subito l'altro.
«E quindi - e quindi niente - era là al locale dell'amico de Matteo, s'è avvicinata a noi e- niente Simó » dover dare tutte quelle giustificazioni lo sfiniva e lo annoiava mortalmente.
Non era nemmeno abituato a farlo.
Aveva sempre avuto accanto chi si accontentava dei suoi silenzi e se li faceva andare bene.
E poi era arrivato Simone- che pure se non te la faceva lui, le domande, erano i suoi occhi grandi a fartele.
«Che vuol dire che s'è avvicinata a voi... e niente?» Simone non ci prova nemmeno più, a camuffare il tono di voce per apparire meno indispettito.
«Ma sì Simó...le solite stronzate. S'è messa a parlá de cose sue co' Laura. Manco stavo a sentí, ti ho mandato pure un messaggio mentre lei era al tavolo, pensa quanto me ne fregasse dei suoi discorsi.. » accompagna la frase ad un vistoso sbadiglio, come ad enfatizzare la cosa.
«Però poi- a 'na certa- ve siete abbracciati.»
«Eh.»
«Mi stai prendendo per il culo, Manuel?»
A quel punto Manuel solleva lo sguardo, incrocia quello di Simone.
«ma no, Simò. Ma cosa c'entr-»
Non ha nemmeno il tempo di finire la frase che Simone è già in piedi. Lo stridere della sedia sul pavimento di cotto lo fa sussultare. Si stropiccia gli occhi per mettere a fuoco l'immagine di Simone che apre la porta di casa e rientra, sbattendo violentemente la porta dietro di sè.
Si lascia scappare un lamento esasperato.
Farfuglia, tra sè e sè, un "e mò dove va?", scuote leggermente il capo, i gomiti poggiati sul tavolo e le mani ancora a reggergli il viso.
Porta due dita ad altezza delle tempie che sente pulsare ed inizia a massaggiarle con lenti movimenti circolari, per alleviare la tensione.
Sospira rassegnato e si convince ad alzarsi, per seguirlo.
Apre piano la porta d'ingresso e la chiude altrettanto piano, pensa che se quella porta prendesse un altro colpo violento, probabilmente si scardinerebbe del tutto e vallo a spiegare, a Dante, che da quando lui e Simone stanno insieme, un pezzo di casa viene demolito ad ogni loro litigio sotto i suoi occhi, senza che lui se ne accorga.
Trova Simone in cucina, appoggiato al bancone. Accarezza nervosamente il bordo di una tazzina di caffè fumante, appena fatto dalla macchinetta, che ancora è accesa accanto a lui.
Si avvicina piano, lo sguardo basso.
Non sa nemmeno perché si stia comportando come fosse colpevole.
Saranno gli occhi di Simone che lo fanno sentire in colpa, l'idea che possa averlo ferito.
«Mi offri un caffè?» è l'unico modo che gli viene in mente per dire "mi perdoni?"
Perdonare di cosa, poi?
Quello ancora non lo sa.
Simone gli indica stizzito la macchinetta.
«Sai già dove sono le cialde.»
«Eh..vabè.»
Recupera dal cassetto una cialda di decaffeinato.
Getta via quella usata da Simone ed inserisce la sua.
«Me serve 'na tazzina»
Il più piccolo sbuffa così platealmente da far sorridere Manuel -che tra le tante cose che ama di lui, ama anche i modi teatrali che è solito avere quando è arrabbiato- poi prende una tazzina dal pensile posizionato dietro di lui e gliela porge.
«Tieni.»
Si ritrovano così, qualche minuto dopo, entrambi in silenzio ed entrambi poggiati al bancone della cucina, a sorseggiare il caffè ormai freddo.
Quel silenzio sta stretto ad entrambi ma nessuno osa fiatare.
E anche questa volta è Manuel a cedere per primo.
«Amore..»
Simone si volta a guardarlo e, con immenso stupore da parte del maggiore, ripete piano, ma con tono decisamente più fermo del suo, «amore.»
Ed ecco arrivare il primo tentativo.
«Amore, facciamo pace?»
«No.»
Tentativo fallito. Ma è prassi. Niente di nuovo.
Questa volta però, quando Manuel fa per avvicinarsi a stringerlo a sé e baciarlo, Simone blocca le sue braccia.
Si sposta e fa il giro del tavolo, per mantenere le distanze.
«Ti ho detto che te la devi fare passà 'sta gelosia, Simò!» sbotta Manuel, per la prima volta in quasi sei mesi di relazione è davvero spazientito. Lo fa alzando la voce e sbattendo i palmi sul tavolo dietro al quale Simone lo guarda un po' sbigottito per la reazione avuta.
Basta un attimo affinché il minore si ricomponga e ribatta con tono sostenuto.
«Farmela passà? Manuel, ve state abbracciando! Ti chiedo spiegazioni..e nemmeno me le dai!» trattiene una risata al limite dell'isterico. Inizia a realizzare, in cuor suo, di star facendo una scenata per niente.
Ma è troppo orgoglioso per ammetterlo.
Orgoglio 1- Simone 0.
Come sempre.
«Perchè non ce sono spiegazioni, Simò! 'Ste foto- 'ste foto nun vonno dì niente! Ti stai a fà i film, come sempre!» Inizia ad andare avanti e indietro, lungo la cucina.
«Manuel, ve stavate abbracciando. E okay- facciamo che non sono la persona più facile della terra- mi sta bene, lo ammetto.» - e Dio, quanto gli costa ammetterlo. La voce gli trema anche un po' nel farlo - «Ma non sono pazzo. Non me pare niente niente.»
Mantenere il punto gli risulta sempre più difficile, ma lo fa.
Almeno ci prova.
«Era solo pe' falla sentì a suo agio, Simò! Quel cojone de Matteo continuava a fà battute fastidiose-»
«E tu l'hai salvata, certo. Come ho fatto a non pensarci?» Lancia al più basso un'occhiata carica di sarcasmo prima di tornare a guardare davanti a sé ed ignorarlo.
«Non l'ho- non l'ho salvata. E guardami quando te parlo.» Lo rimprovera secco, Manuel.
Si è piazza davanti al minore che, recepito il rimprovero, lo guarda di sottecchi, per non riceverne un altro.
«Ho solo cercato- ho cercato de non farle passà 'na brutta serata, tutto qua.» allarga le braccia per poi lasciarle cadere lungo i fianchi, spera solo che l'altro ponga fine a quella stupida discussione.
«Ho capito. Va bene»
Non va bene niente, in realtà.
Glielo si legge palesemente in viso, nello sguardo basso, nell'espressione ancora corrucciata e nel tono stizzito.
«Però me devi guardà, Simone.»
«E devi credermi. Devi credermi quando te dico che io ho occhi solo pè te, Simò.»
Simone cede giusto un secondo,
« Manuel, io ti credo. Però-»
«sono solo spaventato. Io non ti voglio perdere Manuel, tu per me sei tutto, tutto.»
Manuel sente il cuore sciogliersi. Non resiste alla visione di Simone in versione cucciolo indifeso.
Vorrebbe spazzare via ogni sua insicurezza, vorrebbe che Simone gli guardasse dentro per capire che davvero, non c'è persona che conti più di lui.
«Io non potrei mai mai mai fare in modo che questo accada, Simò. Mai.»
Si avvicina ancora una volta al più piccolo e va per abbracciarlo, questa volta Simone non si scansa. Al contrario, si tuffa tra le braccia dell'altro e gli bacia piano le spalle.
«Vai a sbrigarti ora, mh?»
«Va bene.» si sporge verso l'altro per lasciargli un bacio veloce sulle labbra.
«Ti aspetto fuori.»
Esce fuori da casa Balestra e si distende sul divanetto in vimini nero, posto vicino la porta d'ingresso. La seduta è oltremodo scomoda e dura ma cerca di
Si lascia cullare dal freschetto che tira, dal vento che gli accarezza piano i capelli e dal canto degli uccellini che fa da sottofondo a quella pace.
Sta quasi per addormentarsi quando Simone lo raggiunge, sposta la gambe per fargli spazio, lo vede prendere posto accanto a lui e riposiziona la gambe sopra di lui, con immenso sollievo per i suoi polpacci.
Simone è ancora in silenzio, gli accarezza piano le gambe coperte da uno stretto paio di jeans, lo guarda qualche istante bearsi sotto quelle carezze.
È così bello, anche con il volto un po' stanco e i capelli un po' aggrovigliati.
Si schiarisce la voce e gli passa un foglietto.
Manuel lo guarda di sottecchi, il sole lo costringe a tenere gli occhi aperti in una fessura, recupera il foglietto dalle mani dell'altro e si fa ombra per leggerne il contenuto
"Scusami. Ti amo"
Sorride appena, piega in quattro parti il foglietto, solleva il bacino e lo ripone in tasca.
Mormora un «Ti amo anch'io», seguito da un piccolo sbadiglio.
Il più piccolo sospira e prende coraggio per prendere la parola.
«Mi dispiace- per la scenata.» gli costa ammettere d'aver davvero esagerato questa volta ma sa di dovergli delle scuse.
«Capisco d'essere un po' troppo- geloso, a volte.»
Manuel solleva appena il capo per guardare Simone, aggrotta la fronte e solleva un sopracciglio , accompagnando l'espressione ad una risata un po' isterica
«Solo a volte simò?»
«Va bene. Lo sono spesso. Contento adesso?»
«Eh.»
Torna a guardare il più piccolo che ora abbassa gli occhi e sembra davvero dispiaciuto.
Manuel non gli resiste: è adorabile. Si allunga un po' a prendere la sua mano e lo scuote leggermente muovendo le gambe sopra di lui.
«Va tutto bene Simò.»
«Me fai girare un po' le palle ma è tutto finito.» sul volto appare un sorriso rassicurante che rivolge al più piccolo.
«Sei ancora convinto di voler stare con 'sto matto?» Simone ridacchia delle sue stesse parole.
Nasconde il viso tra le mani, guance ed orecchie rosse dalla vergogna.
«Mai avuto dubbi. E poi diciamo che- il fatto che m'hai spaccato una macchina senza che manco stessimo insieme m'aveva dato n'idea de quanto te prende er matto quando sei geloso »
Simone non trattiene una fragorosa risata e Manuel gli va dietro.
«Ma ti ho già chiesto scusa mille volte!»
«M'hai chiesto scusa ma l'hai fatto Simó» continua a scuotere la testa, immerso ancora nella sua risata.
«Però te conviene fattela passà, 'sta gelosia pazzesca che c'hai. Anche perchè non ho un'altra macchina da fatte spaccà!» sogghigna ancora un po' e si stropiccia piano gli occhi per scacciarne via due lacrime che sono comparse agli angoli.
«E tu smettila di farmi ingelosire allora.» lo rimbecca subito il più piccolo, mentre si finge offeso mettendo il broncio e incrociando le braccia al petto.
«eh vabè. deve essere sempre colpa mia, vero?» mormora Manuel, è rassegnato ma allo stesso tempo divertito da quel battibecco surreale che stanno avendo su quel divanetto di vimini che inizia pure a fargli dolere la schiena per la posizione assunta.
Si mette quindi seduto e si avvicina al ragazzo.
Lo stringe a sé, porta una mano dietro la sua nuca per avvicinarlo e preme forte le labbra alle sue. Gli mordicchia piano il labbro inferiore per poi stampare una serie di baci veloci sulla punta del suo naso.
Resta ad un millimetro dal suo volto, i loro respiri a mescolarsi.
«Io ti amo. E ti amo come non ho mai amato nessuno al mondo.» Il tono di voce è quasi impercettibile ma non importa, quella frase vola via dalle sue labbra come una piuma e raggiunge le orecchie di Simone che lascia unire ancora una volta le loro labbra in un bacio lento e umido.
Resterebbero ben volentieri così tutto il giorno ma Dante sta per rientrare e ai due non va di restare in casa a ascoltare i soliti discorsi su filosofi e libri.
«Dai, usciamo»
Manuel scatta in piedi allargando in aria le braccia per stiracchiarsi.
Il più piccolo annuisce e si alza.
Lo prende per mano e raggiungono la vespa di Simone.
Montano in sella e si avviano per le strade trafficate di Roma.
«Siamo arrivati.» annuncia Manuel dopo aver posteggiato la moto di fronte ad un vecchio edificio.
È un palazzo piuttosto anonimo, con un enorme portone d'ingresso in legno d'un legno scuro e visibilmente usurato.
«Manuel dimmi che non ce stiamo a mette di nuovo nei casini.»
«Ao Simó ma te vuoi fidà de me o no?» lo rimprovera con lo sguardo.
Simone sa che Manuel è ormai fuori da ogni possibile giro malavitoso ma quel portone non sembra essere presagio di qualcosa di buono.
Si fa coraggio e scende comunque dalla moto per raggiungere il fidanzato che ha già citofonato ad uno dei piani dello stabile.
Entrati, percorrono qualche metro prima di giungere ad un'altra porta che non tarda ad aprirsi.
Ad accoglierli un ragazzone sulla trentina, capelli corti, barba incolta, sul volto spicca la lacrima di Pierrot, tatuata sotto l'occhio.
Simone lo guarda e non può fare a meno di chiedersi quanto male possa aver fatto fare quel tatuaggio, è quasi tentato di chiederlo quando il ragazzo prende parola e afferra al volo la mano di Manuel, sospesa a mezz'aria, battendo un cinque vigoroso.
«Che piacere, Manuel! È da un po' che non ce vediamo»
Allunga una mano verso Simone che la stringe per ricambiare il saluto.
«E tu devi essere Simone! Manuel mi parla sempre di te! Io sono Alessandro!»
«Piacere mio» mormora Simone, che non accenna a mollare la mano del fidanzato e cerca di camuffare il palese disagio che quel posto gli fa provare.
Non può negare che Alessandro abbia, nonostante ogni apparenza, un'aria gentile e amichevole.
E lui lo sa, che non bisogna mai fermarsi alle apparenze.
Se l'avesse fatto con Manuel, avrebbe precluso a sé stesso la possibilità di conoscere l'amore della sua vita.
Alessandro allarga le braccia e fa qualche passo indietro per permettere ai due ragazzi di entrare.
«Accomodatevi pure!»
Il posto è decisamente singolare.
Le pareti sono rivestite da un sottile pannello di sughero sul quale sono appesi oggetti di vario tipo: un martello a destra, una mazza da baseball poco sotto, alcune da golf poco più a sinistra.
Al centro della stanza un grande bersaglio, sotto il quale sono sistemate in fila una quarantina di freccette e dei piccoli dardi.
Manuel sembra piuttosto a suo agio, si avvicina al balcone dietro al quale si è sistemato Alessandro e poggia una mano sullo stesso, mentre con l'altra continua a tenere quella di Simone.
«Allora Alessá! Che ce proponi?»
«Tutto quello che vedi esposto!» allarga le braccia, facendole roteare un po' per mostrare gli oggetti sparsi per la stanza.
«Quanto tempo pensi che te serve?»
«Na mezz'ora, come al solito»
«Perfetto! Preparo tutto!» fa un piccolo cenno con la testa e si allontana.
Simone è ancora un passetto indietro rispetto a Manuel, continua a spostare lo sguardo in giro per la stanza.
«Manu, mi spieghi cos'è 'sto posto?»
«Se chiama Rage room.»
«Qua puoi spaccá tutto quello che te pare- senza farte male, me raccomando- scegli l'arma da utilizzà, te metti le protezioni e te sfoghi»
Il più piccolo aveva vagamente sentito parlare dell'esistenza di posti del genere, ma non pensava esistessero davvero, non a Roma per lo meno.
«Te sei tutto matto, Manuel»
«Scusa eh. Stavi 'ncazzato come un picchio pè quella storia-»
«Non me ci fare pensare.» Simone chiude i pugni a mezz'aria per mettere a tacere Manuel come fosse un direttore d'orchestra.
«-ecco, appunto»
«E poi è n'esperienza nova per te, ho pensato che t'avrebbe piacere viverla con me..no?»
«è 'na sorta d'appuntamento quindi?» le labbra di Simone si incurvano subito in un sorriso.
Le labbra di Manuel si appiattirono in un espressione vagamente soddisfatta.
«Quanti vogliono ancora appuntamenti per conquistarti, Simò?»
«Tu mi conquisti ogni giorno,Manuel.»
Guarda Manuel con un sorriso stampato sulle labbra, nello sguardo solo amore.
«Dici davvero?»
«Dico davvero.»
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